Mediterraneo, crocevia di movimenti
5
restringerli… Il Mediterraneo non è solo geografia
2
e sono solo le apparenze
dell’ estensione dello spazio, della peculiarità del paesaggio e del clima,
la compattezza d’insieme, a creare l’illusione che il Mediterraneo sia uno
spazio uniforme. L’unità geografica del Mediterraneo è un concetto
estremamente flessibile, in quanto ha molte forme ed espressioni e, a
scala più dettagliata, molte suddivisioni e particolarità
3
.
Il movimento e i continui interscambi di popolazioni da una
sponda all’altra del Mediterraneo, così come il mutamento degli equilibri
demografici, costituiscono una delle caratteristiche e delle costanti
storiche di quest’area. La definizione di Braudel del Mediterraneo come
espace mouvement ricorda che questo, storicamente, più che una frontiera,
è stata una zona di contatti e legami.
Persino l’avvicendarsi della storia sulle sue coste è impregnato di
contrapposizioni: Atene e Sparta. Roma e i Barbari. L’impero d’Oriente e
quello d’Occidente. L’Europa e l’Africa. Il Cristianesimo e l’Islam. La
tradizione giudaica e le persecuzioni degli ebrei…
Il Mediterraneo è uno spazio plurimo di confini sovrapposti e
incerti
è un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro, e quindi di città che
dalle più modeste alle medie, alle maggiori si tengono tutte per mano. Strade e
ancora strade, ovvero tutto un sistema di circolazione. Attraverso tale sistema
possiamo arrivare a comprendere fino in fondo il Mediterraneo, che si può
definire, nella totale pienezza del termine, uno spazio-movimento. All’apporto
dello spazio circostante, terrestre o marino, che è la base della sua vita
2
Matvejevic (1991), p 18.
3
King, Cori, Vallega (2000), p. 117.
Mediterraneo, crocevia di movimenti
6
quotidiana, si assommano i doni del movimento. Più questo si accelera, più tali
doni si moltiplicano, manifestandosi in conseguenze visibili
4
.
Paradossalmente, è nelle migrazioni di popolazioni (con la loro
implicita complessità) che può essere individuata la specificità di un
Mediterraneo unitario. Il Mediterraneo per secoli ha attirato a sé
popolazioni provenienti dalla foresta, dalla steppa o dal deserto: Fenici,
Greci, Arabi e Turchi si sono insediati sulle sue coste, lasciando le loro
tracce, le loro tecniche, i loro generi di vita, i loro culti… Vi è sempre
stato, in questo spazio, un alto livello di mobilità, permanente e in un
certo senso ripetitiva, ma, nella maggior parte dei casi, silenziosa perché
da molto tempo regolata dalla consuetudine
5
. Ogni invasore ha lasciato
tracce della propria presenza, senza distruggere l’esistente né
omologarlo. Da qui, in gran parte del Mediterraneo, lo stretto
intrecciarsi di comunità etniche e religiose, giustapposte o sovrapposte
seguendo i flussi e riflussi del popolamento, oltre che del potere politico.
Gli storici concordano nel rilevare che l’attuale quadro del
Mediterraneo sia opera di tre grandi migrazioni: si tratta di movimenti
di popoli alla ricerca di condizioni di vita diverse e più accettabili
6
.
Il primo corrisponde all’arrivo degli indoeuropei che, a partire dal
II millennio a.C., occupano e popolano le penisole che da Nord si
propendono verso Sud. Esso si svolge in direzione est-ovest,
comprendendo Ittiti e Greci, Italici e Celti, e segue tre rotte marittime
che solcano il Mediterraneo seguendo il senso dei paralleli.
Il secondo grande movimento migratorio si svolge nel lungo arco
di tempo che accompagna lo sfaldarsi dell’Impero romano e si trasforma
4
Matvejevic (1991), p 49.
5
Aymard (1992), p. 237.
6
Giacomarra (2000), p. 24.
Mediterraneo, crocevia di movimenti
7
in un mèlange di etnie guerriere che non lasciano però impronte durature,
eccezion fatta per i franchi, i longobardi e gli slavi, i quali hanno un
impatto forte e prolungato sia sull’insediamento che sulla lingua e su
certi tratti della cultura.
Tra basso Medioevo ed Età moderna si dipana il terzo grande
movimento migratorio. Questa volta si tratta di nuclei di popolazione
infinitamente più numerosi, che scendono dalla montagne, dove si
registravano allora alte densità di popolazione. È la migrazione che
coinvolge gli addetti alle arti e ai mestieri: in città gli immigrati si
distribuiscono in quartieri ben definiti e si raggruppano in associazioni
che provvedono all’accoglienza e al mutuo soccorso.
L’esodo che parte da fine Ottocento si distingue totalmente dalle
precedenti migrazioni e non coinvolge più il Mediterraneo. Fa eccezione
l’emigrazione dei primi decenni del XIX secolo che si muove ancora
dentro quel bacino, dall’Egitto alla Tunisia e all’Impero Ottomano. Ma la
gran parte delle migrazioni mostra come il Mediterraneo abbia in
qualche modo perduto il controllo economico del mondo e affronta l’era
industriale con ritardo e in una situazione di dipendenza dai poli di
sviluppo d’oltreoceano. I Paesi mediterranei per lungo tempo (si
potrebbe dire per gran parte del XX secolo) sono stati paesi di
emigrazione ma, a partire dagli anni Settanta si innescano nuovi
elementi motori che, rispetto al passato, convertono i Paesi della sponda
Nord in Paesi ricettori di immigrazione
7
. I flussi in uscita di inizio secolo
erano in gran parte determinati da squilibri economici e demografici, che
a loro volta producevano effetti di spinta dai Paesi di partenza e di
richiamo da quelli di destinazione. I flussi degli ultimi venti, trent’ anni,
sono sì generati ancora da squilibri economici e demografici, ma tali
7
Giacomarra (2000), p. 92.
Mediterraneo, crocevia di movimenti
8
ragioni non bastano a metterli in moto se mancano le nuove condizioni
costituite dal crescere delle comunicazioni. Si tratta di comunicazioni
fisiche (le strade, le linee di trasporto aereo, marittimo e ferroviario),
meccaniche (i diversi mezzi di trasporto), ma soprattutto simboliche.
L’ampliarsi del piano simbolico condiviso e dell’immaginario collettivo
tra popolazioni che rimangono divise per sistemi sociali, economie e
ambienti, attiva processi a catena: aspettative di benessere, mobilità
dalle campagne ai centri urbani, trasferimento nei Paesi a sviluppo
avanzato. I processi migratori appaiono in conclusione sempre meno
attivati solo da ragioni strutturali e sempre più collegati, se non
promossi, da meccanismi innanzitutto culturali
8
.
Il primo capitolo di questo studio mostra la complessità
interpretativa dell’attuale fenomeno delle migrazioni internazionali che
si riflette nella pluralità dei modelli che vengono adottati per spiegarle,
ciascuno volto a privilegiare un fattore. Un particolare rilievo è dato alla
connessione tra flussi migratori e mercato del lavoro intravedendo in
quest’ultimo la maggiore causa attrattiva: l’idea di fondo è che le
migrazioni siano causate da una domanda permanente di manodopera
d’importazione, intrinseca alla struttura economica delle nazioni
sviluppate e che agisce da potente fattore di richiamo. Le profonde
trasformazioni che si registrano nel mercato del lavoro e nelle società dei
paesi economicamente avanzati, generano un fabbisogno di manodopera
a basso costo, disponibile a svolgere mansioni di modesto prestigio
sociale.
I lavoratori immigrati si inseriscono, dunque, in un preciso settore
del mercato del lavoro lasciato scoperto dai lavoratori autoctoni e si
8
Giacomarra (1994), p. 15-16.
Mediterraneo, crocevia di movimenti
9
stanziano sempre più numerosi nelle nostre città non altrettanto
disponibili ad accoglierli.
L’analisi del secondo capitolo si dipana a partire dagli anni
Settanta, quando, a seguito delle suddette trasformazioni dell’economia ,
i paesi dell’Europa mediterranea (Portogallo, Spagna, Italia e Grecia) si
traducono, da serbatoi di manodopera per l’Europa centro-settentrionale
in terre d’approdo per i paesi del Sud del mondo. Il Mediterraneo,
riacquista centralità nello scacchiere geopolitico internazionale e le sue
acque tornano ad essere solcate da imbarcazioni cariche di migranti e di
speranze per una nuova vita, migliore di quella che si è lasciata alle
spalle.
Anche il nostro Paese, dopo un passato di forte emigrazione
esterna ed interna, si scopre terra d’immigrazione. Già nel breve periodo
di un decennio, la trasformazione storica si traduce in visibile
trasformazione geografica: i recenti flussi migratori si insediano nelle
città cambiandone le forme dell’abitare, di vivere ed usare gli spazi
cosicché quartieri e luoghi simbolici delle città d’immigrazione vedono
mutare i loro caratteri.
L’inserimento di gruppi immigrati è accompagnato da forte
diversificazione nelle modalità locali di vita e nel rapporto con la città,
tanto che si parla di “una popolazione variegata in una pluralità di
contesti”
9
che dà vita a nuove geografie in evoluzione, su modelli che non
trovano esatti precedenti nelle consolidate realtà d’immigrazione
d’oltralpe e d’oltreoceano. Si è scelta Milano come città campione per
questo studio, in virtù del suo attivissimo mercato del lavoro che, pur
non essendo l’unico, è un importante push factor nei paesi di emigrazione
che contribuisce a convogliare flussi di manodopera verso in città. La
9
Lanzani, Vitali (2003), p. 8.
Mediterraneo, crocevia di movimenti
10
Lombardia è, inoltre, la regione italiana con il maggior numero di
insediamenti di immigrati, che superano il mezzo milione, contro i quasi
300.000 in Lazio
10
.
La finalità di quest’analisi consiste nell’individuazione e nel
confronto dei principali percorsi di inserimento degli immigrati a
Milano e di alcuni gruppi etnici e nazionali provenienti dai Paesi in via
di sviluppo e dall’Est Europa, in quanto componenti di rilievo delle
attuali migrazioni.
Una categoria importante tra la popolazione immigrata è
costituita dalle donne: quasi la metà dei migranti che entrano nel
territorio dell’UE ogni anno, infatti, è di sesso femminile, quota
perennemente in crescita che arriva, nella maggior parte dei casi,
soprattutto per lavorare come domestica o per trovare impiego in
mansioni assistenziali
11
.
Sulla scorta di studi, statistiche di genere e ricerche sul campo si è
cercato di rilevare il rapporto fra donne immigrate e spazio urbano
milanese, la loro percezione del luogo e l’utilizzo dello stesso.
Quali sono le motivazioni che spingono milioni di donne a lasciare
il proprio Paese alla volta di una terra sconosciuta, dalla lingua e dai
costumi diversi dai propri? E come risponde il tessuto urbano a questa
lenta e continua occupazione? Qual è, in particolare, il percorso che
porta una donna straniera nelle case degli italiani, come collaboratrice
domestica
12
? Lo spazio domestico diventa “luogo di identità”
13
o rimane
spazio estraneo nel quale non si ricerca altro che la propria
sopravvivenza? Queste domande costituiscono il filo conduttore della
10
Si veda figura 2.2, p. 54.
11
Cfr. dati Caritas 2007.
12
La definizione di collaboratrice domestica abbraccia, in questo testo, il lavoro di colf e
badante.
13
Cfr. Tarozzi A. (1995), p. 11.
Mediterraneo, crocevia di movimenti
11
ricerca sviluppata nel terzo capitolo, a partire dal monitoraggio
dell’immigrazione straniera femminile nel contesto milanese e
dall’interazione con diverse donne straniere impiegate in attività di
collaborazione domestica nella città in questione.
1. MIGRAZIONI INTERNAZIONALI
Se ci si attiene ai numeri e al confronto con le epoche precedenti,
oggi le migrazioni non risultano più importanti – per entità e
drammaticità – di quanto non lo fossero alla fine del XIX secolo o nei
primi decenni del XX
1
. Occorre allora domandarsi perché oggi esse
destino tanta preoccupazione; perché nei rapporti tra l’Europa e il
Mediterraneo siano considerate un problema. Gli studiosi parlano di
nuova migrazione con riferimento ai suoi volumi crescenti, ma
soprattutto alla sua maggiore eterogeneità dal punto di vista delle
provenienze etniche e nazionali, delle figure sociali coinvolte, dei modelli
d’insediamento e d’incorporazione cui essa dà luogo
2
.
1
Il periodo 1850-1914 ha realmente conosciuto migrazioni di massa e vera libera circolazione:
dall’Europa emigrarono verso i paesi del Nuovo Mondo 55 milioni di persone.
2
Zanfrini (2004), Castles, Miller (2003).
______Migrazioni internazionali
13
Figura 1.1
Flussi migratori mondiali
Fonte: www.limes.it
______Migrazioni internazionali
14
1.1 Modelli interpretativi: teorie sull’avvio delle
migrazioni internazionali
Secondo il paradigma neoclassico dell’economia, le migrazioni –
siano esse interne o internazionali – sono determinate dall’esistenza, tra
i vari paesi e territori, di differenze nei livelli della domanda e dell’offerta
di lavoro, a loro volta responsabili di differenziali salariali e dei tassi
d’occupazione
3
. In questa situazione, i lavoratori che vivono lì dove
eccede la domanda saranno indotti a muoversi verso aree che registrano
una situazione opposta, di domanda che eccede l’offerta. I lavoratori
tenderanno a spostarsi anche per realizzare un maggior guadagno,
andando a investire il proprio capitale umano là dove i livelli retributivi
sono più elevati, ossia scegliendo, tra le dimensioni alternative, quella
più vantaggiosa. Viene dunque supposta l’esistenza di un mercato
migratorio globale
4
in cui gli individui calcolano razionalmente i vantaggi
associati alle diverse alternative di comportamento: restare nel proprio
paese oppure muoversi verso una delle possibili destinazioni all’estero.
Quella proposta dal paradigma neoclassico è una spiegazione di
livello micro: l’unità decisionale pertinente per la spiegazione è il singolo
individuo considerato libero da qualsiasi tipo di condizionamento
sociale. Tuttavia, l’effetto d’aggregazione di tante decisioni individuali
conduce, nel tempo, al progressivo appiattimento dei livelli
occupazionali e retributivi. Nel breve periodo, tanto più consistenti sono
i differenziali esistenti, quanto più voluminosi risulteranno i flussi
migratori necessari a riequilibrare domanda e offerta di lavoro nei diversi
mercati locali e nazionali. Per la stessa ragione, le migrazioni sono un
3
Lewis (1954), Ranis, Fei (1961), Harris, Todaro (1970).
4
Borjas (1990).
______Migrazioni internazionali
15
fenomeno destinato a esaurirsi spontaneamente, nel momento in cui
nessun individuo riterrà conveniente spostarsi, giacché il differenziale
equivale ormai al costo, monetario e psicologico, dell’emigrazione. Così
la spiegazione di livello micro si salda a quella di livello macro, secondo il
mito del mercato autoregolato, dotato di una “mano invisibile” che guida le
azioni individuali contribuendo alla migliore allocazione possibile dei
fattori produttivi. È una spiegazione che condivide tutti i pregi del
paradigma dell’economia neoclassica, ma anche i limiti. Il risultato è che
tale modello si rivela incapace di dare conto di tutta una serie di
anomalie: perché, ad esempio, a emigrare non sono mai i più poveri tra i
poveri, coloro cioè, per i quali è indubbio che la migrazione costituirebbe
una scelta economicamente vantaggiosa? Perché ad emigrare è di norma
un numero di persone infinitamente più piccolo di quelle che ne
trarrebbero un obiettivo vantaggio economico nei termini del modello
che abbiamo illustrato? Perchè ancora, nel valutare le possibili mete, i
migranti non necessariamente scelgono le destinazioni più ricche di
possibilità di lavoro e di guadagno? Perché, infine, le migrazioni tendono
a durare nel tempo, anche quando mutano le condizioni che in origine
facevano apparire conveniente la decisione di emigrare?
Un primo tentativo di superare l’insoddisfazione nei confronti del
paradigma neoclassico matura nell’ambito della stessa scienza
economica: è la cosiddetta nuova economia delle migrazioni
5
. Rispetto
all’approccio tradizionale, questa teoria non si limita a considerare ciò
che avviene sul mercato del lavoro, ma amplia l’attenzione ad altri
mercati che in vario modo influenzano gli orientamenti dell’offerta di
lavoro. Essa, inoltre, muove dalla consapevolezza che, soprattutto nei
PVS, tali mercati (per esempio quelli finanziari) possono essere
5
Stark, Bloom (1985); Stark (1991).
______Migrazioni internazionali
16
inesistenti, inaccessibili, o comunque funzionare in modo imperfetto. Un
ulteriore elemento di novità consiste nello spostare dal singolo individuo
alla famiglia – o a un’altra unità di produzione e consumo culturalmente
definita – l’unità d’analisi pertinente per lo studio della decisione di
emigrare. Quest’ultima non è, infatti, quasi mai una scelta individuale,
anche se, alla fine, ad emigrare potrà essere un solo individuo. In
particolare, il teorico O. Stark
6
concentra l’attenzione sulla famiglia e
sulle sue strategie di allocazione delle risorse umane finalizzate non solo
a massimizzare i guadagni – come suggerito dall’approccio tradizionale
– ma anche a minimizzare i rischi da affrontare.
Ancora un elemento di novità riguarda la «molla» che spinge gli
individui ad emigrare. Nell’ipotesi classica, coerente con la generale
spiegazione del comportamento economico, è il desiderio di migliorare il
proprio livello di reddito in termini assoluti a indurre gli individui a
investire altrove il proprio capitale umano. La nuova economia delle
migrazioni introduce invece un concetto destinato a rivelarsi molto
efficace nell’interpretazione: quello di deprivazione relativa. Mutuato dalla
psicologia sociale
7
, il concetto di deprivazione relativa indica la
convinzione di essere in condizioni peggiori degli individui e delle
famiglie che compongono il proprio «gruppo di riferimento», ossia il
gruppo scelto come base di confronto per l’autovalutazione. È la
comparazione con le condizioni di vita e di benessere degli altri con cui
ci si paragona a indurre il desiderio di migliorare il proprio status.
Conseguentemente, non è il livello di reddito in senso assoluto che fa
sentire gli individui più o meno poveri, ma piuttosto la loro collocazione
nella stratificazione sociale. In una società in cui i livelli di reddito sono
6
Stark (1991).
7
Merton, Kitt (1950).
______Migrazioni internazionali
17
in crescita (spesso proprio dalle rimesse effettuate dai migranti ai loro
parenti rimasti in patria), cresce anche il numero di coloro che,
improvvisamente si sentono più poveri.
Diventa possibile, in tal modo, dare ragione di una delle
«anomalie» del fenomeno migratorio: quando i livelli di benessere
crescono, è più facile che la pressione migratoria non si riduca, ma
piuttosto aumenti. Tutto ciò significa che la decisione di emigrare non
implica necessariamente una condizione di disoccupazione: persino chi
ha un lavoro potrebbe ritenere «razionale» lasciarlo per cercare fortuna
altrove, in una strategia familiare tesa a diversificare gli impieghi delle
proprie risorse. La nuova economia delle migrazioni pone l’accento
sull’importanza che hanno gli apparati di protezione: la loro assenza
rende l’emigrazione una strategia d’assicurazione dai rischi,
indipendentemente dalla considerazione dei differenziali salariali.
All’opposto, la presenza di reti di welfare può disincentivare la mobilità
della manodopera anche laddove la disoccupazione è diffusa, come si è
verificato nel Mezzogiorno d’Italia.
Pur ampliando notevolmente il ragionamento proposto dal
paradigma neoclassico, la nuova economia delle migrazioni, concentrata
sulla spiegazione delle migrazioni a livello micro, mantiene l’attenzione
sui fattori d’espulsione, assumendo che il gruppo di riferimento , rispetto
al quale i potenziali migranti «misurano» il proprio benessere e le
proprie aspettative, sia costituito dalla comunità in cui vivono.
Ma per comprendere le origini delle migrazioni, così come
l’attuale direzionalità dei flussi, occorre guardare anche alla complessiva
struttura del mercato mondiale e ai suoi sviluppi, nel corso del tempo,
segnatamente dall’epoca in cui ha preso corpo il processo di
______Migrazioni internazionali
18
modernizzazione. Secondo la teoria del sistema mondo
8
, è la penetrazione
delle relazioni capitalistiche nelle aree periferiche del globo a essere
principalmente responsabile dei flussi di persone che si originano da
queste ultime e si dirigono verso i paesi più ricchi. Le teorie della
modernizzazione sostengono che l’avvento di una società moderna possa
progressivamente ridimensionare la rilevanza dei caratteri ascritti,
garantendo a tutti gli individui i vantaggi del vivere in una società
universalistica e democratica. Lo sviluppo è perciò considerato come un
processo inevitabile e destinato a diffondersi anche nelle regioni e nelle
nazioni in condizioni di arretratezza. Per i paesi non ancora “decollati” i
rapporti con le nazioni più ricche assumono una valenza positiva,
costituendo un fattore di stimolo alla modernizzazione degli
orientamenti culturali e delle strutture sociali innescando meccanismi di
cambiamento irreversibili
9
.
A questa visione ottimistica – comprensibile dato il clima
entusiastico del dopoguerra – si contrappone l’analisi, assai più critica,
dei teorici della dipendenza. Molti paesi del Terzo Mondo dopo essersi
sottratti alla dominazione coloniale e aver celebrato l’indipendenza
politica, si trovano a dover fare i conti sia con difficoltà economiche, sia
con impreviste tensioni sociali e politiche. Di qui i primi cedimenti
sull’idea di inevitabilità dello sviluppo e la constatazione che la
modernizzazione potesse subire dei blocchi e dei fallimenti
10
. I teorici
della dipendenza giudicano le teorie della modernizzazione viziate
dall’etnocentrismo, soprattutto questi rivedono drasticamente la
convinzione che i rapporti con i paesi sviluppati rappresentino un
vantaggio per le nazioni arretrate.
8
Wallerstein, (1978), (1982); Portes, Walton (1981); Sassen (1988); Morawska (1990).
9
Lerner (1958).
10
Eisenstadt (1974).