6
Ritengo che non si possa affrontare un tema complesso e delicato
come quello delle pari opportunità tra uomo e donna senza la giusta
consapevolezza di quali siano le linee di fondo tracciate dalla prima
delle nostre fonti legislative e di come esse abbiano conseguentemente
ispirato e plasmato tutta la produzione normativa successiva.
La Costituzione, introducendo l‟obbligo da parte dello Stato ad
eliminare le disuguaglianze di natura sociale ed economica fra uomo e
donna, ha sì, sancito un profondo concetto di eguaglianza ma che
rischiava di rimanere puramente formale se non fossero intervenute
misure effettive a eliminare le disuguaglianze economiche e sociali.
L‟articolo 3 della nostra Carta Costituzionale sotto il titolo dei
principi fondamentali, subito dopo aver proclamato che tutti i cittadini
sono liberi ed uguali davanti alla legge, non esita ad ammettere che la
società è fondata sulla disuguaglianza di fatto3. Il Costituente ha,
quindi, riconosciuto che non è sufficiente sancire il principio
dell‟uguaglianza giuridica dei cittadini, quando esistono ostacoli di
ordine economico e sociale che impediscono che questa sia effettiva.
Pertanto, ha assegnato alla Repubblica, vale a dire al legislatore e ai
pubblici poteri, il compito di rimuovere tali ostacoli, affinché tutti i
cittadini possano fruire delle stesse opportunità e possano godere,
senza sperequazioni, dei medesimi diritti loro formalmente
riconosciuti dalla Costituzione. In sostanza, il comma 2° dall‟art. in
esame, segna il passaggio dallo Stato di diritto, a funzione protettivo-
3
Per questo motivo U. ROMAGNOLI definisce la nostra una Costituzione
“sincera”, nel commento dell‟art.3, 2° comma Cost., in Commentario della
Costituzione, (a cura di) G. BRANCA, Bologna-Roma, 1975, p.165.
7
repressiva, allo Stato sociale, a funzione promozionale 4. Difatti, se le
costituzioni liberali classiche si limitano a sancire il principio di
uguale soggezione alla legge di tutti i cittadini, le costituzioni del
periodo post-liberale vanno oltre, affermando il principio di
uguaglianza sostanziale. Lo Stato cui e‟ affidato il compito di rendere
effettiva la parità fra i cittadini, può, in vista di quest‟ultimo obiettivo,
porre in atto trattamenti di favore a beneficio di categorie
svantaggiate. Il secondo comma implica la presa in considerazione
delle possibili disparità che pesano su classi di persone o su gruppi
sociali a diverso titolo svantaggiati e l'appartenere ad essi è
precondizione di quelle giustificate "deviazioni" dal modello di
uguaglianza formale, che consistono nel garantire loro pari
opportunità5.
Interviene poi il disposto dell'articolo 37, unica disposizione
dedicata specificamente al lavoro femminile e inserita nel titolo
disciplinante i rapporti economici, che sancisce l‟obbligo
costituzionale del rispetto della parità di trattamento sul posto di
lavoro.
4
Si veda: N. BOBBIO, Sulla funzione promozionale del diritto, in Rivista
trimestrale di procedura civile, II 1969, p.1324. Secondo la nostra Costituzione, la
Repubblica ”promuove le condizioni che rendono effettivo”il diritto al lavoro
(art.4, comma1°); “promuove le autonomie locali” (art.5); “promuove lo sviluppo
della cultura” (art.9, comma 1°).
5
Si ricorda, inoltre, come uguaglianza di trattamento fra uomo e donna non
significhi affatto negazione della differenza di genere esistente. L'uomo e la
donna, che sono eguali nel loro status di persone, appartengono a generi diversi, e
tale diversità, in un'ottica realmente paritaria, deve essere riconosciuta e garantita
(melius, valorizzata). Il diritto, infatti, per essere effettivamente garante della
eguaglianza, deve garantire che a situazioni differenziate corrisponda un
trattamento differenziato.
8
Da queste enunciazioni di principio emerge chiaramente come
nella nostra Carta fondamentale convivano, in un delicato gioco di
equilibri, un'anima genuinamente egualitaria, là dove l'obiettivo
diviene la lotta alla discriminazione palese e manifesta, e una sempre
viva attenzione per le diverse individualità, per la differenza, nello
specifico, di genere.
Infine nella prima parte della Carta Costituzionale sotto il titolo
dei rapporti politici troviamo l‟art 51 (disposizione cardine della parità
di accesso agli impieghi pubblici ed alle cariche elettive) che, dopo
diversi interventi legislativi culminati nell‟approvazione nel 2003
della legge cost. 30 maggio 2003 n.1, è stato riformato con
l‟introduzione al comma 1 della previsione secondo cui “la
Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità
tra donne e uomini” e che si popone di estendere al livello della
legislazione elettorale nazionale il vincolo all‟adozione di azioni
positive a favore del sesso sottorappresentato6.
Come efficacemente illustrato dal relatore del disegno di legge si
tratta di una specificazione dell‟articolo 3. Dal copioso dibattito già
avviato sul tema nella precedente legislatura era emerso come fosse
necessario passare dall‟eguaglianza formale, sostanzialmente neutra
nelle sue disposizioni, all‟eguaglianza sostanziale intesa come egua-
glianza delle opportunità, in cui un diverso trattamento giuridico si
6
G. Brunelli, La parità dei sessi nella rappresentanza politica: le questioni
aperte, in R. Bin (a cura di), La parita dei sessi nella rappresentanza politica : in
occasione della visita della Corte costituzionale alla Facoltà di giurisprudenza di
Ferrara : atti del Seminario, Ferrara, 16 novembre 2002, Giappichelli, 2003.
9
giustifica ed anzi è ritenuto necessario sulla base delle diverse condi-
zioni di partenza. Sarà così possibile colmare la frattura creatasi fra la
partecipazione femminile alla vita sociale, culturale e professionale
del paese e la partecipazione alla vita politica ed istituzionale.
Questo costituisce l‟ultimo di una serie di interventi del
legislatore costituzionale in materia. Com‟è noto, infatti, secondo la l.
cost. n. 2 del 2001, le leggi elettorali delle Regioni a statuto speciale,
al fine di conseguire l‟equilibrio della rappresentanza dei sessi,
promuovono “condizioni di parità per l‟accesso alle consultazioni
elettorali”. A sua volta, il nuovo art. 117, comma 7, introdotto dalla l.
cost. n. 3 del 2001, dispone che “Le leggi regionali rimuovono ogni
ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne
nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di
accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”7.
In questo lavoro si è ritenuto di approfondire proprio l‟aspetto di
promozione e partecipazione regionale e locale, al consolidarsi del
principio di pari opportunità, senza tralasciare l‟importanza e
l‟influenza che la normativa nazionale e comunitaria indubbiamente
esercita su questa materia.
7
Si tratta di previsioni normative non perfettamente sovrapponibili: e tuttavia,
sembra di poter dire che le innegabili difformità terminologiche possano essere
intese come sfumature diverse, dovute al carattere frammentario delle revisioni
operate, ma che non impediscono di ricondurre ad una sostanziale uniformità, in
sede interpretativa, le varie disposizioni. La stessa Corte costituzionale, nella
sentenza n. 49/2003, ha precisato che le norme contenute nella legge cost. n. 2 del
2001, cui si aggiunge “l‟analoga, anche se non identica previsione” dell‟art. 117,
comma 7, Cost., pongono “esplicitamente l‟obiettivo del riequilibrio e
stabiliscono come doverosa l‟azione promozionale per la parità di accesso alle
consultazioni, riferendoli esplicitamente alla legislazione elettorale”.
10
Nel nostro ordinamento giuridico, accanto allo Stato, esistono
infatti altri enti pubblici territoriali: le Regioni e le Province autonome
di Trento e Bolzano dotati di autonomia legislativa e amministrativa;
le Province e i Comuni dotati di autonomia regolamentare e
amministrativa. Tutti inoltre hanno autonomia statutaria.
Con la legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 viene
riformata la parte della Costituzione riguardante il sistema delle
Autonomie locali e dei rapporti con lo Stato. La riforma comporta la
revisione degli articoli 114-133 della Carta Costituzionale. Attraverso
la conferma di alcuni articoli, l‟abrogazione di altri e la modifica di
altri ancora , viene cambiato in profondità l‟ordinamento istituzionale
della Repubblica. Sono da mettere in evidenza: la nuova struttura
istituzionale, la ripartizione della potestà legislativa e amministrativa,
lo schema di finanziamento e i rapporti finanziari tra enti, la
possibilità di forme di autonomia differenziata per le Regioni a statuto
ordinario, l‟abrogazione dei controlli preventivi sugli atti delle
Regioni. La riforma del Titolo V della seconda parte della
Costituzione è stata approvata in un momento in cui la tradizionale
struttura centralistica della nostra Repubblica veniva sottoposta a
rilevanti cambiamenti con significativi provvedimenti di
decentramento di funzioni amministrative 8. Occorre premettere che,
con il termine “decentramento”, si intende fare riferimento non solo al
processo di cambiamento della nostra Pubblica Amministrazione
8
V. legge 15 marzo 1997 n. 59 “Delega al governo per il conferimento di funzioni
e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione
e per la semplificazione amministrativa”.
11
avviato, negli anni novanta, con la l. 59/97 e successivi decreti
attuativi, ma anche al profondo mutamento che ha investito l‟assetto
dei poteri centrali e locali intervenuto con l‟entrata in vigore della
legge costituzionale 3/2001 di riforma del Titolo V, parte II della
Costituzione. Quest‟ultima ha, infatti, comportato una trasformazione
del sistema dei poteri della Repubblica, implicando un cambiamento
del quadro istituzionale del Paese. Le norme in essa contenute, fra le
quali vanno ricordate gli artt. 114, 117 e 118, hanno introdotto
elementi innovativi relativamente alle competenze ed ai rapporti fra i
soggetti istituzionali dell‟ordinamento.
Facendo un breve cenno a tali norme, preme porre in evidenza
come, l‟art. 114 ha operato una ricostruzione dell‟ordinamento
repubblicano ponendo in una posizione di sostanziale pari dignità i
diversi Enti Istituzionali. Così recita infatti la norma: “la Repubblica è
costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle
Regioni e dallo Stato”; mentre gli artt. 117 e 118 si riferiscono,
invece, rispettivamente, al riparto di competenze della potestà
legislativa tra Stato e Regioni e all‟attribuzione delle funzioni
amministrative.
Il nuovo art. 117, infatti, definisce gli ambiti della potestà
legislativa, ripartendola tra Stato e Regioni e ponendo, quindi, tali Enti
in posizione di sostanziale equiordinazione. In base ad esso, pertanto,
lo Stato risulta essere titolare di potestà legislativa esclusiva in un
determinato nucleo di materie elencate nel secondo comma, mentre il
terzo comma della norma individua una seconda serie di materie, di
12
legislazione concorrente Stato-Regioni, per le quali è attribuita alle
Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Il quarto
comma sancisce che su tutte le altre materie la potestà legislativa
spetta in via esclusiva alle Regioni. Peraltro, l‟art. 117, primo comma,
stabilisce per Stato e Regioni vincoli comuni all‟esercizio della
rispettiva potestà legislativa, rappresentati dal rispetto della
Costituzione, “nonché dei vincoli derivanti dall‟ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Il riparto delle funzioni amministrative viene invece operato
nell‟art. 118 che, al primo comma, enuncia che “le funzioni
amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne
l‟esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane,
Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza”9.
Come si può notare, ci si trova, quindi, in presenza di un nuovo
assetto di poteri e di funzioni, di una nuova governance, appunto, che
sta portando ad un riequilibrio tra i diversi soggetti istituzionali
coinvolti, riequilibrio che, per essere effettivo ed efficace, necessita di
momenti e sedi operative finalizzati a favorire intese ed accordi tra i
diversi livelli di governo. Il rafforzamento della dimensione, per così
dire, repubblicana dell‟ordinamento complessivo, pone in termini del
9
Viene superato il sistema che caratterizzava il precedente testo costituzionale,
consistente nel parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative delle
Regioni, vale a dire che le Regioni esercitavano le funzioni amministrative in tutte
le materie in cui avevano competenza legislativa.
13
tutto nuovi anche la riconsiderazione dei compiti essenziali posti a
fondamento del nostro assetto costituzionale, a partire da quello di
garantire un‟eguaglianza non solo formale ma anche sostanziale dei
cittadini. D‟altra parte, come già detto, lo stesso art. 3, secondo
comma della Costituzione (rimasto invariato dalla sua entrata in
vigore), impone alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli
economici e sociali che impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l‟effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all‟organizzazione politica, economica e sociale del Paese, sancendo,
altresì, al primo comma, che “Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali”.
Alla luce delle sommarie considerazioni sin qui svolte, anche il
tema delle politiche di genere sembra si debba collocare in una
prospettiva rinnovata. Il rafforzamento dei poteri legislativi ed
amministrativi di Stato, Regioni ed Enti locali, incidenti in campi
sempre più ampi e rilevanti, porta infatti a dover ripensare nel suo
complesso i modelli di azione pubblica volti a perseguire obiettivi di
eguaglianza e di soddisfazione dei diritti sociali. Altrimenti, la
sovrapposizione di vecchie modalità di intervento sul nuovo quadro
delle competenze territoriali, potrebbe finire col produrre effetti
distorti, non solo rispetto al disegno generale delle attribuzioni, ma
anche nei confronti degli stessi interventi di promozione
dell‟eguaglianza. Per il livello statale il nuovo impegno potrebbe
14
tradursi almeno sotto tre diversi profili. In primo luogo, una
riqualificazione degli strumenti normativi (a partire dalla l. 125/91,
peraltro già riformata per taluni aspetti dal D.lgs.196/2000) tale che
possano costituire l‟effettivo elemento unificante a livello nazionale in
ordine, soprattutto, al livello di soddisfazione del diritto delle donne e
degli uomini all‟uguaglianza sostanziale nel lavoro. In secondo luogo,
un rafforzamento degli strumenti di controllo a livello centrale, che
permettano non solo il monitoraggio delle azioni intraprese sul
territorio, ma anche l‟eventuale sostituzione dei governi regionali e
locali in caso di inadempienze che intacchino il livello essenziale di
garanzia del diritto alle pari opportunità. Infine, un adeguato
ripensamento degli strumenti statali di finanziamento delle azioni
positive, non solo o non tanto a sostegno diretto degli interventi da
intraprendere, quanto soprattutto in funzione di riequilibrio rispetto
alle competenze regionali che si affermassero in materia.
Per le Regioni e gli Enti locali, ciascuno rispetto alle proprie
competenze, si tratta invece di svolgere un ruolo che può
caratterizzarsi sotto un duplice profilo. Innanzitutto, i nuovi compiti
decentrati in materia di collocamento, politiche attive del lavoro,
istruzione e formazione professionale, devono trovare adeguato
sviluppo per quanto riguarda il rafforzamento di azioni dirette di
promozione di pari opportunità. Inoltre, il generale ampliamento delle
competenze regionali e locali nei più svariati campi di azione
dell‟intervento pubblico, colloca gli enti autonomi territoriali al centro
delle politiche di sviluppo delle rispettive comunità. Il che impone di
15
avviare o di rafforzare da parte delle Regioni, ma anche degli Enti
locali, la capacità di perseguire in chiave trasversale, l‟affermazione di
politiche di genere. In altri termini, gli enti territoriali devono essere in
grado di leggere tutte le politiche settoriali con la lente delle politiche
di genere, valutando anche l‟impatto delle prime sull‟uguaglianza di
opportunità delle donne e degli uomini. Per fare ciò si richiede anche
un ripensamento delle stesse modalità regolative ed organizzative di
Regioni, Province e Comuni.
Al momento, a livello normativo, emerge, peraltro, dai
provvedimenti in materia di mercato del lavoro adottati in attuazione
della l. 59/97, il maggior ancoraggio territoriale delle politiche per le
pari opportunità. Le Regioni, quindi, dopo le innovazioni delle Leggi
Bassanini e del D.lgs. 112/98, e ancor più con la riforma del Titolo V
della Costituzione, sono diventate in effetti il cuore del sistema di
pianificazione e di governo degli strumenti di programmazione sociale
ed economica sul territorio. Ad esse infatti è stato ormai trasferito il
complesso unitario delle competenze di pianificazione ed attuazione
delle strategie generali di programmazione dello sviluppo, del sistema
di offerta formativa e delle politiche dell‟occupazione, ricomponendo
proprio in capo alle Regioni l‟unitarietà di indirizzo e di
coordinamento delle diverse strategie, ancora ieri frastagliato in mille
rivoli e competenze che ne impedivano il governo unitario e organico
e integrato. Ciò consente alle Regioni da un lato il governo unitario e
sistemico delle politiche di sviluppo, integrando e unificando le
diverse variabili del sistema, e dall‟altro la valorizzazione del dato
16
territoriale della programmazione, diventato sempre più determinante
nelle politiche dello sviluppo. Ma consente soprattutto la
sperimentazione di nuovi modelli di “governance” regionali,
decentrati sul territorio e capaci di integrare competenza istituzionale,
capacità di pianificazione e di attuazione, coinvolgimento del
partenariato sociale ed istituzionale nel processo di programmazione,
e processi di delega alle Autonomie locali.
Le politiche delle pari opportunità rientrano ovviamente nel
quadro generale di revisione degli assetti istituzionali, che incidono in
maniera sostanziale sugli strumenti innovativi di “governance”, cioè
sui modelli di governo della società e dell‟economia in stretta
connessione con i processi di decentramento e di territorializzazione
delle politiche di sviluppo e di coesione sociale. L‟individuazione
delle specifiche competenze Stato-Regioni in materia di pari
opportunità e di politiche di genere appare comunque ancora non del
tutto definita.
Una lettura letterale del novellato art. 117 della Costituzione,
dopo la riforma introdotta dalla legge costituzionale n.3/2001,
assegnerebbe infatti alla competenza esclusiva delle Regioni la
materia relativa alle pari opportunità uomo-donna, non essendo la
stessa espressamente citata tra le materie di competenza esclusiva
della Stato o concorrente: valendo infatti il principio della
determinazione delle materie di competenza esclusiva della potestà
legislativa, ex art.117, alle Regioni “ad escludendum” (cioè ogni
materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato o
17
concorrente), e non essendo in alcun modo citata altrove la materia
delle pari opportunità e delle politiche di genere, esse rientrerebbero
senza dubbio tra le competenze esclusive della legislazione regionale.
Rimane però da esplorare la valutazione di quanto, per quanto
concerne la materia delle pari opportunità, rientri nell‟ambito delle
prerogative comunque attribuite, ex comma 2 dell‟art.117, alla
legislazione esclusiva dello Stato, e cioè: la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; l‟ordinamento
civile dello Stato. E‟ certamente fuori discussione la possibilità che lo
Stato intervenga infatti nella determinazione unitaria su tutto il
territorio nazionale dei livelli essenziali di prestazioni inerenti i “diritti
di parità uomo-donna”, nel cui ambito la legislazione esclusiva
regionale deve svilupparsi. Appaiono invece da approfondire gli
aspetti collegati alla classificazione dei diritti di parità tra quelli dei
“diritti civili”, rientranti quindi tra le materie oggetto dell‟ordinamento
civile dello Stato, e quindi sottoposti a potestà legislativa esclusiva
dello Stato. Essendo il dibattito in corso, e non ancora concluso né
definito nelle sue linee di attuazione in presenza del disegno di legge
La Loggia e dell‟Accordo Stato-Regioni, appare scontata la necessità
di una certa cautela sui principi generali delle politiche di pari
opportunità, fermo restando la piena competenza normativa delle
Regioni e Province Autonome sul piano della determinazione delle
politiche attive e della strumentazione operativa di attuazione dei
principi di parità. Situazione peraltro già consolidata e sostenuta da