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Parte Introduttiva
Storia e aspetti normativi della Psichiatria
I disturbi mentali sono conosciuti fin dall'antichità. Gli antichi Egizi ritenevano
che tutte le malattie, indipendentemente dalle manifestazioni, avessero un'origine
fisica e ponevano nel cuore la sede dei sintomi che oggi chiamiamo psichici: non
vi era dunque alcuna distinzione tra malattia fisica e mentale.
In alcuni scritti dell'antica Grecia si trovano descrizioni di pazienti depressi o
con disturbi d'ansia i cui sintomi sono perfettamente sovrapponibili a quelli di un
paziente di oggi. Ippocrate, nel 400 a.C., nella sua opera “Sulla malattia sacra”
scriveva “[…]gli uomini devono sapere che il piacere, la letizia, il riso, gli
scherzi e così pure il dolore, la pena, l’afflizione ed il pianto, da nessuna parte ci
provengono se non dal cervello. E sempre per opera sua diventiamo folli ed u-
sciamo di senno ed abbiamo incubi e terrori e, talvolta di notte, talvolta anche
durante il giorno, soffriamo di sogni e di smarrimenti ingiustificati e di preoccu-
pazioni infondate e siamo incapaci di riconoscere le cose solite che ci appaiono
e ci sentiamo sprovveduti […]". Primo fra tutti, Ippocrate sosteneva una visione
olistica dell’uomo e la sua Teoria Umorale rappresenta il più antico tentativo, nel
Figura 1 - Bassorilievo risalente al periodo ellenistico raffigurante Ippocrate mentre visita un ammalato
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mondo occidentale, di ipotizzare una spiegazione eziologica dell'insorgenza delle
malattie, superando la concezione superstiziosa, magica o religiosa.
Nell’antica Roma la nuova visione religiosa dell’uomo e la demonologia faranno
perdere l’interesse verso la malattia mentale. Nonostante la presenza di illustri
personaggi, tra i quali ricordiamo Celso (14 a.C.-37 d.C.) e Galeno (129-216), il
legame causale tra psicosi e fattori esterni si legò indissolubilmente a interpreta-
zioni irrazionali e riduzionistiche.
Con la morte di Galeno si rappresenta, generalmente, la chiusura del periodo au-
reo della medicina romana: per almeno tre secoli, nonostante l’avvicendarsi di al-
tri personaggi degni di rispetto (da ricordare il medico Poseidonio, che si occupò
delle malattie del cervello descrivendo molto accuratamente i deliri acuti, gli stati
comatosi, quelli catalettici, l'epilessia e la rabbia), si perpetuarono dogmatica-
mente gli antichi precetti e nulla di nuovo si aggiunse a quanto era già noto.
La scuola salernitana è considerata la più antica ed illustre istituzione medievale
medica del mondo occidentale e risale all’inizio del IX secolo; in essa confluiro-
no tutte le grandi correnti del pensiero medico fino ad allora conosciuto: la leg-
genda narra infatti che nacque dall'incontro di un medico romano, uno greco, uno
ebreo ed uno arabo. Tra i precetti del concetto di medicina di tale scuola vi erano
l’importanza dell’armonia psico-fisica e la necessità di scendere dalla cattedra
per avvicinarsi al letto del paziente al fine di discutere con gli allievi degli aspetti
clinici delle malattie.
Ma il Medioevo a seguire, fino a tutto il XV° secolo, fu comunque caratterizzato
da quell’interpretazione della malattia mentale che la vedeva come conseguenza
diretta della possessione demoniaca, o di una morale debole o del castigo divino.
Le donne affette da qualche disturbo mentale venivano frequentemente accusate
di stregoneria e condotte sul rogo. In questo periodo furono realizzati i primi isti-
tuti di ricovero (Bergamo, Firenze, Roma, Padova e Milano) dove i poveri mal-
capitati venivano tenuti sulla nuda paglia e spesso incatenati; le persone venivano
accolte senza distinzione di età, sesso o patologia laddove le finalità anziché di
cura erano, piuttosto, di sola sorveglianza o, in molti casi, anche repressive.
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L’unica attenzione di carattere sanitaria era destinata agli ambienti, che erano
ampi, ben illuminati e con grandi cortili: caratteristiche che rispondevano all’idea
popolare che gli spazi aperti avrebbero favorito la dispersione della malattia ed
evitato il contagio.
Nel 1676 Luigi XIII decretò l'istituzione in tutta la Francia degli hospitaux gene-
raux (ospedali generali) per il ricovero di “persone moralmente dissolute, genito-
ri spendaccioni, figli prodighi, blasfemi, uomini con tendenze suicide [e] liberti-
ne”. Il decreto segnò l'inizio della “grande reclusione degli squilibrati”.
L'espressione inglese snake pit (letteralmente “fossa dei serpenti”) che viene uti-
lizzata in riferimento agli “ospedali psichiatrici”, risale a questo periodo storico,
quando i malati di mente venivano gettati in una fossa piena di serpenti per pro-
vocare uno shock che li facesse tornare in sé.
Con l’avvento dell’Illuminismo si ritornò ad una visione olistica dell’uomo (vedi
nota su Ippocrate a pagina 5) e il pensiero critico permise ad alcuni scienziati di
guardare alla malattia mentale con occhi diversi.
Il medico francese Philippe Pinel (1745-1826) nel 1793, in piena Rivoluzione
Francese, sfidò i benpensanti liberando dalle catene i pazienti ricoverati nel ma-
Figura 2 - Pinel libera dalle catene i malati di mente (Tony Robert Fleury, 1876)
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nicomio di Bicêtre. Governatore del manicomio, e ispiratore di Pinel, fu Jean-
Baptiste Pussin (1745-1811), colui che viene ricordato come il primo infermiere
psichiatrico ante-litteram che la storia ricordi.
Pinel sosteneva la necessità di un rapporto fra medico e paziente improntato alla
fiducia e al rispetto e, in campo psichiatrico, rifiutò di adottare i metodi di con-
tenzione e i trattamenti brutali che erano di uso comune.
Pinel descrisse con chiarezza e precisione numerose patologie mentali; attribuì la
psicosi non a interferenze soprannaturali, come facevano molti suoi contempora-
nei, ma alle stesse cause - fattori ereditari, traumi e stress psicologici, stress so-
ciali - individuate dalla psichiatria moderna, della quale è giustamente considera-
to uno dei padri fondatori.
Jean-Baptiste Pussin accompagnò Pinel nella sua opera riformatrice per molti
anni, tagliando catene e altri ignobili mezzi coercitivi anche alla Salpêtrière di
Parigi, uno degli ospedali più grandi d’Europa, nel quale furono trasferiti dopo
pochi anni.
Ma quello che non molti sanno è che qualche anno prima di Pinel, nel 1788 a Fi-
renze, un certo Vincenzio Giuseppe Affortunato Chiarugi (1759-1820), di profes-
sione medico, iniziò una riforma altrettanto coraggiosa nei confronti degli allora
ricoverati presso alcuni “ospizi per matti” di Firenze.
Il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena individuò subito nel talentuoso Chiarugi
(laureatosi medico all’età di soli vent’anni) il più adatto a concretizzare nei fatti
la sua visione e il suo progetto per i malati di mente, e non solo quelli, della To-
scana. Venne quindi incaricato di organizzare il nuovo Ospedale di Bonifazio,
che aveva sede dove attualmente c’è la Questura.
Qui Chiarugi ebbe modo di progettare locali adatti, spazi aperti, dove i pazienti
poterono essere curati e non solo, come in precedenza, tenuti prigionieri spesso
in catene, anzi: le catene vennero espressamente abolite.
Nel 1793 Chiarugi diede alle stampe il suo trattato sulla pazzia dal titolo “Della
pazzia in genere e in specie” considerato ancora oggi il punto di partenza dei
moderni studi in quella materia.
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Nel 1808 fu coniato dal medico tedesco Johann Christian Reil (1759-1813) il
termine “psichiatria”, che deriva dal greco psyché (ψυχή), che significa spirito,
anima e iatros (ιατρός), che significa medico. Letteralmente la disciplina si do-
vrebbe occupare della cura dell'anima.
Nell’Ottocento nasce, quindi, il “manicomio di cura”, che sostituisce gli asili
indifferenziati precedenti, dove il principale presidio terapeutico era rappresenta-
to dall’istituzione stessa. Accanto all’osservazione scientifica del malato comin-
ciava a prendere piede un’organizzazione pedagogica rigorosa: inserimenti lavo-
rativi (coltivazioni agricole, fabbriche, laboratori), aule scolastiche, spazi per
giochi e sport, chiese, cappelle, biblioteche, il corpo dei pompieri, e così via fino
al cimitero; le cosiddette “città dei folli” erano destinate ad accogliere
un’umanità malata, dalla culla alla bara: non pochi vi nascevano da madri ricove-
rate e non pochi vi morivano.
Contestualmente, grazie ai contributi del nascente pensiero sociologico (Comte,
Weber, Durkheim) e psicologico (Wundt, Brentano, Freud) si affermano concetti
che cercano di recuperare ogni individuo come unità biologica e spirituale, fino
all’affermarsi del modello bio-psico-sociale.
Agli inizi del Novecento viene promulgata, in Italia, una legge finalizzata alla
regolamentazione degli istituti di ricovero per malati di mente; si tratta del Regio
Decreto n. 615 del 16 agosto 1909 (che recepiva il “Regolamento per
l’esecuzione della legge del 14/02/1904 n. 36 su manicomi e alienati”).
Con tale decreto si stabiliscono le caratteristiche strutturali dei manicomi, come
recita l’articolo 3 (“ogni manicomio […] non può ricoverare che il numero di a-
lienati consentito dalla capacità dei locali di cui dispone, e deve avere i locali
ripartiti in guisa da assicurare la separazione dei due sessi e delle diverse cate-
gorie di alienati”), l’articolo 4 (“Ogni manicomio […] deve avere locali distinti
per accogliere i ricoverati in osservazione con una o più camere per gli agitati e
i pericolosi, locali ove i malati possano occuparsi nel lavoro, preferibilmente in
forma di colonie agricole, locali di isolamento per i pericolosi ricoverati defini-
tivamente, […] locali di isolamento per malattie infettive, locali speciali per i ri-
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coverati in osservazione giudiziaria […]”) e l’articolo 6 (“Gli istituti pubblici o
privati, destinati a ricoverare soltanto mentecatti cronici tranquilli, epilettici inno-
cui, cretini, idioti ed, in generale, individui colpiti da infermità mentale inguaribi-
le, non pericolosi a sé e agli altri, devono corrispondere alle esigenze d’igiene e
d’assistenza proprie degli ospizi o ricoveri di individui affetti da malattie fisiche
aventi carattere cronico ed inguaribile […]. Questi reparti saranno ordinati se-
condo le prescrizioni del presente articolo e possibilmente saranno forniti di labo-
ratori e di terreni destinati alla coltivazione coll’opera dei ricoverati”).
Con il Regio Decreto n. 615 del 1909 si stabiliscono i requisiti degli Infermieri Psi-
chiatrici che dovevano “[…] essere dotati di sana e robusta costituzione fisica, ri-
conosciuta con apposita visita medica, aver serbato buona condotta morale e civile,
saper leggere e scrivere e aver compiuto 21 anni se maschi, e 18 se femmine”.
Si stabilivano anche modalità formative (“Il direttore del manicomio personal-
mente o per mezzo di medici da lui prescelti, deve costituire corsi speciali teori-
co-pratici per l’istruzione degli infermieri provvisori o effettivi […]”) e lavorati-
ve (“Spetta agli infermieri, sotto la dipendenza del direttore, dei medici e del ca-
po infermieri, di sorvegliare e assistere i malati affidati a ciascuno di essi; vigi-
lare attentamente affinché questi non nuociano a sé e agli altri, e provvedere a
ogni loro bisogno; curare, per quanto è possibile, di adibirli a quelle occupazio-
ni che dai medici fossero indicate adatte all’indole e alle attitudini di ciascuno;
eseguire tutte le indicazioni impartite dai superiori per la buona manutenzione
dei locali, degli arredi e riferire immediatamente ai superiori stessi tutto quanto
concerne il malato e il servizio […]”).
Quello dell’infermiere psichiatrico di allora era un ruolo di domestico, custode ed
esecutore di ordini. Dopo un corso di qualche mese ed il superamento di un esa-
me si veniva assunti. Il rapporto di lavoro diventava stabile solo dopo due anni di
lavoro in prova e gli elementi valutativi si limitavano alla verifica dell’attenzione
(nel controllo dei malati) e nello zelo dell’attività lavorativa. La preparazione ri-
guardava alcuni elementi di base di psichiatria e nozioni pratiche: come sedare
una crisi, mettere le fasce di contenzione, fare la “cravatta”, impedire il verifi-
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carsi di fratture nel corso dell’elettroshock-terapia. Infatti la legge n. 36 in merito
alle “disposizioni sui manicomi e sugli alienati”, all’art. 1 sanciva l’obbligo di cu-
stodire e curare: “ […] nei manicomi le persone affette per qualunque causa da a-
lienazione mentale, qualora siano pericolose a sé o agli altri o riescano di pubbli-
co scandalo”. Il ricovero dei pazienti veniva iscritto nel Casellario Giudiziario.
In questo sistema l’Infermiere Psichiatrico è la figura fondamentale all’interno
del manicomio: è colui che segue la vita, la disperazione, le manifestazioni di
pazzia, la morte del folle.
Con il Regio Decreto n. 615 del 1909 si stabilivano anche le modalità di ricovero
dei pazienti che rispondevano, fondamentalmente, più a necessità di ordine pub-
blico e custodia che non terapeutiche o riabilitative. Il ricovero era obbligatorio e
veniva di norma proposto da un familiare e formalizzato da un medico.
Completamente assente erano i limiti temporali alla degenza: dopo un periodo
massimo di osservazione di circa un mese scattava, su indicazione del Direttore,
il procedimento giudiziario che internava definitivamente il paziente il quale per-
deva la sua capacità di agire in senso giuridico.
Figura 3 - Interno di un manicomio dei primi del Novecento