Belgio, i Paesi Bassi ed il Lussemburgo); ma ha anche evidenziato la necessità di
adottare misure comuni in materia di polizia e sicurezza, visto lo sviluppo di una
criminalità internazionale. Infatti, la soppressione delle frontiere all’interno
dell’Unione Europea ha indirettamente consentito un incremento delle possibilità
operative della criminalità organizzata
4
, la quale può sfruttare le differenze
legislative ed ordinamentali esistenti negli Stati dell’Unione per rallentare l’azione
di contrasto, la scoperta di prove, la condanna dei colpevoli di gravi delitti.
Gli Accordi di Schengen, concentrando pertanto l’attenzione sul
problema della sicurezza, hanno voluto da un lato garantire la libera circolazione
delle persone all’interno dei Paesi firmatari, prevedendo il trasferimento dei
controlli alle frontiere esterne
5
e l’armonizzazione delle disposizioni sui controlli,
delle politiche sui visti, sugli ingressi e su alcuni aspetti del diritto degli stranieri;
dall’altro, hanno, però, fatta salva la possibilità per i Paesi stessi di adottare
deroghe o limiti a tale libertà, là dove necessario, con misure nazionali. Si parla, a
tal proposito, di “misure compensative”, in grado di salvaguardare l’ordine
pubblico e la sicurezza interna, attuabili mediante un rafforzamento dei controlli
alle frontiere esterne ed un miglioramento dell’efficacia dei controlli nello spazio
di libertà, sicurezza e giustizia.
L’estensione territoriale assunta da fenomeni criminali, quali il
terrorismo, la tratta degli esseri umani… ha portato a rilevare che la criminalità
4
Sui fenomeni criminali internazionali, ved. Atti del 1° Seminario Europeo “Falcone” sulla
criminalità organizzata, Roma, 26-27-28 aprile 2005.
5
“Lo spazio Schengen: libertà di circolazione e controlli alle frontiere esterne” di Bruno
Nascimbene, Comitato parlamentare di controllo dell’Accordo di Schengen: l’Italia e Schengen.
Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia tra problemi applicativi e prospettive. Sala del Refettorio,
3 aprile 1998.
7
organizzata ha assunto dimensioni che esorbitano lo spazio territoriale dei singoli
Stati; può, quindi, parlarsi di vero e proprio “fenomeno transnazionale”.
6
L’evoluzione di questo tipo di criminalità è stata certamente incentivata
innanzitutto dalle dimensioni spaziali della progettazione ed esecuzione di fatti
lesivi, che non interessano più soltanto il territorio di uno Stato, ma di una
pluralità di Stati. Lo spazio internazionale è, infatti, una componente essenziale
per delitti come il traffico illecito di stupefacenti o di opere d’arte, vista la natura
dei “beni trattati”, che devono essere trasferiti dai territori di produzione a quelli
di consumo. Naturalmente il progressivo depotenziamento delle frontiere interne,
realizzato nell’ambito degli Accordi di Schengen, ha contribuito allo sviluppo di
articolazioni delinquenziali che superano i confini di un singolo Paese, ma ancor
di più l’ampliamento di mercati economici: è evidente che alcune ipotesi
delittuose, come ad esempio il riciclaggio di denaro di provenienza illecita, non
possono che avvantaggiarsi delle misure che liberalizzano il mercato e i flussi di
capitale, senza poi tener conto che la progressiva espansione a livello mondiale
dell’economia (globalizzazione) ha avuto ricadute anche sugli stessi rapporti fra i
gruppi criminali dei vari Paesi.
Da non sottovalutare è anche l’utilizzo di operazioni bancarie,
finanziarie e telematiche finalizzate all’utilizzo di proventi illeciti del riciclaggio,
che hanno superato ogni tipo di barriera: basti pensare a come, sfruttando le
moderne tecnologie, le singole cellule terroristiche possano agevolmente
6
Ne deriva che “se da una parte le cellule terroristiche sfruttano i progressi tecnologici per
potenziare il loro sistema, dall’altro l’insieme di misure di contrasto deve sapersi adattare
rapidamente, recependo le trasformazioni in atto e ricomprendendo tra queste anche le modalità
operative” di Giuseppe Romeo, in “Rivista della Guardia di Finanza”, n° 6/2003, cit., pag. 2080;
sullo sviluppo della criminalità internazionale “Cooperazione giudiziaria e Pubblico Ministero
europeo” di Barbara Piattoli, Milano, Giuffrè, 2002, pp. 37 e ss.; “Impresa criminale e dimensione
transnazionale” di Umberto di Nuzzo, in “Rivista della Guardia di Finanza”, n° 3/2001, pag. 941 e
ss.
8
dialogare tra loro attraverso e-mails criptate, messaggi in codice celati da
immagini digitali o altri tipi di file; è pertanto necessario che gli investigatori si
specializzino sempre di più nell’uso delle moderne tecnologie, soprattutto
informatiche. Insomma, nel nobile tentativo di creare uno spazio di libertà,
sicurezza e giustizia, si è all’opposto incentivato lo sviluppo di reati sempre più
estesi.
Ancor prima dell’istituzione di una rete coordinata da un ufficio centrale
di polizia, gli Accordi di Schengen avevano già riconosciuto ai singoli agenti di
polizia dei vari Stati membri la possibilità di espletare quelle procedure essenziali
per la lotta contro la criminalità internazionale, che li mettevano nella condizione
di dover necessariamente collaborare con gli altri Stati della Comunità Europea
(tant’è vero che tutto il Titolo terzo è dedicato alla disciplina sulla Polizia e
Sicurezza). Nello specifico, nel caso in cui, durante un’indagine giudiziaria,
avessero tenuto sotto sorveglianza una persona che si presumeva avesse
partecipato ad un reato che poteva dar luogo ad estradizione, gli agenti avrebbero
potuto continuare questa “sorveglianza oltre frontiera”
7
nel territorio di un altro
Stato Schengen, previa autorizzazione dello stesso; oppure, nei casi più urgenti, si
sarebbe potuto sorvolare sulla preventiva autorizzazione, purché la persona avesse
commesso un reato specifico, quale l’omicidio, lo stupro, l’incendio doloso, la
falsificazione di monete, il furto, la ricettazione aggravata, l’estorsione, il
sequestro di persona e la presa di ostaggio, la tratta di persone, il traffico illecito
di stupefacenti e sostanze psicotrope, l’infrazione alle norme in materia di armi ed
7
Sulla disciplina prevista dalla Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen per la
sorveglianza e l’inseguimento transfrontalieri, “La sicurezza secondo Schengen” di Serenella
Bellucci, inserito nella rivista “Polizia Moderna”, ottobre-novembre 1993, pp. 72-75.
9
esplosivi, la distruzione mediante esplosivi, il trasporto illecito di rifiuti tossici e
nocivi.
Chiaramente, solo in questo modo si sarebbe potuto attuare quello spazio
unico europeo di libertà, sicurezza e giustizia che era nelle intenzioni degli Stati
firmatari degli Accordi, così evitando che le frontiere potessero costituire un
ostacolo alle indagini della polizia e, di conseguenza, un vantaggio per la
criminalità. Ma è anche vero che quest’ampia autonomia riconosciuta alle polizie
nazionali inevitabilmente si sarebbe potuta scontrare con i poteri di polizia degli
altri Stati membri, i quali venivano “invasi” dagli agenti “stranieri”, senza
neppure sapere quale indagine si stesse compiendo. L’unico modo per tutelare lo
Stato all’interno del quale si procedeva con la sorveglianza e l’inseguimento
transfrontalieri era l’equiparazione tra gli agenti dei rispettivi Stati membri
coinvolti, con riferimento alle infrazioni eventualmente da loro commesse: in tal
caso lo Stato di appartenenza degli “agenti–autori” delle operazioni
transfrontaliere sarebbe stato considerato responsabile dei danni commessi
nell’adempimento della missione ed obbligato al risarcimento dei danni a favore
delle vittime o ai loro aventi diritto.
Pur mancando un effettivo coordinamento dell’apparato delle varie
polizie nazionali, ciò che veniva comunque garantito era un archivio
computerizzato comune (il cosiddetto Sistema d’Informazione Schengen: SIS)
8
,
contenente informazioni relative a persone, veicoli ed oggetti ricercati nei
rispettivi Stati membri.
8
Sul tema, “Schengen: l’Europa senza frontiere e le nuove misure di cooperazione tra polizie” di
Serenella Bellucci, Roma, ed. Laurus Robuffo, 1999.
10
La struttura del SIS si articola in una parte centrale situata a Strasburgo
(C-SIS) e in una parte nazionale presente in ogni Stato membro (N-SIS): lo
scambio di dati avviene tramite il C-SIS che riceve le segnalazioni da un N-SIS e
le trasmette contemporaneamente agli altri nuclei nazionali, in modo tale che tutti
dispongano degli stessi dati.
9
Le informazioni inserite possono essere, inoltre,
integrate da altre possedute dall’ufficio SIRENE
10
(Supplementary Information
Requested at the National Entries, cioè informazioni supplementari richieste
all’entrata nazionale) il cui compito era ed è essenzialmente di aiutare l’agente di
polizia o di dogana che si imbatte nel ritrovamento di una persona o di un oggetto
segnalato, fornendogli informazioni supplementari, ottenute mettendosi in
contatto con i SIRENE degli altri Stati membri e con gli uffici nazionali
competenti.
La creazione di un sistema comune di informazioni ha certamente
rappresentato un passo in avanti nel settore della cooperazione tra le polizie degli
Stati membri, ma soprattutto ha superato il limite inerente alle banche dati
nazionali, contenenti principalmente informazioni di ricerca nazionali: pertanto,
un agente di polizia che esegue un controllo d’identità, può verificare se la
persona controllata è ricercata in un altro Stato, disponendo ora di un accesso on-
line ai dati di ricerca più aggiornati d’Europa.
9
Sono stati rilevati alcuni rischi connessi al SIS, in particolare per ciò che riguarda la quantità
limitata di dati personali che può essere immagazzinata, nonostante la previsione di innumerevoli
categorie di persone, e la discrezionalità con cui possono essere interpretate alcune espressioni,
come “fortemente sospetto”, “grave reato”…Rinaldo Bontempi, “Gli Accordi di Schengen”, in
“Da Schengen a Maastricht: apertura delle frontiere, cooperazione giudiziaria e di polizia” di
Bruno Nascimbene, Milano, Giuffrè, 1995, pp. 45-47.
10
“Il Servizio per la cooperazione internazionale di polizia” di Nunzio Ferla, in “Rivista della
Guardia di Finanza”, n° 4/2002, pp. 1449-1457, in particolare pag. 1455 sulla 5a Divisione Sirene.
11
Il sistema Schengen ha, quindi, adottato un metodo intergovernativo,
ovvero di cooperazione tra le polizie nazionali, che richiede come presupposto
necessario la previsione di un’armonizzazione di leggi e prassi amministrative. Il
problema è che nel settore della “polizia e sicurezza” i lavori vengono portati
avanti da una serie di comitati, gruppi ad hoc, commissioni ed organismi di vario
genere, generando così sovrapposizioni e confusione, agevolate dalla segretezza
dei lavori stessi, visto che si tratta di negoziati diplomatici, oppure di rapporti
diretti di cooperazione tra le amministrazioni dei ministeri interessati.
È stato così criticata da più parti
11
la totale assenza dei Parlamenti
nazionali che non prendono parte al processo decisionale, ma anche degli organi
decisionali della Comunità, che non esercitano alcun controllo sui gruppi della
cooperazione intergovernativa. Mentre la Commissione ha ottenuto dagli Stati
membri il riconoscimento della facoltà di partecipare alle attività intergovernative,
il Parlamento Europeo, invece, è intervenuto più volte per lamentare la mancanza
di trasparenza, la scarsità delle informazioni e il non coinvolgimento delle
istituzioni comunitarie nei negoziati instaurati tra Stati membri, soprattutto in un
settore delicato come quello della sicurezza.
Il fatto che il processo decisionale sia dominato dall’iniziativa e dalle
valutazioni degli esecutivi nazionali, comporta che alcune prassi siano eseguite
con forte discrezionalità; infatti, analizzando la disciplina del SIS, si può notare,
per esempio, che l’inserimento o meno di un dato nel sistema informatizzato
dipende esclusivamente dalla valutazione della parte contraente, che fornisce la
segnalazione, in merito all’importanza o meno del caso stesso. Inoltre, qualora
11
In particolare, “Le implicazioni per la polizia e la sicurezza dell’apertura delle frontiere interne”
di Massimo Pastore in “Da Schengen a Maastricht: apertura delle frontiere, cooperazione
giudiziaria e di polizia” di Bruno Nascimbene, Milano, Giuffrè, 1995, pp. 3-6.
12
una parte contraente reputi che una segnalazione non sia compatibile con il
proprio diritto o con interessi nazionali essenziali, essa può aggiungere a
posteriori un’indicazione volta a far sì che la condotta da eseguire non abbia luogo
nel proprio territorio.
12
Sono, in realtà, delle precisazioni che partono dal presupposto della
presenza di normative nazionali differenti fra loro; ecco perché, per il momento,
non si può parlare di integrazione amministrativa, ma di cooperazione rimessa alla
discrezionalità degli esecutivi nazionali. Tale discrezionalità potrebbe sfociare in
comportamenti discriminatori; infatti le autorità amministrative nazionali possono,
per esempio, vietare l’ammissione di determinati stranieri nel proprio territorio e
contestualmente inserire i relativi dati nel SIS, dopo aver preso tale decisione nel
rispetto della propria legislazione nazionale. Ma se in mancanza di integrazione ci
si trova di fronte a normative nazionali differenti, evidentemente ogni Stato può
determinare arbitrariamente il livello di sicurezza interna e lo straniero non
ammesso non può invocare alcuna norma comunitaria.
L’aspetto negativo del metodo intergovernativo è rappresentato proprio
dal fatto che i controlli, peraltro scarsi, siano affidati ai giudici nazionali;
adottando, invece, un metodo prevalentemente comunitario, la materia sarebbe
sottoposta ad un controllo più incisivo da parte di organi giudiziari ad hoc, quali la
Corte di Giustizia ed il Tribunale di primo grado delle Comunità Europee ed,
inoltre, il Parlamento parteciperebbe al processo di codecisione.
Non ritenendo il SIS sufficiente così come predisposto per tanti Stati
quanti ne conterà l’Unione dopo l’allargamento, il Consiglio d’Europa il 6
12
Articolo 94 Legge 30 settembre 1993, n° 388 “Ratifica ed esecuzione del protocollo di adesione
del Governo della Repubblica italiana all’Accordo di Schengen”.
13
dicembre 2001 ha adottato la decisione 200/886/GAI relativa allo sviluppo di un
SIS II, che dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2006.
13
Se si tiene in considerazione il fatto che il Sistema d’Informazione possa
essere utilizzato da parte di organizzazioni sovranazionali come l’ufficio europeo
di polizia
14
, ci si rende conto di come l’attuale configurazione sia inadeguata, sia
per le dimensioni che l’Unione Europea sta assumendo, sia con riferimento agli
ultimi sviluppi nei settori della tecnologia e dell’informazione. È pur tuttavia
requisito indispensabile affinché si operi uno scambio di informazioni e dati tra i
vari Stati membri e si pongano le basi per un’effettiva cooperazione.
Il SIS II, a differenza del sistema d’informazione di Europol, dovrà
privilegiare la prevenzione e l’individuazione delle minacce per l’ordine e la
sicurezza pubblica, anziché le indagini in materia di criminalità organizzata.
Oggi tutti gli Stati membri sono consapevoli che i fenomeni delittuosi
connessi alla criminalità transnazionale colpiscono ogni Paese e quindi
riconoscono l’importanza della cooperazione internazionale; pertanto, si stanno
concludendo sempre più spesso accordi di cooperazione di polizia, finalizzati ad
incentivare lo scambio di informazioni attraverso dei punti di contatto nazionali
individuati presso i competenti organi centrali (in particolare, l’ufficio europeo di
polizia), mediante il distacco di funzionari di collegamento presso l’altro Stato,
corsi di formazione comuni per le forze di polizia.
13
La comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio in merito alla
possibilità di realizzazione e sviluppo del SIS II è la COM(2001)720, non pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale, ma consultabile sul sito internet www.europa.eu.int.
14
In realtà, i Garanti della privacy hanno sollevato dei dubbi circa l’inserimento dei dati personali
nel SIS II, ritenendo di non dover consentire l’accesso ad organismi come Europol o Eurojust,
perché ciò contrasterebbe con le finalità del sistema, in “Cautela nell’uso di dati biometrici nel
mondo del lavoro” di Nicoletta Cottone, inserito in “Il Sole 24 ore” del 29 dicembre 2005.
14
Ora più che mai di fronte alla crescita di organizzazioni terroristiche
internazionali si sente l’esigenza di un forte coordinamento in materia di indagini;
ma già prima dei tragici eventi dell’11 settembre 2001 era stata avviata da
organismi internazionali una diffusa azione diretta al contrasto del terrorismo,
culminata nell’adozione, nel dicembre 1999, della Convenzione delle Nazioni
Unite per la repressione del finanziamento al terrorismo. Questa convenzione
impegnava gli Stati alla massima cooperazione internazionale nel campo della
prevenzione, mediante uno scambio di informazioni, al fine di facilitare
l’individuazione delle attività delle persone sospettate di partecipare a formazioni
terroristiche.
Il Consiglio dell’Unione Europea, con la decisione del dicembre 2002
(2003/48/GAI), ha poi completato il disegno di cooperazione per la lotta al
terrorismo con una serie di misure sul piano giudiziario e di polizia; in particolare,
si è suggerita la costituzione da parte degli Stati membri di un servizio di polizia
specializzato in materia di terrorismo, con possibilità di accedere a tutte le
informazioni disponibili sulle indagini penali in materia, con l’obiettivo di
comunicare i relativi dati ad Europol. Per il raggiungimento di tali obiettivi gli
Stati membri devono, quindi, utilizzare le competenze dei propri servizi di
intelligence
15
e di sicurezza, per poter ottenere alcune informazioni che poi
dovranno essere messe a disposizione delle autorità competenti degli altri Stati
membri. Queste operazioni saranno possibili solo se le frontiere non
rappresenteranno un ostacolo e solo in presenza di un organo centrale che abbia il
compito di coordinare l’agire delle varie polizie nazionali.
15
“Terrorismo e intelligence di prevenzione” di Vittorfranco S. Pisano, in “Per Aspera ad
Veritatem”, n° 12, settembre-dicembre 1998, il quale indica quali siano i possibili passaggi per
un’efficace pianificazione dell’azione di contrasto al terrorismo.
15