VIII
Il narcisismo è ritirato dal mondo esterno, ne consegue un isolamento che
può essere più o meno rigido e prolungato.
Le situazioni in cui questo isolamento non si limita alla prima fase
d’innamoramento, ma si prolunga nel tempo fino a compromettere le altre
aree della vita e perfino la felicità stessa del soggetto, si configurano come
patologiche.
Questo tipo di relazioni si incontrano nella clinica. E in non rari casi di
cronaca portano a macabri epiloghi.1
L’oggetto d’amore è considerato parte del sé, come se a suo tempo non fosse
intervenuta sufficiente funzione paterna a separare madre e bambino,
introdurre i limiti psichici necessari a separazione ed individuazione come
soggetto.
L’amore fusionale sembra così seguire una pulsione di morte, tendere
all’indifferenziato.
Ma è questo l’unico destino della fusionalità?
Con l’obiettivo di rispondere a questa domanda cercherò anzitutto, nella
prima parte dell’elaborato, di tracciare un percorso che chiarisca il ruolo della
fusionalità e delle dinamiche ad essa associate nella teoria psicoanalitica.
Approfondirò dunque la letteratura riguardante l’esperienza simbiotica
originaria di unione con la madre, i destini del narcisismo e dell’Ideale dell’Io
connessi a questa simbiosi originaria come anche ad una ritrovata esperienza
fusionale nella vita adulta, e le dinamiche di stabilimento e dissolvimento
secondario dei confini dell’Io, che nella fusionalità permettono di includere nel
proprio senso di sé l’altra persona.
A tal fine, dopo un breve capitolo introduttivo (capitolo 1) che cerca di
inquadrare la fusionalità nel pensiero freudiano riprendendo il concetto di
«sentimento oceanico» ed accennando al problema della presenza o meno
dell’oggetto nel narcisismo primario, considererò la letteratura freudiana e
1 I delitti passionali non sono aumentati negli ultimi anni, ma il fatto stesso che la loro
numerosità risulti invariata in una società dove la donna non è più considerata come
possesso dell’uomo, pone un punto interrogativo. In questi casi da una questione culturale si
è passati a una questione psichica in cui sembra che il partner presente o passato sia
IX
post-freudiana inerente lo stato simbiotico originario e la graduale formazione
del sé come separato dall’oggetto (capitolo 2).
A questo livello emergerà l’importanza attribuita dagli Autori alle cure
materne, anzitutto per assicurare una completa soddisfazione della fusionalità
in un momento in cui è reale bisogno alla sopravvivenza fisica e psichica del
bambino che non ha ancora sviluppato (Hilflosigkeit freudiana) i suoi apparati
per l’adattamento, ed in secondo luogo in quanto necessarie (soprattutto
l’handling, le cure corporee) a favorire nel bambino un progressivo
spostamento della carica libidica dal centro del corpo alla sua periferia.
Tale spostamento, si vedrà, risulterà requisito essenziale ad una primitiva
forma di integrazione del sé, e dunque alla formazione dei confini, prima
corporei, poi psichici (capitolo 4).
Inoltre emergerà come a partire dai lavori di Bick (1968) e Meltzer (1975), il
ruolo delle stimolazioni a livello della superficie epidermica si sia evidenziato
necessario alla costituzione di un primitivo senso d’ integrazione del sé e
dell’oggetto come contenuti nelle rispettive pelli, come oggetti dunque
tridimensionali. L’acquisizione psichica di questa “tridimensionalità” si
accompagna a quella di uno “spazio interno”, che sarà posta a necessaria
condizione ai movimenti identificatori e proiettivi della fase schizo-paranoide
kleiniana.
Proseguirò dunque riepilogando alcuni lavori che, sulla scia di questa
concezione, hanno proposto una fase precedente la schizo-paranoide kleiniana
e requisito di quest’ultima, in cui un primitivo senso di sé nasce dalle ritmiche
esperienze di contatto e dalle sensazioni, soprattutto riferite alla superficie
epidermica.
Emergerà così un importante cambiamento di paradigma nelle teorie
psicoanalitiche dello sviluppo: la visione “diacronica”, a “fasi” (vedi anche il
modello freudiano), ha ceduto il passo a una “sincronica”, in cui le “posizioni”,
pur originando da sequenziali stadi dello sviluppo infantile, non vengono
idealmente “superate” bensì rimangono attive come modalità sempre possibili
considerato parte del proprio sè, e che la sua vita indipendente ne risulti quindi inaccettabile
X
di rapporto con l’oggetto, di acquisizione dell’esperienza, e di comunicazione
con l’altro (come si approfondirà nel capitolo 4 e 6). Così anche la “posizione”
primigenia, contiguo-autistica o fusionale, passerà dall’essere considerata
relativa ad una fase infantile di cui è necessario il superamento, all’essere
modalità sempre possibile di acquisizione dell’esperienza, di comunicazione e
di rapporto con l’oggetto.
Proseguirò nel capitolo 3 considerando le dinamiche narcisistiche e
dell’Ideale coinvolte nell’amore fusionale. Il recupero della letteratura
freudiana e post-freudiana permetteranno di sottolineare come simbiosi
infantile e innamoramento adulto siano accomunati dalla (ri)unione di Io ed
ideale.
Anche altre condizioni però, tra cui l’analisi, danno luogo a simili proiezioni
dell’Ideale sull’oggetto (in questo caso il terapeuta) dalla vicinanza col quale è
possibile ottenere un più o meno illusorio recupero narcisistico.
Per quanto riguarda i confini dell’Io (capitolo 4) dalla cui flessibilità
(Federn) dipende la possibilità d’includere, nella fusionalità, un’altra persona
nel proprio senso di sé, mi appoggerò alla concezione di Fonda (Cfr. capitolo
4.2) che, seguendo l’idea della contemporaneità tra “posizioni”, parla di diversi
“livelli” dei confini dell’Io, corrispondenti ad aree del sé che funzionano su
modalità diverse, ciascuno dunque caratterizzato da un diverso grado di
solidità o permeabilità.
Verrà così introdotta l’idea che la fusionalità abbia un ruolo fondamentale
nella comunicazione: essa si fa per l’inconscio canale fisiologico attraverso cui
comunicare in corto circuito con l’esterno, saltando l’Io (Fonda P., 2000b), a
questo livello potrà cioè avvenire la fluttuazione di elementi sensoriali e
primitivi, che andranno a costituire lo sfondo, il colore di base degli affetti, su
cui poi si potranno basare le comunicazioni agli altri livelli, necessario affinché
la comunicazione si possa dire pienamente umana.
La seconda parte dell’elaborato andrà paragonando, sulla base dei concetti
definiti dalla prima, tre “luoghi chiusi” della fusionalità.
o meglio non pensabile.
XI
A partire da un recupero degli scritti di Marion Milner sul ruolo della
cornice e dell’illusione nella regressione creativa (capitolo 5), considererò la
stanza d’analisi, la sala cinematografica e la “stanza degli amanti”, come
“luoghi chiusi” protetti dalle rispettive cornici, in cui si rende possibile un
recupero dell'illusione di continuità Io-mondo, che riapre la possibilità di un
rapporto creativo con gli oggetti.
Riguardo alla stanza d’analisi (capitolo 6) cercherò di sottolineare
innanzitutto il ruolo di cornice degli elementi costanti, concreti, non
processuali del setting, che forniscono ancoraggio per la modalità contiguo-
autistica del paziente e così la sicurezza necessaria a stabilire l’affidabilità di
base.
Inoltre, proponendo una riconsiderazione di certo transfert estremamente
regressivo nel paziente, come di certo controtransfert sensoriale dell’analista,
cercherò di mettere in luce come questi possano incontrarsi in maniera
creativa per costituire un’area pre-simbolica, sensoriale, di esperienza
comune, e dunque un luogo di comunicazione, che in certe fasi dell’analisi può
essere il solo possibile, tra paziente ed analista. Da questo livello, che favorisce
nel paziente il recupero di configurazioni emotive arcaiche, l’analista avrà poi
la possibilità di recuperare contenuti per traghettarli verso la simbolizzazione,
restituendoli infine come interpretazione al paziente.
Fondamentale scopo dell’analisi, in questo senso, diviene il favorire
l’equilibrio e la comunicazione dialettica (ossia il passaggio dei contenuti) tra
le tre posizioni (F, SP e D).
Si considererà infine come, anche a livello della “teoria della tecnica”, si sia
assistito ad un cambio di paradigma simile a quello visto per le teorie dello
sviluppo: la fusionalità, da caratteristica di una fase iniziale dell’analisi
(Grunberger, Ferenczi, Federn), di cui favorire il superamento in un secondo
momento, è stata riletta come modalità sempre possibile di acquisizione
dell’esperienza, rapporto con l’oggetto e comunicazione nel paziente, ma anche
nell’analista, con importanti risvolti terapeutici (capitolo 6) ad esempio
nell’empatia.
XII
Le dinamiche regressive e creative in cui è coinvolto lo spettatore nella sala
cinematografica saranno luogo di un approfondimento altrettanto interessante
(capitolo 7).
Cercherò qui di mettere in luce come le cornici, in questo caso
rappresentate dal dispositivo (condizione fisico-psicologica dello spettatore
immobile al buio davanti all’immagine in movimento), e dallo schermo stesso
come superficie limitata e delimitante di uno spazio altro da quello dello
spettatore, creato ex novo dal film, siano condizione per la possibilità di un’
illusione creativa, che è quella tipica del cinema. Ad un livello si ritrova una
regressione al narcisismo primario in cui lo schermo si fa paragone dello
schermo del sogno (Lewin), nell’altro un abbandono a dinamiche proiettive e
identificatorie che danno allo spettatore la possibilità di una “realizzazione
allucinatoria” dei bisogni latenti, paragonabile a quella del sogno stesso.
Proporrò qui che la funzione dello schermo sia essenziale per mantenere
intatta la posizione protetta dello spettatore: lo schermo verrà paragonato in
questo senso ad uno scudo dalla realtà (soprattutto da quella pulsionale).
Verranno inoltre accennati gli interessanti studi (Lavallée, Tisseron,
Berton) che pongono un paragone tra pellicola cinematografica e “pellicola del
sogno” (Anzieu).
Infine su questo paragone s’ inserirà una considerazione personale su come
la pellicola possa farsi “seconda pelle” o “rammendo della superficie sensoriale
danneggiata”, allo stesso modo in cui si dirà per il contenimento contiguo-
autistico da parte del setting in analisi.
Il paragone dei due “luoghi della fusionalità” precedentemente considerati
con la “stanza degli amanti” (capitolo 8) intesa non solo come spazio fisico in
cui i due innamorati si chiudono per trovare intimità, ma come metonimia di
tutto il quadro intra-interpsichico che si viene a creare nell’innamoramento,
fornirà ulteriori spunti riflessivi specialmente sul ruolo dell’ambiente
sensoriale, che ricreando le condizioni delle primitive comunicazioni madre-
bambino (revocando il «divieto primario di toccare» e ponendo alla ribalta il
ruolo tattile anche della comunicazione vocale e visiva), e rafforzato in questo
XIII
dal ripristino dell’iniziale unione tra Io ed ideale, sarà proposto facilitare il
riemergere di altrettanto primitive configurazioni affettive, fornendo così la
possibilità di una vera ri-costruzione del sé.
Considererò infine in appendice, per completare la riflessione sulla “stanza
degli amanti”, tre opere cinematografiche: Ultimo tango a Parigi (1972), L’
Assedio (1999) e The Dreamers (2003), scelte tra le molte che presentano il
tema di un amore fusionale unitamente a quello di una situazione a valenza
uterina e potenzialmente claustrofobica. Ritengo che un confronto tra questi
tre film, dello stesso regista, si possa accompagnare alla riflessione sulle
diverse valenze della fusionalità.
1
PARTE PRIMA: FUSIONALITÀ, IL PUNTO DI VISTA DELLA
PSICOANALISI
Capitolo I
Simbiotico – fusionale, le origini
Il concetto di amore simbiotico-fusionale, nella letteratura psicoanalitica,
compare in riferimento alle prime fasi di vita dell‟uomo, e precisamente alla
particolare condizione di compenetrazione che si mantiene tra bambino e
madre nel primo periodo della vita extrauterina.
Già Freud aveva evidenziato come con la nascita non sembri determinarsi a
livello psichico una cesura così netta rispetto alla vita intrauterina, e questo
grazie allo specifico ruolo svolto dalle cure materne:
[…] la madre, la quale ha appagato fin dall’inizio [cors. dell’Autore] tutti
i bisogni del feto mediante le organizzazioni del suo corpo, prosegue la
sua funzione in parte con altri mezzi anche dopo la nascita. Tra la vita
intrauterina e la prima infanzia vi è molta più continuità di quel che non
ci lasci credere la impressionante cesura dell’atto della nascita.
L’oggetto materno psichico sostituisce per il bambino la situazione
fetale biologica.
(Freud S., 1925, trad. it. Inibizione, sintomo e angoscia, OSF , vol. 10,
p. 286)
Le opere freudiane citate si riferiscono alla traduzione italiana Opere, edite da Bollati
Boringhieri, Torino, in 12 volumi.
2
Alla luce degli studi successivi, questa sostituzione risulta assolutamente
necessaria al piccolo d‟uomo, venuto al mondo così prematuro, per poter
entrare a poco a poco nella realtà, nel rispetto dei tempi necessari alla
formazione graduale delle strutture psichiche e degli apparati per
l‟adattamento.
Tra i primi studi sistematici appaiono quelli di Therese Benedek (1949), che
descrive nei primi mesi di vita una fase simbiotica dell‟unità duale madre-
bambino, in cui il bambino si comporta e agisce come se egli e la madre
fossero un sistema onnipotente, un‟unità duale racchiusa entro un confine
comune e all‟interno della quale la consapevolezza dell‟oggetto che soddisfa i
bisogni si formerà nel bambino solo gradualmente.
Tale concezione è ripresa e approfondita da Margaret Mahler, che propone
il concetto di “fase di simbiosi normale” (1968), come dalla Jacobson (1954),
dal concetto di “diade” in Spitz (1958), quello di “unità primitiva madre-
bambino” in Winnicott (1960), dallo “stato elazionale” di Grunberger (1971).
Diversi Autori hanno dato nomi diversi, non sempre partendo dai medesimi
presupposti, e quindi riferendo il concetto di volta in volta alle relative teorie.
I punti in comune sembrano comunque rimanere: la dipendenza sia fisica
che psichica dalla madre per la sopravvivenza, il bisogno di vicinanza, una
sensazione di unità monadica chiusa autosoddisfacente, che non ha percezione
dei suoi limiti (per quanto riguarda il bambino naturalmente) e un
conseguente sentimento di onnipotenza e illimitatezza. Citando Margaret S.
Mahler:
L’elemento essenziale della simbiosi è la fusione allucinatoria e
delirante, somatopsichica e onnipotente, con la rappresentazione della
madre, e in particolare l’illusione di un confine comune a due individui
che sono effettivamente e fisicamente separati.
(Mahler M.S., 1968, trad. it. Le psicosi infantili, 1976, p. 23)
Freud nella seconda topica ha riferito questo sentimento di assenza dei
confini dell‟Io e di contatto con l‟ assoluto all‟unione, che ancora persiste in
3
questa fase, tra l‟Io e l‟Es (Freud S., 1921; 1915), nonché all‟assenza di
distinzione tra Io e mondo esterno (Freud S., 1914 , 1929).
Com‟è noto in occasione della riformulazione della teoria dell‟apparato
psichico, anche in conseguenza della nuova teoria del dualismo pulsionale1,
Freud sembra ritrattare la distinzione tra autoerotismo e narcisismo primario
per ricollocare entrambe ad uno stadio evolutivamente precedente a quello
della formazione dell‟Io2.
Più avanti, ne Il disagio della civiltà (Freud S., 1929), così risponderà alla
lettera di Rolland sul “sentimento oceanico”, con cui il poeta intende quella
sensazione di unione con l‟assoluto che sarebbe alla base della religiosità:
[…] Questo senso dell’Io, presente nell’adulto, non può essere stato
tale fin dall’inizio. […] Il lattante non distingue ancora il proprio Io dal
mondo esterno in quanto fonte delle sensazioni che lo subissano.
Apprende a farlo gradualmente […]
In origine l’Io include tutto, e in seguito separa da sé un mondo
esterno. Il nostro presente senso dell’Io è perciò soltanto un avvizzito
residuo di un sentimento assai più inclusivo, anzi di un sentimento
onnicomprensivo che corrispondeva a una comunione quanto mai
intima dell’Io con l’ambiente. Se possiamo ammettere che – in misura
più o meno notevole – tale senso primario dell’Io si sia conservato
nella vita psichica di molte persone, […] i contenuti rappresentativi ad
esso conformi sarebbero precisamente quelli dell’illimitatezza e della
1 Prima dell’introduzione del concetto di narcisismo (1914) il dualismo pulsionale si articolava
in pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io o di autoconservazione. Le pulsioni sessuali all’inizio
dello sviluppo libidico si appoggiavano nella fonte, nella direzione e nell’oggetto a quelle di
autoconservazione, per poi distaccarsene e diventare autonome (Cfr. Freud S., 1905) nello
stadio dell’autoerotismo. Il rapporto con l’oggetto esterno sarebbe stato ripreso solo con la
scelta oggettuale puberale. Lo stadio narcisistico però, introducendo un primo rapporto con
un oggetto totale, sia pure coincidente con la propria persona, si localizzava come un ponte
verso la scelta oggettuale.
Nel 1920 con Al di là del principio del piacere fu introdotto un secondo dualismo pulsionale,
per cui ora pulsioni sessuali e narcisistiche confluivano nelle pulsioni di vita, opposte a quelle
di morte.
Pochi anni dopo con la seconda topica, che introduceva le istanze di Io Es e Super-io,
autoerotismo e narcisismo risultavano definitivamente sovrapposti, in quanto entrambi
antecedenti alla costituzione dell’Io e precedenti dunque all’instaurazione dei primi rapporti
oggettuali (Cfr. Freud S., 1915-17; 1929).
2 La questione della presenza o meno di rapporti oggettuali in questa fase rimane a tutt’oggi
fonte di controversie, e si pone come uno dei problemi del pensiero contemporaneo nel dare
una definizione univoca del narcisismo. Si troveranno approfondimenti nel capitolo seguente.
4
comunione con il tutto, ossia quelli con cui il mio amico spiega il
sentimento “oceanico”.
(Freud S., 1929, trad. it. Il disagio della civiltà, OSF, vol. 10, p. 559 e
561)
Si è stabilito qui un importante paragone: quello tra le prime fasi della vita
psichica e un possibile ritorno, nell‟età adulta, a quello stato psichico d‟
indifferenziazione tra Io e Es che starebbe alla base dei sentimenti di assoluto.
Tutto ciò ha a che fare con ciò che Freud ha chiamato narcisismo e con
l‟istanza ad esso collegata: l‟Ideale dell‟Io.
1.1 Il narcisismo e il problema dell’oggetto nella letteratura
freudiana
Il concetto di narcisismo è nel pensiero psicoanalitico contemporaneo, uno
dei concetti fondamentali ed insieme più critici. Come molti ricordano Freud
fu profetico quando, nel primo saggio dedicato a questo complesso argomento,
scriveva «Ho l‟impressione che ad uno studio diretto del narcisismo si
oppongano speciali difficoltà» ( Freud S., 1914, p. 452 ).
In effetti le speciali difficoltà che a tutt‟oggi sono al centro di dibattito e che
impediscono una definizione univoca del concetto tra le diverse scuole,
sembrano avere origine già allora, innanzitutto nei rimaneggiamenti che lo
stesso Freud operò sul concetto tra la prima e la seconda topica.
Anzi, molti fanno notare come l‟ Introduzione al narcisismo e le complesse
tematiche da questo saggio introdotte, siano state proprio il motore degli
sconvolgimenti che la teoria subì negli anni successivi.
Ad esempio il concetto di libido dell‟Io, con cui si intendevano le pulsioni
sessuali che nella fase narcisistica si rivolgevano all‟Io come oggetto, mise in
crisi la precedente separazione effettuata tra pulsioni di autoconservazione e
pulsioni sessuali, tanto da far dichiarare a posteriori allo stesso Freud di aver
in quel periodo effettuato un «apparente avvicinamento alla concezione
junghiana» (Freud S., 1922a, p.460) del monismo pulsionale.
5
Com‟è noto poco dopo (Cfr. Freud S., 1920) fu introdotto il nuovo dualismo,
in cui pulsioni di autoconservazione e sessuali venivano a confluire nelle
pulsioni libidiche, andando ad opporsi alle pulsioni di morte.
Dunque il concetto di Narcisismo si pone a cavallo tra le due topiche e tra le
due concezioni del dualismo pulsionale, e la sua definizione sembra variare
più volte all‟interno della letteratura freudiana.
Inizialmente scoperto in collaborazione con Abraham (Cfr. Freud S., 1910),
a seguito dei problemi d‟instaurazione del transfert negli psicotici e ai loro
deliri di grandezza, fu da Freud ipotizzato in un primo momento essere una
fase dello sviluppo psicosessuale normale.
Il bambino passerebbe da uno stadio autoerotico, in cui le pulsioni si
soddisferebbero anarchicamente a livello delle diverse zone erogene sul corpo,
a una fase di “narcisismo” in cui le pulsioni raggiungerebbero una prima
unificazione attorno a un oggetto totale identificabile nella propria stessa
persona.
Ciò implica una duplice importanza per questa tappa dello sviluppo: primo
unificatore delle pulsioni verso un oggetto totale, il narcisismo si
configurerebbe come ponte tra la precedente disorganizzazione pulsionale e la
scelta oggettuale alloerotica3.
In secondo luogo, come suggeriscono Laplanche e Pontalis, il fatto che l‟Io
sia assunto qui ad oggetto d‟amore, induce a far coincidere questa fase con i
momenti fondanti dell‟istanza egoica (Laplanche J. e Pontalis J.-B., 1967).
Le cose però con l‟introduzione della seconda topica sembrano complicarsi
non poco.
Freud sembra innanzitutto ripensare la differenza tra autoerotismo e
narcisismo: «Abbiamo preso l‟abitudine di chiamare narcisismo l‟antica fase
evolutiva dell‟Io durante la quale le pulsioni sessuali di quest‟ultimo si
3 «Ricerche recenti hanno attratto la nostra attenzione su uno stadio che la libido percorre
nella sua storia evolutiva che procede dall’autoerotismo per giungere all’amore oggettuale. Si è
indicato detto stadio col nome di “narcisismo”. […] Esso consiste nel fatto che l’individuo nel
corso del suo sviluppo, mentre unifica le pulsioni sessuali già agenti autoeroticamente al fine
di procurarsi un oggetto d’amore, assume anzitutto se stesso, vale a dire il proprio corpo come
oggetto d’amore, prima di passare alla scelta oggettuale di una persona estranea» (Freud S.,
1910, p.386).
6
soddisfano autoeroticamente» (Freud S., 1915, p.27); «Così dunque
l‟autoerotismo andava inteso come l‟attività sessuale che caratterizza lo stadio
narcisistico della collocazione libidica.» (Freud S., 1915-17, p.567).
In concomitanza negli scritti dello stesso periodo avviene il ricollocamento
di entrambi a uno stadio antecedente alla formazione dell‟Io, il cui archetipo
sarebbe la vita intrauterina: «Siamo costretti a supporre che non esista
nell‟individuo sin dall‟inizio un‟unità paragonabile all‟ Io; l‟Io deve ancora
evolversi. Le pulsioni autoerotiche sono invece assolutamente primordiali;
qualcosa – una nuova azione psichica – deve dunque aggiungersi
all‟autoerotismo perché si produca il narcisismo.» (Freud S., 1914, pp. 446-
447) «Originariamente, ai primordi della vita psichica, l‟Io è investito dalle
proprie pulsioni e parzialmente capace di soddisfarle su sé medesimo.
Chiamiamo questo stadio «narcisismo», e questo modo di ottenere il
soddisfacimento «autoerotico». In questa fase il mondo esterno non è
investito di interesse (genericamente inteso) e appare indifferente ai fini del
soddisfacimento.» (Freud S., 1915, p. 30).
Riguardo al problema dell‟oggetto si considera come, ritrattando il nuovo
dualismo la differenza tra pulsioni di autoconservazione e pulsioni sessuali, la
teoria dell‟appoggio che su questa differenza trovava fondamento sembri
perdere in solidità. Se prima l‟oggetto era presente da principio per le sole
pulsioni di autoconservazione, ed erano queste a indicare la via dell‟oggetto
alle pulsioni sessuali che vi si appoggiavano, ora è introdotta l‟idea che in un
primo stadio, comprensivo di fase autoerotica e narcisismo, l‟ oggetto sia
assente e che solo in seguito, contestualmente alla formazione dell‟Io tramite
identificazioni, sia possibile parlare di oggetto, all‟interno di una nuova fase
narcisistica “secondaria” in cui la libido, ora sottratta agli oggetti, darebbe
luogo al “narcisismo dell‟Io” (Cfr. Freud S., 1922b).
Molteplici furono le critiche della psicoanalisi post-freudiana poste a questa
presunta anoggettualità della prima vita extrauterina (Cfr. capitolo 2.2). Ma a
7
ben vedere sono molteplici anche le interpretazioni che allo stesso pensiero di
Freud in proposito vengono date dalla letteratura a lui successiva4.
Mi concentrerò nei capitoli seguenti sulle questioni che maggiormente
interessano il tema dell‟elaborato, ovvero:
- la formazione dell‟Io nel bambino all‟interno del rapporto con la madre e
successivamente con gli oggetti,
- la formazione dell‟ “Ideale dell‟Io” come residuo “sano” del narcisismo,
- le dinamiche di dissoluzione secondaria dei confini dell‟ Io, che si
ritengono essere alla base dei sentimenti di fusionalità.
4 Per un panorama delle numerose questioni ancora in sospeso si rimanda alla letteratura
specifica sull’argomento, tra cui: Sandler J., Spector Person E. e Fonagy J., 1991, trad. it.
1992; Ciani N., 1983.
8
Capitolo II
La nascita dell‟Io all‟interno del rapporto con la madre e
successivamente con gli oggetti
2.1 La nascita dell’Io nella letteratura freudiana
Da un punto di vista storico, come fanno notare Laplanche e Pontalis
(1967), nella teoria psicoanalitica «il concetto topico dell‟Io è il punto
terminale di una nozione costantemente presente in Freud fin dalle origini del
suo pensiero». In qualche forma l‟Io è presente nell‟opera freudiana fin dal
principio, ma è con la “svolta del 1920” che esso assume la connotazione di
vera a propria istanza, definendosi nell‟accezione specificamente psicoanalitica
con cui è pervenuto al pensiero contemporaneo1.
Nel saggio del 1922 L‟Io e l‟Es Freud pone accanto alla precedente
concezione di Io come superficie dello psichismo differenziata adattivamente a
seguito del contatto con la realtà, una formulazione complementare, che
inquadra la genesi dell‟Io, ora come istanza psichica, all‟interno delle
dinamiche libidiche di nuova teorizzazione, precisamente inerenti ai concetti
di narcisismo e di identificazione.
2.1.1 Implicazioni del concetto di narcisismo nella teorizzazione della genesi
dell‟Io
L‟idea della necessità di una nuova formulazione della genesi dell‟Io sembra
nascere dal dubbio introdotto da Freud già in Introduzione al narcisismo: e
1 L’evoluzione del concetto di Io tra la prima topica e la seconda è in vero apprezzabile solo nel
contesto di una visione d’insieme che tenga conto delle profonde modificazioni dell’apparato
concettuale tra le due teorie, a proposito si rimanda a Laplanche e Pontalis (1967), alla voce
“Io”.