5Cap. I
Cos’è l’autismo
Il medico-psichiatra svizzero Bleuler
2
(1857-1939) che, nel lontano 1911
3
, per
primo, utilizzò il termine “autismo”
4
non poteva di certo immaginare che il significato con
il quale l’aveva proposto avrebbe contribuito a provocare incomprensioni, dispute nel
mondo scientifico, e frenato la ricerca di terapie efficaci nella riabilitazione
neuropsicologica. Il termine veniva utilizzato da lui in forma di ‘aggettivo’.
Secondo Bleuler l’autismo, con riferimento al concetto di “schizofrenia
precocissima”
5
, poi nominata “schizofrenia infantile” (Bender, 1947), rappresentava un
“sintomo” del “ritiro in sé stessi” presente nei soggetti giovani affetti da ‘presunta’
psicosi. Scrivono Barale e Ucelli, (2006): “...uno dei fenomeni fondamentali (ma
secondari) della schizofrenia…La nozione di Bleuler rimandava dunque direttamente
all’idea di una fisiologica fase autoerotica dello sviluppo e al tentativo di comprensione
delle psicosi (infantili)…Siamo dunque esattamente alle fonti originarie delle concezioni
psicodinamiche delle psicosi, vale a dire del tentativo di intenderle, sul modello già
elaborato per le nevrosi, come condizioni in cui si ripresenterebbero (per regressione e/o
mancata evoluzione) aspetti e configurazioni di fasi primitive dello sviluppo.”
Gli studi di Bleuler rappresentarono una tappa nel percorso che lo studio della
malattia mentale infantile
6
aveva iniziato con la psichiatria dell’infanzia e
dell’adolescenza, diventata disciplina autonoma a cavallo dell’Ottocento. I precursori
furono, tra gli altri, Haslam
7
(1764-1844) in Inghilterra, Itard
8
(1775-1838) ed O. Seguin
9
2
Nel 1885 inizia a lavorare per il Burghölzli, il celebre ospedale psichiatrico di Zurigo. Ne divenne
Direttore nel 1898 carica che conservò per quasi trent'anni. In quella sede ebbe tra i suoi allievi: Carl
Gustav Jung, Karl Abraham, Ludwig Binswanger, Hermann Rorschah.
3
Bleuler E., nel 1911 pubblica l'importante lavoro clinico “Dementia Praecox oder Gruppe der
Schizophrenien.”
4
Sulla base della parola greca “autos” che significa “sé”. Derivava direttamente dall’“autoerotismo”
freudiano depurato di eros.
5
Termine già utilizzato nel 1905 dallo psichiatra infantile Sante De Sanctis (1862-1935) in Italia, si
ricollega a quello di “dementia praecox” proposto da Emil Kraepelin (1856-1926). Questo termine nella
sua accezione venne poi ripreso dal pedagogista austriaco Heller (“demenza infantile di Heller”) e dal
tedesco Weygandt (1870-1939) che inventò l’espressione “dementia infantilis.”
6
Considerato come esordio della malattia.
7
Scrisse: “Considerazioni sulla cura morale degli alienati”, 1817.
8
Incaricato dell’educazione di Victor dell’Aveyron, il “piccolo selvaggio”. Scrisse: “Memoire sur les
premiers développements de Victor de l’Aveyron'' (1801).
9
Scrisse: ‘Traitement moral, hygiéne et éducation des idiotes et des autres enfants arrierés’, Paris, 1846.
6(1812-1880) in Francia, Maudsley
10
(1835-1918) sempre in Inghilterra. Tutti questi autori
insieme a Heller (1869-1938), educatore di Vienna, cominciarono a sottolineare la
presenza, in alcuni bambini, di comportamenti particolari come l’alienazione, una
profonda regressione funzionale e una deviazione dello sviluppo dopo alcuni anni di
sviluppo normotipico, che potevano far pensare alla, poi classificata, sin-drome
11
autistica,
“Il termine autismo viene quindi utilizzato originariamente per definire una
caratteristica di una patologia, e non una patologia a sé stante. La confusione fra autismo
e psicosi e fra sindrome e sintomo (quindi fra un segno o un insieme di segni) andrà
avanti per tutto il secolo.” (Caretto, 2007).
La considerazione dell'autismo considerato come sintomo di un blocco (nucleo
profondo) nello sviluppo psicomentale, prodotto da un naturale meccanismo di difesa ad
un 'trauma' infantile ancora presente nel profondo, e per questo inferibile ed elaborabile
attraverso la psicoanalisi, è ancora presente ai giorni nostri:
“…Tutto ciò ha una ricaduta significativa sull’approccio terapeutico nei confronti
di questi infelici piccoli pazienti che vengono quasi sempre sottoposti a rieducazioni
funzionali o comportamentali, che non possono incidere sul ‘nucleo profondo’
patologico.” (Mazzoncini, 2007).
L'idea dell'autismo come sintomo di un trauma psichico, è alla base della
spiegazione eziopatogenetica dell'autismo, ed è il prodotto di alcune teorie ad
impostazione psicodinamica derivate dalle analisi di importanti psichiatri e/o psicoanalisti
successivi a Bleuler, tra cui i più significativi sono: Klein (1930), Mahler (1968),
Bettelheim (1967), Tustin (1994), ed inoltre il famoso etologo Tinbergen (1984) (premio
Nobel nel 1973).
Niko ed Elisabeth Tinbergen, partendo dai concetti propri dell’osservazione
etologica, ipotizzano che il bambino autistico viva in una situazione di quasi continuo
conflitto motivazionale in cui sono contemporaneamente presenti sia la tendenza a ritirarsi
ed evitare le situazioni sociali, sia il desiderio di avvicinarsi per stabilire un contatto.
L’autismo sarebbe il risultato di una serie di fattori sia costituzionali sia ambientali, tra cui
anche condizioni esterne che possono aver influito negativamente sui genitori (Arduino,
2007).
Nel 1972, Tinbergen e Tinbergen affermarono che la causa dell’autismo era da
ricercarsi in un’anomalia nel normale processo di creazione del legame (bonding) tra
madre e bambino. Nonostante il numero crescente di testimonianze scientifiche che
10
Scrisse: “The pathology of mind”, 1895.
11
Qualcosa che va insieme, che si organizza attorno a certi aspetti nucleari.
7provavano il contrario, essi dichiararono che la loro ipotesi etologica forniva le basi per la
cura dell’autismo. I due autori idearono, inoltre, una pratica di cura (holding), che
prevedeva un forte abbraccio contenitivo e prolungato da parte della madre, anche di
fronte al rifiuto del bambino di ricambiare l'abbraccio. Le conseguenze negative della
holding comportavano un carico di rabbia e l'allontanamento del bambino, il cui rapporto
era nel breve difficilmente recuperabile. Questa pratica fu, fortunatamente, abbandonata in
tempi rapidi anche per le critiche circostanziate di Frith (1984) e Wing (1986).
La visione dei Tinbergen risulta molto chiara nel seguente passo: “…E’ chiaro da
ciò che abbiamo scritto nel capitolo precedente che noi pensiamo l’autismo in primo
luogo come un disturbo funzionale e non organico (anche se possono esservi implicati
aspetti organici come conseguenza di una disfunzione psichica, e viceversa) e che lo
consideriamo una disfunzione non periferica, ma centrale, cioè emotiva e motivazionale.
…Fra questi agenti esterni riteniamo responsabili dell’autismo soprattutto i fattori
‘psicogeni’ ” (Tinbergen, 1989).
Secondo Mineo, et al., (1998) la Klein ha collocato i bambini autistici nella
sindrome schizofrenica, senza indentificarli propriamente con essa (cfr., il caso Dick,
Klein, 1930). Infatti, secondo la Klein, l’autismo è un sintomo del blocco nel processo di
“identificazione proiettiva” con l’oggetto ‘madre’, blocco che produce una grave
disintegrazione psichica.
Secondo la Mahler, l’autismo infantile propriamente detto, consiste in una
regressione, naturalmente patologica, alla fase fisiologica di autismo ‘normale’, visto
come precursore del processo di separazione-individuazione. L'opinione che esista una
'fase' fisiologica autistica normale, è stata poi rivista negli anni '80, quando è stata
riconosciuta sempre più l’importanza che ha ‘la dotazione individuale del bambino’.
La Tustin passò dalle posizioni della Klein a quelle della Mahler, per poi definire
l’autismo come uno sviluppo in senso patologico prodotto da una somma di fattori tra cui
una predisposizione innata su base genetica che condiziona i rapporti primari con le figure
genitoriali, e il particolare rapporto che si instaura con una “madre depressa”, cioè
incapace di aiutare il bambino nel suo sviluppo:
“Il capezzolo e la bocca hanno avuto una storia piena di rischi: non si sono mai
realmente incontrati e ciò può essere dovuto in parte al fatto che la madre era depressa
nel suo modo di dare il seno o il poppatoio. Era un modo molle e rilasciato; teneva il
bambino in modo stanco e il bambino si è sentito come abbandonato. Ecco perché il
capezzolo gli scivolava spesso fuori dalla bocca.” (Tustin, 1998).
8Questo approccio, che vede l’autismo come il prodotto del fallimento delle
primitive fasi della costruzione della ‘relazione d’oggetto’ (madre o care giver), produsse
il concetto di madre schizofrenogena
12
o, più popolarmente, di madre frigorifero.
Per correttezza, è necessario ricordare che una voce molto autorevole si levò
all'interno di questo coro per contestare la semplicistica e meccanica relazione tra
privazione affettiva ed autismo. A. Freud e S. Dann (1951) pubblicarono un’indagine sui
bambini usciti vivi dai campi di concentramento nazisti alla fine della guerra, e
dimostrarono che neppure quelle condizioni estreme di privazione di affetto potevano
indurre la patologia autistica.
All’interno di questo dibattito, l'‘autore’
13
più conosciuto e controverso è senza
dubbio Bettelheim che fin dagli anni ’40 parlò di autismo come psicosi infantile,
utilizzando concetti psicoanalitici e focalizzando l’origine del disturbo nelle prime
relazioni madre-bambino (Caretto, 2007). Bettelheim pubblica nel 1967 “La fortezza
vuota”, che è una sintesi del suo lavoro presso l’Università di Chicago
14
. Il suo modello
viene evidenziato dalla seguente citazione:
“Nell’affrontare l’origine delle situazioni-limite nella prima infanzia, si può subito
dire che la patologia della madre è sovente assai grave e che in molti casi il suo
comportamento verso il figlio offre un esempio particolarmente significativo di rapporti
interpersonali anomali…Dal canto suo la madre, o perché frustrata nei sentimenti
materni o a cagione della propria ansia, può reagire, invece che con dolce insistenza, con
la collera o con l’indifferenza proprio in ragione del fatto che si sente ferita…Questo, a
sua volta, si presta a creare nuova angoscia nel bambino… Ogni rifiuto in questo senso
tende ad indebolire l’impulso del neonato ad osservare l’ambiente che lo circonda e ad
agire su di esso, e in assenza di tale impulso la personalità non può svilupparsi.”
(Bettelheim, 1990).
Le incomprensioni fra genitori e professionisti create in seguito alla diffusione del
testo di Bettelheim apparvero devastanti, e, secondo alcuni autori, le teorie che vedono
l'autismo come dovuto a carenze affettive materne sono ancora diffuse nell'opinione
pubblica e tra i professionisti, e continuano a produrre nei bambini e nei loro familiari
12
Concetto introdotto nel 1948 da Frieda Fromm-Reichman
13
Per alcuni un genio della psicanalisi e un pioniere della psicologia infantile, per altri solo un grande
mistificatore e millantatore. Studiò a Vienna, dove si laureò in filosofia con una tesi in Storia dell'arte.
Oggetto di due biografie che ne stroncarono il lavoro: “La Creazione del Dr. B.” di Pollack, R. (1997);
“Bettelheim, A Life and Legacy”, Sutton, N. (1996).
14
Dal 1944 al 1973 fu incaricato dall’Università di Chicago di assumere la direzione della Scuola
Ortogenica Sonia Shankman, struttura a lei collegata. Struttura residenziale per bambini con problemi
affettivi.
9sofferenze artificialmente costruite e perfettamente evitabili (Bressan, in Hanau e Mariani
Cerati, 2003, p. 207). Pur considerando queste tesi all’interno di un contesto culturale
particolare, come quello degli Stati Uniti, dominato dalla scuola psicoanalitica classica, il
torto maggiore che viene imputato a Bettelheim è quello di essersi ostinato a portare
avanti le sue tesi anche quando, ormai, il mondo scientifico aveva compreso che
l'eziopatogenesi dell'autismo doveva essere molto più complessa.
Infatti la tesi psicogena aveva cominciato a vacillare già nel 1943 con gli studi di
Leo Kanner
15
, che scrisse: “…La combinazione di estremo autismo, ossessività, stereotipia
ed ecolalia avvicina il quadro globale di questa forma ad alcuni dei fenomeni di base
della schizofrenia…Ma nonostante le notevoli somiglianze, questa condizione differisce
sotto molti aspetti da tutti gli altri tipi di schizofrenia infantile. L’isolamento dei bambini
datante all’inizio della vita rende difficile attribuire esclusivamente l’intero quadro al
tipo di relazioni precoci con i genitori da parte dei nostri pazienti. Dobbiamo dunque
supporre che questi bambini siano venuti al mondo con una innata incapacità a dar luogo
al normale contatto affettivo, biologicamente fornito, con le persone, così come altri
bambini vengono al mondo con degli innati handicap fisici o intellettuali…Perché qui
sembriamo davanti a dei casi puri di disturbo autistico congenito del contatto affettivo.”
Per dovere di cronaca è bene ricordare che proprio alcune riflessioni di Kanner
riguardo ai genitori dei bambini da lui osservati, diedero forza alle teorie di impronta
psicoanalitica. In un articolo sul Time (25 Luglio 1960), Kanner affermò: “…Nell’intero
gruppo c’erano pochissimi padri e madri veramente affettuosi. I bambini affetti da
autismo infantile precoce nascevano da genitori estremamente efficienti, professionali,
freddi e razionali, che riuscivano a scongelarsi per il tempo strettamente necessario a
produrre un figlio.” Inoltre, Kanner arrivò a criticare la cecità dei colleghi (Van Krevelen
1952; Brenda e Melchior, 1959) che ricercavano le cause fisiologiche dell’autismo,
anzichè concentrare l’attenzione sul comportamento dei genitori.
Ma il 17 luglio del 1969, di fronte all’assemblea dell’Associazione americana dei
genitori dei bambini autistici, fugando ogni dubbio, Kanner disse: “So ancora poco
dell’autismo. Ne so poco perché c’è ancora molto da scoprire. Dobbiamo essere prudenti,
dobbiamo cercare di acquisire nuove conoscenze con una curiosità ponderata, dobbiamo
seguire varie piste per migliorare tali conoscenze, dobbiamo verificare diverse teorie
riguardanti le possibili cause, e a questo punto dichiaro che vi assolvo in quanto
genitori.” Nel 1943, Kanner pubblicò il suo articolo “Autistic disturbances of affective
15
Pediatra di origine austriaca immigrato negli Stati Uniti nel 1923.
10
contact”
16
, sulla rivista 'The Nervous Child'. L'articolo riportava i risultati di 5 anni di
studio e osservazione, durante i quali l'autore aveva esaminato il comportamento di 11
bambini (8 maschi e 3 femmine), presso il Johns Hopkins Hospital di Baltimora nel
Maryland. In questo articolo si definì per la prima volta l’autismo come una ‘sindrome’
(autismo infantile precoce) a sé stante con carattere evolutivo e congenito, consistente in
una costellazione specifica di sintomi, deficit selettivi e abilità preservate. La sindrome
viene descritta come composta da nove caratteristiche fondamentali: 1) peculiarità nelle
relazioni sociali, 2) disturbi del linguaggio, 3) buone capacità di memoria e
apprendimento, 4) disturbi dell’alimentazione, 5) reazioni emotive eccessive, 6) aderenza
alle routine, 7) buone relazioni con gli oggetti fisici, 8) impaccio motorio, 9) provenienza
da genitori intellettualmente dotati. Usando le parole stesse di Kanner: “A partire dal
1938, la nostra attenzione è stata attirata da un certo numero di bambini i cui
comportamenti si distinguono nettamente da tutto quanto ci è noto, al punto che ogni caso
merita – e otterrà, io spero – un dettagliato esame di tutte le sue affascinanti
particolarità.”
17
Quasi contemporaneamente, nel 1944, lo psichiatra Asperger pubblicò in Germania
la sua tesi
18
di dottorato per l’abilitazione alla docenza, nella quale propose l’esistenza di
una ‘psicopatia autistica’, ovvero “il disturbo della psicopatia/personalità autistica della
fanciullezza”
19
. Ciò che attualmente è noto come 'Disturbo di Asperger
20
' (DSM-IV-TR),
era in realtà già stato descritto nel 1920 da un neurologo russo, che lo definiva “il disturbo
da personalità schizoide” (Sucharewa, 1926).
Attualmente si discute se l’autismo di Kanner e il disturbo di Asperger
rappresentino affezioni sovrapponibili o distinte (Schopler et al., 1998; Gillberg, 1998).
La tesi più diffusa è che essi facciano parte dello stesso spettro, in cui l’autismo di Kanner
è posto all’estremo inferiore (soggetti a basso funzionamento
21
), ed il disturbo di Asperger
a quello superiore (soggetti ad alto funzionamento), (Frith, 1991).
16
“Disturbi autistici del contatto affettivo”.
17
Frase presente nell’articolo citato.
18
H. Asperger, Die autistichen Psychopathen in Kindersalter, Archive fur Psichiatrie und Nervenkrankheit.
19
Denominazione originariamente proposta da H. Asperger. “In quanto segue, descriverò un tipo di
bambino particolarmente interessante e facilmente riconoscibile. I bambini che presenterò hanno in
comune un disturbo fondamentale che si manifesta nella loro apparenza fisica, nelle funzioni espressive e,
in effetti, nella totalità del loro comportamento. Questo disturbo risulta in gravi e caratteristiche
difficoltà nell'integrazione sociale. In molti casi, i problemi sociali sono così profondi che adombrano
qualsiasi altra cosa. In alcuni casi, comunque, i problemi sono compensati da un alto livello di pensiero
ed esperienza originale.”
20
Quando si definisce un autistico 'Asperger' si pensa ad un autistico ad alto funzionamento.
21
Valutato come livello di QI e adattamento. E' legato al costrutto del Ritardo Mentale ed alla sua
misurazione.
11
E’ curioso pensare a come i due psichiatri, pur non conoscendosi e da sponde
opposte dell’Atlantico, facendo entrambi riferimento agli scritti di Bleuler, si siano accorti
dell’esistenza di una patologia specifica, o sindrome. E’ bene sottolineare come ambedue
gli scritti, pubblicati durante il periodo bellico, abbiano visto la loro divulgazione molto
ostacolata, ed è oltremodo emblematico che, in Italia, l’articolo di Kanner sia stato
pubblicato nell’89
22
e lo studio di Asperger nel 2003
23
. Entrambi gli autori, basandosi
sull’osservazione del comportamento dei pazienti in esame, proposero descrizioni
estremamente dettagliate che sono diventate poi la base per i criteri diagnostici del
disturbo. Grazie al contributo di Kanner ed Asperger, i termini autismo e autistico si
trasformano da aggettivi in sostantivi e furono utilizzati per denominare una patologia.
I due filoni di ricerca, quello a base psicogena/relazionale (psicoanalisi e terapia
sistemico-familiare), e quello che cominciava ad intravedere una causa
congenito/organica/biologica del disturbo, mantennero forte ed inalterata la loro capacità
di condizionare il dibattito, ed anche la tipologia dell’intervento, per molto tempo. La
prima ipotesi, che l’autismo possa essere determinato da una relazione disturbata con la
madre ed abbia un'origine psicogena (peraltro mai confermata da alcuna ricerca EBM
24
),
viene ormai considerata 'errata' dalla Comunità Scientifica (Arduino, 2007). Nel 1975 il
NIMH (National Institute of Mental Health), proprio a proposito dell’origine psicogena
dell’autismo, si pronunciò anche sulla psicoterapia psicodinamica nell’autismo,
affermando che “non ha dato prova di efficacia e alla luce delle conoscenze attuali
sull’autismo è improbabile che possa averne”. L'approccio prettamente organico-
biogenetico, al di là delle grandi speranze suscitate fin dalla scoperta di Down
25
della
trisomia 21, e dei molti dati acquisiti con le nuove tecnologie, oggigiorno segna il passo,
come vedremo.
A partire dalla fine degli anni ‘60, prima il cognitivismo
26
e poi le neuroscienze
27
,
tentarono di spiegare le cause e i deficit dell'autismo, considerandolo come il prodotto di
22
Psicoterapia e Scienze Umane, 1989, n.2 e n.3.
23
Tipi della Erikson, 2003.
24
Evidence Based Medicine: "le evidenze riguardano l'accuratezza dei test diagnostici (inclusi la storia e
l'esame fisico), la potenza dei fattori prognostici, l'efficacia e sicurezza dei trattamenti preventivi,
terapeutici e riabilitativi", "la EBM costituisce un approccio alla pratica clinica dove le decisioni cliniche
risultano dall'integrazione tra l'esperienza del medico e l'utilizzo coscenzioso, esplitico e giudizioso delle
migliori evidenze scientifiche disponibili, mediate dalle preferenze del paziente", David Sackett (1996).
25
J. Langdon-Down, descrisse nel 1866 una specifica malformazione genetica dovuta alla presenza di un
cromosoma in più nella coppia 21, responsabile del fenotipo comportamentale o sindrome Down.
26
Corrente della psicologia contemporanea di cui parleremo approfonditamente in altro capitolo. U.
Neisser ne ha dato la prima formulazione teorica nel suo testo: “Psicologia cognitivista” (1967).
27
Sistema integrato di discipline che ha per oggetto lo studio del cervello e del sistema nervoso a livello
molecolare, biochimico e genetico.
12
disfunzioni a base neuropsicologica. La ricerca di queste cause ha prodotto molte ricerche
empiriche e diverse teorie, anch'esse, ad oggi, non esaustive.
A partire dagli anni '90 fu accettato dalla comunità scientifica e dalle
classificazioni internazionali (DSM-IV-TR
28
e ICD 10
29
) che:
“L'autismo è un disturbo pervasivo dello sviluppo di natura biologica,
conseguenza di diversi tipi di danni di origine neurologica, che si manifesta entro il terzo
anno di età con gravi deficit nelle aree della comunicazione (turbe qualitative e
quantitative del linguaggio), dell’interazione sociale (turbe qualitative e quantitative delle
capacità relazionali, con tendenza evidente all’isolamento), dell’immaginazione (uso
inappropriato e stereotipato di oggetti) e con problemi di comportamento (auto ed etero
aggressività, iperattività fisica accentuata, ipersensibilità alle variazioni dell’ambiente
circostante o delle figure di riferimento affettivo); e pur accompagnandosi ad un aspetto
fisico normale, perdura per tutta la vita.” (Arduino, 2007). Cohen e Volkmar (2004)
scrissero: “Oggi la convinzione che l’autismo sia un disturbo evolutivo che rappresenta,
insieme con le patologie ad esso associate, le manifestazioni comportamentali di
disfunzioni sottostanti, di eziologia generalmente non definita, nella maturazione
neurobiologica e nel funzionamento del sistema nervoso centrale è largamente
riconosciuta.”
Questa non è certo una risposta esaustiva alla domanda su che cos'è l'autismo,
soprattutto perché si ferma ad una descrizione del disturbo, mentre è necessaria una buona
teoria, come ha scritto Surian (2002).
28
Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) pubblicato dall'American Psychiatric
Association (APA), tenta di rendere più omogenei i criteri diagnostici in psichiatria con metodi di
classificazione, la quarta edizione rivista (IV-TR) è stata pubblicata nel 2000.
29
ICD-10. Decima revisione della Classificazione Internazionale delle Malattie e dei Problemi di Salute
Correlati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), pubblicata nel 1992.