CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
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definitiva; il XIX secolo fu anzi caratterizzato dall‟ „insonnia politica‟4 per
la continua lotta tra il “Genio dell‟Antico regime” e il “Genio della
Rivoluzione”5. Tale lotta, iniziata con la Rivoluzione francese, fu moderata
ma non arrestata dal nuovo ordine politico europeo sancito a Vienna; nella
prima metà dell‟800 essa proseguì soprattutto in Francia, dove portò nel
1830 alla fine della monarchia borbonica. Poi, a partire dalla “rivoluzione
europea”6 del 1848, la lotta si estese a tutta l‟Europa, con le sole eccezioni,
tra loro opposte, della Russia e dell‟Inghilterra7. Alla vigilia della guerra
mondiale la lotta tra i due principî di legittimità era ancora in pieno
svolgimento, in modo più o meno visibile a seconda dei casi. Ferrero mi
sembra però intendere che la lotta (la transizione) tra i due diversi principî di
legittimità va vista come una vicenda storica di lungo periodo, in qualche
modo inevitabile nel suo compiersi, dipendente com‟era dal diffondersi di
un nuovo “orientamento generale degli spiriti”; il fatto che non sia terminata
col Congresso di Vienna non va quindi attribuito a quest‟ultimo come una
colpa storica. Al contrario, va attribuito al Congresso il grande merito di
aver impedito, tramite il solido sistema europeo che costruì, che le varie
crisi politiche del XIX secolo non finissero per generare spaventosi governi
rivoluzionari come era successo nel 1789-1815. Il Secondo Impero, se fu un
governo rivoluzionario, lo fu in forma molto più moderata di quello del
„vero‟ Napoleone; Napoleone III trovò intorno a sé un sistema europeo
stabile e pacificato che “non poteva subire turbamenti”8, e che anche per
questo poté tollerare e assorbire la presenza del suo regime illegittimo. Tra
la Francia di Napoleone III e l‟Europa non si innescò, in altre parole, quel
cerchio vizioso della paura che aveva, nel 1789-1815, esacerbato il governo
rivoluzionario e sconvolto l‟ordine internazionale9.
4
Prendo l‟espressione (ritoccata) e il concetto dal denso e ammirevole capitolo IX di
Potere, intitolato “L‟insonnia del mondo”.
5
Cfr. R. Giannetti, Rivoluzione, democrazia, legittimità, cit., p. 52: “Tutta la storia
dell‟Europa continentale del secolo XIX è interpretata da Ferrero secondo la chiave della
lotta tra i due principi di legittimità […]”.
6
Ricostruzione, p. 392.
7
Cfr. La rovina della civiltà antica, p. 155 e soprattutto Potere, p. 109-113 e 139-143.
8
Potere, p. 109.
9
Si vedano, per l‟analisi ferreriana del Secondo Impero, le pp. 106-109 di Potere.
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
100
Il “sistema di Vienna”10, se poteva salvaguardare un certo equilibrio
generale, non poteva interrompere le dinamiche del mutamento politico
europeo sopra accennate, e per questo fu profondamente modificato nel
1830 dalla caduta a Parigi della monarchia legittima e dalla rivolta del
Belgio; nel 1848 dalla “Rivoluzione Europea”; dal 1860 al 1870 dalla
creazione del regno d‟Italia, dalla distruzione della Confederazione
germanica, dalla nascita dell‟Impero tedesco11. Assolse però perfettamente
al compito di “captare, incatenare e riassorbire lo spirito d‟avventura12 e le
paure portate attraverso l‟Europa da questi grandi avvenimenti”13; riuscì, in
altre parole, a “localizzare e limitare le guerre”14 che scoppiavano al suo
interno, tutelando così per un secolo, fino al 1914, l‟equilibrio europeo
generale. Fu grazie a questo lungo periodo di relativa pace che l‟Europa,
liberata dalla paura, potè sprigionare ed espandere le “energie latenti,
d‟invenzione e d‟azione, che dal Rinascimento si venivano accumulando
nella civiltà occidentale”15, portando a quella “rivoluzione quantitativa”16
che doveva cambiare per sempre, nel bene e nel male, la civiltà occidentale
e con essa il mondo intero.
Il secolo di benefico ordine internazionale compreso tra il 1815 e il 1914,
analizzato più in dettaglio17, rivela però per Ferrero due grandi
discontinuità: il 1848 e il 1870.
Tra il 1815 e il 1848 vi fu “la pace delle dinastie”18, le quali erano
accomunate dall‟assolutismo dinastico e dalla volontà di evitare le guerre
10
Ricostruzione, p. 392.
11
Nel riportare questi avvenimenti ho seguito fedelmente, con ritocchi solamente
linguistici, le parole di Ferrero a p. 392 di Ricostruzione.
12
Ferrero descrive i suoi concetti di “spirito d‟avventura” e di “spirito costruttivo”
rispettivamente in Avventura (v. in particolare il cap. III) e in Ricostruzione (v. in
particolare il cap. III). Limitatamente agli aspetti politici, cfr. con Metternich: “Due
elementi sono e saranno sempre in lotta nella società umana: l‟elemento positivo e
l‟elemento negativo, l‟elemento conservatore e l‟elemento distruttore” [cit. in A. Giardina,
G. Sabbatucci, V. Vidotto, Manuale di storia, Roma-Bari, Laterza, 2002, vol. 3 L’età
contemporanea, pp. 23-24].
13
Ricostruzione, p. 392.
14
Ibidem.
15
Ivi, p. 387.
16
Potere, p. 49.
17
Riassumo qui molto brevemente gli spunti contenuti in Problems of Peace. From the
Holy Alliance to the League of Nations e ne La fin des aventures. Si veda anche l‟ultimo
capitolo de La rovina della civiltà antica: “Dal terzo al ventesimo secolo”.
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
101
per evitare le rivoluzioni. Le rivoluzioni del 1848 e la di poco seguente
guerra di Crimea (1854-1856) ruppero irreparabilmente il concerto delle
dinastie19 e le guerre, sia pure ancora limitate, ricominciarono a susseguirsi
sul suolo europeo20. La Prussia di Bismarck e la Francia di Napoleone III
furono le grandi protagoniste della revisione dell‟ordine politico europeo
che si ebbe tra il 1848 e il 1870, revisione all‟interno della quale riuscì a
trovare spazio l‟unità italiana.
Il 1870 è per Ferrero un anno negativamente decisivo21: Moltke e
Bismarck condussero una guerra non più limitata bensì “à allure
déchaînée”22, sul modello di quelle napoleoniche: inflissero cioè alla
Francia una sconfitta militare totale e umiliante, culminata nella presa di
Parigi23, e la usarono per imporle un trattato di pace che non sarebbe mai
stato veramente accettato dalla Francia. “On retrouve dans la paix de
Francfort la faiblesse que nous avons trouvée dans les paix conclues par
Napoléon. Comme les paix napoléoniennes, elle ne fut qu‟un armistice […],
qui a durè quarante-quatre ans […]”24. La pace imposta all‟Europa dal
neonato Impero tedesco era stata definita da Ferrero, nel 1919, “the german
peace”25. Tale pace, a differenza di quella del 1815-1848, “was not imposed
on each State by the voluntary agreement of the others. It was the result of
an inestricable mixture of fear, distrust, and suspicion”26. In tale nuovo
contesto, reso ancora più duro e competitivo dal rapido montare del
18
Dal titolo del cap. III di Problems of Peace: “The League and the Peace of the Dynasties
(1815-1848)”.
19
Cfr. Henry Kissinger, il quale interpreta il significato della guerra di Crimea nei seguenti
termini: “il Concerto d‟Europa fu frantumato sull‟incudine della Questione Orientale”
[L’arte della diplomazia, cit., p. 63].
20
G. Formigoni, Storia della politica internazionale, cit., p. 141, sottolinea come nella fase
di passaggio tra l‟equilibrio della Restaurazione e l‟equilibrio bismarckiano si trovino
concentrate tutte le principali guerre dell‟800 post-napoleonico.
21
Il 1870 può essere assunto come la data simbolica nella quale l‟ideale nazionale, che fino
a quel momento si era abbinato al liberalismo, cominciò a degenerare nel nazionalismo.
22
La fin des aventures, p. 186.
23
Umiliazione nell‟umiliazione, Guglielmo I fu incoronato imperatore tedesco (“Deutscher
Kaiser”) nella Sala degli specchi della reggia di Versailles [cfr. G. Formigoni, Storia della
politica internazionale, cit., p. 174].
24
La fin des aventures, p. 187. La spregiudicatezza autoritaria della pace di Francoforte, e
le umiliazioni inflitte alla Francia, differivano dalle guerre limitate e dalle paci di
compromesso avutesi dopo il 1815.
25
Vedi il cap. VI di Problems of Peace: “The German Peace and the Germanization of
Europe (1870-1914)”.
26
Problems of Peace, p. 178.
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
102
nazionalismo27, maturarono quella sfrenata corsa agli armamenti (e
all‟ingrossamento numerico degli eserciti) e quel frenetico gioco delle
alleanze che finirono per condurre i popoli europei a combattersi in una
lunga e terribile “guerra iperbolica”. La serie di prove di forza tedesche che
secondo Ferrero portarono infine alla guerra ebbe inizio nel 1905, con lo
sbarco a Tangeri dell‟imperatore Guglielmo II28.
2.5.5. La “guerra mondiale” e l‟inizio della terza “grande crisi
della civiltà occidentale” (1919-…)
L‟evoluzione magnifica e progressiva della civiltà europea era precipitata
improvvisamente nel drammatico vicolo cieco della Grande Guerra29: più di
quattro anni di guerra continua in cui tutti erano usciti „sconfitti‟: un inedito
storico anche rispetto alla Guerra dei Trent‟anni e alle guerre
napoleoniche30. L‟idea della “guerra mondiale” come „sconfitta‟ della civiltà
europea è molto simile alla visione che ne ebbe Ferrero. La guerra,
“iperbolica”31, era stata l‟esplosione delle contraddizioni della civiltà
quantitativa32; un‟esplosione che, lungi dall‟essere catartica, aveva avuto
l‟effetto di accelerare, di far precipitare, la crisi della civiltà europea33. La
“guerre mondiale a bouleversé le monde autant et plus que la Révolution
27
Ne La fin des aventures [p. 34] Ferrero scrive dei nefasti effetti bellicosi dell‟“alcool du
patriotisme”.
28
Problems of Peace, p. 221.
29
“la grande catastrofe seminale di questo secolo” l‟ha definita George Kennan, The
Decline of Bismarck’s European Order: Franco-Russian Relations 1875-1890, Princeton,
Princeton University Press, 1979, p. 3, cit. in G. Formigoni, Storia della politica
internazionale, cit., p. 275.
30
Ferrero, ne La fin des aventures [p. 289], parla della prima guerra mondiale come della
“plus grande guerre de l‟histoire”.
31
Ferrero, come già ricordato, utilizza l‟espressione “guerra iperbolica” ne La fin des
aventures. Di “guerra iperbolica” parla anche Raymond Aron, riferendosi implicitamente
allo spettro di una guerra termonucleare: Pace e guerra tra le nazioni, cit., p. 38.
32
“Libertà, scienza, industria e armamenti avevano prodotto una micidiale miscela.
Partorita da quei padri la guerra moderna era infinitamente più mostruosa di qualsiasi
guerra combattuta, nel corso dei secoli, sul continente europeo” [S. Romano, Prefazione ad
Avventura, p. X].
33
Su tale interpretazione „quantitativa‟, si veda La vecchia Europa e la nuova nonché la
trattazione da me sviluppata nel paragrafo 2.4. Si vedano inoltre i seguenti spunti presenti
ne La fin des aventures: pp. 45-46 e 330-332.
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
103
française et les guerres de l‟Empire. Les conséquences commencent à peine
à se faire sentir; et il y en aura pour plusieurs générations”34. Dal punto di
vista politico, quello che più ci interessa e quello al quale divenne più
sensibile lo stesso Ferrero proprio in seguito alla guerra, la crisi presentava
due aspetti, distinguibili per quanto correlati:
- la crisi del sistema internazionale costruito a Vienna, sintetizzabile nei
due seguenti punti: a) la degenerazione del fenomeno guerra; b) il crollo
di quattro imperi e il conseguente rivoluzionamento della carta politica
europea, sia dal punto di vista „geografico‟ (Stati e confini) che da
quello più strettamente politico (rivoluzioni e mutamenti di regime
politico);
- la crisi di molti sistemi politici europei, ovvero la crisi di legittimità del
potere.
Dato che lo scopo di questo capitolo è fornire una introduzione generale
alla visione della storia di Ferrero, tratterò qui in estrema sintesi questi due
temi, sui quali tornerò poi nei capitoli successivi. Comincio dalla crisi
internazionale, perché il cerchio vizioso che secondo Ferrero lega guerra e
rivoluzione, nel 1914-1945 seguì lo schema guerra (1914) - rivoluzione
(governi illegittimi) - guerra (1939). Nel 1789-1815 lo schema era invece
stato rivoluzione (1789) – guerra – rivoluzione (esportazione della)35.
Il fatto che la crisi balcanica si fosse trasformata in una guerra generale
segnava già di per sé la fine del “sistema di Vienna”36. Ma la cosa ancora
più grave fu che le dimensioni „industriali‟ e di massa della „guerra totale‟
fecero sì che il fenomeno bellico trascendesse la dimensione politica della
quale in teoria era strumento ed espressione „violenta‟. La politica, che
aveva originato la guerra, venne per così dire „spodestata‟ dalle dinamiche
di quest‟ultima, perdendo così la capacità di dirigere e orientare il conflitto
34
La fin des aventures, p. 330.
35
Questi due „schemi‟ sono di mia elaborazione.
36
“[…] qualsiasi sistema serio deve essere capace, se vuol vivere, di localizzare e limitare
le guerre che possono insorgere nel suo seno” [Ricostruzione, p. 392].
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
104
alla luce della razionalità politica37. “La guerra dovette sostenere il potere,
invece di esserne diretta”38. La “guerra iperbolica”, uscendo dai „limiti‟,
smarrì il lato politico della guerra e ne conservò solamente, portandolo
all‟estremo39, il lato distruttivo. Ma se la civiltà occidentale aveva perso la
nozione di limite anche nei riguardi del fenomeno guerra, allora la crisi
dell‟ordine internazionale era radicale, „filosofica‟, non solo politica. Se la
civiltà quantitativa non era più in grado di limitare la guerra, mentre allo
stesso tempo l‟aveva potenziata tecnologicamente, allora la guerra cessava
di essere ciò che era stata per secoli: un razionale strumento politico di
risoluzione delle controversie internazionali, quando fossero falliti strumenti
meno violenti. La posizione intellettuale di Ferrero ne La fin des aventures
pare quasi disperata: egli sa, da realista politico, che la guerra è l‟unico
strumento tramite il quale gli Stati possono dirimere tra loro certe
controversie; ma sa anche che la guerra, nel suo tempo, si è snaturata in un
fenomeno mostruoso. L‟unica via d‟uscita che riesce a trovare, nonostante
nello stesso libro avesse dimostrato la natura fallace della posizione
pacifista, è un appello a Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Germania40
affinchè si facessero garanti della pace in Europa (cosa che avrebbe ridato
stabilità al mondo intero). I problemi politici risolubili solo tramite la guerra
avrebbero dovuto attendere la guarigione della civiltà occidentale dalla
mortale malattia della guerra iperbolica41. In Ricostruzione farà l‟appello,
37
Da questo punto di vista, contrariamente a quanto probabilmente pensava Ferrero, la
prima guerra mondiale fu la negazione, non l‟apogeo della concezione della guerra di
Clausewitz. Ferrero mostra in più luoghi di non capire che Clausewitz vuole essere un
analista, non un “cantore” della guerra [v. La fin des aventures, pp. 30 e 84-85; Avventura,
pp. 38-39]. L‟espressione “cantore” credo di trarla da una lezione universitaria del prof.
Angelo Panebianco.
38
Potere, p. 230. Ferrero, qui, si riferisce in realtà all‟Italia, ma ben descrive quello che fu
un fenomeno generale. Ne La fin des aventures, pp. 39-40, Ferrero scrive che non si sapeva
più perché ci si combatteva, che si continuava a combattersi perché si aveva cominciato a
farlo e non si sapeva più come cessare.
39
La guerra, per usare categorie clausewitziane, ebbe una “scalata agli estremi” che, non
più limitata dalla politica, raggiunse le (infernali) vette della idealtipica “guerra assoluta”.
40
Nel caso la Germania fosse precipitata nella rivoluzione, le tre rimanenti potenze
avrebbero avuto comunque, per Ferrero, la forza sufficiente a imporre la pace.
41
L‟analisi dei problemi della guerra e della pace è svolta da Ferrero nei primi due saggi
del libro, pp. 9-214.
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
105
ormai quasi „europeista‟, alla costituzione di una “Confederazione di Stati
legittimi”42.
La guerra inoltre, con il crollo di ben quattro imperi, aveva rivoluzionato
la carta politica europea sia dal punto di vista „geografico‟ (gli Stati esistenti
e i loro confini), sia dal punto di vista „politico‟ (mutamenti di regime
politico, ovvero la nascita di repubbliche). La dinamica del mutamento
politico europeo cui la guerra diede vita, o meglio che catalizzò, è riassunta
da Ferrero nel concetto di “fine della monarchia”43. L‟istituto monarchico,
come spiega in Potere44, era da tempo in declino e, col senno di poi,
l‟Europa aveva avuto già prima della guerra “un primo avvertimento” con
“la rivoluzione turca nel 1908 e quella cinese nel 1911”45. “Ma le due
rivoluzioni erano scoppiate in Asia, e l‟Europa non vi prestò quasi
attenzione. [Finchè] nel 1917-18, uno dei più grandi terremoti della storia
spazzò via tutte le grandi dinastie europee, come il terremoto dell‟89 aveva
trascinato la monarchia francese”46. Nel 1931 anche la Spagna diventava
una repubblica.
Ma “se la legittimità aristo-monarchica era consunta, la creazione di
democrazie legittime non era facile”47. Il principio aristo-monarchico
“conservava […] ancora forza bastante per moltiplicare le difficoltà al
principio che avrebbe dovuto sostituirlo. L‟immenso disordine provocato
dalla guerra del 1914-18, i terribili errori dei trattati di pace e della politica
dei vincitori, hanno aggravato la difficoltà. Quasi tutta l’Europa si è trovata
come sospesa nel vuoto tra la monarchia che non era più possibile e la
democrazia che non lo era ancora. Così è precipitata nei governi
rivoluzionari […]”48, come era accaduto alla Francia dopo il 1789. “Un po‟
dappertutto scoppiano rivoluzioni che dichiarano di rifiutare la soluzione”
della legittimità democratica, “trovata dalla Francia in un secolo e mezzo di
42
Ricostruzione, p. 407.
43
Ferrero scrive del fenomeno della fine della monarchia nel saggio La fin de la monarchie
[in La fin des aventures, pp. 215-251] e in Potere, pp. 127-160.
44
Si veda il capitolo “La monarchia legittima”, pp. 127-143.
45
Potere, p. 143.
46
Ibidem.
47
Ibidem.
48
Ivi, p. 160, corsivo mio.
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
106
lotte e sacrifici, e preconizzano soluzioni nuove, più profonde e migliori. La
Russia fu la prima: l‟Italia, la Germania, la Spagna vennero dopo, per
accennare soltanto ai grandi paesi”49.
L‟illegittimità del potere e il proliferare di regimi rivoluzionari finirono –
inevitabilmente per Ferrero – per far precipitare di nuovo l‟Europa nella
guerra. Se la guerra del 1914 era stata la causa della progressiva nascita di
governi rivoluzionari, la guerra del 1939 era stata causata dalla presenza di
tali regimi. La guerra del 1914 era “nata dal conflitto d‟interessi politici tra
le grandi potenze”50; la guerra del 1939, invece, era “nata al pari di tutte le
guerre della Rivoluzione dal grande disordine intellettuale, morale e politico
provocato in tutta Europa dopo il 1919, dal crollo del sistema monarchico,
dal culto generalizzato della Rivoluzione e dal frenetico sovvertimento di
tutte le regole”51. Era la
guerra che nessuno voleva, né quelli che ogni giorno minacciavano il mondo per
placare l‟inquietudine delirante d‟un potere illegittimo52, né quelli che
confessavano apertamente di temerla come suprema sventura. L‟esperienza tragica
del 1789-1815 si ripete. A che ci condurrà questa terribile ricaduta nell‟antico
male, A53 una grande ricostruzione che ci salverà tutti, come nel 1814? O a un
succedersi interminabile di guerre, di rivoluzioni sterili, che continueranno per la
sola ragione che non si troverà più il modo di mettervi termine, come sull‟Impero
Romano dopo il terzo secolo? Le guerre che nascono dal disordine di un‟età sono
molto più pericolose delle guerre provocate da conflitto d‟interessi politici.54
La via per uscire dalla crisi era per Ferrero il ristabilimento della
legittimità del potere, tramite la leale accettazione e applicazione del nuovo
49
Ivi, p. 113.
50
Ricostruzione, p. 404.
51
Ivi, pp. 404-405. Il paragone tra le guerre della Rivoluzione iniziate nel 1792 e la guerra
scoppiata nel 1939 è svolto da Ferrero, oltre che nel brano citato, nella prefazione
all‟edizione americana di Ricostruzione [The Reconstruction of Europe: Talleyrand and the
Congress of Vienna, 1814-1815, New York, Putnam‟s Sons, 1941] e ne Le due rivoluzioni
francesi, p. 83.
52
Ferrero si riferisce con tutta probabilità a Hitler.
53
Dev‟esserci un errore di battitura in questo punto del testo. L‟errore è presente in
entrambe le edizioni italiane dell‟opera (1948 e 1999, citate).
54
Ricostruzione, p. 406.
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
107
principio democratico. Il presupposto fondamentale di qualsiasi ordine
internazionale era infatti per Ferrero la legittimità del potere all‟interno dei
singoli Stati. Era per questo che Potere, il suo testamento spirituale,
affrontava il problema del potere dal punto di vista interno.
Se nella prima edizione di Ricostruzione (1940) Ferrero non riusciva
ancora a individuare un popolo o un‟élite in grado di vincere la guerra e di
realizzare una tale “ricostruzione”55, nella prefazione all‟edizione americana
del 1941 Ferrero svolgeva un forte appello al popolo americano perché si
facesse carico del destino dell‟Europa e dunque del mondo56. Tra le due
edizioni, si era avuta la capitolazione della Francia e la formazione del
governo di Vichy (giugno 1940)57, eventi che gettarono per qualche tempo
nella disperazione Ferrero, come ho ricordato nell‟Introduzione. Superato
quel momento di disperazione personale, Ferrero potè vedere confermato il
suo ottimismo di lungo periodo dall‟entrata in guerra degli Stati Uniti di
Roosvelt. Così ribatteva, il 2 agosto 1942, un giorno prima di morire, alle
preoccupazioni della moglie sulle difficoltà del dopo guerra: “Se nel trattato
di pace che si farà prossimamente si adotterà il principio della legittimità,
vedrai come in pochi anni tutto rientrerà nell‟ordine”58. Dopo aver
attraversato il momento più buio della storia dell‟Europa moderna, Ferrero
ebbe il compenso di poter morire pieno di speranze59.
55
Ivi, p. 407-408.
56
“Shall we see Roosvelt become the Alexander I of the new great crisis of Western
history?”, si chiede Ferrero a p. XIV della prefazione a The Reconstruction of Europe, cit.
57
“Ed ecco tutt‟a un tratto anche la Francia rinnegare come un deplorevole errore
centocinquant‟anni della sua storia, per unirsi ai popoli e agli Stati che avevano rifiutato la
sua soluzione [i.e. la piena applicazione del principio democratico]” [Potere, p. 113].
58
G. Ferrero Lombroso, Prefazione a Potere, p. 6.
59
Sulle opinioni e stati d‟animo di Ferrero poco prima di morire vedi Potere, p. 6, e B.
Raditsa, Ferrero uomo, cit., pp. 29-30.
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
108
2.6. Una visione ciclica o progressiva della storia?
Per molti versi “pensatore della decadenza”60, della “crisi”61, Ferrero è
portatore di una visione della storia che non è immediato inserire nello
schema ciclico vs progressivo.
Per Ferrero le grandi religioni monoteiste – giudaismo, cristianesimo,
islamismo – sono state, come detto, un grande fattore di progresso; e tra
queste, attribuisce un ruolo particolare al cristianesimo. La civiltà
occidentale, a suo giudizio, è stata plasmata dal cristianesimo; è stata
fecondata dalla sua idea rivoluzionaria dell‟uguaglianza e della dignità di
tutti gli uomini, che ha sostituito il granitico sentimento aristocratico
dell‟antica civiltà pagana. I principi dell‟89 francese – Liberté, Égalité,
Fraternité – sono per Ferrero le traduzioni laiche dei principî del
cristianesimo; questi ultimi, da tre secoli, hanno cominciato a realizzarsi,
anche se in mezzo a immense contraddizioni62. I progressi figli del
cristianesimo non sono stati peraltro solo morali: la dinamicità della civiltà
occidentale, gli stessi progressi della scienza e della tecnica63, hanno per
Ferrero la loro radice fondamentale nella nuova visione del mondo
introdotta dal cristianesimo; il cristianesimo è stato il retroterra culturale che
ha permesso la nascita e il consolidamento in Occidente della legittimità del
potere; sempre al cristianesimo si deve la “grande umanizzazione e
smilitarizzazione dell‟Occidente”, che pose fine alle spietate guerre di
“sterminio” dell‟antichità64.
La stessa critica della civiltà quantitativa alla quale l‟Occidente è
approdato va vista come una critica costruttiva, come una volontà di
correggere in senso qualitativo, a fini umanistici, le peraltro eccezionali
conquiste della moderna civiltà industriale. Ferrero, più che paventare esiti
60
C. Mongardini, Modernità, rappresentanza e legittimità in G. Ferrero, in L. Cedroni (a
cura di), Guglielmo Ferrero, cit., p. 430.
61
R. Giannetti, Rivoluzione, democrazia, legittimità, cit., p. 12.
62
La fin des aventures, p. 282.
63
Ferrero ribadisce brevemente in Potere [pp. 29-30 e 37-38] che il mondo moderno vede
erroneamente nella scienza e nella tecnica i soli fattori di progresso.
64
Ivi, p. 189.
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
109
„tecnici‟, “gabbie d‟acciaio” della modernità, critica il presente perché crede
possibile plasmare un futuro migliore65. Quando, prima o poi, la civiltà
occidentale avesse ritrovato limiti e qualità, avrebbe goduto allo stesso
tempo di questi ideali antichi e delle nuove conquiste della modernità:
La civiltà nostra toccherà la vetta della gloria e della perfezione il giorno in cui
riuscirà, contaminando la nuova potenza che essa ha creato, con la saggezza antica
che ha obliata, a sottoporre la disordinata energia dell‟uomo al freno di regole e di
principi estetici, morali, religiosi, filosofici, che ne siano i limiti – ampi quanto si
vuole, ma saldi.66
Nel capitolo XIII di Discours aux sourds (“Vers l‟unité du monde?”),
Ferrero auspicava che l‟evoluzione del mondo andasse verso la creazione di
“une civilisation universelle, qui fondrait en elle-même les éléments les plus
purs et les plus élevés des civilisations préexistantes, la morale chrétienne,
l‟industrie et la science de l‟Occident, la sagesse de l‟Asie, la fleur de l‟art
européen et oriental”67. La svolta intellettuale degli anni ‟10, insomma,
aveva problematizzato e modificato la nozione di progresso di Ferrero, ma
non l‟aveva cancellata tout court. Si ricordi quanto Ferrero scriveva nel
1931, ovvero in tempi non più sospettabili di ingenuo positivismo: “le XIXᵉ
siècle a pu créer une civilisation dans laquelle l‟ordre et la liberté s‟appuient
mutuellement […] C‟est jusqu‟à present le chef-d‟œuvre de l‟histoire”68.
Il fattore politico, ovvero la principale determinante per Ferrero del
divenire storico, è forse il fattore che più mette in discussione questa visione
tendenzialmente progressiva della storia. Le dinamiche politiche infatti
possono potentemente modificare il corso della storia, possono essere causa
di ascesa ma anche di declino delle civiltà e dei popoli.
65
Cfr. il brano di Donatella Pacelli che ho riportato più ampiamente nel par. 2.4: “Ferrero
però non arriva al pessimismo weberiano […]” [La sociologia di Ferrero, cit., p. 32].
66
G. Ferrero, La guerra europea. Studi e discorsi, Milano, Ravà, 1915, pp. 88-89, cit. in R.
Giannetti, Rivoluzione, democrazia, legittimità, cit., pp. 96-97. Si vedano anche le
osservazioni svolte nell‟ultimo capitolo de La democrazia in Italia, “Numero, quantità e
democrazia”, vedi in particolare p. 104.
67
G. Ferrero, Vers l’unité du monde?, in Politique étrangère, cit., p. 1004.
68
La fin des aventures, pp. 279-280.
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
110
Non è che Ferrero abbia una visione assolutamente ciclica della storia
politica. Per lui “il Potere si umanizza e si incivilisce attraverso la Storia
[…] via via che i principî di legittimità si moltiplicano, si precisano,
diventano imperativi”69; la civiltà occidentale è stata la prima civiltà a
„fondarsi‟ sulla legittimità del potere, e questo è per Ferrero il segreto dei
suoi grandi successi. Il problema è che la legittimità del potere, l‟ordine
politico interno e internazionale, non sono conquiste garantite una volta per
tutte. Non sono, se non indistruttibili, perlomeno molto stabili come possono
essere le conquiste spirituali di una grande religione o le conquiste
intellettuali e pratiche della scienza. “I Genii della Città” possono
„abbandonare‟ le civiltà di cui pure hanno fatto la grandezza, e causare così
il loro declino se non la loro distruzione. “La rovina della civiltà antica” è il
grande monito che deve sempre tenere presente la moderna civiltà
occidentale. Quest‟ultima non ha capito, o ha dimenticato, che nel 1789-
1815 aveva iniziato a precipitare in una crisi di legittimità simile a quella del
III secolo, e anche per questo è caduta di peso, senza strumenti intellettuali
per decifrarla correttamente, in una nuova crisi in seguito alla guerra
mondiale. Queste tre grandi crisi storiche che hanno colpito l‟unica civiltà
che ha saputo costruire la legittimità del potere non permettono a Ferrero di
avere una visione ingenuamente lineare della storia: il progresso è sì
possibile, ma risulta essere una possibilità nelle mani degli uomini, che
possono essere o non essere in grado di realizzarla. Quando “riesce a
raggiungere la pienezza della legittimità”, la democrazia è il governo che
più riesce a eliminare la doppia paura intrinseca al potere70. Se realizzata,
potrebbe aprire un‟epoca di pace e di ordine politico che rinnoverebbe il
sentiero di progresso dell‟umanità. Potrebbe far sì, per riprendere quanto
aveva scritto in Vers l’unite du monde? [cit.], che l‟unificazione del mondo
prendesse la forma di una “civiltà universale”, ripetendo su scala mondiale
ciò che l‟impero romano aveva realizzato nel bacino del mediterraneo. Ma
già in queste pagine del 1924 Ferrero scriveva che anche l‟altro esito era
69
Potere, p. 38.
70
Ivi, p. 155.
CAP. 2. LAVISIONE GENERALE DELLA STORIA
111
ugualmente possibile: quello di guerre e rivoluzioni sul modello del III
secolo.
Per concludere: Ferrero sembra avere, retrospettivamente, una visione
progressiva della storia: vede svilupparsi dei progressi nella storia degli
uomini. Ma questi progressi a) non sono lineari; b) non sono guidati da una
qualche „necessità‟; c) sono in gran parte reversibili se si sviluppa una
grande crisi storico-politica. Ne consegue che il presente e il futuro sono, di
volta in volta, degli interrogativi e delle sfide (nel suo tempo radicali), mai
delle ingenue certezze. E ne consegue che il progresso, tutt‟altro che
scontato, è per gli uomini una conquista da raggiungere armati di saggezza e
di „costruttiva‟ volontà.
Se si tratta di un “pensiero della crisi”71, tipico di quell‟epoca travagliata,
si tratta però di un pensiero che dalla crisi vuole risolutamente uscire. Il che
spiega, se si vuole, l‟attivissima vita da intellettuale engagé del nostro
autore72.
71
R. Giannetti, Rivoluzione, democrazia, legittimità, cit., p. 12.
72
Su questa interpretazione complessiva del pensiero di Ferrero cfr. G. Sorgi, Potere tra
paura e legittimità, cit., pp. 24-25; nella nota 51 Sorgi così riporta, dissentendone, il
giudizio di Carlo Mongardini: “egli ritiene quello di Ferrero un «pensiero della crisi», in
quanto lo considera «legato alla crisi ideologica e morale dell‟Europa» ed espressione,
insieme al pensiero di Mosca, del «tramonto del liberalismo dell‟800», per cui vede «la loro
critica delle ideologie muoversi sul piano disincantato e rassegnato dei pensatori della
decadenza»”. Sul “pensiero della crisi” di Ferrero vedi la breve trattazione da me svolta nel
par. 6.1.