5
L'immagine della Sicilia come terra del fuoco è assai antica e risale già al
Medioevo; il grande vulcano era considerato infatti la porta degli inferi.
La metafora della discesa agli inferi rimarrà una costante di coloro che si
apprestano a visitare la Sicilia. Tanti infatti furono, nella storia di questa terra non
solo i colonizzatori, ma anche i viaggiatori e per costoro il viaggio in Sicilia non
può che configurarsi come un ritorno alle origini della natura e della civiltà. Il
viaggio in Sicilia è viaggio reale ma anche metaforico perché costringe il
viaggiatore a guardare indietro, ad affondare lo sguardo sino alle origini della
storia ma anche alle origini delle propria storia e, dunque, a guardarsi dentro.
Come ha evidenziato Flora Di Legami
4
, il viaggio si rivela come un
esercizio ideale per sfuggire all'effimero che è proprio del moderno, mentre il
passato, lungi dall'essere mero serbatoio di materia narrativa, diviene elemento di
confronto con la propria realtà e dunque strumento per la conoscenza di sé, vero
grande scopo di ogni viaggiatore.
«Perché viaggiamo,» si chiede Fabrizio Clerici, il protagonista di Retablo:
«perché veniamo fino in quest’isola remota, marginale? Diciamo per vedere
le vestigia, i resti del passato, della cultura nostra e civiltate, ma la causa vera
è lo scontento del tempo che viviamo, della nostra vita, di noi, e il bisogno di
staccarsene, morirne, e vivere nel sogno».
5
Il viaggio in Sicilia ha tutte le caratteristiche di un viaggio iniziatico in cui
è possibile trovare l'Aleph, il luogo in cui si trovano, senza confondersi tutti i
luoghi. Il luogo che contiene tutte le storie.
Le pagine di coloro che visitarono la Sicilia anticamente sono piene dei
miti e delle leggende isolane: Scilla e Cariddi, i Ciclopi e i Giganti . Questi topoi,
resteranno attaccati all'immagine letteraria dell'isola in maniera indissolubile
come anche quell'idea di Cerere madre feconda, personificazione della fertilità
della terra dei siciliani, che a partire dal Cinquecento contribuirà a creare un altro
altrettanto indissolubile topos: quello della Sicilia 'granaio d'Italia'. Uno
4
F. DI LEGAMI, Vincenzo Consolo. La figura e l'opera, Pungitopo, Marina di Patti (Me), 1990, p.38
5
V. C ONSOLO, Retablo, Oscar Mondadori, Scrittori del Novecento, Milano, 2000, p.70
6
stereotipo, questo, che si riproporrà attraverso i secoli, ben radicato, fino ai primi
decenni del Novecento.
Se quest'immagine della Sicilia standardizzata tra la mitopoietica antica e
l'immaginario dell'età moderna si configura come limitativa se non addirittura
fuorviante agli occhi del viaggiatore, non si può guardare ad essa senza quella
«affabulazione» per citare ancora Mozzillo «irrinunciabile nei portatori di una
cultura nutrita di Teocrito e di Diodoro».
6
Illustre spettatore dei prodigi siciliani fu nel 1183, Ibn Giubayr. Il poeta
granatino visitò la Sicilia di ritorno dalla Mecca. Quando sbarcò, la Sicilia era
normanna ormai da oltre un secolo eppure manteneva ancora ben saldi elementi e
costumi della dominazione araba. Notava compiaciuto, il poeta, l'ottimo stato in
cui si conservavano le moschee e l'assidua frequenza dei fedeli. Tuttavia il periodo
in cui la serena convivenza di popoli e religioni sembrava aver realizzato
un'utopia stava lentamente volgendo alla fine. Afferma Consolo:
Ma già a Trapani, prima della partenza, Ibn Giubayr vede quasi finire, per
alcuni segni, quel tempo di pace, di tranquilla armonia: nella flotta di navi da
guerra che si sta approntando in quel porto, nelle notizie di turbolenze che
giungono da Costantinopoli, nel racconto che ha dal nobile musulmano Ibn
Hammud, caduto in disgrazia, del nuovo corso politico nell’isola e del
mutato atteggiamento del re nei confronti dei Musulmani
7
.
In effetti, a partire da questo periodo la situazione in Sicilia muta
notevolmente: finisce il clima di tolleranza religiosa e, soprattutto dopo la
conquista aragonese, s'incupisce il feudalesimo, facendo perdere all'isola
quell'attrattiva che da sempre esercitava sui grandi viaggiatori del passato. La
mancanza di interesse verso l'isola non sarà un fenomeno di breve durata.
Fino alle soglie del Settecento la Sicilia è pressoché esclusa dagli itinerari
dei viaggi culturali; quasi completamente ignorato rimane anche il grande
patrimonio greco e romano. Perché?
6
Ibidem
7
V. C ONSOLO, Di qua dal faro, Oscar Mondadori, Scrittori del Novecento, Milano, 1999, p. 225
7
È probabile che, mancando un Rinascimento in Sicilia, risultò forse
difficile la comprensione del patrimonio antico, che così spesso altrove è rivisitato
attraverso la spinta dell’esperienza rinascimentale e i monumenti di epoca o
influsso islamico, il gotico, il grande barocco non hanno a lungo trovato, fuori
delle tradizioni isolane, l’apprezzamento che meritano.
Come ha notato lo storico Carlo Ruta
8
, dal Settecento la situazione sembra
però evolversi, grazie anche a nuove ed importanti, seppur caute, riforme che
interessano l'isola, riunitasi con Napoli dopo il lungo dominio spagnolo e la
parentesi austriaca. L'interesse dei Borboni in campo archeologico accende in
Sicilia quello per le grecità richiamando, grazie anche agli studi di Winckelmann,
visitatori nuovamente motivati.
Gli studi dl grande storico dell'arte tedesco, in particolare quelli sulla valle
dei templi di Agrigento, compiuti grazie agli appunti dello scozzese Mylne
(nonostante lo avesse più volte programmato, Winckelmann non riuscirà a
compiere il suo viaggio in Sicilia), non lasciarono indifferenti i grandi uomini
dell'epoca: ecco allora che i confini italiani del Gran Tour si spostano più a sud, da
Napoli alla Sicilia.
L'attenzione tutta nuova per le grecità, non poteva, tuttavia non farsi
anch'esso luogo comune in un immaginario collettivo, quello riguardante l'isola,
che di luoghi comuni si nutriva. Anche il viaggiatore meno propenso a cedere agli
inganni delle convenzioni, non potrà, infatti guardare alla Sicilia se non attraverso
quel repertorio secolare di figurazioni suggestive ma, o forse proprio per questo,
fuorvianti.
Ogni viaggiatore si porta dietro un bagaglio di preconcetti che gli
consentono di accostarsi alla scoperta di quest'isola misteriosa con una 'rete di
protezione'. Tra questi, Consolo,
9
colloca finanche colui che egli definisce come 'il
Viaggiatore' per eccellenza: Goethe. Se infatti l'autore del Faust, nel compiere il
suo viaggio decide di spogliarsi persino del proprio, ingombrante nome per
'morire e rinascere' nella nuova veste di viaggiatore, egli non può però fare a meno
8
C. RUTA, Viaggiatori in Sicilia. L'immagine dell'isola nel secolo dei lumi, Edi.bi.si., 2004, p.6
9
V. C ONSOLO, Introduzione a J. W. Goethe, Viaggio in Sicilia, Ediprint, Siracusa, 1987.
8
di quelle di convinzioni che, suo malgrado, una ingente tradizione di viaggiatori
gli aveva lasciato in eredità. Ma Goethe porta con sé un altro metro con cui
misurare e giudicare quel mondo vario e complesso che è l'Italia: la propria
cultura:
Ho avuto un po' di timore a fare il nome del fedele compagno al quale di
tanto in tanto rivolgo uno sguardo e porgo un orecchio; è l'eccellente
Riedesel il cui libretto porto sul cuore come breviario e talismano. Mi sono
sempre e volentieri rispecchiato in quelle nature – e questo ne è proprio il
caso – che posseggono ciò che manca a me: sereni proponimenti, certezza
nello scopo, strumenti chiari e adeguati, preparazione e conoscenza, intimo
rapporto verso un perfetto maestro: verso Winckelmann.
Tuttavia, per ciò che concerne la Sicilia Goethe sarà accompagnato da un
maestro ancor più illustre: Omero.
Dirà Goethe: «Per quanto riguarda Omero è come se mi fosse caduta una
benda dagli occhi...Ora l'Odissea è davvero per me una parola viva».
Ma se i viaggiatori, i forestieri hanno descritto nelle loro pagine il fascino
ma anche lo smarrimento provato di fronte a quello spettacolo bellissimo e
terribile che è la Sicilia, cosa raccontano le pagine degli scrittori siciliani?
Figli di questa terra martoriata dal mancato sviluppo economico,
dall'arretratezza, dal degrado culturale, dalla mafia, gli scrittori siciliani sono
spesso esuli e da esuli ci raccontano la loro terra. Infondo sono anch'essi dei
viaggiatori: il loro viaggio è nostos, ritorno. E di ritorni è costellata la letteratura
siciliana.
Consolo afferma: «c'è tutta una letteratura sul traghetto, sul traghetto che
va e su quello che torna, da Verga a Vittorini, a Stefano D'Arrigo».
10
Ma cosa vuol dire oggi essere siciliani? È ancora possibile in questo tempo
di globalizzazione in cui differenze e caratteristiche si vanno assottigliando,
parlare di una peculiarità dell'essere siciliani?
10
V. C ONSOLO, Fuga dall’Etna, La Sicilia e Milano, la memoria e la storia, Donzelli, 1993, p.9
9
Se si pensa a Sciascia, a Pirandello o a Piccolo si ritrovano due diversi
archetipi della condizione siciliana: in Piccolo si ha una condizione che si
potrebbe definire lirica, legata ad una società agraria; in Sciascia e Pirandello,
invece si ha una condizione legata ad una realtà cittadina. C’è, infatti, una grande
differenza tra la Sicilia orientale e quella occidentale: la parte occidentale è stata a
lungo la zona del latifondo, dove i segni della storia sono più incisivi, più
profondi. La parte orientale è invece contrassegnata dalla natura. Una natura a
volte madre, altre matrigna. Serena e idilliaca nelle zone delle verdeggianti
pianure, minacciosa alle falde dell'Etna o sullo Stretto, da sempre funestato da
terremoti di immane potenza.
Vincenzo Consolo, negli anni della sua infanzia, recandosi col padre a
Caltanissetta poté rendersi conto di questa differenza:
Era il settembre del '43 quando feci il mio primo viaggio in Sicilia. Dico
viaggio in Sicilia come se mi fossi mosso da un'altra terra, da una qualche
regione al di là dello Stretto o al di là del Faro, come si diceva una volta. E in
effetti era, la zona da cui partivo, il Val Dèmone, la Sicilia ai piedi dei
Nèbrodi, tutt'affatto diversa dall'altra, sconosciuta, che si svolgeva al di là dei
monti; la Sicilia delle vaste terre, del latifondo, dei grandi altipiani, della
nudità e della scabrosità, delle solitarie masserie, dei paesi fittamente
aggrumati sulle alture, dei cieli bassi, infiniti.[...]
11
E ancora:
Caltanissetta sembrava costruita sulle pareti d'una miniera o di una cava, una
sorta d'infernale imbuto dantesco. Era una città priva di monumenti, di
bellezze, se si fa eccezione di due chiese barocche e d'un massiccio
seicentesco palazzo Moncada. I fumi delle numerose zolfatare vicine, spinti
dal vento sulla città, ingrigivano pietre e piante, scolorivano finanche gli abiti
delle donne.
11
V. C ONSOLO, Fuga dall'Etna, La Sicilia e Milano, la memoria e la storia, Donzelli, 1993, pp.
19-20
10
Eppure Caltanissetta è stata da sempre la città degli zolfatari più consapevoli
della loro condizione di operai e più combattivi, degli intellettuali, degli
ingegni più vivaci dell'Isola.
12
Una simile differenza delle condizioni di vita non poteva certo non creare
delle differenze nelle popolazioni. Lo stesso Consolo afferma in un' intervista
13
che i siciliani della parte occidentale hanno, probabilmente, maggiore
consapevolezza del loro ruolo nella storia, perché a causa delle condizioni
disumane in cui erano costretti a lavorare, hanno preso coscienza della loro
condizione di soggezione e sfruttamento ed hanno cominciato a ribellarsi.
La parte orientale dell'isola, sembra invece schiacciata dal peso della natura.
Anche questa condizione è presente nella letteratura dell'isola. Si pensi a Verga e
alla sua concezione del fato ineluttabile, che non consente agli uomini di ribellarsi
ad esso. È la concezione di chi vive alle falde del vulcano.
È in queste contraddizioni che si trova l'essenza della Sicilia. Nella contraddizione
tra natura e ragione che risale a tempi remoti e che trova una rappresentazione
straordinariamente efficace nell'immagine dell'albero dal quale nascono, insieme,
l'olivo e l'olivastro (la civiltà e la barbarie). Nell'Odissea sotto quest'albero si
rifugia Ulisse approdato nell'isola dei Feaci.
Vincenzo Consolo nelle sue opere coglie alla perfezione l'essenza dell'isola,
scandagliandola nelle sue contraddizioni. Ecco allora la terra leggendaria, mitica e
storica o quella schiacciata dall'arretratezza, dai problemi economici, dalla mafia.
Consolo riesce, anche grazie al distacco del suo essere 'esule', a guardare in
maniera lucida alla propria terra e sceglie di raccontarla. Raccontarla e descriverla.
Descrivendo la Sicilia lo scrittore ne denuncia i problemi e conserva la memoria di
mondi ormai scomparsi. Per Philippe Hamon la descrizione è il luogo in cui si
conservano le informazioni.
14
Ecco, Consolo sceglie la dimensione della memoria:
attraverso le proprie descrizioni ci consegna le immagini e i ricordi, non solo di
12
Ivi, pp. 21-22
13
msk.erroneo.org
14
P. Hamon, Qu’est-ce qu’une description?, in «Poétique», no. 12, 1972. Trad. it. Cos’è una
descrizione, in Semiologia lessico leggibilità del testo narrativo , Parma, Pratiche, 1977, p.79
11
luoghi che il tempo e l'incuria hanno inevitabilmente cambiato, ma anche di quegli
oggetti quotidiani appartenenti a terre e culture altrimenti condannati al silenzio.
Insieme ai luoghi e agli oggetti sopravvivono nelle opere dello scrittore siciliano
le parole, come sempre risultato di una grande ricerca.
Dalle pagine di Consolo, emerge la figura di un intellettuale impegnato in un
perenne viaggio alla scoperta della propria terra, tra la malinconia per un grande
passato e lo sconforto per un presente di degrado.
Abbiamo scelto quattro opere dello scrittore che ben si prestano a rappresentare
una summa della Sicilia di Vincenzo Consolo: Il sorriso dell'ignoto marinaio,
Retablo, Le pietre di Pantalica e L'olivo e l'olivastro.
12
CAPITOLO I
Il sorriso dell'Ignoto marinaio.
Con la sua seconda opera, Vincenzo Consolo compie una scelta ben
precisa. Sceglie di collocarsi all'interno della tradizione isolana affrontando quella
tematica del 'Risorgimento tradito' già cara a Pirandello e Tomasi di Lampedusa. Il
romanzo scaturisce però, non dalla volontà di raccontare gli anni relativi l'Unità
d'Italia, bensì dall'esigenza di dare voce agli eventi sociali e culturali degli anni
Settanta. Nasce dunque la necessità del romanzo storico-metaforico:
«Capii insomma che per poter raccontare Milano, il momento storico che
stavamo vivendo, sarei dovuto ripartire dalla Sicilia, dalla mia memoria, dal mio
linguaggio. Potevo raccontare in modo metaforico, ricorrendo al romanzo
storico».
1
L'idea del romanzo prende vita dopo un'inchiesta dello scrittore sulle
cave di pomice dell'isola di Lipari: l'immagine della montagna bianca e
abbagliante in cui si muovevano i cavatori malati di silicosi diventa lo spunto da
cui partire, insieme ad altre reminiscenze siciliane come Cefalù, porta del gran
mondo palermitano, Messina, città più volte distrutta dai terremoti, e il Ritratto
d'ignoto di Antonello da Messina. E l'azione si svolge proprio seguendo il viaggio
del famoso quadro, attraverso i vertici del simbolico triangolo Messina, Lipari,
Cefalù:
«E non è questo, tra terremoti, maremoti, eruzioni di vulcani, perdite,
regressioni, passaggi perigliosi tra gli scogli di Scilla e Cariddi, il viaggio, il
cammino tormentoso della civiltà?».
2
Il viaggio dunque, elemento onnipresente nei romanzi di Consolo, ma più
in generale il movimento, diventa filo conduttore del Sorriso dell'ignoto marinaio.
E non poteva essere altrimenti per questo scrittore, cresciuto alla confluenza di
due mondi: la Sicilia orientale, quasi schiacciata dal peso di una natura non
sempre benigna e la Sicilia occidentale, dove i segni della storia si sono sempre
1
V. C ONSOLO, Fuga dall’Etna, La Sicilia e Milano, la memoria e la storia, Donzelli, 1993, p.36
2
Ivi, p.42
13
avvertiti in maniera più forte. Nel Sorriso Consolo rappresenta il movimento
continuo dalla natura alla storia, dal mare, luogo rischioso e incerto, alla terra,
luogo di certezza e storia. Non a caso nel romanzo, come ha sottolineato lo stesso
autore,
3
ritroviamo più volte l'arrivo in porto di un veliero.
Come ha messo in rilievo Attilio Scuderi,
4
la scrittura di Consolo
prosegue per quadri, per scene successive e ciò è oltremodo vero nel caso del
Sorriso. Attraverso salti temporali e spaziali il lettore viene sbalzato da un luogo
all'altro, improvvisamente, senza che la narrazione introduca il cambio repentino
di scena. L'io narrante si comporta allora, come un occhio esterno che porta il
lettore sul luogo dell'azione: le Eolie, Lipari, Cefalù, Alcara li Fusi, S. Agata di
Militello.
Il romanzo si snoda tra paesaggi reali e simbolici, spesso raffigurazioni
della condizione umana; paradigmatica a tal proposito la rappresentazione del
castello Gallego di S. Agata di Militello, con la forma elicoidale del suo carcere,
luogo simbolico eppure reale. Della figura della chiocciola, come metafora
plurima si è tanto parlato, ma tenteremo in questa sede di dare una lettura diversa
di questa figura, analizzandola non tanto da un punto di vista semiologico, quanto
geometrico. Avanzeremo l'ipotesi che la figura della chiocciola possa aver
generato quella che Philippe Hamon chiama una schematica stimolatrice, dalla
quale scaturiscono temi e immagini.
Per ben due volte viene rappresentato l'approdo a un porto: prima l'arrivo
del bastimento a Oliveri, nel golfo di Patti, luogo in cui il Mandralisca fa la
conoscenza di Giovanni Interdonato; poi l'arrivo di quest'ultimo a Cefalù. Consolo
riproduce le manovre d'attracco dei velieri, il trambusto e il vociare degli
equipaggi. Descrive le imbarcazioni, i congegni di bordo e ogni attrezzo
attraverso un lessico forbito e vario che si avvale di tecnicismi tipici del
linguaggio marinaro come /trinchetto/, /caicchi/, /gozzi/ e /lampe/. Ma i tecnicismi
del linguaggio marinaresco, sebbene siano i più numerosi, non sono gli unici
adoperati nelle descrizioni dei paesaggi del Sorriso: numerosi sono, infatti, anche
3
V. C ONSOLO, Fuga dall’Etna, cit., p. 43
4
A. SCUDERI, Scrittura senza fine. Le metafore malinconiche di Vincenzo Consolo, Il Lunario,
Enna, 1998, p.25
14
i termini del linguaggio tecnico specialistico della botanica e dell'architettura. Il
lessico del romanzo è estremamente vario, ed oltre al lessico specialistico si
trovano moltissimi termini letterari, di basso uso, varianti, termini obsoleti,
termini appartenenti a diverse zone d'Italia (vocaboli dell'Italia settentrionale,
centrale o meridionale), diversi termini regionali (non soltanto della Sicilia) e
naturalmente molti vocaboli del lessico dialettale siciliano. La lingua di Consolo
non è però un dialetto, come afferma lo scrittore stesso, ma: «l'immissione nel
codice linguistico nazionale di un materiale che non era registrato, è l'innesto di
vocaboli che sono stati espulsi e dimenticati».
5
Vi è infatti una presenza non
indifferente di oggetti della tradizione contadina e popolare, e ciò grazie alla
volontà di conservare la memoria di un mondo passato, perché è compito della
letteratura quello di conservare e rimembrare.
6
Sono questi vocaboli il frutto delle
ricerche storico-lessicali dell'autore.
Lo stile di Consolo è anche estremamente mutevole, pronto a piegarsi
alle molteplici esigenze degli svariati paesaggi del Sorriso. Ecco allora che
laddove la descrizione si sofferma sugli aspetti del quotidiano, la lingua assume i
caratteri del parlato popolare: il ritmo si fa serrato nel descrivere il trambusto, il
disordine, il tumulto della vita cittadina in ogni suo aspetto; la descrizione
coincide frequentemente con la mera elencazione, spesso priva di qualunque
segno di punteggiatura: «finestrelle balconi altane terrazzini tetti muriccioli
bastioni archi, acuti e tondi, fori che s'aprivano impensati, a caso, con tende panni
robe tovaglie moccichini sventolanti».
7
È un linguaggio in bilico tra poesia e
prosa, che riecheggia, in quelle pagine in cui la bellezza della natura siciliana
prende il sopravvento, la musicalità della tragedia greca: «Le montagne erano
nette nella messa di cupo cilestro contro il cielo mondo, viola parasceve. Vi si
distinguevano ancora le costole sanguigne delle rocche, le vene discendenti dei
torrenti, strette, slarganti in basso verso le fiumare; ai piedi, ai fianchi, le chiome
mobili, grigio argento degli ulivi, e qua e là, nel piano, i fuochi intensi della sulla,
5
G. T RAINA, Vincenzo Consolo, Cadmo, Fiesole (Fi), 2001, p. 55
6
V. C ONSOLO, Fuga dall’Etna, cit., p. 28
7
V. C ONSOLO, Il Sorriso,Oscar Mondadori, Classici Moderni Milano, 1997, cap. II, p. 31
15
dei papaveri, il giallo del frumento, l’azzurro tremulo del lino»
8
. Sono queste
pagine di grande lirismo in cui si nota una presenza imponente di figure retoriche:
dalla metafora, alla metonimia, dalla sineddoche alla paronomasia. Consolo
sfrutta al massimo le capacità della lingua italiana per rendere al meglio ogni
dettaglio: crea talvolta neologismi, fa uso di sinestesie o accosta vocaboli in
maniera apparentemente azzardata per esprimere al meglio anche le sfumature dei
colori. Nascono così sintagmi come: «l'azzurro tremulo del lino» o «viola di
parasceve».
Il barone di Mandralisca, uno scienziato naturalista che da giovane aveva
partecipato ai moti del ‘48, ottiene in dono da uno speziale di Lipari il 'Ritratto
d'ignoto' attribuito ad Antonello da Messina.
Partendo da questo avvenimento, apparentemente marginale, Il sorriso dell’ignoto
marinaio ricostruisce alcuni fatti che fecero da contorno nel 1860 allo storico
sbarco di Garibaldi in Sicilia. In particolare la narrazione si concentra sugli
avvenimenti che ebbero luogo ad Alcàra Li Fusi, sui Nébrodi, dove un gruppo di
contadini, avendo assalito e ucciso i dignitari locali, furono processati e
condannati dallo stesso governo di liberazione.
Analizzeremo adesso le descrizioni dei paesaggi del Sorriso.
1.1. I PAESAGGI.
Venne da poppa un vociare e lo sferragliare della catena dell'àncora che si
srotolava e sprofondava nell'acqua. Il bastimento era giunto a Olivèri, sotto
la rocca del Tìndari. Il marinaio lasciò il barone e si avviò con passo lesto
verso il trinchetto.
Il sole raggiante sopra la linea dell'orizzonte illuminava la rocca
prominente, col teatro, il ginnasio e il santuario in cima, a picco sopra la
grande distesa di acque e di terra. Era, questa spiaggia, un ricamo di ori e di
smalti. In lingue sinuose, in cerchi, in ghirigori, la rena gialla creava bacini,
canali, laghi, insenature. Le acque contenevano tutti gli azzurri, i verdi. Vi
8
Ivi.,cap. V, p. 101
16
crescevano canne e giunchi, muschi, muschiosi filamenti; vi nuotavano
grassi pesci, vi scivolavano pigri aironi e lenti gabbiani. Luceva sulla rena la
madreperla di mitili e conchiglie e il bianco d'asterie calcinate. Piccole
barche, dagli alberi senza vele, immobili sopra le acque stagne, fra le dune,
sembravano relitti di maree. Un'aria spessa, umida, con lo scirocco fermo,
visibile per certe nuvole basse, sottili e sfilacciate, gravava sopra la
spiaggia.
9
Enrico Pirajno barone di Mandralisca ritorna a casa, a Cefalù, da Lipari,
portando con sé il ritratto che lo speziale Carnevale ha acconsentito a cedergli. Sul
bastimento, approdato ad Oliveri, un giovane marinaio commenta col barone la
vicenda di un operaio delle cave di pomice, irrimediabilmente malato di silicosi,
diretto al santuario della Madonna Nera di Tindari. Ad introdurre questa parte del
testo a carattere descrittivo è innanzitutto, il tempo verbale. Si passa infatti dal
passato remoto all'imperfetto che, insieme al presente è considerato il tempo del
testo descrittivo per eccellenza. Presente e imperfetto sono infatti, tempi durativi,
non puntuali, o stativi e dunque adatti ad indicare stati d'animo che durano nel
tempo.
Come sempre Consolo presta grande attenzione al lessico e alla
disposizione delle parole.
Il brano presenta una discreta quantità di aggettivi qualificativi: /lesto/,
/raggiante/, /prominente/, /grande/, /sinuose/, /gialla/, /muschiosi/, /grassi/, /pigri/,
/lenti/, /immobili/, /spessa/, /umida/, /fermo/, /basse/, /sottili/, /sfilacciate/.
/Raggiante/ è participio presente di raggiare e ha qui funzione aggettivale.
/Prominente/ ha origine dal participio presente latino prominèntem di prominère
che vuol dire stendersi in fuori o in su. In italiano rimane solo la forma del
participio presente che ha esclusivamente valore di aggettivo.
9
V. C ONSOLO, Il Sorriso, cit., cap.I, p. 10
17
In dodici casi l'aggettivo è posposto
10
al nome a cui si riferisce: /lesto/,
/raggiante/, /prominente/, /gialla/, /immobili/, /spessa/, /umido/, /fermo/, /basse/,
/sottili/, /sfilacciate/: /passo lesto/ - /sole raggiante/ - /rocca prominente/ - /rena
gialla/ - /barche immobili/ - /aria spessa/ - /aria umida/ - /scirocco fermo/ - /nuvole
basse/ - /nuvole sottili/ - /nuvole sfilacciate/. Sei aggettivi sono invece anteposti
al nome a cui si riferiscono: /grande/, /muschiosi/, /grassi/, /pigri/, /lenti/,
/piccole/: /grande distesa/ - /muschiosi filamenti/ - /grassi pesci/ - /pigri aironi/ -
/lenti gabbiani/ - /piccole barche/.
Tra gli aggettivi presenti nel brano si distinguono tre aggettivi sostantivati:
/gli azzurri/, /i verdi/ «Le acque contenevano tutti gli azzurri, i verdi», /il bianco/
«il bianco d'asterie calcinate».
Non sono presenti sostantivi dal significato particolarmente oscuro; sono,
invece presenti due termini del linguaggio tecnico specialistico: il marinaro
/trinchetto/, che il Dizionario della lingua italiana De Mauro definisce come «1
nei velieri con tre o più alberi, il primo albero dal lato di prora; 2a il pennone
fissato a tale albero; 2b la vela quadra più bassa issata su tale albero» e /asterie/
dal singolare /asteria/, che il De Mauro definisce come «1 mineral., varietà di
corindone ricercato come gemma e caratterizzato da asterismo», «2 zool., stella
di mare del genere Asteria; con iniz. maiusc., genere della famiglia degli
Asteridi».
Il termine /rena/ viene preferito a /sabbia/. Tra i verbi si distingue la scelta
del termine di basso uso /luceva/ dall'intransitivo /lucere/ : «1 lett., rilucere,
risplendere. 2 fig., distinguersi per virtù, fama, bellezza e sim».
11
Si noti la sintassi di tipo paratattico; le frasi, spesso vere e proprie
elencazioni, sono ordinate per asindeto: «Il sole raggiante sopra la linea
10
L'aggettivo posposto è contrastivo, influisce sul nome a cui si riferisce alterandolo o
modificandolo; l'aggettivo preposto ha invece carattere decorativo (epiteton ornans era chiamato
dai grammatici latini), (H. STAMMERJOHANN, Tema-Rema in Italiano, Gunter Narr Verlag, 1986,
p. 190), sullo stesso argomento si veda anche A. L. LEPSCHY E G. L EPSCHY, La lingua italiana :
storia, varietà dell'uso, grammatica, Bompiani, Milano, 1981
11
DE MAURO, Il dizionario della lingua italiana De Mauro Paravia online,
www.demauroparavia.it
18
dell'orizzonte illuminava la rocca prominente, col teatro, il ginnasio e il santuario
in cima, a picco sopra la grande distesa di acque e di terra», «In lingue sinuose, in
cerchi, in ghirigori, la rena gialla creava bacini, canali, laghi, insenature. Le acque
contenevano tutti gli azzurri, i verdi», « Un'aria spessa, umida, con lo scirocco
fermo, visibile per certe nuvole basse, sottili e sfilacciate, gravava sopra la
spiaggia».
Si rileva la presenza di una metafora: «Era, questa spiaggia, un ricamo di
ori e di smalti» (Era, questa spiaggia, simile ad un ricamo di oro e di smalti).
La frase «Le acque contenevano tutti gli azzurri, i verdi» è una metonimia
che indica il concreto per l'astratto ( Le acque contenevano tutte le sfumature di
azzurro e di verde).
I sintagmi /Aria spessa/, /scirocco fermo/ e (scirocco) visibile sono da
considerarsi sinestesie in cui a sensazioni appartenenti al senso del tatto vengono
accostati termini appartenenti, tutti, al senso della vista.
Consolo attira l'attenzione del lettore inizialmente sul bastimento e sul
trambusto che si crea a poppa durante la manovra di attracco, poi la sposta verso il
referente della descrizione: la costa di Oliveri e la rocca di Tindari. Il barone di
Mandralisca, in un momento di stasi,
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mentre il bastimento si accinge ad
attraccare, osserva i luoghi che sono visibili dal suo punto di osservazione. Si
tratta di una descrizione di tipo topografico.
La descrizione segue un ordinamento spaziale che va dall'alto verso il
basso ( il sole, la linea dell'orizzonte, la rocca, il teatro ecc..fino alla spiaggia). Di
grande effetto la metafora riguardante la spiaggia «ricamo di ori e di smalti».Verso
la fine di questo passo, l'autore aggiunge alla tecnica descrittiva sensoriale basata
sulla vista, il senso del tatto, in cui spicca la sinestesia dell'«aria spessa».
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Secondo Hamon la descrizione equivale ad una interruzione del flusso narrativo per concentrarsi
sullo sguardo del personaggio. Il personaggio sarà, dunque, assorto dal paesaggio da lui
contemplato. L'interruzione della narrazione necessita allora di una giustificazione nel testo,
attraverso momenti di stasi che si esplicano in scene di attesa, di ozio forzato, personaggi curiosi o
sfaccendati (P. HAMON, Qu’est-ce qu’une description?, in «Poétique», no. 12, 1972. Trad. it. Cos’è
una descrizione, in Semiologia lessico leggibilità del testo narrativo , Parma, Pratiche, 1977, p.59)