II
E i motivi di questa centralità del teatro nella vita quotidiana
inglese sono i più vari, e tutt’oggi fanno parte della cultura
britannica. Anzi, probabilmente è questa appartenenza del teatro al
sistema culturale dell’Inghilterra – del passato come di quella
attuale – a farne una parte considerevole dell’analisi di una società.
Per quanto concerne il periodo di nostro esame, quello che copre i
regni delle dinastie Tudor e Stuart – per la precisione da Enrico
VIII a Carlo I, esso è sicuramente il più glorioso della storia del
teatro inglese; è infatti quello che ha consegnato alla storia i
drammi di Shakespeare e ha posto le basi per il primo sviluppo del
teatro professionale commerciale. La particolarità di tale periodo
storico del teatro sta nel fatto che la sua fioritura e la sua gloria
vanno, con ogni probabilità, imputati al rapporto osmotico che il
teatro elisabettiano ebbe con il potere monarchico. E si può parlare
di osmosi perché, se da un lato, senza la protezione e l’attività
propulsiva dei sovrani, il dramma elisabettiano non sarebbe stato
quell’esperienza unica che gli storici sono concordi nel ravvisarvi,
dall’altro, gli stessi regnanti utilizzarono la forza della scena per
creare una propria iconografia, per veicolare messaggi, per imporre
senso e consenso.
Senza dilungarsi, un solo altro esempio può essere sintomatico dei
rapporti diretti che il diritto e la politica ebbero con il teatro nel
Cinquecento inglese.
Il 1576 è considerato un anno di importanza storica per il teatro
mondiale, perché è in quell’anno che l’impresario James Burbage
costruì il primo teatro stabile pubblico europeo sin dai tempi
dell’impero romano. La costruzione del Theatre può benissimo
essere ricondotta a motivazioni politico – giuridiche. Infatti, è solo
III
grazie alla licenza accordata, qualche anno prima, da Elisabetta I
alla compagnia di Burbage, che l’impresario decise di compiere
questo passo epocale; inoltre, la scelta del luogo dove ubicare il
nuovo teatro derivò dalla necessità di eludere un atto legislativo. il
Theatre sorse, difatti, in una zona franca dalla giurisdizione del
consiglio comunale di Londra, proprio per non essere sottoposto
alla nota avversione per l’attività teatrale del potere civico e della
borghesia cittadina, entrambi fortemente condizionati
dall’ideologia puritana.
Il caso del Theatre dimostra come una ricerca giuridica sul teatro
elisabettiano possa essere veramente pregna di risultati e condurre
a delle riflessioni sul potere e la legge di grande attualità.
La prima parte del lavoro è stata dedicata al rapporto che il potere
monarchico intrattenne col teatro e con le forme spettacolari in
genere, utilizzando la forma drammatica dei cd. interludi per
veicolare messaggi politico – religiosi in epoca riformista e
facendo del teatro un mezzo per rappresentare la sovranità in
maniera teatrale e spettacolare, così da orientare le masse verso
“ l’ardua e costante venerazione del corpo politico . ”
Il secondo capitolo tratta del sistema della censura sulle opere
teatrali, nata dalla necessità di contenere gli eccessi comunicativi
della scena, in un periodo tanto delicato, a livello ideologico,
quanto quello della Riforma. La censura elisabettiana trovò,
nell’istituzione di un apposito censore statale, secolarizzato dal
potere ecclesiastico, un elemento caratterizzante unico nell’ambito
europeo coevo e moderno.
La terza parte della ricerca considera le implicazioni della copiosa
legislazione sull’attività teatrale, divenuta sempre più frequente
IV
dopo la nascita e lo sviluppo del teatro professionale. Un apposito
approfondimento, su atti normativi e paranormativi, è stato
dedicato al particolare conflitto di giurisdizione sul controllo delle
scene, che si creò, verso la fine del Seicento, fra il potere locale
della City di Londra e quello della corte reale, fino a risolversi
nella svolta autocratica dei sovrani Stuart.
L’ultimo capitolo è stato, infine, dedicato alla nascita del teatro
commerciale, e alle conseguenze giusprivatistiche nella
regolamentazione di questo nuovo soggetto. E’ proprio in epoca
elisabettiana che si assiste, infatti, al sorgere del primo diritto
commerciale applicato alle compagnie teatrali, organizzate come
società di persone, con un proprio capitale e con regole sociali
tipiche, nonché alla creazione della nuova figura dell’impresario
teatrale.
Per quanto concerne le fonti, la ricerca è stata orientata da fonti
bibliografiche, la maggior parte delle quali sono classici della
letteratura storica del teatro inglese, e da altre ricerche più recenti,
che gettano nuova luce sul fenomeno. Particolare attenzione è stata
riservata alle fonti normative in senso stretto. Soprattutto per
quanto concerne la regolamentazione giuridica del teatro, in
Appendice sono stati riportati la maggior parte dei provvedimenti
governativi e amministrativi in tema di attori, compagnie e teatri.
Attraverso l’analisi giuridica e politica del dramma elisabettiano, la
speranza è che il lettore possa cogliere, alla fine del percorso,
l’essenza unica e particolare di quest’epoca, così lontana dal nostro
sentire odierno, e che nel teatro trova un referente di non poco
conto, per una sua maggiore comprensione e istituzione di senso.
1
CAPITOLO I
La Scena del Re:
la forza iconica del teatro
come mezzo per consolidare il potere
“ Vivi per essere la meraviglia
e l'ammirazione del tuo tempo.”
( W. Shakespeare, Macbeth )
Il teatro rappresenta un paradigma privilegiato per comprendere
la politica – e in senso lato la vita – nell’età elisabettiana, considerato
il modo in cui i Tudor e gli Stuart utilizzarono la forza iconica della
scena teatrale per consolidare il potere e veicolare messaggi politici.
Scrive Foucault, in un saggio del 1976:
“Tradizionalmente il potere è cio che si vede,ciò che si mostra,ciò che si manifesta
e, in modo paradossale, trova il principio della sua forza nel gesto con cui la
ostenta.” 1
Se ciò è vero per qualsiasi forma di potere, lo è particolarmente in una
società in cui il potere è indissolubilmente legato a manifestazioni
pubbliche, che “sono eventi messi in scena, manifestazioni di potere
orchestrate, rappresentazioni studiate dell’autorità e della
comunità”2. La stessa Elisabetta I, d’altronde, dichiarava di fronte al
pubblico dei Lords e dei Comuni: “ Noi principi stiamo su un
palcoscenico, sotto gli occhi del mondo intero”, sottolineando,
1
M. Foucault, “Sorvegliare e punire” Einaudi, Torino, 1976, p.205
2
S. Mullaney, “The Place of the Stage” University of Chicago Press, 1988, p.23
2
appunto, l’ importanza della visibilità del potere monarchico.
Greenblat, in modo particolare, ha dimostrato come tale visibilità sia
costituita e mantenuta in maniera teatrale:
“ Il potere elisabettiano dipende dalla sua visibilità privilegiata”- scrive
Greenblat - “ Come in un teatro, il pubblico deve essere fortemente attratto da
questa presenza visibile ma allo stesso tempo dev’essere tenuto a una certa
rispettosa distanza. (…) Lo spettacolo dell’autorità dipende dagli spettatori –
‘poiché è il vostro pensiero che deve rivestire i nostri re’ – ma la rappresentazione
è fatta in modo da sembrare interamente fuori dal controllo di coloro la cui forza
fantastica in realtà le conferisce senso e forza.” 3
Se è vero quindi, da una parte, che “il teatro elisabettiano costituisce
un’esperienza unica e irripetibile, delimitata nel tempo e nello spazio,
e rimasta chiusa in ambito inglese” 4 proprio grazie alla protezione
del potere regale, è altrettanto vero che questo potere utilizza la forza
del teatro per mostrarsi, per creare una sua iconografia, e allo stesso
tempo per imporre e consolidare la propria forza coercitiva.
E’ quindi di un certo interesse, prima di addentrarsi nella parte più
propriamente giuridica dell’analisi del teatro elisabettiano, porre
l’attenzione su come il teatro possa essere stato non solo un risultato
da gestire e regolamentare, ma anche un mezzo di propaganda e
imposizione di senso e di consenso: prima con gli interludi di chiara
matrice politico-religiosa in periodo Riformista, quindi con le
cerimonie pubbliche, dove il sovrano si trovava attore al centro di una
rappresentazione solenne data al pubblico dei sudditi, ed infine con il
3
S. Greenblat, Invisible Bullets in “Political Shakespeare: New Essay in Cultural Materialism”,
Cornell University Press, 1985, p.44
4
L. Innocenti, “Il teatro elisabettiano” Il Mulino, Bologna, 1993, p.22
3
masque, in cui l’illusione scenica diviene strumento per l’apoteosi
della sovranità, il cui carattere divino si era trasformato in un “umano
spiegamento di meraviglie”.
Il teatro come mezzo di propaganda politico-religiosa
durante la Riforma
Fino ad Enrico VII, che aveva rinsaldato i legami con l’Europa
continentale dopo la Guerra delle Rose, lo sviluppo letterario – e di
conseguenza, teatrale – dell’Inghilterra aveva seguito gli stessi
percorsi saldamente fissati nell’Italia Rinascimentale, con la riscoperta
e la rappresentazione del teatro greco e latino.
La Riforma protestante del 1531, in seguito alla causa di divorzio
intentata da Enrico VIII contro Caterina d’Aragona, tuttavia, causa la
discesa di “un gelo sugli studi umanistici” 5. Ciò soprattutto poiché il
latino era la lingua tradizionale della Chiesa Cattolica Romana: per i
protestanti, il latino era la lingua del papa e quindi dell’Anticristo,
dell’idolatria e della superstizione; mentre il greco – lingua in cui
erano stati scritti ab origine i Vangeli – era la fonte della Verità.
Sposare la causa del latino significava poter essere accusati di eresia o
tradimento, sotto i monarchi protestanti - come lo stesso Enrico VIII,
o ancora Edoardo VI e successivamente Elisabetta I . Sotto un
monarca cattolico, come Maria I , poteva avvenire la stessa cosa per i
fautori del greco. Questo scisma linguistico comportò, per il teatro, il
ritorno ai vecchi modelli gotici pre-rinascimentali di costruzione del
dramma.
5
Cfr. G. Wickham, “Storia del Teatro”, Il Mulino, Bologna, 1989, p. 253
4
E’ in questo clima che si riafferma la forma drammatica
dell’interludio, “indoor entertainment for festive, social occasion” 6:
nato come prima forma drammatica elementare (sostanzialmente un
dialogo – dibattito, spesso su temi scolastici o d’attualità, mordace e
vivacemente arguto), storicamente è il primo caso di interesse del
dramma verso il testo piuttosto che sui costumi e la messinscena. Era
il teatro composto e rappresentato nelle scuole, nei colleges
universitari e negli Inn of Courts 7, le residenze londinesi di avvocati e
giudici: il vasto repertorio degli interludes, una volta rappresentato a
corte o nelle case dei nobili, veniva utilizzato dagli attori di basso
rango che giravano per le campagne.
Durante il regno di Enrico VIII, i temi trattati negli interludi sono
sempre più di scottante attualità e spesso oggetto di controversie
politiche e religiose. Wickham richiama la descrizione che Hall fa di
due interludi: nella descrizione del primo, scritto dall’avvocato John
Roo e rappresentato nel Natale del 1526 al Gray’s Inn, possiamo
cogliere chiaramente cosa il pubblico dell’epoca si aspettasse dal
messaggio subliminale di un dramma:
“ … the effecte of the plaie was, that lord governante was ruled by dissipacion and
negligence, by whose misgovernance and evill order, lady Publike wele was put
from governante: which caused Rumor Populi, Inward grudge, and distay of
6
G. Wickham, “Early English Stage – Volume One”, Columbia University Press, 1963, p. 234
7
Gli Inn of Court erano collegi per avvocati, di cui i più famosi erano il Gray’s Inn, il Lincoln’s
Inn e il Middle Temple, la cui attività culturale fu particolarmente importante per lo sviluppo del
dramma. In questi collegi, principalmente luogo di residenza e formazione culturale dei futuri
avvocati e giuristi, erano ammessi i giovani che provenivano da Oxford e Cambridge e che
volessero continuare gli studi. A questi studenti benestanti e aristocratici venivano insegnate la
musica, la danza e altre arti, e della loro educazione faceva parte l’allestimento di piccole
commedie. Gli spettacoli erano realizzati principalmente in occasioni festive, per onorare gli ospiti
o per celebrare avvenimenti importanti come le visite regali. (Cfr. O. G. Brockett, “Storia del
teatro”, Biblioteca Marsilio, Venezia, 1988, p. 178)
5
wanton soverignetie to rise with great multitude, to expell negligence and
dissipacion and to restore Publik welth again to her estate, which was so done” 8
Sempre secondo Hall, la risposta alla rappresentazione fu positiva da
parte di tutto il pubblico, tranne che dal Cardinale Wolsey, che vide sé
stesso rappresentato e spedì l’autore dritto in prigione, “toke from hym
his Coyfe” 9. L’altra faccia della medaglia è sempre narrata da Hall,
che descrive un interludio rappresentato dai ragazzi della Cattedrale di
St.Paul nel 1527, alla presenza di Enrico VIII e dell’ambasciatore
francese, diretto contro l’ ‘eretico Lutero’, in seguito al sacco di Roma
e alla prigionia del Papa e dei figli del Re di Francia nelle mani
dell’Imperatore. Nell’interludio, S.Pietro appare ad un Cardinale
ordinandogli di liberare il Papa e rifondare la Chiesa: questo allora
chiede aiuto ai re di Inghilterra e Francia che, messe assieme le
proprie forze, liberano il Papa. Quindi entrano in scena i figli del Re di
Francia, lamentando la scelleratezza dell’Imperatore e chiedendo al
Cardinale di essere anch’essi liberati, cosa che poi avverrà nel finale
grazie all’intercessione regia.
Ciò dimostra, secondo Wickham, come l’interludio, qualche anno
dopo, in piena Riforma, si sarebbe prestato a divenire un’arma nella
guerra religiosa fra Enrico VIII e Roma: infatti, sarebbe stato usato
non solo come propaganda in favore della Riforma, ma anche per
attaccare i suoi rivali storici, oltre che la Miracle Cycle e tutti i
drammi religiosi di derivazione cattolica. E’ sempre lo stesso Hall a
prevedere questo cambio di tono nel commentare i festeggiamenti
natalizi a corte del 1531, quando la causa di divorzio fra Caterina
8
Cfr. G. Wickham, “Early English Stage – Volume One”, Columbia University Press, 1963, p.237
9
Cfr. G. Wickham, “Early English Stage – Volume One”, Columbia University Press, 1963, p.237
6
d’Aragona e il re d’Inghilterra è prossima a creare la rottura con
Roma: il Natale, secondo il cronista, fu festeggiato “ con grande
solennità, ma tutti gli uomini dissero che non c’era allegria in questo
Natale, perché la Regina e le dame erano assenti.” Un chiaro presagio
della sostanziale modifica nei temi e contenuti delle plays, in seguito
alla Riforma.10
Nel 1537 gli studiosi del Christ’s College di Cambridge
rappresentarono il Papa come Anticristo nel dramma Pammachius,
dedicato da Thomas Kirchmayer all’arcivescovo Cranmer; e
nell’abitazione dello stesso Cranmer, John Bale, un ecclesiastico del
Suffolk, rappresentò la prima performance del violento King John,
dove la propaganda protestante viene portata all’eccesso. Nel dramma,
Bale crea un eroe - protagonista che è un principe che cade, non per
errore di giudizio, né per la colpevolezza della condotta personale, ma
per le pressioni delle circostanze esterne – nello specifico, una
macchinazione del Papa in collusione con il clero. Il re Giovanni è
presentato come un innocente, più vittima che colpevole, il cui fato –
morirà avvelenato da un monaco – è scritto nelle stelle. Al racconto
viene ‘attaccato’ da Bale un poscritto, volto ad illustrare il trionfo
finale di Enrico VIII su papa Clemente VII: ciò allo scopo di
adombrare la storia inglese, creando un parallelo tra Giovanni e
S.Giovanni Battista da una parte, e Enrico e Cristo dall’altra, tradendo
un più che palese intento propagandistico. E’ un fatto di primaria
importanza che il mecenate di Bale fosse il Lord Chancellor Thomas
Cronwell: già responsabili della soppressione dei monasteri e della
traduzione della Liturgia Catolica dal latino all’inglese, Cromwell e
10
Tutte le cronache di Hall sono riportate da G. Wickham in “Early English Stage – Volume One”,
Columbia University Press, 1963, pp.237-238
7
Cranmer avevano ‘colto al volo’ l’opportunità di trasformare il “more
flexible Interlude” in una forma alternativa di dramma religioso,
“ attraverso la quale portare il dramma religioso nel disprezzo e nello
scredito.” 11 Del resto, con la Riforma Protestante, la prima vittima
era stato proprio il teatro religioso: l’abolizione della festività del
Corpus Domini nel 1548 e la frammentaria, ma drastica riduzione dei
giorni dedicati ai santi che si accettavano come feste pubbliche,
avrebbero fatto mancare la ragione d’essere degli eventi teatrali a
queste connesse. Il vuoto creato dalla sparizione di queste festività
sarebbe stato poi colmato dagli attori professionisti.
Seguendo la strada del Pammachius e del King John, l’interludio
diveniva sempre più veicolo di messaggi relativi all’attualità religiosa:
nell’anno del matrimonio del re con Anna Bolena fu scritto un
dramma che si prendeva gioco dei cardinali; nel 1539 il primo attore-
martire, Spencer, prete divenuto interprete di interludi, viene bruciato
a Salisbury per le sue convinzioni eretiche sull’Eucarestia mentre
Sherman, il custode della Carpenter’s Hall di Londra, viene citato in
giudizio per aver acconsentito alla rappresentazione di un dramma “
in cui si inveiva contro i preti chiamandoli furfanti” 12. Nel 1542 Sir
Richard Morison suggeriva ad Enrico VIII la rappresentazione, al
posto dei tradizionali spettacoli di Maggio su Robin Hood e Lady
Marian, di drammi anti-papali, “ per mostrare ed affermare a chiare
lettere di fronte al popolo l’abominio e la scelleratezza del vescovo di
Roma, dei monaci, frati e gente simile, e per affermare l’obbedienza
11
G. Wickham, “Early English Stage – Volume One”, Columbia University Press, 1963, p.239
12
Cfr. M.C. Bradbrook, “The Rise of the Common Player”, Chatto and Windus, Londra, 1962, p.
27
8
dovuta al re ”. 13 E intanto, l’interludio a carattere religioso-politico,
introdotto da Cromwell e Cranmer, aveva superato i confini della
Corte e si era diffuso rapidamente in tutto il paese – ovunque
generando disordini – tanto che Thomas Wylley, vicario di Yoxford
nel Suffolk, scriveva questa lettera a Crownell chiedendo il suo
appoggio:
“ La maggior parte dei preti di Suffolk non mi riceverà nelle proprie chiese per
predicare, ma mi disdegna da quando ho composto un dramma contro i consiglieri
del Papa, Error, Colle Clogger of Conseyens, e Incredulyte.”14
La situazione cominciava ad essere poco gestibile e a sfuggire sempre
più di mano: effettivamente, come ha notato M.C. Bradbrook, “ che
un’opera teatrale potesse avere un carattere neutro sfuggiva alla
comprensione”. 15
Nel 1543, di conseguenza, il Parlamento approva un Atto con cui
proibisce “ le interpretazioni delle Scritture…contrarie alla dottrina
che è stata esposta, o che sarà esposta, da sua Maestà il Re”16: con
esso, lo Stato rivendicava a sé il diritto, fino ad allora della Chiesa, di
porsi come arbitro e sommo censore del teatro. Dopo un primo
periodo di relativa libertà di scrittura e rappresentazione – e durante il
quale la scena teatrale era stata pienamente utilizzata a fini di
propaganda politica e consolidamento delle scelte regali relative alle
questioni religiose - fu deciso quindi di usare il pugno di ferro, per
quanto l’atto non si riferisse al teatro in genere, disponendo che
13
Ibidem
14
G. Wickham, “Early English Stage – Volume One”, Columbia University Press, 1963, p.239
15
M.C. Bradbrook, “The Rise of the Common Player”, Chatto and Windus, Londra, 1962, p.28
16
Ibidem