2
Questo scritto nasce con l’esigenza di analizzare le cause e gli effetti del
comportamento deviante minorile e del disagio all’interno delle società
contemporanee, di esplorare un mondo conosciuto solo in superficie ma che
nasconde nel suo profondo una realtà ben precisa. Esso vuole rappresentare il
tentativo di raccogliere riflessioni sull’intervento e lo studio nel contesto della
giustizia minorile, tentando un approccio qualitativo nell’informare sul particolare
mondo dei minori deviati, del significato di tali disagi, nel loro rapporto con la
famiglia e con la legge, dando una attenzione particolare agli strumenti di
intervento dell’ordinamento, nel tentativo di capire quali essi siano e confrontando
la nuova giustizia minorile rispetto al passato e la riforma delle normative
procedurali riguardanti il sistema carcerario. Il tutto nella prospettiva di
individuare equilibri più coerenti all’interno di una risposta di giustizia che
intende proporsi nello stesso tempo come responsabilizzante e socializzativa.
Sulla base di tali idee guida, nei primi capitoli si esamineranno i tentativi di
spiegare il concetto di devianza minorile, confrontando fra loro le numerosi teorie
sociologiche e valutando in quali modi tali contributi siano ancora oggi utilizzati.
Verranno analizzati quelli che possono essere inquadrati come i presupposti di
una carriera deviante, spiegando la dimensione unitaria generale e sociale della
delinquenza minorile.
Seguirà uno sguardo approfondito ai contenuti che compongono lo sfondo
dell’intervento e delle risposte istituzionali della giustizia a tali problemi. Infine
nell’ultima parte si confronterà il mondo dei minori devianti stranieri che
subiscono non solo quelle che possono essere le “giuste” punizioni ad un
comportamento sbagliato, ma anche le difficoltà di non appartenere a quello Stato
che li punisce e spesso li disprezza. Si tenterà un ragionamento costruttivo che
possa far emergere la realtà del loro disagio e bisogni, delle speranze che nutrono,
queste piccole persone che spesso si trovano a contatto con le loro prime
esperienze delinquenziali e non avendo la capacità di gestirle e superarle,
potrebbero diventare un giorno futuri criminali.
3
CAPITOLO I:
“I PRESUPPOSTI SOCIOLOGICI
DELLA DEVIANZA MINORILE”
4
1.1. IL CONCETTO DI DEVIANZA MINORILE
Generalmente con il termine devianza si intende l’allontanamento da una norma,
dove il concetto di norma è definito dall’analisi del comportamento umano che
denota il margine o un insieme di comportamenti entro i quali rientra la normalità,
che confina con la devianza. La devianza non coincide con l’errore, ma implica un
dominio attinente alla sfera della volontà da parte del soggetto deviante,
sottintende la presenza di un concreto contrasto tra il comportamento e la norma,
in quanto è una categoria socio – psicologica che fa riferimento a tutte le forme
evidenti di trasgressione rilevanti in uno specifico contesto di rapporti
interpersonali e sociali.
La devianza può coincidere con la patologia, mentale o fisica che sia, può anche
essere l’esito di un processo di interazioni tra piano psicologico, sociale e
relazionale in cui non vi sono in un primo momento aspetti di devianza
1
; ma può
coincidere anche con la criminalità, dove l’allontanamento dalla normalità implica
l’allontanamento dal rispetto della legalità; piano di conoscenza necessario per
comprendere come si producano ruoli, identità sociali, controllo e comunicazione
sociale nello studio del crimine.
Quando si vuole indagare sul concetto di devianza, nello specifico in quella
minorile, ci si imbatte in implicazioni, che lo stesso aggettivo minorile determina:
il problema della punibilità, quello della distinzione tra devianza minorile e
devianza in senso lato, ed inoltre essendo gli adulti a stabilire quelle norme che se
violate comportano per il soggetto l’etichettatura di “minore deviante”, anche la
difficoltà di infonderle nel soggetto poiché per lui risultano esterne ed estranee.
Infatti, per G. Milanesi essa corrisponde: “[…] ad una radicale difficoltà a
gestire le contraddizioni dei processi di socializzazione, di identificazione e
maturazione complessiva verso l’età adulta.”
2
1
Matza D., Becoming Deviant, Ed. Prentice Hall, New Jersey, 1969, trad. it. Come si diventa
devianti, Ed. Il Mulino, Bologna, 1976, p. 105.
2
Milanesi G., Devianza, voce in F. Demarchi, A. Ellena, B. Cattarinussi , in “Nuovo dizionario di
sociologia”, Ed. Paoline, Milano, 1987.
5
Per tutti questi motivi si afferma che la devianza minorile si manifesta in una
superficie mutevole di condizioni sociali e di circostanze storiche: non ha un volto
specifico, ma si configura nello specchio che la società riflette in un dato
momento.
Non vi è una risposta definitiva ai perché che sono alla base della devianza
minorile, anche se il grande lavoro scientifico, svolto negli ultimi anni, ha
contribuito a sviluppare molti aspetti relativi alla comprensione di tali
comportamenti, alle condizioni fisiche e psicologiche degli autori di tali atti e alle
influenze sociali, familiari e culturali. Da ciò ne deriva che l’odierno concetto di
devianza ha alla base studi e pensieri diversi tra loro, ma che concordano
nell’affermare che con il termine devianza non si intende una categoria che
descrive soggetti o comportamenti specifici, ma coglie e racchiude in sé quelle
forme relazionali e interattive che si collegano a determinati comportamenti e
soggetti: quando la connessione di tali fattori assume la configurazione di una
trasgressione, allora si parla di devianza.
La complessità dell’approccio al concetto di devianza emerge anche dall’analisi di
alcune sue caratteristiche fondamentali, che possono essere così racchiuse:
- la devianza è definibile come un’analisi delle forme interattive, simboliche
e relazionali che collegano fra loro determinati soggetti – comportamenti –
regole - risposte sociali;
- quando dalla connessione di tali elementi emerge una rilevante
trasgressione, di entità tale da attivare sanzioni simboliche, si produrrà la
forma sociale di devianza;
- scientificamente la devianza è lo scenario di tali processi, e non può essere
quindi attribuita ad un singolo soggetto o comportamento;
- elemento cruciale di tale studio è l’analisi degli effetti comunicazionali,
interpersonali e sociali dei soggetti che interagiscono con le regole; la
devianza amplifica la comunicazione, per l’autore del comportamento la
scelta della devianza è una modalità per rendere più evidente il suo
messaggio e per affermare la propria identità
3
. Parlare della devianza come
comunicazione significa parlare di una comunicazione composita e
3
Pitch T., La devianza, La Nuova Italia, Firenze, 1989, p. 112.
6
complessa, che contiene sia la possibilità di veicolare messaggi, ma anche
la possibilità che l’azione venga tradotta in “rumore”;
- la devianza si produce attraverso propri effetti, tipici di ogni contesto
culturale;
- è fondamentale distinguere i soggetti che assumono o assumeranno ruoli
devianti da coloro che assumono o assumeranno il controllo di tali
comportamenti, definiti come ragazzi difficili
4
;
- la devianza può produrre dei vantaggi, come il fornire la possibilità di
studiare e capire crisi dell’identità o consentire la definizione di status in
specifici contesti.
Al concetto di devianza è accompagnato e affiancato spesso il termine di
“disagio”, parola che può alludere a situazioni e a comportamenti differenti
5
, di
cui si trovano diverse definizioni nella letteratura scientifica, tra le tante la più
significativa afferma che con essa si intende: “[…] la manifestazione presso le
nuove generazioni della difficoltà di assolvere ai compiti evolutivi che vengono
richiesti dal contesto sociale per il conseguimento dell’identità personale e per la
acquisizione delle abilità necessarie alla soddisfacente gestione delle relazioni
quotidiane.”
6
Una definizione che centra in pieno una crescente problematica che si succede in
tappe che vanno da un diffuso malessere dell’individuo fino a giungere ad un
conclamato conflitto sociale.
4
Bertolini P. – Baronia L., Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, La
Nuova Italia, Firenze, 1993.
5
Renato M., Nuove forme di emarginazione. Figure professionali emergenti e strumenti formativi,
in AA.VV., Disagio giovanile e nuove prospettive del lavoro sociale, Grafic House Ed., Venezia,
1995, p. 52: «… le varie forme di disagio sfuggono ad una quantificazione precisa, proprio perché
il disagio si riferisce in prima istanza ad una somma di vissuti soggettivi che includono sofferenza,
frustrazione, insoddisfazione ed alienazione riferibili genericamente all’insieme delle condizioni
obiettivamente difficili che pesano sui processi di maturazione personale e di inserimento sociale
dei giovani. In questo senso, disagio è l’incapacità di governare razionalmente la complessità e le
contraddizioni della vita quotidiana, per chi è meno attrezzato di strumenti per la comprensione del
territorio e del suo governo, a causa delle carenze personali nei processi di socializzazione, di
apprendimento delle norme e dei valori e delle relazioni interpersonali».
6
Neresini F. – Ranci C., Disagio giovanile e politiche sociali, La Nuova Italia Scientifica, Roma,
1992, p. 9.
7
Come si vedrà nei paragrafi susseguenti, nel passato e nel presente più recente il
fenomeno della devianza, designato sempre con termini diversi, che sia crimine o
delinquenza, è stato oggetto di varie teorie e ricerche di natura sociologica e non
solo, che hanno tentato di ricostruire il contesto storico, i concetti, i vari modelli
interpretativi e le metodologie utilizzate per spiegare e comprendere al meglio tali
eventi
7
.
7
De Leo G. – Patrizi P., Trattare con adolescenti devianti, Carocci, Roma, 1999, p. 22.