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siano fondamentali elementi in gioco anche le politiche attuate nei confronti del sistema
sanitario nazionale e la scarsa priorità a questo attribuita a vantaggio di altri obiettivi
considerati punti chiave come la stabilizzazione macroeconomica.
Il lavoro si articola in particolare in sei capitoli. Nel primo vengono illustrati tratti
distintivi della crisi economica e sociale che ha colpito le aree dell'ex Unione Sovietica
mentre nel capitolo successivo si approfondiscono gli aspetti legati al drammatico
innalzamento verificatosi nei tassi di mortalità; il terzo capitolo esamina poi le principali
spiegazioni fornite in letteratura del fenomeno demografico sovietico; in seguito si
delineano i processi e le riforme orientate verso liberalizzazione e privatizzazione che i tre
paesi in oggetto hanno intrapreso con diverse modalità e altrettanto diversi tempi di
attuazione negli anni '90. Nella quinta sezione della tesi si indicano poi le riforme relative
al settore sanitario come una delle con-cause principali del declino delle aspettative e della
qualità della vita. Infine, nell'ultimo capitolo, utilizzando un metodo innovativo introdotto
recentemente da Christopher Davis (Oxford University), si vuole determinare l'efficacia o
meno dei sistemi sanitari russo, bielorusso e ucraino nel decennio che va dal 1997 al 2007
e dimostrare statisticamente tramite una regressione multivariata come gli sforzi tesi ad
aumentare la spesa sanitaria di un dato paese abbiano un'influenza positiva
sull'abbassamento dei tassi di mortalità del paese stesso.
La scelta dei Paesi: come mai Russia, Ucraina e Bielorussia
Si tratta innanzitutto di aree tra loro confinanti e che possono essere perciò facilmente
equiparate per caratteristiche sociali e demografiche della popolazione. Vengono infatti
classificate come appartenenti alla stessa area anche dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità (WHO), che le colloca sotto la denominazione della parte occidentale della
Comunità degli Stati Indipendenti (West CSI).
Questi tre stati sono oggetto della trattazione poiché due di essi – Russia e Ucraina – sono
stati protagonisti di un rapido processo di privatizzazione, liberalizzazione e (tentata)
stabilizzazione economica nei primi anni '90, processo profondamente diverso da quello
affrontato dalla Bielorussia, che ha rifiutato gran parte delle indicazioni del Fondo
Monetario Internazionale, mantenendo un'impostazione più tradizionalmente sovietica e
conservando gran parte degli apparati pubblici esistenti.
7
Risulta dunque interessante confrontare i risultati ottenuti sul piano sanitario da paesi ed
economie che hanno scelto ed intrapreso strade così diametralmente opposte - gli uni
risultando i “campioni” della terapia d'urto e l'altro ignorandola quasi completamente – per
quanto riguarda i metodi, gli obiettivi e le velocità ritenuti adeguati per raggiungere una
propria autonomia ed una maggiore stabilità economica e sociale.
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1) CRISI DI MORTALITA’ E TRANSIZIONE
1.1 LA DIAGNOSI
La caduta del muro di Berlino il 9 novembre del 1989 ha segnato l'inizio di una delle più
importanti transizioni economiche di tutti i tempi, per la quale si parla anche di secondo
coraggioso esperimento economico e sociale del XX secolo (il primo è rappresentato dal
passaggio contrario, la transizione volontaria cioè della Russia al comunismo molti decenni
prima).
Alla base del crollo del grande impero sovietico si collocano da un punto di vista interno, i
sistemi ad economia pianificata che hanno fallito, a causa della loro rigida struttura
istituzionale, l'obiettivo di modernizzare il proprio sistema economico, non riuscendo a
raggiungere una società a consumi di massa; da un punto di vista esterno, invece, lo
sviluppo di un sistema di informazione globale ha fatto cadere l'isolamento informativo in
cui erano tenute le popolazioni di questi paesi; in tal modo essi hanno potuto comparare il
loro modello di vita con quello di altri paesi rendendosi conto di come un sistema che
aveva promesso di superare in termini di migliori condizioni di vita quegli stessi paesi,
avesse fallito un tale obiettivo. La cosa che più ha sorpreso gli osservatori è stata la totale
pacificità con cui il passaggio è avvenuto. Era quasi implicito, infatti, che la fine del
comunismo sovietico sarebbe avvenuta attraverso atti di violenza e con un inevitabile
bagno di sangue; al contrario, la sua caduta è stata sostanzialmente pacifica, considerata la
scala degli avvenimenti. In molti indicano l'assenza o presenza dell'istituto giuridico della
proprietà privata dei mezzi di produzione come discriminante delle modalità di uscita dal
regime autoritario precedente: i problemi che hanno dovuto affrontare i riformatori dell'est
europeo sono stati, oltre alla stabilizzazione economica, la distruzione dell'apparato di
pianificazione centrale ed il processo di privatizzazione di tutto lo stock di capitale, dalla
terra alle fabbriche alle abitazioni.
Nel processo di trasformazione si è verificato così un “paradosso apparente” (Caselli 1997)
che consiste nella condizione che tutte le riforme dovevano da un lato essere adottate
contemporaneamente per evitare che una introduzione graduale potesse condurre il
processo di transizione lontano dall'obiettivo prefissato; ma d'altra parte, l'introduzione
rapida e simultanea delle riforme, in assenza delle condizioni sociopolitiche proprie di un
paese capitalistico, comporta il rischio di un loro fallimento.
9
Questa seconda transizione nella quasi totalità dei paesi ex comunisti non è tuttora
terminata ma non si tratta di un azzardo affermare che i risultati siano stati decisamente al
di sotto delle aspettative e che, per la maggior parte dei cittadini ex sovietici, la vita
economica (ma non solo) sotto il capitalismo-shock apparso nelle loro esistenze sia
addirittura peggiorata.
I redditi dell'ex blocco sovietico risultavano all'inizio del nuovo millennio decisamente
inferiori a quelli percepiti dieci anni prima e la parte di popolazione che vive sotto la soglia
di povertà è molto aumentata. I pessimisti vedono il paese come una potenza nucleare che
vacilla a causa della sua instabilità politica e sociale; i più ottimisti vedono una leadership
semi-autoritaria impegnata a ripristinare la stabilità, ma al prezzo della perdita di alcune
libertà democratiche (Stiglitz, 2002). E' insomma chiaro come qualcosa abbia
compromesso i processi di transizione che hanno coinvolto nei primi anni '90 più di venti
paesi affiorati alla superficie dopo l'affondamento dell'URSS, paesi per i quali la
transizione dal comunismo all'economia di mercato è stata più che un semplice
esperimento economico, si è trattato infatti di una trasformazione della società e delle sue
strutture sociali e politiche il cui mancato riconoscimento è stato probabilmente la causa di
fondo degli esiti negativi ottenuti. La cartina di tornasole degli effetti indesiderati della
transizione è costituita dalle elezioni che hanno avuto luogo nell'Europa orientale: quando i
vantaggi delle riforme di mercato non si sono materializzati, infatti, i cittadini hanno
bocciato i partiti che maggiormente erano stati sostenitori delle riforme, indicando come
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8.000
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14.000
GDP pro capite, PPP ($)
Belarus
Russian Federation
Ukraine
Illustrazione 1: Fonte: UNICEF transMONEE database, 2007
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loro rappresentanti al potere gli schieramenti socialdemocratici o addirittura partiti
comunisti riformati, guidati da ex comunisti.
Molti dei problemi a cui sono andati incontro gli stati protagonisti della transizione
discendono dal fatto che in essi erano presenti istituzioni con nomi simili a quelle
occidentali, ma che svolgevano diverse funzioni. In URSS ad esempio esistevano le
banche, ma queste non potevano decidere a chi erogare i prestiti, né erano tenute a
verificare che i prestiti fossero restituiti. Esistevano imprese che producevano merci ma
non potevano prendere decisioni riguardo cosa produrre o con che mezzi farlo. Questo tipo
di pianificazione dava luogo a commerci illegali da parte dei cittadini, che tentavano così
di arrotondare i loro compensi, dando il via come logica conseguenza anche ad una diffusa
corruzione, andata sempre aumentando con la progressiva transizione verso l'economia di
mercato.
Le attività finanziarie, le attività di impresa, le attività di scambio erano regolate da
istituzioni il cui funzionamento è stato ignorato dai programmi di transizione, che hanno
rimosso quelle presenti senza creare una struttura che potesse attutire il forte impatto del
cambiamento e al contempo dare vita a nuove entità amministrative: è essenziale che
esistano dei sistemi giurdici in grado di garantire che i contratti vengano rispettati, che le
vertenze commerciali vengano risolte in maniera ordinata, che la concorrenza sia
salvaguardata. Nelle nazioni più mature dal punto di vista capitalistico, le istituzioni
giuridiche e normative erano state costruite nell'arco di un secolo e mezzo, ma invece che
imparare dagli errori del passato, i fautori della transizione rapida tennero in scarsa
considerazione le esperienze precedenti.
1.2 TERAPIA D'URTO E TERAPIA GRADUALE
Tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 in Russia vi furono accesi dibattiti su
quale strada fosse necessario intraprendere per traghettare le economie pianificate verso il
libero mercato. Il nodo più grosso era costituito dalla rapidità delle riforme: alcuni esperti
temevano che se non avessero privatizzato velocemente creando un vasto gruppo di
persone con interessi individuali verso assetti più capitalistici, si sarebbe verificata una
regressione al comunismo (scuola della terapia d'urto); altri però temevano che, agendo
con troppa fretta, le riforme sarebbero risultate fallimentari e avrebbero aperto la strada ad
una reazione violenta da parte delle frange più estremiste degli schieramenti politici
(scuola gradualista).
11
L'opinione che prevalse fu quella della terapia shock o d'urto, sostenuta fortemente anche
dal governo americano e dall'FMI; le riforme presero il via a gran velocità, dunque, nella
maggior parte dei paesi coinvolti. Mentre, come già detto, i gradualisti ritenevano che il
periodo di transizione potesse portare ad esisti più favorevoli se si fosse proceduto ad una
velocità moderata e seguendo un dato ordine prestabilito, gli architetti della riforma
iniziarono, per esempio, a liberalizzare i prezzi in modo febbrile nel 1992, mettendo in
moto un'inflazione mensile a due cifre e innescando un meccanismo per cui per ridurre
l'inflazione occorreva inasprire la politica monetaria aumentando i tassi di interesse. Non
era necessario porre in essere da subito istituzioni perfette, ma azioni intraprese, come
quella di privatizzare un monopolio prima di avere istituito un'unità di controllo o garante
della concorrenza, hanno significato semplicemente sostituire al precedente monopolio di
stato un monopolio privato, dimostrando la mancanza di lungimiranza di chi ha condotto le
riforme.
Il piano di transizione classico è generalmente concepito per essere composto da tre parti:
la stabilizzazione macroeconomica; la liberalizzazione dei prezzi con eliminazione di
controlli burocratici all'attività economica e liberalizzazione del commercio estero; infine,
la ristrutturazione istituzionale fondamentale (privatizzazione delle imprese, istituzione
della borsa valori, ristrutturazione del settore bancario, riforma del sistema tributario). In
particolare, sono le ultime due categorie di azioni a costituire la vera e propria
trasformazione sistemica. In un processo del genere, l'attività degli organismi di governo
ha una duplice funzione, ovvero quella di abolire l'apparato economico ed istituzionale
precedente e contemporaneamente quella di costruire un'economia di mercato con tutto
l'apparato istituzionale che ne permetta e ne agevoli il funzionamento. Un altro aspetto
importante del classico paradigma del processo di transizione riguarda la durata di questo,
che in genere deve avvenire in un lasso di tempo molto breve. In questo senso, sono molto
semplificate le modalità con cui i cittadini sottoposti al processo di trasformazione
apprendono le nuove regole del sistema, abbandonando le routine comportamentali proprie
dell'assetto pianificato e adottando regole di comportamento proprie di un'economia
capitalistica: tale cambiamento viene considerato una necessaria conseguenza della rapida
applicazione dell'insieme delle misure citate (Caselli, 2000).
Nella logica dei riformatori liberali eltsiniani la privatizzazione di massa, insieme alla
liberalizzazione dei prezzi, avrebbe rappresentato la misura più importante per innescare il
cambiamento comportamentale che doveva costituire il solido ponte sul quale attraversare
la palude che separa il comunismo sovietico dal nuovo capitalismo russo. Secondo le menti
12
dietro il processo di transizione, la nuova economia di mercato non avrebbe potuto fare
altro, in una logica quasi deterministica, se non indurre comportamenti virtuosi nei nuovi
proprietari, nelle nuove istituzioni, nei nuovi cittadini.
I pilastri della strategia basata su su riforme radicali ed in line con il Washington
Consensus erano in effetti costituiti dalla liberalizzazione, dalla stabilizzazione e dalla
privatizzazione rapida, ma le prime due componenti posero in essere alcuni ostacoli
insormontabili perché venisse attuata in modo efficace la terza: l'inflazione vertiginosa dei
primi anni aveva finito con l'azzerare i risparmi di molti cittadini in Russia come in
Ucraina come in tutte le repubbliche ex sovietiche, in modo che fossero pochi quelli che
disponevano delle somme necessarie per acquistare le attività che venivano privatizzate ma
anche qualora si fossero potuti permettere di acquistarle, avrebbero incontrato grandi
difficoltà a rivitalizzarle a causa del livello elevato di tassi di interesse e della mancanza di
istituzioni finanziarie in grado di fornire il capitale.
Il programma di stabilizzazione/liberalizzazione/privatizzazione non è stato dunque un
programma che abbia raggiunto gli obiettivi prefissati di crescita. Era nato per creare le
condizioni necessarie per la crescita e ha finito invece per creare quelle più propizie per il
crollo; non soltanto ha avuto l'effetto di bloccare gli investimenti, ma ha avuto come
conseguenze i risparmi vaporizzati dall'inflazione e i ricavi della privatizzazione e gli
scarsi redditi creati entro i confini spostati in rifugi più sicuri e redditizi come il mercato
azionario statunitense o riservate banche off-shore.
Il rapido aumento della produzione atteso ex ante non si verificò e le aspettative di crescita
rimasero irrealizzate in tutti stati sottoposti alla terapia shock. All'inizio del 2000
solamente alcuni stati come Polonia, Ungheria, Slovenia e Repubblica Ceca hanno hanno
raggiunto il livello del PIL allo stesso di dieci anni prima: il PIL della Russia e della
Bielorussia nel 2000 equivaleva a circa i due terzi di quello del 1989 e quello dell'Ucraina
era pari ad addirittura un terzo rispetto a quello di dieci anni prima.
I riformatori neoliberali non si erano preoccupati del fatto che i nuovi proprietari non
avevano in genere alcuna esperienza di mercato, se non quello relativo agli scambi illegali
sottobanco, nè del fatto che generalmente il loro bagaglio tecnico e culturale così come le
loro relazioni politiche e commerciali si fossero formate all'interno di un sistema
pianificato durato più di 70 anni, dopo secoli di autocrazia zarista e con un solo breve
periodo di sviluppo capitalistico dal 1880 fino alla Prima Guerra Mondiale. E infatti, come
i gradualisti avevano ampiamente previsto, i primi proprietari hanno creato nei primi anni
'90 un sistema economico che ben poco aveva ed ha da spartire con le previsioni dei
13
riformatori più radicali, i quali spesso si trovano oggi ad accusare l'eredità lasciata dal
precedente sistema come colpevole degli effetti "imprevisti" provocati dalle loro stesse
misure di riforma.
Come già sottolineato questi risultati - imprevedibili per chi era guidato da un apparato
concettuale estremamente semplificato - erano immaginabili e in una certa misura
prevedibili da un approccio più storicamente informato e istituzionale, consapevole che per
creare una economia capitalistica era necessaria la precedente creazione di una pubblica
amministrazione autonoma, da un lato, e di un apparato statale funzionante dall'altro,
problema che i riformatori cinesi, per citare il caso probabilmente più riuscito di
transizione ad economia di mercato, hanno affrontato con un orizzonte temporale molto
più ampio. Ciò che molti critici sostengono è che i riformatori russi hanno trascurato il
fatto che il processo di distruzione dell'apparato di pianificazione, la privatizzazione delle
aziende statali e della terra e la liberalizzazione dei prezzi, né creano automaticamente le
istituzioni proprie di un'economia capitalistica, né fanno nascere in una notte cittadini e
imprenditori pronti ad operare in un'economia di mercato (Caselli, 2000). Non è stato
insomma concesso ai russi e agli altri popoli ex-sovietici il tempo necessario per adattarsi
ed imparare ad operare in un contesto totalmente diverso da quello a cui erano abituati.
Mentre nell'ottica dei riformatori liberali le leggi naturali del comportamento economico
attendevano solamente di essere liberate dalle catene del sistema di pianificazione
centralizzata per poter dispiegare le loro potenzialità di crescita e riportare così la Russia ai
livelli dei paesi OECD, si è verificato un netto calo de i risultati dei paesi che hanno
attraversato la transizione, defiance che sembrava essere stata superata nel 96-97 e che
invece si è di nuovo acuita a causa della crisi finanziaria che ha colpito gravemente la
Russia nell'agosto del 1998.
La seguente affermazione del 1996 attribuita ad Anatoli Chubais, uno dei principali
ideatori del processo di privatizzazione russo, è un esempio molto chiaro delle convinzioni
dei riformatori sostenitori della shock therapy.
"They steal and steal and steal,” Chubais complained of the country’s
businessmen and their routinely corrupt practices. “They are stealing absolutely
everything and it is impossible to stop them. But let them steal and take their
property. They will then become owners and decent administrators of this
property.” (Freeland, 2000, p. 70)
La privatizzazione delle imprese statali ha aumentato le opportunità per la creazione di
ricchezza, ma ha anche creato, data la conclamata assenza di sistemi di governance
14
efficienti, un grande varco per le opportunità di comportamenti illegali. Alcuni studi (Hoff,
Stiglitz, 2002, 2004) evidenziano come il teorema di Coase sull'emergere quasi spontaneo
di efficaci regole di mercato non sia sempre applicabile: anche quando per tutti gli agenti è
conveniente perseguire il profitto in uno stato di rule of law piuttosto che spogliare gli
asset in un contesto senza leggi, una volta che uno o più agenti hanno intrapreso il percorso
della distruzione di valore, molti di loro se non tutti avranno un interesse nel prolungare
l'esistenza di uno stato debole e corrotto che non sia in grado o non voglia interferire con i
loro crimini; e questo è esattamente quello che è successo nll'ex Unione Sovietica.
Illustrazione 2b: Fonte: World Bank World Development Indicators DataBase 2007
1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
0
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200.000.000.000
300.000.000.000
400.000.000.000
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600.000.000.000
GDP ($)
Ukraine
Russian Federation
Belarus
Illustrazione 2a:Fonte: World Bank World Development Indicators DataBase 2007
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I dati puramente economici di aggregati come il GDP sottovalutano un aspetto
fondamentale della crisi scoppiata con l'inizio del ventesimo secolo: il grande aumento
della povertà e della disuguaglianza. Adottando come parametro la soglia dei due dollari al
giorno, nel 1989 solamente il 2% della popolazione russa viveva in povertà; alla fine del
1998 questa cifra era balzata al 23,8% e secondo uno studio della World Bank, più del 40%
dei cittadini disponeva di meno di 4 dollari al giorno per vivere; nel 200 il 32% dei
cittadini ucraini e il 42% di quelli bielorussi viveva sotto la soglia di povertà. Inoltre, i dati
della Banca Mondiale mostrano che in Ucraina nel 1999 al quintile più basso della
popolazione faceva capo una quota di reddito dell'8,8%, ed anche in Bielorussia al 20%
meno abbiente della popolazione corrispondeva l'8,47% del reddito totale; in Russia
addirittura il 4,92.
1.3 IL COLLASSO
Tra il 1989-90 in URSS la produzione industriale cala bruscamente del 9%. Non solo i beni
prodotti sono di meno, ma divengono anche molto più difficili da ottenere: alla fine del
1990 spesso erano disponibili solo in cambio di altri beni, gran parte delle transazioni
iniziano così a verificarsi tramite il baratto (è interessante segnalare che poiché si stima che
circa il 50% delle transazioni industriali avvenisse tramite lo scambio di beni e poiché i
prezzi di mercato erano generalmente più alti dei prezzi di baratto, le statistiche forniscono
addirittura una visione per difetto del declino). Inoltre, nonostante l'Unione Sovietica fosse
il più grande produttore di petrolio al mondo, una grave mancanza di benzina colpì gli
automobilisti e la carenza di combustibile per gli aerei portò ad una estesa cancellazione
dei voli interni.
I tentativi fino al 1990da parte del governo di mantenere la stabilità economica falliscono
palesemente e alla fine del decennio i prezzi salgono bruscamente: l'inflazione diventa
molto forte arrivando a toccare il 100% nell'estate del 1991. All'inizio degli anni '80
l'URSS godeva di un alto credit rating ma per la fine degli anni '90 la situazione era
terribilmente peggiorata, tanto da mettere le imprese estere in condizione di essere molto
caute e poco propense ad avviare relazioni commerciali e più in generale ad effettuare
investimenti nell'ex URSS.
Secondo le autorità le aspettative per il futuro erano decisamente tendenti al ribasso
(alcuni esperti del Gosplan pensano che molto probabilmente dal 1991 la fame ed il freddo
avrebbero portato il diffondersi di malattie ed epidemie che sarebbero state incontrollabili a
16
causa della disorganizzazione del sistema sanitario) e i crimini registrati aumentarono
drammaticamente a partire dal 1989 (+32%, nel 1990 +13%): più di 24000 omicidi o
tentati omicidi furono registrati; corruzione e concussione diventano circostanze
quotidiane.
A tutto questo andava ad aggiungersi la pessima situazione ambientale: alti livelli di
sostanze velenose vengono riscontrati nelle acque dell'USSR nel 1990 in più di 3.600 casi.
Il peggioramento economico naturalmente portò in breve tempo ad un tentativo di massa di
abbandonare la nave prima che affondasse: nonostante lasciare il paese fosse estremamente
complicato (le complesse procedure richieste per ottenere il passaporto facevano il
possesso di questo un privilegio riservato a pochi) furono più di 400.000 i cittadini
sovietici che lasciano il loro paese nel solo 1990.
Fino al 1992 il collasso del sistema sovietico è stato solamente parziale ma cambiamenti
quali il rilassamento della censura, l'emergere di media e partiti indipendenti contribuirono
a creare un importante clima di delegittimazione dell'ordine sociale nelle menti di molti
cittadini sovietici.
Questo aspetto è interessante non solo da un punto di vista storico ma anche da una
prospettiva legata alle scienze sociali. Il collasso economico è stato infatti in parte il frutto
dei cambiamenti politici che Gorbachev introdusse. Questi cambiamenti avrebbero dovuto
distribuire/liberare il fattore umano nel contesto dello sviluppo economico e condurre ad
una rapida crescita economica. Nei fatti però i cambiamenti hanno rimosso la forza motrice
(la pressione dall'esterno) che aveva costituito la propulsione dell'economia sovietica nei
decenni precedenti, senza sostituirla con un adeguato successore. Ecco quindi che non
appena le riforme politiche diventarono più radicali, l'economia intera andò incontro ad un
vero e proprio collasso.
Il drammatico collasso economico che ha colpito l'USSRa partire dal 1989 ha due aspetti
principali:
La depressione e la parziale disintegrazione del sistema economico sovietico;
Un più esteso deterioramento dell'intero sistema socio-politico creato alla fine
degli anni '20.
Per quanto riguarda il disastro economico della fine degli anni '80, questo non è stato il
risultato inevitabile di un sistema economico fatalmente difettoso. Sicuramente alcune
caratteristiche del sistema hanno giocato a favore del crollo (la difficoltà di mantenere un
indefinito grado di pressione esterna, l'inevitabile perdita di controllo all'ingrandirsi
dell'organizzazione) ma il contributo maggiore al collasso economico è stato portato dalle