Tutte le crisi finanziarie cominciano con qualche innovazione ingegneristica o
finanziaria che crea grandi profitti e aspettative di profitto e che fa pensare che le
vecchie regole di prudenza non valgano più. Quando i prezzi degli attivi smettono
di crescere per ragioni intrinseche o shocks esterni, tutti gli intermediari finanziari
esposti registrano perdite o falliscono.
Si parla da oltre un anno di “crisi finanziaria mondiale”, originata dalla “bolla
immobiliare” e dalla “crisi dei mutui subprime americani”. Che non si tratti di un
fenomeno lontano, di scarso interesse per noi comuni “mortali”, abbiamo
cominciato a percepirlo quando abbiamo visto in pericolo la solidità e l'affidabilità
delle nostre banche e quindi dei nostri risparmi.
Ma pare che non sia tutto! Se gli interventi dei Governi sembrano, si spera, aver
scongiurato il rischio di fallimenti a catena degli istituti bancari, ora la
preoccupazione è rivolta alla “crisi dell’economia reale”, al pericolo di recessione
cioè al crollo dei redditi dei consumi e quindi dell'occupazione.
Per capire la crisi nei suoi termini essenziali, forse, non è necessario essere
economisti: innanzitutto è importante chiarire il significato dei termini “finanza”
ed “economia”.
Con il termine finanza si individua, generalmente, l’attività per il reperimento dei
mezzi (patrimonio, reddito, credito) necessari all’esercizio di un’attività
economica. Con il termine economia si intende il complesso delle attività e dei
rapporti legati alla produzione, alla distribuzione e al consumo di beni e servi
Insomma l’ambito della finanza è quello in cui viene commerciato il denaro stesso
(con mutui, obbligazioni, azioni); l’ambito dell’economia c.d. “reale” è quello in
4
cui il denaro (ottenuto anche grazie all’attività finanziaria) è impiegato per
produrre o consumare i beni e i servizi (prestazioni sanitarie, trasporti, consulenze
professionali, assicurazioni, ecc.) necessari alla vita quotidiana. La finanza,
dunque, è strettamente legata all’economia. Attingono alle risorse finanziarie le
imprese, per trovare i capitali necessari per investire al fine di aumentare la
produzione e l'occupazione.
Attingono alle risorse finanziarie i normali cittadini, quando hanno bisogno di un
prestito o di un mutuo, quando stipulano un’assicurazione per coprire un rischio,
quando vogliono investire i propri risparmi.
La montagna di carta prodotta dalla cartolarizzazione dei mutui statunitensi (ma
anche dei debiti delle carte di credito, etc..) che è stata venduta appena prodotta da
ogni tipo d’intermediario finanziario, ma acquistata e tenuta in grande quantità (la
fetta Triple A) anche dalle grandi banche, non solo americane, si è rivelata una
montagna di cartaccia senza valore, dal momento che non ha più trovato
acquirenti sul mercato appena i prezzi dell’immobiliare americano hanno
cominciato a scendere.
Il trucco delle SIV fuori bilancio, per aggirare il requisito di dotazione di capitale
degli istituti bancari, si è mostrato insufficiente a proteggere i bilanci degli
intermediari finanziari. Ciò ha fatto fallire alcune banche, altre sono state
“ricapitalizzate” ovvero nazionalizzate dagli Stati, e creato una stretta creditizia
feroce che già incide sull’economia reale. Ora sappiamo che le agenzie di rating
non facevano il loro dovere, probabilmente per conflitto d’interessi, confermando
che, come è preferibile che il settore pubblico non entri nelle produzioni private,
5
così è rischioso lasciare a privati la fornitura di beni pubblici. Sappiamo che le
controparti non esercitavano la sorveglianza che Greespan auspicava nel loro
stesso interesse e che la liberalizzazione degli anni 90 del sistema finanziario USA
aveva lasciato tutto il “settore bancario-ombra” senza controllo.
Il circolo vizioso tra crisi finanziaria e crisi reale innestata dalla contrazione del
credito e della fiducia si protrae per anni. Mentre il compito immediato della
politica economica è imparare dagli errori altrui al fine di uscire al più presto dalla
crisi, bisogna anche chiedersi come si è arrivati alla bolla finanziaria e come
uscire dalla crisi senza riprodurre le condizioni del suo inizio.
L’approccio “tabloid” è di personalizzare le responsabilità: sostenere che la
“magia” di Greenspan nel limitare gli effetti negativi del crollo borsistico del
1987, dello scoppio della bolla tecnologica del 2000 e della crisi 9/11, sono alla
radice della gravità della crisi attuale. L’analisi economica deve invece
concentrarsi sulle condizioni economiche globali che hanno permesso gli sviluppi
di cui siamo testimoni. I larghi surplus e deficits che hanno caratterizzato
l’economia globale nell’ultimo decennio sono la causa profonda della crisi.
Alla luce di queste considerazioni, lo scopo di questo lavoro è quello di mettere a
confronto gli eventi accaduti nel 1929 con quelli che stiamo vivendo noi in questi
giorni iniziati verso la fine del 2008 ancora una volta con epicentro negli Stati
Uniti che per effetto di un' economia mondiale globalizzata si sono ripercossi
ancora più velocemente investendo indistintamente in mercati di tutto il mondo
occidentale e non, con conseguenze che non sono ancora definibili nel lungo
periodo1. Naturalmente sarà tenuto un occhio di riguardo nel senso di una
1 Come afferma Franco Tavella ,segretario provinciale della CGL di Salerno, nel convegno
6
discussione più profonda per quello che riguarda le conseguenze degli effetti della
crisi odierna nel mezzogiorno Italiano.
La mia indagine è stata condotta principalmente con l'ausilio di fonti di natura
storica, ma anche di natura giornalistica ed economica anche se quest'ultima in
minima parte. Un'ultima fonte è stata di tipo diretta2 cioè la possibilità di aver
potuto assistere alle riflessioni svoltesi nel convegno “Mezzogiorno e Crisi”
organizzato dal professor Lucio Avagliano in cui i docenti universitari Adriano
Giannola e Pasquale Persico hanno esposto le loro relazioni riguardo la
condizione del mezzogiorno, coinvolto nella tempesta della crisi mondiale
finanziaria e di come potrà uscirne.
Ma non vi hanno partecipato solamente docenti universitari, infatti vi hanno
preso parola anche esponenti della classe dirigente provinciale e regionale insieme
ad imprenditori locali nonché rappresentanti sindacali, i quali insieme hanno
cercato di definire la crisi e con l'interazione del mondo accademico di proporre
soluzioni per il futuro per il salvare il mezzogiorno e di conseguenza consentire al
sistema produttivo3.
“Mezzogiorno e Crisi” tenutosi nell'Università Degli Studi di Salerno il 13 Marzo- presso la
facoltà di Scienze Politiche
2 Secondo me un' esperienza molto interessante
3 I temi guida del seminario saranno affrontati nell'ultimo capitolo di questa tesi
7
Capitolo I:
Alcuni Chiarimenti
1.1 Cicli economici e crisi
L’economia capitalistica, come è noto, ha un andamento ciclico. Le
discussioni tra gli economisti e gli storici vertono sulla durata dei cicli
stessi, sulle modalità di prevenirli o correggerli, ma nessuno mette in
dubbio il fatto in sé. E un altro dato acquisito è che la crisi è
l’elemento culminate del ciclo, nel senso che le crisi scoppiano al
momento in cui quest’'ultimo ha raggiunto il suo punto di massimo.
Prima di addentrarci nell’analisi della crisi è opportuno esporre, sia
pure nelle sue linee essenziali, il movimento ciclico dell’economia.
Il ciclo economico attraversa varie fasi4:
- ripresa
- espansione
- recessione
- depressione
Durante la ripresa occupazione, produzione, prezzi e reddito crescono
fino a raggiungere un punto di massimo nella fase di espansione,
mentre durante la fase di recessione, al contrario, occupazione,
produzione, prezzi e reddito diminuiscono fino a raggiungere il livello
4 Cfr. F. Rubino, Per la critica del modello Europeo. Le quattro dimensioni della crisi
economica,politica e culturale del modello di democrazia europeo, Editrice Uniservice, Marzo
2008, pag. 41
8
minimo nella depressione. Dopo questa fase, di solito, comincia una
nuova ripresa. E il ciclo riprende il suo normale corso. In realtà, come
l’esperienza storica dimostra, l’economia si evolve, la società si
arricchisce (talvolta si impoverisce) pur avendo un andamento ciclico
che si ripete nella forma, ma che muta continuamente nella sostanza.
I mutamenti significativi si verificano proprio nelle crisi: vecchie
industrie decadono, impianti e macchinari vengono eliminati o
diventano obsoleti per il non uso, prodotti, vecchi mestieri, qualifiche,
specializzazioni e professioni consolidati spariscono nel nulla5.
Da un ciclo all’altro si verificano mutamenti che modificano in
profondità la struttura economica. Quando l’economia, passando da un
ciclo all’altro, si trova ad un livello superiore di occupazione,
produzione e reddito, l’andamento crescente viene rappresentato da
una linea di tendenza che tecnicamente gli economisti chiamano
“trend”. Ma perché l’economia capitalistica ha un andamento ciclico?
Quali sono le forze economiche che fanno sì che ciò avvenga? Le
spiegazioni che i teorici dei cicli economici hanno dato a questa
domanda sono molte e diversificate. Sarebbe impossibile per me fare
un sunto di tutte le teorie che spiegano il perché della ciclicità della
crisi ma credo che per rendere l’idea del meccanismo del ciclo si farà
riferimento in particolare a due autori significativi: Kalecki e Keynes.
In un’economia capitalistica il ruolo economico più importante è
svolto dagli imprenditori, infatti sono essi che con le loro decisioni
sugli investimenti influenzano e determinano il livello globale
dell’attività economica e le fluttuazioni cicliche. Gli investimenti
dipendono da una serie di variabili economiche – e non solo – ma in
5 Ibidem
9
modo particolare dai rendimenti attesi sugli stessi, cioè dai profitti che
ci si aspetta di realizzare dalla vendita delle merci prodotte. I profitti
attesi, oltre che da altri fattori oggettivi e importanti come il costo dei
beni di produzione, dipendono dalle aspettative sul futuro degli
imprenditori.
«Durante la prosperità – scrive Kalecki6, – crescono non solo i prezzi
ma anche il tasso di attività. Entrambi questi fattori portano ad un
aumento della profittabilità, il che provoca un rafforzamento
dell’attività di investimento.
L’'esecuzione degli ordini di investimento produce dopo un certo
tempo un allargamento dell’apparato produttivo, che da origine ad una
caduta della profittabilità: cadono contemporaneamente i prezzi e il
tasso di attività.
La riduzione dell’attività frena l’attività di investimento, cosa che di
nuovo si traduce dopo un certo tempo in una contrazione dell’apparato
produttivo, che agisce nel senso di un rinnovato accrescimento della
profittabilità, manifestantesi nella crescita dei prezzi e del tasso di
attività»7.
Questa citazione, pur nella sua essenzialità, merita di essere analizzata
per evidenziare i passaggi impliciti che potrebbero oscurarne o
renderne difficile il senso. Durante la prosperità – coincidente con la
fase ripresa-espansione del ciclo – la domanda di merci aumenta e
questo determina un aumento dei prezzi, di conseguenza ciò stimolerà
incrementi della produzione, quindi, crescerà il tasso di attività e di
6 Cfr M.Kalecki, J Osiatynski, Capitalism: business cycles and full employment, Clarendonn
Press Oxford 1990, pag. 182
7 Cfr M.Kalecki, “Il ciclo economico” in “Antologia di scritti di teoria economica” Il Mulino,
Bologna 1979,pad 230
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utilizzazione della capacità produttiva. Domanda, prezzi e produzione
in aumento determinano un aumento della profittabilità delle imprese.
L’aumento del profitto delle imprese implica sia un aumento
dell’ammontare globale degli introiti che del saggio del profitto.
Questo andamento virtuoso delle principali grandezze economiche, e
sopratutto dei profitti, influenza positivamente le aspettative degli
imprenditori.
Profittabilità e aspettative si ripercuoteranno sull’attività di
investimento. Come conseguenza aumenteranno gli ordini di nuovi
beni di produzione e ciò, dopo un certo periodo di tempo, determinerà
un allargamento dell’apparato produttivo. Si crea così un eccesso di
capacità produttiva che accentua la competizione tra le imprese, le
quali per smaltire le scorte, che nel frattempo si sono accumulate nei
loro magazzini, abbasseranno i prezzi; riduzione che non
necessariamente avviene in maniera formale con una
modifica dei listini, ma può assumere la forma di sconti, promozioni e
agevolazioni varie. Le aspettative sul futuro mutano di segno,
diventano negative e tra gli imprenditori prevale il pessimismo. Tutto
ciò dà inizio
ad una caduta dei profitti che prima rallenta e poi frena l’attività di
investimento; di conseguenza, dopo un certo tempo, si verifica una
contrazione dell’apparato produttivo. La diminuzione degli
investimenti non si ferma però al solo settore che produce beni di
produzione8, ma attraverso un processo moltiplicativo negativo a
catena si trasferisce anche al settore che produce beni di consumo, che
a sua volta retroagisce negativamente sul settore di beni di produzione
8 ibidem
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e cosi via in una spirale negativa. Produzione, occupazione e redditi
diminuiscono in tutti i settori economici9.
Comincia così la fase di recessione che mano mano scivola nella
depressione. In questa fase la contrazione dell’apparato produttivo
provoca fallimenti e chiusura di imprese e stabilimenti. In particolare,
tutte le imprese con costi primi – costo della manodopera diretta e
materie prime – superiori ai nuovi e più bassi prezzi di mercato
falliranno e saranno eliminate dal mercato. Per il fatto che la crisi
provoca l’eliminazione delle imprese meno efficienti molti giudicano
la stessa come un salutare processo rigenerativo. Purtroppo, quando la
crisi sfocia nella depressione, non sono solo le imprese inefficienti che
scompaiono. La drastica contrazione dell’apparato produttivo del
periodo della depressione determina in seguito un’insufficienza di
offerta rispetto alla domanda. L’eccesso di domanda sull’offerta
provoca un aumento dei prezzi, un accrescimento del tasso di attività e
un aumento dei margini di profitto. Il miglioramento delle aspettative
degli imprenditori, insieme ad una maggiore profittabilità, porta ad un
incremento degli investimenti. Inizia quindi una nuova ripresa e il
ciclo economico riprende il suo corso secondo la modalità già
descritta sopra. La spiegazione su esposta del ciclo si basa
sull’interazione tra profittabilità e propensione all’investimento, e non
tiene conto di altre variabili economiche molto importanti quali il
credito, i mercati finanziari e le forme di mercato. Il ciclo economico
di questa rappresentazione presuppone un’economia capitalistica di
libera concorrenza, che è un ricordo del passato storico ormai remoto.
Ma nonostante le mutate situazioni storiche l’andamento ciclico
9 ibidem
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