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CAPITOLO I
INQUADRAMENTO STORICO E BIOGRAFIA
1.1. IL CONTESTO STORICO
I primi anni del novecento, periodo che andremo a considerare poiché il nostro autore vi
visse e vi operò, furono anni di grandi agitazioni sociali e di grandi cambiamenti
nazionali ed internazionali.
L’Italia da poco aveva raggiunto la sua indipendenza e si apprestava a creare uno Stato
unitario anche nelle coscienze dei suoi cittadini.
La grande depressione, durata oltre un ventennio, sul finire dell’ottocento, era ormai
terminata e ricchezze e capitali cominciavano di nuovo a circolare ed a muoversi verso
l'industria e le grandi città. Il movimento operaio cominciava ad organizzarsi e cresceva
nelle masse la coscienza dei propri diritti mentre, purtroppo, le condizioni dei contadini
non accennavano a riprendersi dopo la grande crisi agraria di fine secolo.
La generale tendenza positiva del ciclo economico internazionale, segnata nel 1896, si
congiungeva all'ormai completata unificazione del mercato mondiale e degli scambi.
Nei primi anni del secolo esplodeva la “seconda rivoluzione industriale”, che portò con sé
la formazione di potenti gruppi finanziario-industriali, il crescente ruolo dello Stato
nell'espansione economica ed i conseguenti tentativi di ampliamento dell'egemonia
borghese a discapito dei movimenti operai e dei partiti socialisti.
Questi ultimi cominciavano ad organizzarsi e rappresentavano, nell’Europa avanzata,
l'irrompere delle masse su una scena politica che le elites tradizionali cercavano di
controllare aggiornando gli strumenti di direzione, ora in senso democratico ora in
direzione conservatrice.
La crescita dei prezzi, l’accelerazione dei processi economici, l’espansione delle grandi
potenze europee, i movimenti più rapidi nei rapporti tra classi e ceti sociali, il diffondersi
di dubbi e nuove insicurezze dopo le semplificate certezze del tranquillizzante progresso
di matrice positivistica, sono i caratteri predominanti dell’Italia in cui il nostro autore,
Piero Gobetti, nasce e da cui fu profondamente influenzato.
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Sul piano sociale l’Italia vedeva affacciarsi nuovi protagonisti che furono poi alla base di
alcune speculazioni intellettuali del nostro autore: imprenditori, nuovi gruppi finanziari,
classi operaie, proletari e borghesi, ceti intellettuali e politici.
Nuovi fermenti e nuove ideologie si affacciavano nel nuovo secolo, maggiore fiducia
nelle capacità dell’uomo ed un rinnovato impegno delle classi medie che cominciavano a
capire quali nuove ed immense possibilità avrebbe portato il nuovo secolo, anche se
esistevano ancora gravi separazioni fra settori moderni e arretrati dell'economia, fra
profitto e rendita, fra industria e latifondo.
A livello politico non era ancora chiaro un vero e proprio indirizzo sopratutto a causa delle
difficoltà del ceto liberal-conservatore a dirigere saldamente una società molto frammentata
e solcata, sempre più, da movimenti che si opponevano allo stato liberale sia dalla sponda
rivoluzionaria del socialismo, sia dal movimento operaio e contadino in via di espansione,
sia dal fronte conservatore dei ceti borghesi e cattolici
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.
Diversi tentativi conservatori, più o meno venati di autoritarismo, venivano sperimentati in
quegli anni da Crispi a Rudinì, a Pelloux, in un continuo oscillare tra promesse riforme e
attuate repressioni, dentro i confini ristretti dello Stato risorgimentale dalle esigue basi di
massa.
La linea prevalente però, che venne adottata in quello scorcio di inizio secolo, fu l’esito di
una lotta condotta da forze diverse ma convergenti nell'obiettivo di salvaguardare le libertà
istituzionali e civili, avviare l'impervio processo di inserimento delle masse nello stato
liberale, rispondere positivamente alle lotte del lavoro con una linea di produttivismo
espansionistico. Politici e intellettuali liberali e radicali - nella camera, nella magistratura,
su giornali e riviste - dirigenti socialisti e movimento operaio - nella lotta politica e sociale -
confluirono su una posizione comune che bloccò definitivamente l'articolata serie di
tentativi autoritario-reazionari che era stata la risposta variamente strutturata dei ceti
dominanti all'avanzata sul piano sociale, politico e culturale delle masse popolari,
organizzate e preparate alla lotta.
Ma mentre venti di rinnovamento e agitazioni sociali sferzavano l’Italia, in Europa si
facevano sempre più vivi i germi di conflitti troppo a lungo sepolti che esplosero nella
prima guerra mondiale.
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F. BARBAGALLO “ l’età dell’imperialismo e la prima guerra mondiale” pubblicato sul supplemento
della Repubblica La Storia Vol. XII. De Agostani Editore. Novara 2004. Pag. 114
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Molti giovani vennero mandati al fronte ma Gobetti era troppo giovane per andare in
trincea, cosi visse l’esperienza della guerra filtrata da giornali, riviste, libri. Come infatti
lui stesso scrive “noi non abbiamo fatto la guerra ma avendola respirata nascendo, ne
imparammo un realismo spregiudicato nemico di tutti i romanticismi…”
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1.2 DOPO LA GUERRA: IL 1918
La guerra terminò com'è noto nel novembre del 1918, con il crollo degli imperi centrali e
lasciò in Europa uno scenario profondamente modificato. La guerra era stata in effetti una
strage, ma tutt'altro che inutile (come voleva il solenne monito di Benedetto XV), anche
se non sciolse i nodi di fondo dai quali era sorta e non eliminò quindi le cause di ulteriori
conflitti
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. Le conseguenze del conflitto sul piano geopolitico ed economico furono
rilevanti, anche se in questa sede non possiamo far altro che richiamarle in modo del tutto
sommario: la trasformazione della carta politica dell'Europa (con il crollo di tre imperi
multinazionali -quello russo, quello austro-ungarico, quello turco - oltre alla caduta del
Reich germanico, la fine di antiche dinastie, la nascita di nuovi Stati), la nascita del primo
Stato frutto di una rivoluzione proletaria, il tramonto dell'egemonia imperiale britannica e
l'affermazione di quella statunitense, la fine della centralità europea e lo spostamento
delle correnti di traffico internazionale, la fine della stagione aurea dell'espansione
coloniale
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.
L'Italia, pur Paese vincitore, era uscita provata e prostrata dalla guerra ed era attanagliata
da gravi difficoltà economiche e politiche mentre nell'impoverita Europa centro-orientale,
dove si andavano disegnando nuovi confini statali contestati, si stavano sviluppando lotte
feroci tra gli opposti nazionalismi e le diverse etnie.
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P. GOBETTI “ la Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia” Einaudi editore. Torino 1964.
Pag. 5
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C. SEATON WATSON” L’Italia dal liberalismo al fascismo 1870 – 1925” Edizione Universale Laterza.
1973. Pag 642
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A. GIBELLI “ La grande guerra, snodo di due epoche” pubblicato sul supplemento della Repubblica La
Storia Vol. XII. De agostani Editore. Novara 2004. Pag.771
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La Germania era stata costretta ad accettare una pace mortificante ed a cedere alcuni dei
suoi territori, mentre il presidente americano Wilson proponeva la costituzione di una
società delle Nazioni che raccogliesse attorno a sé un gran numero di Stati con il preciso
obbiettivo di diminuire gli armamenti, evitare una nuova catastrofe e scongiurare ed
affievolire i contrasti fra i popoli.
Ma al di là di questi elementi del quadro generale, la guerra aveva agito più in profondità,
come grande laboratorio e fattore di modificazione dei rapporti Stato-economia e Stato-
società, classi dominanti e classi subalterne, toccando la sfera del quotidiano e del privato,
investendo le forme di vita, di cultura e di memoria collettive, non soltanto in termini di
esperienza psicologica di intere generazioni, ma come trasformazione, in qualche modo
permanente, di strutture relazionali e mentali.
Veicolo di un inedito protagonismo delle classi popolari, enorme incentivo alla mobilità
geografica e sociale, il conflitto non solo esasperò i tratti dell'industrialismo, della
produzione e del consumo di massa, ma promosse l'adozione di nuove, più complesse
forme di controllo sociale, che combinavano coercizione e consenso, gerarchia e
partecipazione, inquadramento militarizzato e coinvolgimento emotivo.
La caduta degli steccati tra pubblico e privato, e insieme la tendenza all'affermazione del
principio di standardizzazione (esteso dalla produzione ai consumi, dai fattori tecnici a
quelli umani della produzione, dal lavoro alla guerra e viceversa) furono altrettante chiavi
di volta di quel passaggio dalla società liberale classica alla moderna società di massa, in
cui Gobetti cominciò ad operare attraverso la rivista “ Energie Nove”.
Di tale passaggio naturalmente la guerra non fu l'evento genetico, ma un momento
cruciale, un fattore di accelerazione e di generalizzazione, quindi l'occasione perché le
linee di tendenza venissero alla luce in forma esasperata, anticipata e per così dire
concentrata che Gobetti raccolse, analizzò e canalizzò nelle sue riflessioni sui conflitti di
classe, sul proletariato e la borghesia.
1.3 IL FASCISMO
In questo clima di fermento, si colloca la nascita dei grandi totalitarismi fra cui
annoveriamo anche il fascismo, che fu un elemento chiave nella riflessione politica del
Gobetti adulto.
L’aggettivo “Totalitario” aveva fatto la sua comparsa nel 1924 nella pubblicistica liberale
antifascista, per indicare uno Stato dove il partito al potere distruggeva gli altri partiti ed
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usava su vasta scala la repressione violenta delle opposizioni, vanificava le libertà politiche
e civili, sottoponeva la società a un controllo sempre più rigido ed in cui un sistema politico
e statale fondato sul principio di un'autorità unica, capace di plasmare Stato e società,
allargando a dismisura la sfera del potere, andava ad investire ogni tipo di azione umana,
sino a dominare anche la sfera privata individuale.
In Italia, Mussolini
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creò una variante debole del totalitarismo, rispetto a quelli esistenti in
Russia ed in Germania, ma pur sempre di totalitarismo si trattava e grandi e travolgenti
furono le conseguenze per tutta la nazione.
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Il capo del fascismo era Benito Mussolini. Egli nacque a Predappio nel 1883. Crebbe nell'ambiente fra
anarchico e socialista delle campagne romagnole subendo l’influenza del padre che aderiva alle idee
internazionaliste. Sin dal 1900 si iscrisse al partito socialista. Emigrato in Svizzera (1902) per sottrarsi al
servizio militare, entrò in rapporto con Serrati, A. Balabanov e altri rivoluzionari, ponendo
contemporaneamente le basi della propria cultura politica, in cui si mescolavano gli influssi di Marx,
Proudhon e Blanqui insieme a quelli di Nietzsche e Pareto. Ripetutamente espulso da un cantone all'altro
per il suo attivismo anticlericale e antimilitarista, rientrò in Italia nel 1904 approfittando di un'amnistia.
Ottenuta una supplenza a Caneva di Tolmezzo, il 17 febbraio del 1907 venne posto in congedo dai suoi
superiori, dopo una sua anticlericale e rivoluzionaria commemorazione di Giordano Bruno. La Polizia lo
schedò come "sovversivo" e "pericoloso anarchico". Dopo aver insegnato francese qualche tempo in una
scuola privata a Oneglia (1908), tornò a Predappio, dove si mise a capo dello sciopero dei braccianti
agricoli. Il 18 luglio fu arrestato per aver minacciato un dirigente delle organizzazioni padronali. Dopo 15
giorni è posto in libertà provvisoria dietro cauzione. Ricoprì quindi la carica di segretario della Camera del
Lavoro di Trento (1909) e diresse il quotidiano "L'avventura del lavoratore". Presto in urto con gli ambienti
moderati e cattolici, dopo sei mesi di frenetica attività propagandistica, non priva di successo, fu espulso
anche da qui tra le proteste dei socialisti trentini, suscitando una vasta eco in tutta la sinistra italiana. Dpo
tornò a Forlì dove la federazione socialista gli offriva la direzione del nuovo settimanale "Lotta di classe" e
lo nominava proprio segretario. Nei tre anni in cui conservò tali incarichi, Mussolini dette al socialismo
romagnolo una sua impronta precisa, fondata su istanze rivoluzionarie e volontaristiche, ben lontane dalla
tradizione razionale e positivista del marxismo così come era interpretato dagli uomini più rappresentativi
del P.S.I. Quando sopraggiunse la guerra di Libia Mussolini apparve come l'uomo più adatto a impersonare
il rinnovamento ideale e politico del partito. Nel luglio del 1911 fu uno dei protagonisti del congresso di
Reggio nell'Emilia: si pose alla testa degli intransigenti, deplorando i deputati che si erano congratulati con
il Re per lo scampato pericolo e riuscendo ad ottenere l'espulsione dei "traditori". Assunse la direzione dell'
Avanti il 1 dicembre del 1912. Lo scoppio del conflitto mondiale lo trovò allineato sulle posizioni ufficiali
del partito, di radicale neutralismo. Nel giro di qualche mese, tuttavia, in lui maturò il convincimento che
l'opposizione alla guerra avrebbe finito per trascinare il PSI a un ruolo sterile e marginale, mentre sarebbe
stato opportuno sfruttare l'occasione offerta da questo sconvolgimento internazionale per far percorrere alle
masse quella via verso il rinnovamento rivoluzionario dimostratasi altrimenti impossibile. Dimessosi perciò