4
può offrire al mondo del volontariato, potenzialità che non si esauriscono
solamente nell’ambito comunicativo, o nell’ambito cooperativo, ma possono
aprire anche nuove sfide e nuove “campagne sociali” di cui il non profit vorrà, o
potrà, farsi carico, come quella contro il digital divide.
Nel secondo capitolo, dopo aver indagato la storia di alcune comunità telematiche
senza fini di lucro, che testimoniano i primi approcci delle organizzazioni non
profit alla Rete, si è voluto fare luce sui vari strumenti offerti dal Web, in
particolare, il sito Web, il blog, l’e-newsletter e l’e-mail, verificando, di volta in
volta, le possibilità comunicative e relazionali che questi strumenti rappresentano
e come queste possibilità possano essere sfruttate in maniera sinergica, in
un’attività di donazione online.
Nel terzo capitolo si avanza l’ipotesi che il Web sia ancora una potenzialità
inespressa per il non profit, attraverso l’analisi al microscopio di alcuni punti di
criticità ricorrenti nei siti Web delle associazioni non profit, in particolare come
mancanze dal punto di vista dell’usabilità e dell’accessibilità. Inoltre, è stato preso
in considerazione un caso di studio concreto di alcuni siti di un campione di
ONLUS tra le più grandi, un vero e proprio “monitoraggio”, che ha confermato le
suddette contraddizioni, avvalorando, pertanto, l’ipotesi avanzata.
Come conclusione del lavoro, si è scelto di analizzare il sito di un network
internazionale di organizzazioni non profit, “War Child”, che ormai da anni si
batte per ridare dignità ai bambini nelle zone di guerra.
La scelta del sito, dettata dalla volontà di volere indagare proprio su un network
che è tale anche grazie alla comunicazione reticolare offerta dal Web, ha fatto
5
emergere un confronto interessante tra i siti delle tre organizzazioni che fanno
capo al network, cioè la “War Child Canada”, la “War Child Holland” e la “War
Child UK”.
Ancora una volta, le informazioni estrapolate da questa analisi comparata
confermano che c’è ancora gap tra il sociale e il Web.
6
CAPITOLO I: IL NON PROFIT TRA TRADIZIONE E
INNOVAZIONE
1.1 Una panoramica sulle organizzazioni non profit
Le “non profit
1
organizations”, che in Italia vengono definite “ONLUS”
(organizzazione non lucrativa di utilità sociale) appartengono al cosiddetto “Terzo
settore”, un settore che negli ultimi decenni sta crescendo visibilmente e si sta
guadagnando un ruolo via via più ampio e riconosciuto all’interno della società e
dell’economia italiana. L’espressione giuridica parla di Istituzioni “senza fine di
lucro” (sia pubbliche che private) e disegna una mappa ampia e variegata di
organizzazioni e imprese non profit
2
(Pira 2005, p. 26), sia per la forma giuridica,
per le fonti di finanziamento utilizzate che per il tipo di attività svolta e le finalità
perseguite.
Recentemente il legislatore ha riordinato la disciplina tributaria delle
organizzazioni non lucrative di utilità sociale con il decreto legislativo 4 dicembre
1997, n. 460. In particolare l’articolo 10 di tale decreto definisce come ONLUS:
“le associazioni, o comitati, le fondazioni, le società cooperative, e gli altri enti a
carattere privato, con o senza personalità giuridica, i cui statuti prevedano
espressamente lo svolgimento di attività di solidarietà sociale in una serie di
settori, tra i quali l’assistenza sociale, sanitaria e socio-sanitaria, l’istruzione; la
formazione; la valorizzazione del patrimonio artistico; la valorizzazione e la tutela
1
Il termine “non profit” deriva dall’americano “not for profit” che può essere tradotto in
italiano con l’espressione senza scopo di lucro.
2
Esiste un ampio spettro di definizioni che si riferiscono al mondo del non profit: possiamo
parlare di terzo settore, terzo sistema, di terza dimensione o privato sociale. Tutte queste
definizioni delineano uno stesso ambito di azione di soggetti caratterizzati da elementi
comuni: il carattere privatistico, l’assenza di scopo di lucro, l’erogazione a favore della
collettività di attività e servizi.
7
della natura e dell’ambiente; la promozione della cultura e dell’arte” (Primo
Rapporto sulla Comunicazione Sociale 2005, cap. II, p. 41).
Questi elementi denotano un panorama ricco ma per il quale non è sempre
possibile individuare delle regole di ordine generale, soprattutto per quanto attiene
agli aspetti giuridico economici. Il comune denominatore di tutte queste
organizzazioni resta, comunque, il loro carattere non profit.
Secondo Kotler, studioso e professionista di marketing, tali organizzazioni
producono servizi e non beni di consumo: “servizi intangibili, la loro qualità
dipende più dalla capacità e professionalità di chi li fornisce” (Kotler 1998, p. 20,
cit. in Pira 2005, p. 26).
Ma se è vero che le organizzazioni non profit si caratterizzano per la produzione
di servizi intangibili, è utile cercare di comprendere a quali tipologie di servizi si
fa riferimento. Seymour Fine, anch’egli esperto di marketing, individua diverse
tipologie di istituzioni che possono essere definite “non profit organizations”
(Pira 2005, p. 27):
- Le istituzioni che dispensano servizi medico/sanitari;
- Le istituzioni che forniscono servizi scolastici ed educativi;
- Le istituzioni religiose, quelle che forniscono servizi sociali o altri servizi
di solidarietà;
- Le istituzioni che operano nell’arte e nella comunicazione
3
.
Ware, politologo inglese, parla invece di “intermediate organizations”, ossia di
organizzazioni che non sono parte dello Stato e che legalmente hanno natura di
istituzioni private, pur non avendo, appunto scopo di lucro. Infatti, sostiene che
3
Fine fa rientrare il servizio pubblico radio‐televisivo in questa categoria.
8
molto spesso tali organizzazioni mirano a produrre profitto, essendo fondamentale
reinvestire gli utili raccolti grazie al fund raising in altre attività; evidenziando
così che spesso la natura del non profit è ambigua in quanto essa dipende anche
dal contesto giuridico - legislativo del paese di appartenenza (Pira 2005, p. 27).
Ware ha fatto uno studio accurato sulla storia di questo tipo di associazioni,
rintracciando l’origine delle “intermediate organizations” nelle charities inglesi e
americane, associazioni filantropiche e di solidarietà sociale che si svilupparono
soprattutto nel periodo della riforma protestante, strutture a cui ricorrere nei
momenti di bisogno. In Italia, grazie allo spirito di solidarietà tipico
dell’associazionismo cattolico e alla presenza del movimento socialista, si
svilupparono numerose associazioni di solidarietà: in particolare al Nord si
diffusero moltissime società di “mutuo soccorso”, successivamente trasformate in
cooperative di consumo e produzione
4
(Mancini 1996, p. 186, cit. in Pira 2005, p.
27). Nel ventesimo secolo nacquero nuove forme di associazionismo, come le
cooperative di costruzione di abitazioni, ecc. Dall’evoluzione di tali
organizzazioni si formarono le organizzazioni non profit, associazioni che
nascevano dalla spontanea volontà dei cittadini di riunirsi per scopi di reciproca
solidarietà, per disporre di servizi, prodotti o attività che le strutture pubbliche non
erano in grado di offrire (ibidem).
In Italia le organizzazioni non profit, dalle organizzazioni di volontariato alle
fondazioni fino alle cooperative sociali, sono in continuo aumento, a confermarlo
è il “Primo Rapporto Cnel-Istat sull’Economia Sociale” (Primo Rapporto Cnel-
4
Il movimento cooperativo in Italia si sviluppò in collegamento con i partiti politici.
9
Istat sull’Economia Sociale 2008
5
). Da una sintesi dei dati emerge che: alla fine
del 1999
6
le istituzioni non profit in Italia erano 221.412 impiegavano circa 4
milioni di persone (di cui 3 milioni e 200 mila volontari). Alla fine del 2003 le
organizzazioni di volontariato
7
sono 21.021, in aumento del 14,9% rispetto al
2001; i volontari crescono del 18,8%, passando da circa 700 mila a più di 800
mila; le cooperative sociali
8
attive, alla fine del 2005 sono 7.363 e rispetto al 2003
aumentano del 19,5%. Per quanto riguarda le fondazioni
9
, se ne contano quasi 5
mila unità alla fine del 2005. Rispetto ai dati della rilevazione censuaria delle
istituzioni non profit, riferiti al 1999, il numero delle fondazioni è aumentato del
57%.
Come è noto, il proliferare delle organizzazioni non profit nelle sue diverse forme
è stato messo in connessione principalmente alla crisi dello Stato sociale che si
palesa in tutta la sua gravità negli anni ’70 (Primo Rapporto sulla Comunicazione
Sociale 2005, cap. III, p. 68), che ha posto le basi per un impegno diretto e attivo
di queste organizzazioni nella risoluzione di problematiche legate al benessere del
cittadino, fornendo servizi laddove la Pubblica Amministrazione ha lasciato dei
vuoti o non è in grado di rispondere efficacemente alle istanze dei cittadini. In
passato, infatti, Stato e imprese hanno coperto quasi interamente la produzione di
5
Va evidenziato che il Rapporto contiene dati ufficiali Istat fino al 2007, anno che
rappresenta l'inizio della collaborazione con il Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del
Lavoro) ma la base di partenza è l'analisi dei dati del primo censimento delle istituzioni non
profit riferito al 1999.
6
La rilevazione censuaria delle istituzioni non profit è stata effettuata dall’ISTAT nel 2000‐
2001 con riferimento alle istituzioni attive al 31 dicembre 1999.
7
La prima rilevazione sulle organizzazioni di volontariato è stata effettuata nel 1997 con
riferimento al 1995, l’ultima disponibile (la quinta rilevazione) nel 2004‐2005 con
riferimento al 2003.
8
La prima rilevazione sulle cooperative sociali è stata effettuata dall’ISTAT nel 2002‐2003
con riferimento al 2001, l’ultima disponibile (la terza rilevazione)nel 2006‐2007 con
riferimento al 2005.
9
La rilevazione sulle fondazioni effettuata dall’ISTAT nel 2006‐2007, con riferimento al
2005, costituisce la prima indagine conoscitiva sull’universo delle fondazioni.
10
beni e servizi, di cui ogni società necessitava, in proporzione variabile sia nel
tempo che nello spazio, ma comunque, nel complesso, in misura quasi esaustiva.
Dallo stato liberista a quello comunista, da quello liberale a quello sociale hanno
di fatto consentito al primo e al secondo settore, rispettivamente l’impresa e lo
Stato, di mantenere un ruolo egemone rispetto agli altri settori della società; si è
verificata una sorta di colonizzazione del terzo settore da parte del primo e del
secondo. Lo stesso nome: “terzo settore”, ne sottolinea l’aspetto residuale, esso
delinea infatti tutto ciò che non è né Stato né impresa (De Carli 1995, p. 281).
Un altro momento di ulteriore sviluppo del settore non profit si è avuto a partire
dagli anni ’90 in seguito alla approvazione della legge quadro sul volontariato
(legge 11 agosto 1991, n. 266), grazie alla quale le organizzazioni di volontariato
hanno ricevuto riconoscimento e disciplina giuridica: organismi liberamente
costituiti – ai sensi dell’articolo 3, comma 1 – per svolgere attività di carattere
sociale, civile, culturale, con il concorso “determinante e prevalente” delle
prestazioni personali, volontarie e gratuite, dei propri aderenti.
Il mondo del non profit e dell’associazionismo si è peraltro molto trasformato
negli ultimi decenni. Il volontariato di questi ultimi decenni del ‘900 si differenzia
profondamente e per numerosi aspetti, dalle esperienze di cui è pur ricca la
tradizione cattolica e laica in passati periodi storici. Infatti l’impegno volontario si
è sviluppato in precedenza (principalmente nell’area cattolica e di ispirazione
cristiana) come espressione di un volontarismo su base caritativa, in cui la
variabile “altruistico - riparatoria” aveva un peso sicuramente determinante nelle
motivazioni dell’impegno volontario (Diamanti 2003, p. 13, cit. in Primo
Rapporto sulla Comunicazione Sociale 2005, cap. III, p. 69).