X L’attività degli intermediari finanziari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi 
Noviello Anna Maria 
 
ipotecari (e quindi all’andamento dei prezzi degli immobili sottostanti) 
concessi negli Stati Uniti a prenditori con basso merito di credito. Essa ha però 
potuto diffondersi rapidamente ad altri comparti del mercato finanziario anche 
a causa di in un più ampio contesto di fragilità del sistema finanziario ed 
economico internazionale2. I problemi emersi nel 2007 nei mercati dei prodotti 
strutturati legati ai mutui subprime hanno sì scatenato la crisi, ma le condizioni 
perché essa potesse avviarsi e propagarsi rapidamente si erano gradualmente 
accumulate nel tempo. Gli elementi di fragilità e di potenziale instabilità 
preesistenti erano già stati in parte identificati dall’analisi e segnalati come 
possibile fonte di pericoli. L’espansione del commercio internazionale di beni e 
servizi è stata veemente e con essa quella degli investimenti diretti esteri. 
Questa si è accompagnata a un forte aumento del grado di liquidità dei mercati, 
a sua volta connesso con l’innovazione finanziaria e con la significativa 
crescita di investitori quali fondi pensione ed hedge funds, ne è derivata una 
notevole e generalizzata riduzione dei premi per il rischio, scesi su valori 
eccezionalmente bassi nel confronto storico in tutti i mercati. Nelle 
interpretazioni più benevole, l’economia mondiale era entrata in una fase 
nuova, la “Grande Moderazione”, caratterizzata da una crescita sostenuta e 
priva di significative oscillazioni e una dinamica dei prezzi ordinata e ancorata 
intorno a valori medi contenuti. L’avvento di quella fase, veniva argomentato, 
era il risultato dell’adozione di politiche economiche efficacemente orientate 
alla stabilità macroeconomica, in particolare di politiche monetarie 
credibilmente indirizzate al contenimento delle tensioni inflazionistiche, al 
mantenimento del valore della moneta. Politiche monetarie sostanzialmente 
espansive, incoraggiando e di fatto finanziando l’assunzione di rischi elevati, 
avrebbero prima o poi creato, in un contesto per certi versi non radicalmente 
mutato rispetto ai decenni precedenti, le condizioni per brusche correzioni nel 
momento in cui fossero mutate la percezione dei rischi e la propensione ad 
assumerli. Come detto i principali protagonisti dell’ultima crisi sui mercati 
                                                          
2
 Si Veda, Ignazio Visco, La crisi finanziaria e le p revisioni degli economisti, lezione 
inaugurale dell’A.A. 2008-2009, Facoltà di Economia, Università degli studi di Roma “La 
Sapienza”, 4 marzo 2009;  
Introduzione XI 
 
internazionali sono gli ormai tristemente noti mutui subprime, prestiti che un 
numero consistente di intermediari ha concesso a soggetti con un reddito 
inadeguato per potersi permettere l’acquisto di un’abitazione di buon livello. 
La convenienza economica di un’operazione del genere, per le banche che 
l’hanno promossa, non si è espressa, dopo lo spirare del periodo a tasso ridotto 
(teaser rate), solamente attraverso maggiori tassi d’interesse, ma anche 
attraverso il nascere e lo svilupparsi in maniera rapida3 di un’utenza 
caratterizzata da un basso profilo in termini di capacità al rimborso dei prestiti 
richiesti. L’affacciarsi sul mercato del credito di sempre più estese fasce della 
popolazione, con un merito creditizio non conforme ai parametri 
tradizionalmente richiesti, è stato facilitato dalla creazione di particolari 
strumenti per il trasferimento del rischio. Un nuovo business model, che 
numerose banche hanno presto adottato, permette loro di erogare prestiti e 
trasferirne all’esterno il rischio, definito, appunto, come originate–to-distribute 
model che consente alle banche, di alleggerire notevolmente i propri bilanci da 
un lato e allocare in maniera più efficiente il rischio. La frammentazione e il 
trasferimento del rischio sono stati resi possibili attraverso il ricorso alla 
cartolarizzazione, che, realizza la conversione di attività finanziarie non 
negoziabili in titoli – in carta appunto – negoziabili sui mercati finanziari. I 
mutui sono stati così ceduti dagli intermediari che li avevano erogati a delle 
società veicolo, cosiddette Spv (special purpose vehicle), appositamente 
costituite, tenute fuori dai propri bilanci e quindi anche fuori dalla 
regolamentazione e dal controllo delle autorità di vigilanza. I veicoli, a fronte 
dei mutui acquisiti, hanno emesso degli strumenti  finanziari del tutto simili a 
obbligazion, denominate asset backed securities e nel caso dei mutui mortgage 
backed Securities, che permettono all’emittente di disporre di liquidità 
immediata e agli investitori cedole prefissate, “finanziate” in parte dagli 
interessi passivi pagati dai mutuatari. Si è venuto così a creare un sistema 
                                                          
3
 Negli Stati Uniti si stima che tra il 2000 ed il 2006 il mercato dei mutui subprime è cresciuto 
ad un tasso medio annuo di circa il 40%, Si Veda Corrado Faissola, “Indagine conoscitiva sulla 
crisi finanziaria internazionale e i suoi effetti sull’economia italiana”, AUDIZIONI ABI, 28, 
Ottobre, 2008; 
XII L’attività degli intermediari finanziari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi 
Noviello Anna Maria 
 
bancario satellite e sommerso, che, all’ombra di quello monitorato dalle 
istituzioni monetarie, ha consentito lo svolgersi indisturbato delle speculazioni 
selvagge che sono culminate nello scoppio della crisi vera e propria. Le Abs 
sono state, infatti, a loro volta in gran parte  “reimpacchettate” in altri 
strumenti, i cosiddetti collateralised debt obligations, Cdo, strumenti di debito 
emessi a valere su un portafoglio di attività eterogenee tra loro, tra cui i mutui 
subprime.  
Partendo da questa premessa, questa tesi si focalizza sulla crisi 
finanziaria, iniziata nell’estate del 2007 ed esplosa nell’autunno del 2008, che 
in breve tempo ha assunto dimensioni globali e che con grande forza ha 
contribuito a questa grave instabilità economica. Con la complicità della 
globalizzazione dei mercati, che certamente ha introdotto notevoli vantaggi e 
opportunità, le difficoltà di pochi si sono trasformate in un problema per tutti. 
Obiettivo del lavoro di tesi è definire i tratti fondamentali della crisi 
finanziaria, comprendere come si è arrivati ad essa, cosa è successo e come è 
stata affrontata, ponendo l’attenzione sull’attività degli intermediari finanziari. 
Oggetto del primo capitolo è l’analisi del contesto generale in cui la crisi si è 
sviluppata, riprendendo l’analisi degli squilibri globali e delle politiche 
monetarie che sono state adottate nel periodo pre-crisi, nonché le 
problematiche connesse alla regolamentazione degli intermediari. Si fornisce  
inoltre un approfondimento sulla questione dell’accounting, e dei contesti 
normativi in cui si fa ampio ricorso al fair value, criterio reo di dare luogo ad 
un effetto ciclico dove l’andamento del mercato influenza i risultati delle 
società, i quali a loro volta riverberano effetti sul mercato finanziario 
amplificandone le oscillazioni. E’ anche indicata la timeline della crisi 
finanziaria, ripercorrendone gli eventi chiave. Nel secondo capitolo sono 
racchiuse le problematiche strutturali che hanno consentito il rapido diffondersi 
della crisi sui mercati internazionali. In primo luogo è stata fornita una 
descrizione degli strumenti cd. Subprime e del nuovo modello di 
intermediazione creditizia cd. originate to distribuite  nonché una disamina  
dell’innovazione finanziaria, quest’ultima, assume in tale contesto grande 
Introduzione XIII 
 
importanza nel determinare i meccanismi con cui la crisi si è diffusa: la nascita 
di strumenti finanziari derivati e di tecniche di trasferimento del rischio, come 
la cartolarizzazione, un nuovo modello di intermediazione di cui si diceva 
sopra hanno permesso il determinarsi di esposizioni creditizie eccessive che gli 
stessi sistemi di valutazione del rischio non sono stati in grado di individuare. 
Inoltre, verranno affrontate le problematiche connesse al ruolo delle agenzie di 
rating e ai meccanismi di costruzione di tali giudizi alla luce delle novità 
regolamentari che si sono succedute. Nel terzo capitolo sono illustrati i 
principali piani a sostegno del sistema finanziario. Sono stati analizzati i 
principali provvedimenti finalizzati  a gestire le difficoltà degli istituti 
finanziari negli Stati Uniti, partendo dalla disamina degli interventi “caso per 
caso” dei principali istituti coinvolti per poi illustrare il cd. Piano Tarp e le sue 
declinazioni. L’analisi è poi proseguita illustrando i provvedimenti atti a gestire 
le difficoltà dei mercati finanziari in Europa, approfondendo il tema discusso e 
dibattuto del nuovo quadro di vigilanza finanziaria proposto dal gruppo 
presieduto da Jacques de Larosière. Nel quarto capitolo si è svolta un’indagine 
sull’impatto che la turbolenza internazionale ha avuto sulle banche italiane. E’ 
stato affrontato il tema dell’adeguatezza patrimoniale degli istituti italiani, 
nonché sono state elencate le principali misure intraprese per la salvaguardia 
della stabilità finanziaria italiana. Nell’ultima parte del capitolo si è posta 
maggior attenzione sulle misure per la capitalizzazione delle banche italiane 
maggiormente esposte alla crisi in corso. In particolare sono stati descritti gli 
strumenti messi a disposizione dal MEF, i cd. Tremonti bonds,  nonché è stato 
fornito l’elenco degli istituti finanziari che hanno provveduto a farne richiesta 
allo scopo di incrementare la propria dotazione patrimoniale, o hanno già 
ottenuto l’autorizzazione dal MEF per poter provvedere alla loro emissione.  
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi. 
Noviello Anna Maria 
 
1 
 
Capitolo 1 Determinanti della crisi finanziaria in corso 
 
La crisi finanziaria innescata dalla sovraesposizione degli istituti di prestito 
immobiliare negli Stati Uniti nel 2007 e le minacce di una recessione mondiale 
sono solo gli elementi più eclatanti di un quadro economico internazionale in 
difficoltà da diversi anni. Gli squilibri dei pagamenti tra le aree del mondo sono 
noti agli economisti, nonché il ruolo prorompente ma ancora incerto delle 
economie emergenti è oggetto di particolare attenzione in questo momento di 
difficoltà globale. Nel corso del presente capitolo verranno affrontate le 
tematiche attinenti le origini ―remote‖ dell‘attuale crisi finanziaria, definita da 
molti ―crisi da mutui subprime‖ ma che in realtà non è altro che la conseguenza 
di un più ampio contesto di fragilità del sistema finanziario ed economico 
internazionale1.  
1.1 Global Imbalances 
Tra le cause che possiamo definire macroeconomiche dell‘attuale crisi, vi sono 
gli ―squilibri globali‖, si tratta di persistenti squilibri dei pagamenti tra le 
diverse aree del mondo, che hanno dato luogo ad un transito di ingenti capitali 
dalle economie emergenti alle economie industriali, specie gli Stati Uniti. 
Volendo essere più precisi dando uno sguardo all‘andamento delle economie 
mondiali nel periodo 1996-2008 emergono interessanti elementi di discussione. 
Negli Stati Uniti il deficit commerciale era di 125 miliardi di dollari nel 1996, 
pari all‘1.6% del Pil; nel 2008 aveva raggiunto il valore di 677 miliardi di 
dollari (700 nel 2007) e superato la soglia del 4.5% del prodotto nazionale. Una 
dinamica simile si è registrata nelle principali economie europee, con 
eccezione della Germania, che nell‘ultimo decennio hanno perso quote del 
commercio internazionale, e subìto il deterioramento del saldo delle partite 
correnti. Nel 2008 in Italia il saldo è stato negativo (-2.8); similmente in 
                                                          
1
 Si veda, I. Visco ―La crisi finanziaria e le previsioni degli economisti”, lezione inaugurale 
dell‘Anno Accademico 2008-2009, Facoltà di Economia, Università degli studi di Roma ―La 
Sapienza‖, Roma 4 marzo 2009; 
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi. 
Noviello Anna Maria 
 
2 
 
Francia (-2.8) e ancora peggiore in Spagna (-10.1). Anche la Grecia (-14%) e il 
Portogallo (-12%) hanno mostrato le stesse difficoltà. Disavanzi simili si sono 
avuti nel Regno Unito (-3.6%) e in Australia (-4.9%). A livello mondiale il 
valore aggregato dei deficit deve essere esattamente compensato dagli avanzi 
commerciali dei restanti paesi. Così non sorprende che all‘emergere del 
disavanzo commerciale negli Usa, e in molti paesi nell‘area dell‘euro, abbia 
fatto da contraltare l‘avanzo dei paesi esportatori di petrolio (+813 miliardi di 
dollari, pari al 14.2% del loro Pil complessivo, nel 2008), e di alcuni paesi non 
produttori di petrolio come la Cina (+399 miliardi di dollari, 9.5% del Pil), la 
Germania (+279 miliardi di dollari, 7.3% del Pil) il Giappone (+194 miliardi di 
dollari, 4% del Pil). E‘ però sorprendente il fatto che il risparmio si sia generato 
principalmente nelle economie emergenti piuttosto che in quelle 
industrializzate, siamo dinanzi ad un vero e proprio paradosso per cui la 
globalizzazione ha fatto si che i paesi in via di sviluppo fossero creditori dei 
paesi ricchi e non il contrario. Per un confronto internazionale omogeneo si 
può far riferimento al PIL mondiale, come in Figura 1.1, dalla quale emerge 
che gli Stati Uniti sono il debitore primario con quasi il 10 per cento del 
prodotto mondiale, seguiti dal‘UME con circa il 3 per cento. I creditori globali 
sono i paesi petroliferi, il Giappone e i paesi emergenti asiatici.  
 
Figura 1-1 Creditori e debitori globali, 2007 (% del PIL Mondiale) 
 
 Fonte: F.Targetti, A.Fracasso (2008), p.260 
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi. 
Noviello Anna Maria 
 
3 
 
Secondo il Fmi, al termine del 2008 l‘eccesso di risparmio sugli investimenti 
nei paesi in avanzo si è aggirato complessivamente intorno ai 2000 miliardi di 
dollari. A questo fenomeno se n‘è poi aggiunto un secondo: la crescita della 
quota di risparmio sul reddito disponibile nelle economie emergenti è avvenuta 
senza effetti negativi sugli investimenti interni. In altre parole, l‘aumento del 
reddito disponibile ha accresciuto la quota del risparmio nei paesi emergenti 
riversandosi nei mercati finanziari internazionali, senza spiazzare 
l‘accumulazione interna di capitale nel breve periodo. Il risparmio così 
generato in Cina e in alcuni altri paesi asiatici di nuova industrializzazione 
come Singapore, Taiwan e la Malesia, unitamente a quello dei paesi produttori 
di petrolio, compresa la Russia, ha contribuito ad accrescere a livello mondiale 
l‘offerta di risparmio, fino a far parlare il governatore della Fed, Ben Bernanke, 
di un vero e proprio Saving Glut2. La contabilità nazionale insegna che il saldo 
delle partite correnti è necessariamente identico alla differenza tra il risparmio 
e gli investimenti nazionali. Ad ogni deficit commerciale corrisponde quindi un 
eccesso d‘investimento sul risparmio nazionale, e ad ogni avanzo un risparmio 
di risorse interne sull‘investimento. Così, il crescente risparmio dei paesi 
emergenti è entrato nel circuito internazionale finanziando l‘investimento dei 
paesi industriali con disavanzo commerciale, che sono divenuti 
contemporaneamente importatori netti di merci e di risparmio. Questo 
fenomeno ha avuto una dimensione non paragonabile a quella dei decenni 
precedenti. La conseguenza è stata l‘accumulo di un debito netto notevole delle 
economie avanzate verso l‘estero, e la formazione di un eccesso di risparmio 
globale associato a bassi tassi di interesse di lungo periodo a livello mondiale3. 
I principali paesi europei, compresa l‘Italia, ma ad eccezione della Germania, 
insieme agli Usa, al Regno Unito e all‘Australia sono in posizione debitoria: 
essi hanno ricevuto prestiti dai paesi emergenti, finanziando in questo modo la 
loro domanda interna. Il risultato ultimo di questo processo da ―vasi 
                                                          
2
 Si Veda Bernanke, Ben S. "The Global Saving Glut and the U.S. Current Account Deficit," 
(2005); 
3
 Si veda, G. Travaglini, ―Alcune riflessioni sulle cause reali della crisi‖, www.emigrazione-
notizie.org, 12 marzo 2009 
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi. 
Noviello Anna Maria 
 
4 
 
comunicanti‖ è che negli ultimi 15 anni è diminuito il risparmio nazionale nei 
paesi economicamente avanzati (vedi per esempio il grafico della Figura 2), 
con una conseguente esposizione in termini di indebitamento verso il resto del 
mondo; e a questo movimento è corrisposta la crescita del risparmio nei paesi 
di nuova industrializzazione.  
 
Figura 1-2 Risparmio nazionale in rapporto al PIL 
 
Fonte: Elaborazioni si dati Ameco e Fed4 
 
Per i paesi esportatori di petrolio il persistente avanzo di parte corrente e 
l‘accumulo di riserve estere è stato agevolato dal forte aumento del prezzo del 
greggio. La Figura 1.3 mostra come la loro bilancia di parte corrente sia 
migliorata in linea con l‘aumento del prezzo del petrolio, determinando un 
trasferimento del risparmio mondiale a loro favore. Questo risparmio è affluito, 
sotto forma di prestiti dall‘estero e di movimenti di capitale, verso i paesi con 
bilancia commerciale in deficit.   
 
                                                          
4
 Si veda, G. Travaglini, ―Alcune riflessioni sulle cause reali della crisi‖, 12 marzo 2009, pag 3; 
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi. 
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5 
 
Figura 1-3 Prezzo del petrolio e saldi di parte corrente 
 
Fonte: ASSBB, Osservatorio monetario “Crisi e paura”, 3/2008 pag 8 
 
1.1.1 Accumulazione di riserve valutarie e crisi 
 
L‘eccesso di risparmio di cui si parlava in precedenza è un fenomeno comune a 
diversi paesi, ma per cause diverse: in Giappone per ragioni strutturali, nei 
paesi esportatori di petrolio per l'aumento dei prezzi petroliferi, in Asia per 
timore di crisi finanziarie. Molti paesi emergenti hanno proseguito lungo il 
sentiero di un‘onerosa ristrutturazione dei loro sistemi bancari e finanziari al 
fine di prevenire le crisi.(Bongini, Chiarlone e Ferri, 2008). Dal lato invece 
della capacità di gestire la crisi, molti paesi emergenti hanno deciso di 
modificare la loro strategia di politica monetaria e valutaria al fine di realizzare 
un avanzo di partite correnti tale da garantire loro un livello crescente di riserve 
internazionali, sia in valore assoluto che rispetto al PIL, determinando una vera 
e propria svolta per gli equilibri dell‘intero sistema finanziario internazionale. 
Tale cambiamento di rotta è avvenuto attraverso due canali : il primo 
prevedeva la diminuzione dell‘indebitamento estero, il cosiddetto corporate 
external deleveraging, che inizia già dal 1997 per i paesi della crisi asiatica, 
finalizzato a ridurre l‘esposizione al rischio valutario; il secondo consisteva in 
un accumulo di attività nette sull‘estero da parte del settore privato e, 
successivamente, di riserve valutarie da parte del settore ufficiale. Se in un 
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi. 
Noviello Anna Maria 
 
6 
 
primo momento, dal 1997 al 2001, ha prevalso l‘obiettivo di riduzione 
dell‘indebitamento estero dal 2002 in poi i paesi emergenti si sono trasformati 
in capital exporters mediante l‘accumulazione di riserve valutarie (passate da 
550 a 3.900 miliardi di dollari tra 1996 e 2007), che è andata a più che 
compensare i maggiori afflussi di capitali privati, in netta ripresa sino al punto 
di toccare un massimo di oltre 602 miliardi di dollari nel 2007 prima di ridursi 
a un valore vicino ai 500 miliardi nel 2008. La trasformazione di molti paesi 
emergenti in esportatori netti di capitali contrasta con la visione convenzionale, 
secondo cui i flussi di capitale andrebbero dai paesi ricchi verso le economie 
emergenti e in via di sviluppo, dove dovrebbero esistere opportunità di 
investimento caratterizzate da rendimenti potenziali più elevati. Inoltre, 
comporta sia benefici che costi che tendono a variare al trascorrere del tempo. 
Per valutarli, sembra opportuno ricordare che oltre alle necessità legate alla 
gestione del commercio con l‘estero, la prima ragione che spinge un paese a 
detenere riserve ufficiali è quella di proteggersi dal rischio di crisi valutarie. La 
letteratura ha, infatti, da tempo verificato che le riserve internazionali sono uno 
strumento essenziale per difendersi da sudden stop5, vale a dire da improvvise 
interruzioni degli afflussi di capitale estero (Tweedie, 2000). Diversi contributi 
empirici hanno dimostrato che la probabilità di una crisi del debito – così come 
i costi dell‘operazione di indebitamento (ChanLau, 2004)– si riducono 
all‘aumentare delle riserve accumulate. Esse sono, infatti, la materia prima 
fondamentale per consentire alla banca centrale di intervenire in caso di 
necessità, anche per svolgere un ruolo di lender of last resort in presenza di 
una elevata percentuale di prestiti in valuta estera, riducendo il rischio di bank 
run (Diamond e Dybvig 1983). Contributi recenti (Dooley-Folkerts, Landau e 
Garber, 2004) sostengono la visione secondo cui la crescente accumulazione di 
riserve possa anche essere legata al perseguimento di una strategia di crescita 
di tipo export-led. Secondo questo filone di analisi, l‘enorme stock di riserve 
sarebbe infatti la risultante di interventi svolti dalle Banche Centrali sui mercati 
valutari, finalizzati a mantenere un tasso di cambio sufficientemente debole per 
                                                          
5
 Si veda S.Chiarlone, G.Ferri, ―Osservatorio monetario‖, 3/2008,  pag 11 ss. 
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi. 
Noviello Anna Maria 
 
7 
 
poter favorire una export-led growth. Questa sarebbe la strategia adottata dalla 
Cina, da un‘analisi dei rapporti valutari vigenti tra Cina e USA, esisterebbe da 
tempo un regime di cambio a fluttuazione limitata tra il renminbi6 e il dollaro, 
compatibile con il mantenimento di un tasso di cambio reale sottovalutato della 
moneta cinese7. La sottovalutazione è pari al 55,54%. Ciò genererebbe 
sufficiente competitività di prezzo a vantaggio delle esportazioni del gigante 
asiatico che agirebbero come vero motore della crescita cinese, favorendo 
l‘assorbimento della manodopera proveniente dalla Cina rurale che altrimenti 
rimarrebbe disoccupata. Le riserve valutarie cinesi hanno superato i 1.600 
miliardi di Dollari, un ―tesoro‖ mai prima posseduto da alcuna banca centrale; 
e, nonostante sull‘allocazione di queste sia sempre rimasto alto il riserbo, da 
almeno due anni Pechino non fa mistero di volerne ottimizzare i rendimenti 
attraverso una evoluta gestione di portafoglio, per la quale è stata 
appositamente creata una superholding finanziaria, controllata dalla Agenzia 
SAFE (State Administration of Foreign Exchange) e strutturata sul modello 
della Temasek, la società pubblica di Singapore che da anni investe sui mercati 
esteri le riserve valutarie della città‐Stato asiatica. Ovviamente tale situazione è 
ancora una volta la dimostrazione di un modello di crescita squilibrato che fa 
comprendere ancor di più la fragilità del sistema finanziario dei paesi 
interessati dall‘attuale turbolenza internazionale. 
 
1.1.2 Global Imbalances e indebitamento interno 
 
La situazione economica internazionale era già abbastanza critica un anno fa. 
Da settembre 2008, con il fallimento della Lehman Brothers, ad oggi la crisi si 
                                                          
6
 Dal 25 Luglio 2005, pur non più ancorato direttamente al Dollaro, lo Yauan segue 
l‘andamento di un paniere di valute in cui il Dollaro avrebbe il maggior peso (il paniere non è 
mai stato ufficializzato, e sono disponibili solo congetture). Morgan Stanley ha, tempo fa, 
ipotizzato i seguenti pesi: un 43 per cento per il Dollaro, un 18 % per lo Yen (Giappone) e un 
14 per cento per l‘Euro, e percentuali minori per altre valute di partner commerciali importanti 
per la Cina; 
7
 La stretta analogia tra quanto accaduto tra Europa e USA nel secondo dopoguerra (sia in 
termini di ruolo delle esportazioni come motore della crescita che del tasso di cambio 
sottovalutato come fattore di competitività) e quanto sarebbe attualmente in corso di 
svolgimento tra Cina e USA ha portato a definire tale regime come Bretton Woods II (BW II); 
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi. 
Noviello Anna Maria 
 
8 
 
è approfondita. La natura internazionale della recessione richiede un 
cambiamento complessivo del modello di crescita in grado di invertire la 
tendenza in atto. Al Global Imbalances ha corrisposto lo squilibrio strutturale 
nei flussi di capitale internazionale. Questo sbilanciamento ha reso le economie 
avanzate sempre più dipendenti dai prestiti dei paesi risparmiatori, che sono 
quelli emergenti, ad eccezione del Giappone e della Germania. I capitali 
raccolti nei mercati internazionali, facilitati dalla deregolamentazione dei 
mercati dei capitali, sono stati poi reinvestiti all‘interno dei paesi 
industrializzati, accrescendone il grado di indebitamento. Il disequilibrio 
esterno delle partite correnti si è dunque riflesso in un corrispondente squilibrio 
finanziario interno. La somma dei prestiti netti dall‘estero - che coincide con il 
saldo commerciale - è pari alla somma dei disavanzi interni. Ma l‘accumularsi 
dei disavanzi crea i debiti. Fino alla metà degli anni Ottanta gli Stati Uniti 
hanno accumulato ricchezza estera netta. Ma a partire dal 1987, per la prima 
volta dopo la Prima Guerra Mondiale, l‘economia statunitense è diventata 
debitrice netta verso l‘estero. Il debito estero ha continuato a crescere 
alimentato dal disavanzo corrente, e alla fine del 2008 lo stock complessivo di 
debito – ossia la somma di quello pubblico con quello privato di imprese e 
famiglie – ha raggiunto il livello di tre volte e mezzo il Pil. Oltre il 40% del 
totale è a carico delle famiglie, il 25% delle imprese e il restante 
dell‘amministrazione pubblica. Nell‘area dell‘euro e in Italia il debito totale 
ammonta a  circa due volte il Pil. A questo volume vanno aggiunti i debiti del 
Giappone e dei paesi in via di sviluppo per un totale di circa 100 mila miliardi 
di euro di debito a livello mondiale. Questo debito si alimenta dei deficit dei 
diversi settori istituzionali. Sempre negli Stati Uniti il disavanzo commerciale 
si è manifestato in coincidenza con la forte diminuzione del risparmio 
nazionale. La controparte dei prestiti netti dall‘estero è stato inizialmente il 
deficit federale, a cui si è aggiunto quello delle famiglie e delle imprese. Con la 
recessione, il deficit dello Stato è tornato a crescere, mentre quello delle 
famiglie si è ridotto. Il debito privato tende così a diminuire per via dell‘attività 
di deleveraging delle banche, sostituito però dal nuovo debito pubblico emesso 
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi. 
Noviello Anna Maria 
 
9 
 
dallo Stato. Se guardiamo all‘Italia la controparte del disavanzo commerciale è 
tradizionalmente riconducibile al deficit pubblico, a cui si affianca quello 
crescente delle imprese e un saldo finanziario positivo delle famiglie che 
tendono perciò a risparmiare. Le famiglie italiane detengono ancora oggi 
ricchezza netta, anche se in diminuzione rispetto agli anni precedenti. E questa 
ricchezza netta serve a finanziare il debito dell‘amministrazione pubblica e 
delle imprese. Nell‘ultimo decennio tale meccanismo si è però incrinato, e la 
caratteristica più saliente è stata una dinamica dei consumi  delle famiglie 
superiore a quella del reddito disponibile, sicché il risparmio delle famiglie si è  
costantemente ridotto.  Il deterioramento della quota del risparmio si è 
accompagnato al crescente indebitamento (esterno ed interno). In Italia quello 
delle famiglie è salito al 50 per cento del reddito disponibile, un valore elevato 
ma ancora inferiore a quello osservato in media nell‘area dell‘euro (il 90 per 
cento) e negli Stati Uniti che arriva al 135 per cento. Nell‘ultimo quinquennio, 
è cresciuta in misura rilevante anche l‘esposizione delle imprese. Per quelle 
italiane ha raggiunto la consistenza del 74 per cento del Pil, valore molto 
elevato rispetto a quello osservato nell‘ultimo decennio. Questa progressione è 
peraltro comune a quella delle maggiori economie mondiali. Inoltre, nel 
medesimo periodo il debito complessivo italiano è tornato a crescere anche per 
il rinnovato contributo del debito pubblico. Oggi esso è il secondo a livello 
mondiale per incidenza sul Pil (circa 104% a fine 2008) dopo quello 
giapponese (138%), ed il terzo in valore assoluto alle spalle degli Stati Uniti e 
del Giappone. Dalla figura 1.4 è più immediato osservare quanto è stato scritto. 
Nel confronto internazionale, le punte di maggiore criticità finanziaria 
rimangono negli Stati Uniti. I rischi legati all‘indebitamento americano 
divengono ancora più evidenti ricordando che esso è raddoppiato rispetto agli 
anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, ed è perfino superiore a quello della 
Grande Depressione. Oltre ciò, nell‘economia americana la distribuzione del 
debito tra i diversi soggetti economici è diversa dalla nostra, con una 
esposizione particolarmente preoccupante delle famiglie oltre che delle 
imprese. Questi saldi finanziari a carico del settore privato palesano a quali 
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi. 
Noviello Anna Maria 
 
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rischi sia esposta l‘economia statunitense, e di riflesso quella mondiale, per gli 
effetti negativi che la crisi finanziaria può avere (e sta già avendo) sulla 
domanda aggregata e sull‘occupazione.  
 
Figura 1-4 Il risparmio delle famiglie in rapporto al reddito nazionale 
 
Fonte: Elaborazioni su dati Ameco e Fed8 
 
1.2 Politica monetaria espansiva 
 
Per proseguire con la disamina delle cause profonde dell‘attuale crisi 
finanziaria occorre richiamare la politica monetaria, particolarmente espansiva, 
intrapresa nella prima metà di questo decennio. Come ho avuto modo di 
sottolineare nell‘introduzione, tra le varie crisi che nel corso del tempo si sono 
succedute, esistono delle differenze, ma anche delle analogie. Per molti 
economisti infatti, la crisi del 1929 fu in gran parte causata dalla decisione 
della Federal Reserve (Fed), adottata due anni prima, di abbassare il saggio di 
sconto dal 4 al 3,5 per cento. Con questa politica monetaria accomodante, la 
maggiore liquidità a disposizione delle banche fu utilizzata per finanziare (con 
mutui) l‘acquisto di titoli azionari da parte dei privati alimentando nei due anni 
seguenti il boom speculativo di Wall Street. Leggendo le analisi di alcuni 
                                                          
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 Si veda, G. Travaglini, ―Alcune riflessioni sulle cause reali della crisi‖, 12 marzo 2009, pag 4;