X L’attività degli intermediari finanziari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi
Noviello Anna Maria
ipotecari (e quindi all’andamento dei prezzi degli immobili sottostanti)
concessi negli Stati Uniti a prenditori con basso merito di credito. Essa ha però
potuto diffondersi rapidamente ad altri comparti del mercato finanziario anche
a causa di in un più ampio contesto di fragilità del sistema finanziario ed
economico internazionale2. I problemi emersi nel 2007 nei mercati dei prodotti
strutturati legati ai mutui subprime hanno sì scatenato la crisi, ma le condizioni
perché essa potesse avviarsi e propagarsi rapidamente si erano gradualmente
accumulate nel tempo. Gli elementi di fragilità e di potenziale instabilità
preesistenti erano già stati in parte identificati dall’analisi e segnalati come
possibile fonte di pericoli. L’espansione del commercio internazionale di beni e
servizi è stata veemente e con essa quella degli investimenti diretti esteri.
Questa si è accompagnata a un forte aumento del grado di liquidità dei mercati,
a sua volta connesso con l’innovazione finanziaria e con la significativa
crescita di investitori quali fondi pensione ed hedge funds, ne è derivata una
notevole e generalizzata riduzione dei premi per il rischio, scesi su valori
eccezionalmente bassi nel confronto storico in tutti i mercati. Nelle
interpretazioni più benevole, l’economia mondiale era entrata in una fase
nuova, la “Grande Moderazione”, caratterizzata da una crescita sostenuta e
priva di significative oscillazioni e una dinamica dei prezzi ordinata e ancorata
intorno a valori medi contenuti. L’avvento di quella fase, veniva argomentato,
era il risultato dell’adozione di politiche economiche efficacemente orientate
alla stabilità macroeconomica, in particolare di politiche monetarie
credibilmente indirizzate al contenimento delle tensioni inflazionistiche, al
mantenimento del valore della moneta. Politiche monetarie sostanzialmente
espansive, incoraggiando e di fatto finanziando l’assunzione di rischi elevati,
avrebbero prima o poi creato, in un contesto per certi versi non radicalmente
mutato rispetto ai decenni precedenti, le condizioni per brusche correzioni nel
momento in cui fossero mutate la percezione dei rischi e la propensione ad
assumerli. Come detto i principali protagonisti dell’ultima crisi sui mercati
2
Si Veda, Ignazio Visco, La crisi finanziaria e le p revisioni degli economisti, lezione
inaugurale dell’A.A. 2008-2009, Facoltà di Economia, Università degli studi di Roma “La
Sapienza”, 4 marzo 2009;
Introduzione XI
internazionali sono gli ormai tristemente noti mutui subprime, prestiti che un
numero consistente di intermediari ha concesso a soggetti con un reddito
inadeguato per potersi permettere l’acquisto di un’abitazione di buon livello.
La convenienza economica di un’operazione del genere, per le banche che
l’hanno promossa, non si è espressa, dopo lo spirare del periodo a tasso ridotto
(teaser rate), solamente attraverso maggiori tassi d’interesse, ma anche
attraverso il nascere e lo svilupparsi in maniera rapida3 di un’utenza
caratterizzata da un basso profilo in termini di capacità al rimborso dei prestiti
richiesti. L’affacciarsi sul mercato del credito di sempre più estese fasce della
popolazione, con un merito creditizio non conforme ai parametri
tradizionalmente richiesti, è stato facilitato dalla creazione di particolari
strumenti per il trasferimento del rischio. Un nuovo business model, che
numerose banche hanno presto adottato, permette loro di erogare prestiti e
trasferirne all’esterno il rischio, definito, appunto, come originate–to-distribute
model che consente alle banche, di alleggerire notevolmente i propri bilanci da
un lato e allocare in maniera più efficiente il rischio. La frammentazione e il
trasferimento del rischio sono stati resi possibili attraverso il ricorso alla
cartolarizzazione, che, realizza la conversione di attività finanziarie non
negoziabili in titoli – in carta appunto – negoziabili sui mercati finanziari. I
mutui sono stati così ceduti dagli intermediari che li avevano erogati a delle
società veicolo, cosiddette Spv (special purpose vehicle), appositamente
costituite, tenute fuori dai propri bilanci e quindi anche fuori dalla
regolamentazione e dal controllo delle autorità di vigilanza. I veicoli, a fronte
dei mutui acquisiti, hanno emesso degli strumenti finanziari del tutto simili a
obbligazion, denominate asset backed securities e nel caso dei mutui mortgage
backed Securities, che permettono all’emittente di disporre di liquidità
immediata e agli investitori cedole prefissate, “finanziate” in parte dagli
interessi passivi pagati dai mutuatari. Si è venuto così a creare un sistema
3
Negli Stati Uniti si stima che tra il 2000 ed il 2006 il mercato dei mutui subprime è cresciuto
ad un tasso medio annuo di circa il 40%, Si Veda Corrado Faissola, “Indagine conoscitiva sulla
crisi finanziaria internazionale e i suoi effetti sull’economia italiana”, AUDIZIONI ABI, 28,
Ottobre, 2008;
XII L’attività degli intermediari finanziari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi
Noviello Anna Maria
bancario satellite e sommerso, che, all’ombra di quello monitorato dalle
istituzioni monetarie, ha consentito lo svolgersi indisturbato delle speculazioni
selvagge che sono culminate nello scoppio della crisi vera e propria. Le Abs
sono state, infatti, a loro volta in gran parte “reimpacchettate” in altri
strumenti, i cosiddetti collateralised debt obligations, Cdo, strumenti di debito
emessi a valere su un portafoglio di attività eterogenee tra loro, tra cui i mutui
subprime.
Partendo da questa premessa, questa tesi si focalizza sulla crisi
finanziaria, iniziata nell’estate del 2007 ed esplosa nell’autunno del 2008, che
in breve tempo ha assunto dimensioni globali e che con grande forza ha
contribuito a questa grave instabilità economica. Con la complicità della
globalizzazione dei mercati, che certamente ha introdotto notevoli vantaggi e
opportunità, le difficoltà di pochi si sono trasformate in un problema per tutti.
Obiettivo del lavoro di tesi è definire i tratti fondamentali della crisi
finanziaria, comprendere come si è arrivati ad essa, cosa è successo e come è
stata affrontata, ponendo l’attenzione sull’attività degli intermediari finanziari.
Oggetto del primo capitolo è l’analisi del contesto generale in cui la crisi si è
sviluppata, riprendendo l’analisi degli squilibri globali e delle politiche
monetarie che sono state adottate nel periodo pre-crisi, nonché le
problematiche connesse alla regolamentazione degli intermediari. Si fornisce
inoltre un approfondimento sulla questione dell’accounting, e dei contesti
normativi in cui si fa ampio ricorso al fair value, criterio reo di dare luogo ad
un effetto ciclico dove l’andamento del mercato influenza i risultati delle
società, i quali a loro volta riverberano effetti sul mercato finanziario
amplificandone le oscillazioni. E’ anche indicata la timeline della crisi
finanziaria, ripercorrendone gli eventi chiave. Nel secondo capitolo sono
racchiuse le problematiche strutturali che hanno consentito il rapido diffondersi
della crisi sui mercati internazionali. In primo luogo è stata fornita una
descrizione degli strumenti cd. Subprime e del nuovo modello di
intermediazione creditizia cd. originate to distribuite nonché una disamina
dell’innovazione finanziaria, quest’ultima, assume in tale contesto grande
Introduzione XIII
importanza nel determinare i meccanismi con cui la crisi si è diffusa: la nascita
di strumenti finanziari derivati e di tecniche di trasferimento del rischio, come
la cartolarizzazione, un nuovo modello di intermediazione di cui si diceva
sopra hanno permesso il determinarsi di esposizioni creditizie eccessive che gli
stessi sistemi di valutazione del rischio non sono stati in grado di individuare.
Inoltre, verranno affrontate le problematiche connesse al ruolo delle agenzie di
rating e ai meccanismi di costruzione di tali giudizi alla luce delle novità
regolamentari che si sono succedute. Nel terzo capitolo sono illustrati i
principali piani a sostegno del sistema finanziario. Sono stati analizzati i
principali provvedimenti finalizzati a gestire le difficoltà degli istituti
finanziari negli Stati Uniti, partendo dalla disamina degli interventi “caso per
caso” dei principali istituti coinvolti per poi illustrare il cd. Piano Tarp e le sue
declinazioni. L’analisi è poi proseguita illustrando i provvedimenti atti a gestire
le difficoltà dei mercati finanziari in Europa, approfondendo il tema discusso e
dibattuto del nuovo quadro di vigilanza finanziaria proposto dal gruppo
presieduto da Jacques de Larosière. Nel quarto capitolo si è svolta un’indagine
sull’impatto che la turbolenza internazionale ha avuto sulle banche italiane. E’
stato affrontato il tema dell’adeguatezza patrimoniale degli istituti italiani,
nonché sono state elencate le principali misure intraprese per la salvaguardia
della stabilità finanziaria italiana. Nell’ultima parte del capitolo si è posta
maggior attenzione sulle misure per la capitalizzazione delle banche italiane
maggiormente esposte alla crisi in corso. In particolare sono stati descritti gli
strumenti messi a disposizione dal MEF, i cd. Tremonti bonds, nonché è stato
fornito l’elenco degli istituti finanziari che hanno provveduto a farne richiesta
allo scopo di incrementare la propria dotazione patrimoniale, o hanno già
ottenuto l’autorizzazione dal MEF per poter provvedere alla loro emissione.
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi.
Noviello Anna Maria
1
Capitolo 1 Determinanti della crisi finanziaria in corso
La crisi finanziaria innescata dalla sovraesposizione degli istituti di prestito
immobiliare negli Stati Uniti nel 2007 e le minacce di una recessione mondiale
sono solo gli elementi più eclatanti di un quadro economico internazionale in
difficoltà da diversi anni. Gli squilibri dei pagamenti tra le aree del mondo sono
noti agli economisti, nonché il ruolo prorompente ma ancora incerto delle
economie emergenti è oggetto di particolare attenzione in questo momento di
difficoltà globale. Nel corso del presente capitolo verranno affrontate le
tematiche attinenti le origini ―remote‖ dell‘attuale crisi finanziaria, definita da
molti ―crisi da mutui subprime‖ ma che in realtà non è altro che la conseguenza
di un più ampio contesto di fragilità del sistema finanziario ed economico
internazionale1.
1.1 Global Imbalances
Tra le cause che possiamo definire macroeconomiche dell‘attuale crisi, vi sono
gli ―squilibri globali‖, si tratta di persistenti squilibri dei pagamenti tra le
diverse aree del mondo, che hanno dato luogo ad un transito di ingenti capitali
dalle economie emergenti alle economie industriali, specie gli Stati Uniti.
Volendo essere più precisi dando uno sguardo all‘andamento delle economie
mondiali nel periodo 1996-2008 emergono interessanti elementi di discussione.
Negli Stati Uniti il deficit commerciale era di 125 miliardi di dollari nel 1996,
pari all‘1.6% del Pil; nel 2008 aveva raggiunto il valore di 677 miliardi di
dollari (700 nel 2007) e superato la soglia del 4.5% del prodotto nazionale. Una
dinamica simile si è registrata nelle principali economie europee, con
eccezione della Germania, che nell‘ultimo decennio hanno perso quote del
commercio internazionale, e subìto il deterioramento del saldo delle partite
correnti. Nel 2008 in Italia il saldo è stato negativo (-2.8); similmente in
1
Si veda, I. Visco ―La crisi finanziaria e le previsioni degli economisti”, lezione inaugurale
dell‘Anno Accademico 2008-2009, Facoltà di Economia, Università degli studi di Roma ―La
Sapienza‖, Roma 4 marzo 2009;
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi.
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2
Francia (-2.8) e ancora peggiore in Spagna (-10.1). Anche la Grecia (-14%) e il
Portogallo (-12%) hanno mostrato le stesse difficoltà. Disavanzi simili si sono
avuti nel Regno Unito (-3.6%) e in Australia (-4.9%). A livello mondiale il
valore aggregato dei deficit deve essere esattamente compensato dagli avanzi
commerciali dei restanti paesi. Così non sorprende che all‘emergere del
disavanzo commerciale negli Usa, e in molti paesi nell‘area dell‘euro, abbia
fatto da contraltare l‘avanzo dei paesi esportatori di petrolio (+813 miliardi di
dollari, pari al 14.2% del loro Pil complessivo, nel 2008), e di alcuni paesi non
produttori di petrolio come la Cina (+399 miliardi di dollari, 9.5% del Pil), la
Germania (+279 miliardi di dollari, 7.3% del Pil) il Giappone (+194 miliardi di
dollari, 4% del Pil). E‘ però sorprendente il fatto che il risparmio si sia generato
principalmente nelle economie emergenti piuttosto che in quelle
industrializzate, siamo dinanzi ad un vero e proprio paradosso per cui la
globalizzazione ha fatto si che i paesi in via di sviluppo fossero creditori dei
paesi ricchi e non il contrario. Per un confronto internazionale omogeneo si
può far riferimento al PIL mondiale, come in Figura 1.1, dalla quale emerge
che gli Stati Uniti sono il debitore primario con quasi il 10 per cento del
prodotto mondiale, seguiti dal‘UME con circa il 3 per cento. I creditori globali
sono i paesi petroliferi, il Giappone e i paesi emergenti asiatici.
Figura 1-1 Creditori e debitori globali, 2007 (% del PIL Mondiale)
Fonte: F.Targetti, A.Fracasso (2008), p.260
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi.
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3
Secondo il Fmi, al termine del 2008 l‘eccesso di risparmio sugli investimenti
nei paesi in avanzo si è aggirato complessivamente intorno ai 2000 miliardi di
dollari. A questo fenomeno se n‘è poi aggiunto un secondo: la crescita della
quota di risparmio sul reddito disponibile nelle economie emergenti è avvenuta
senza effetti negativi sugli investimenti interni. In altre parole, l‘aumento del
reddito disponibile ha accresciuto la quota del risparmio nei paesi emergenti
riversandosi nei mercati finanziari internazionali, senza spiazzare
l‘accumulazione interna di capitale nel breve periodo. Il risparmio così
generato in Cina e in alcuni altri paesi asiatici di nuova industrializzazione
come Singapore, Taiwan e la Malesia, unitamente a quello dei paesi produttori
di petrolio, compresa la Russia, ha contribuito ad accrescere a livello mondiale
l‘offerta di risparmio, fino a far parlare il governatore della Fed, Ben Bernanke,
di un vero e proprio Saving Glut2. La contabilità nazionale insegna che il saldo
delle partite correnti è necessariamente identico alla differenza tra il risparmio
e gli investimenti nazionali. Ad ogni deficit commerciale corrisponde quindi un
eccesso d‘investimento sul risparmio nazionale, e ad ogni avanzo un risparmio
di risorse interne sull‘investimento. Così, il crescente risparmio dei paesi
emergenti è entrato nel circuito internazionale finanziando l‘investimento dei
paesi industriali con disavanzo commerciale, che sono divenuti
contemporaneamente importatori netti di merci e di risparmio. Questo
fenomeno ha avuto una dimensione non paragonabile a quella dei decenni
precedenti. La conseguenza è stata l‘accumulo di un debito netto notevole delle
economie avanzate verso l‘estero, e la formazione di un eccesso di risparmio
globale associato a bassi tassi di interesse di lungo periodo a livello mondiale3.
I principali paesi europei, compresa l‘Italia, ma ad eccezione della Germania,
insieme agli Usa, al Regno Unito e all‘Australia sono in posizione debitoria:
essi hanno ricevuto prestiti dai paesi emergenti, finanziando in questo modo la
loro domanda interna. Il risultato ultimo di questo processo da ―vasi
2
Si Veda Bernanke, Ben S. "The Global Saving Glut and the U.S. Current Account Deficit,"
(2005);
3
Si veda, G. Travaglini, ―Alcune riflessioni sulle cause reali della crisi‖, www.emigrazione-
notizie.org, 12 marzo 2009
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi.
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4
comunicanti‖ è che negli ultimi 15 anni è diminuito il risparmio nazionale nei
paesi economicamente avanzati (vedi per esempio il grafico della Figura 2),
con una conseguente esposizione in termini di indebitamento verso il resto del
mondo; e a questo movimento è corrisposta la crescita del risparmio nei paesi
di nuova industrializzazione.
Figura 1-2 Risparmio nazionale in rapporto al PIL
Fonte: Elaborazioni si dati Ameco e Fed4
Per i paesi esportatori di petrolio il persistente avanzo di parte corrente e
l‘accumulo di riserve estere è stato agevolato dal forte aumento del prezzo del
greggio. La Figura 1.3 mostra come la loro bilancia di parte corrente sia
migliorata in linea con l‘aumento del prezzo del petrolio, determinando un
trasferimento del risparmio mondiale a loro favore. Questo risparmio è affluito,
sotto forma di prestiti dall‘estero e di movimenti di capitale, verso i paesi con
bilancia commerciale in deficit.
4
Si veda, G. Travaglini, ―Alcune riflessioni sulle cause reali della crisi‖, 12 marzo 2009, pag 3;
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi.
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5
Figura 1-3 Prezzo del petrolio e saldi di parte corrente
Fonte: ASSBB, Osservatorio monetario “Crisi e paura”, 3/2008 pag 8
1.1.1 Accumulazione di riserve valutarie e crisi
L‘eccesso di risparmio di cui si parlava in precedenza è un fenomeno comune a
diversi paesi, ma per cause diverse: in Giappone per ragioni strutturali, nei
paesi esportatori di petrolio per l'aumento dei prezzi petroliferi, in Asia per
timore di crisi finanziarie. Molti paesi emergenti hanno proseguito lungo il
sentiero di un‘onerosa ristrutturazione dei loro sistemi bancari e finanziari al
fine di prevenire le crisi.(Bongini, Chiarlone e Ferri, 2008). Dal lato invece
della capacità di gestire la crisi, molti paesi emergenti hanno deciso di
modificare la loro strategia di politica monetaria e valutaria al fine di realizzare
un avanzo di partite correnti tale da garantire loro un livello crescente di riserve
internazionali, sia in valore assoluto che rispetto al PIL, determinando una vera
e propria svolta per gli equilibri dell‘intero sistema finanziario internazionale.
Tale cambiamento di rotta è avvenuto attraverso due canali : il primo
prevedeva la diminuzione dell‘indebitamento estero, il cosiddetto corporate
external deleveraging, che inizia già dal 1997 per i paesi della crisi asiatica,
finalizzato a ridurre l‘esposizione al rischio valutario; il secondo consisteva in
un accumulo di attività nette sull‘estero da parte del settore privato e,
successivamente, di riserve valutarie da parte del settore ufficiale. Se in un
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi.
Noviello Anna Maria
6
primo momento, dal 1997 al 2001, ha prevalso l‘obiettivo di riduzione
dell‘indebitamento estero dal 2002 in poi i paesi emergenti si sono trasformati
in capital exporters mediante l‘accumulazione di riserve valutarie (passate da
550 a 3.900 miliardi di dollari tra 1996 e 2007), che è andata a più che
compensare i maggiori afflussi di capitali privati, in netta ripresa sino al punto
di toccare un massimo di oltre 602 miliardi di dollari nel 2007 prima di ridursi
a un valore vicino ai 500 miliardi nel 2008. La trasformazione di molti paesi
emergenti in esportatori netti di capitali contrasta con la visione convenzionale,
secondo cui i flussi di capitale andrebbero dai paesi ricchi verso le economie
emergenti e in via di sviluppo, dove dovrebbero esistere opportunità di
investimento caratterizzate da rendimenti potenziali più elevati. Inoltre,
comporta sia benefici che costi che tendono a variare al trascorrere del tempo.
Per valutarli, sembra opportuno ricordare che oltre alle necessità legate alla
gestione del commercio con l‘estero, la prima ragione che spinge un paese a
detenere riserve ufficiali è quella di proteggersi dal rischio di crisi valutarie. La
letteratura ha, infatti, da tempo verificato che le riserve internazionali sono uno
strumento essenziale per difendersi da sudden stop5, vale a dire da improvvise
interruzioni degli afflussi di capitale estero (Tweedie, 2000). Diversi contributi
empirici hanno dimostrato che la probabilità di una crisi del debito – così come
i costi dell‘operazione di indebitamento (ChanLau, 2004)– si riducono
all‘aumentare delle riserve accumulate. Esse sono, infatti, la materia prima
fondamentale per consentire alla banca centrale di intervenire in caso di
necessità, anche per svolgere un ruolo di lender of last resort in presenza di
una elevata percentuale di prestiti in valuta estera, riducendo il rischio di bank
run (Diamond e Dybvig 1983). Contributi recenti (Dooley-Folkerts, Landau e
Garber, 2004) sostengono la visione secondo cui la crescente accumulazione di
riserve possa anche essere legata al perseguimento di una strategia di crescita
di tipo export-led. Secondo questo filone di analisi, l‘enorme stock di riserve
sarebbe infatti la risultante di interventi svolti dalle Banche Centrali sui mercati
valutari, finalizzati a mantenere un tasso di cambio sufficientemente debole per
5
Si veda S.Chiarlone, G.Ferri, ―Osservatorio monetario‖, 3/2008, pag 11 ss.
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi.
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poter favorire una export-led growth. Questa sarebbe la strategia adottata dalla
Cina, da un‘analisi dei rapporti valutari vigenti tra Cina e USA, esisterebbe da
tempo un regime di cambio a fluttuazione limitata tra il renminbi6 e il dollaro,
compatibile con il mantenimento di un tasso di cambio reale sottovalutato della
moneta cinese7. La sottovalutazione è pari al 55,54%. Ciò genererebbe
sufficiente competitività di prezzo a vantaggio delle esportazioni del gigante
asiatico che agirebbero come vero motore della crescita cinese, favorendo
l‘assorbimento della manodopera proveniente dalla Cina rurale che altrimenti
rimarrebbe disoccupata. Le riserve valutarie cinesi hanno superato i 1.600
miliardi di Dollari, un ―tesoro‖ mai prima posseduto da alcuna banca centrale;
e, nonostante sull‘allocazione di queste sia sempre rimasto alto il riserbo, da
almeno due anni Pechino non fa mistero di volerne ottimizzare i rendimenti
attraverso una evoluta gestione di portafoglio, per la quale è stata
appositamente creata una superholding finanziaria, controllata dalla Agenzia
SAFE (State Administration of Foreign Exchange) e strutturata sul modello
della Temasek, la società pubblica di Singapore che da anni investe sui mercati
esteri le riserve valutarie della città‐Stato asiatica. Ovviamente tale situazione è
ancora una volta la dimostrazione di un modello di crescita squilibrato che fa
comprendere ancor di più la fragilità del sistema finanziario dei paesi
interessati dall‘attuale turbolenza internazionale.
1.1.2 Global Imbalances e indebitamento interno
La situazione economica internazionale era già abbastanza critica un anno fa.
Da settembre 2008, con il fallimento della Lehman Brothers, ad oggi la crisi si
6
Dal 25 Luglio 2005, pur non più ancorato direttamente al Dollaro, lo Yauan segue
l‘andamento di un paniere di valute in cui il Dollaro avrebbe il maggior peso (il paniere non è
mai stato ufficializzato, e sono disponibili solo congetture). Morgan Stanley ha, tempo fa,
ipotizzato i seguenti pesi: un 43 per cento per il Dollaro, un 18 % per lo Yen (Giappone) e un
14 per cento per l‘Euro, e percentuali minori per altre valute di partner commerciali importanti
per la Cina;
7
La stretta analogia tra quanto accaduto tra Europa e USA nel secondo dopoguerra (sia in
termini di ruolo delle esportazioni come motore della crescita che del tasso di cambio
sottovalutato come fattore di competitività) e quanto sarebbe attualmente in corso di
svolgimento tra Cina e USA ha portato a definire tale regime come Bretton Woods II (BW II);
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi.
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è approfondita. La natura internazionale della recessione richiede un
cambiamento complessivo del modello di crescita in grado di invertire la
tendenza in atto. Al Global Imbalances ha corrisposto lo squilibrio strutturale
nei flussi di capitale internazionale. Questo sbilanciamento ha reso le economie
avanzate sempre più dipendenti dai prestiti dei paesi risparmiatori, che sono
quelli emergenti, ad eccezione del Giappone e della Germania. I capitali
raccolti nei mercati internazionali, facilitati dalla deregolamentazione dei
mercati dei capitali, sono stati poi reinvestiti all‘interno dei paesi
industrializzati, accrescendone il grado di indebitamento. Il disequilibrio
esterno delle partite correnti si è dunque riflesso in un corrispondente squilibrio
finanziario interno. La somma dei prestiti netti dall‘estero - che coincide con il
saldo commerciale - è pari alla somma dei disavanzi interni. Ma l‘accumularsi
dei disavanzi crea i debiti. Fino alla metà degli anni Ottanta gli Stati Uniti
hanno accumulato ricchezza estera netta. Ma a partire dal 1987, per la prima
volta dopo la Prima Guerra Mondiale, l‘economia statunitense è diventata
debitrice netta verso l‘estero. Il debito estero ha continuato a crescere
alimentato dal disavanzo corrente, e alla fine del 2008 lo stock complessivo di
debito – ossia la somma di quello pubblico con quello privato di imprese e
famiglie – ha raggiunto il livello di tre volte e mezzo il Pil. Oltre il 40% del
totale è a carico delle famiglie, il 25% delle imprese e il restante
dell‘amministrazione pubblica. Nell‘area dell‘euro e in Italia il debito totale
ammonta a circa due volte il Pil. A questo volume vanno aggiunti i debiti del
Giappone e dei paesi in via di sviluppo per un totale di circa 100 mila miliardi
di euro di debito a livello mondiale. Questo debito si alimenta dei deficit dei
diversi settori istituzionali. Sempre negli Stati Uniti il disavanzo commerciale
si è manifestato in coincidenza con la forte diminuzione del risparmio
nazionale. La controparte dei prestiti netti dall‘estero è stato inizialmente il
deficit federale, a cui si è aggiunto quello delle famiglie e delle imprese. Con la
recessione, il deficit dello Stato è tornato a crescere, mentre quello delle
famiglie si è ridotto. Il debito privato tende così a diminuire per via dell‘attività
di deleveraging delle banche, sostituito però dal nuovo debito pubblico emesso
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi.
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dallo Stato. Se guardiamo all‘Italia la controparte del disavanzo commerciale è
tradizionalmente riconducibile al deficit pubblico, a cui si affianca quello
crescente delle imprese e un saldo finanziario positivo delle famiglie che
tendono perciò a risparmiare. Le famiglie italiane detengono ancora oggi
ricchezza netta, anche se in diminuzione rispetto agli anni precedenti. E questa
ricchezza netta serve a finanziare il debito dell‘amministrazione pubblica e
delle imprese. Nell‘ultimo decennio tale meccanismo si è però incrinato, e la
caratteristica più saliente è stata una dinamica dei consumi delle famiglie
superiore a quella del reddito disponibile, sicché il risparmio delle famiglie si è
costantemente ridotto. Il deterioramento della quota del risparmio si è
accompagnato al crescente indebitamento (esterno ed interno). In Italia quello
delle famiglie è salito al 50 per cento del reddito disponibile, un valore elevato
ma ancora inferiore a quello osservato in media nell‘area dell‘euro (il 90 per
cento) e negli Stati Uniti che arriva al 135 per cento. Nell‘ultimo quinquennio,
è cresciuta in misura rilevante anche l‘esposizione delle imprese. Per quelle
italiane ha raggiunto la consistenza del 74 per cento del Pil, valore molto
elevato rispetto a quello osservato nell‘ultimo decennio. Questa progressione è
peraltro comune a quella delle maggiori economie mondiali. Inoltre, nel
medesimo periodo il debito complessivo italiano è tornato a crescere anche per
il rinnovato contributo del debito pubblico. Oggi esso è il secondo a livello
mondiale per incidenza sul Pil (circa 104% a fine 2008) dopo quello
giapponese (138%), ed il terzo in valore assoluto alle spalle degli Stati Uniti e
del Giappone. Dalla figura 1.4 è più immediato osservare quanto è stato scritto.
Nel confronto internazionale, le punte di maggiore criticità finanziaria
rimangono negli Stati Uniti. I rischi legati all‘indebitamento americano
divengono ancora più evidenti ricordando che esso è raddoppiato rispetto agli
anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, ed è perfino superiore a quello della
Grande Depressione. Oltre ciò, nell‘economia americana la distribuzione del
debito tra i diversi soggetti economici è diversa dalla nostra, con una
esposizione particolarmente preoccupante delle famiglie oltre che delle
imprese. Questi saldi finanziari a carico del settore privato palesano a quali
L’attività degli intermediari: un’analisi alla luce dell’attuale crisi.
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rischi sia esposta l‘economia statunitense, e di riflesso quella mondiale, per gli
effetti negativi che la crisi finanziaria può avere (e sta già avendo) sulla
domanda aggregata e sull‘occupazione.
Figura 1-4 Il risparmio delle famiglie in rapporto al reddito nazionale
Fonte: Elaborazioni su dati Ameco e Fed8
1.2 Politica monetaria espansiva
Per proseguire con la disamina delle cause profonde dell‘attuale crisi
finanziaria occorre richiamare la politica monetaria, particolarmente espansiva,
intrapresa nella prima metà di questo decennio. Come ho avuto modo di
sottolineare nell‘introduzione, tra le varie crisi che nel corso del tempo si sono
succedute, esistono delle differenze, ma anche delle analogie. Per molti
economisti infatti, la crisi del 1929 fu in gran parte causata dalla decisione
della Federal Reserve (Fed), adottata due anni prima, di abbassare il saggio di
sconto dal 4 al 3,5 per cento. Con questa politica monetaria accomodante, la
maggiore liquidità a disposizione delle banche fu utilizzata per finanziare (con
mutui) l‘acquisto di titoli azionari da parte dei privati alimentando nei due anni
seguenti il boom speculativo di Wall Street. Leggendo le analisi di alcuni
8
Si veda, G. Travaglini, ―Alcune riflessioni sulle cause reali della crisi‖, 12 marzo 2009, pag 4;