4
in tal senso non è certo una naturale predisposizione femminile verso
queste professioni, bensì il fatto che nella società maschile minori
sono le resistenze per l’esercizio da parte della donna in questi rami:
ginecologia, pediatria o anche farmacia.
Durante il periodo fascista tutto viene plasmato
dall’ideologia del regime. Per tutelare l’occupazione maschile in un
momento di grave crisi ed evitare competizione tra uomini e donne, si
inizia a dare maggiore peso al ruolo della famiglia. Per accelerare
questo processo sono emanate alcune leggi nel corso degli anni, come
il regio decreto 2480 del 9 dicembre 1926 che esclude le donne dai
concorsi e dall'insegnamento. Una legge successiva del 1928
impedisce che vengano nominate presidi, nel 1940 questa esclusione
viene estesa agli istituti tecnici. Le discriminazioni del sistema
scolastico le ostacolano e le disuguaglianze del sistema sociale
permettono solo ad una ristretta élite di ragazze particolarmente
dotate, studiose e di buona famiglia di raggiungere risultati elevati.
A Napoli, presso la Regia Università nell’anno accademico 1936-1937
solo due donne conseguono la laurea in lettere, sette donne in
medicina e chirurgia e nessuna donna in agraria e ingegneria
3
.
Solo quando arriviamo agli anni tra il tra 1945 ed il 1975 si
ha un vero e proprio boom scolastico. Sarà superato ogni limite e
conterà solo il desiderio di valorizzare la propria identità e di
eliminare le differenze di genere. In tutti i paesi europei il numero
delle ragazze scolarizzate cresce rapidamente. Aumenta il numero
delle studentesse negli istituti superiori come nelle università, al punto
che diventano circa il 50% in tutti i livelli di istruzione. Il numero
delle iscritte alle università cresce sensibilmente, ma non tutte le
laureande conseguono la laurea, molte abbandonano gli studi.
3
Annali della Regia Università degli studi di Napoli, 1936-1937, tav. 6.
5
L’ingresso nel variegato mondo del lavoro non sempre è
facile, molti campi sono di esclusiva competenza degli uomini, mentre
altri con il tempo diverranno monopolio delle donne.
Tra le professioni in cui maggiore è la presenza femminile
ricordiamo quella di medico. Quest’ultima riportava alla mente la
figura di benefattrice ottocentesca, la disposizione verso il lavoro di
cura veniva quindi inteso come una naturale disposizione del carattere
femminile. Nel 1877 la prima donna laureata in medicina è Ernestina
Paper, seguita da Gina Lombroso, Maria Montessori (pioniera negli
studi di psichiatria e psicologia) e Giuseppina Cattani
4
.
La prima associazione di donne medico fu fondata nel 1921 a
Salsomaggiore Terme, con scopi associativi e scientifici.
L’ingresso nel campo giuridico rappresenta una sfida. Le
donne erano ritenute sensibili, poco ragionevoli, incapaci di
imparzialità, con debole senso della giustizia, per natura non adatte a
svolgere professioni in cui queste caratteristiche erano essenziali. Non
dobbiamo dimenticare che il campo giuridico da sempre era stato una
prerogativa maschile
5
. Lidia Poet nel 1881 è la prima laureata del
Regno d’Italia, seguita da Fanny Dalmazzo. Laureata a Torino nel
1909 con il massimo dei voti, la Dalmazzo viene ricordata come una
delle poche donne iscritte all’albo professionale nel 1920. Nel 1925 si
conta ancora solo un’iscrizione femminile all’anno, tra il 1928 e il
1932 le iscrizioni raddoppiano.
E’ la prima guerra mondiale il momento di svolta, in quanto
apre nuovi spazi di lavoro femminile. Nel 1919 viene abolito
l’umiliante istituto dell’autorizzazione maritale e cade anche ogni
4
M. De Giorgio, Donne e professioni, in I professionisti, a cura di M. Malatesta, in Storia d’Italia,
Annali 10, Torino, Einaudi, 1996, p. 477.
5
M. Malatesta, Professionisti e gentiluomini, Torino, Einaudi, 2006, pp 310-312.
6
ostacolo all’ammissione dell’esercizio della professione forense.
Viene approvata la legge n° 1126 del 9/3/1919 che ammette la donna,
a pari titolo degli uomini, all’esercizio delle libere professioni e di tutti
gli impieghi pubblici.
Anche nel campo contabile le limitazioni non sono poche. Il
numero delle donne iscritte presso istituti tecnici è esiguo. Tra le
prime ragioniere ricordiamo Pierina Marconi, iscritta all’albo di Roma
nel 1914
6
. In seguito alla cancellazione dall’albo la Marconi fa ricorso
presso la corte d’Appello. La corte accoglie la sua richiesta avvalorata
da “un’ampia e generica autorizzazione” del marito
7
.
Dopo l’iscrizione di Pierina nel 1914, occorrerà attendere 6 anni per
una nuova presenza femminile nell’albo dei ragionieri. La
maggioranza delle donne si iscrive negli anni trenta (11 su 17), mentre
negli anni venti sono solo cinque le nuove iscrizioni femminili. Al
Sud, negli stessi anni, vi sono due ragioniere in Campania, una a
Napoli e l’altra a Salerno.
Per la professione di maestre sono richieste invece particolari
doti umane. Si riteneva che la maestra dovesse continuare le
sollecitudini della madre, essere una persona con particolari attitudini
di carattere. Provenienti da famiglie di varia estrazione sociale, le
maestre hanno una carriera molto tortuosa, accedono al ruolo spesso
per anzianità, non per abilità. Inoltre tutte coloro che desiderano
sposarsi sono costrette ad abbandonare il loro lavoro perché si ritiene
che una buona educatrice non possa dedicarsi ai propri figli e a quelli
6
Ibidem, pp. 307-309.
7
F. Lipparini, Genere e professioni contabili, Collana della Fondazione dei Dottori
Commercialisti di Bologna, n. 14, p. 45.
7
degli altri
8
. Le professoresse invece appartengono a famiglie di ceto
medio o elevato, sono di classe sociale superiore, compiono studi più
approfonditi e accedono all’insegnamento dopo aver conseguito una
laurea. Questa professione è ritenuta dignitosa per una donna anche di
ceto sociale medio alto, in quanto compatibile con i tradizionali
impegni femminili. La concorrenza maschile non è eccessiva.
Una rilevante crescita femminile si nota anche in facoltà quali
chimica e farmacia. Lo sbocco professionale più usuale per queste
laureate è rappresentato dall’impiego presso una farmacia, spesso di
famiglia. Secondo i dati contenuti nel Censimento industriale e
commerciale che è stato effettuato dall’ISTAT tra il 1937 e il 1939, in
Italia risultavano attive 9435 farmacie che occupavano 19.386 addetti,
di questi 4.908 sono donne. Nell’Italia unita, la prima studentessa
della Scuola di farmacia di Bologna, istituita nel 1859, è Teresita
Prandelli che si iscrive nel 1898 e si diploma nell’anno accademico
1901-1902. La prima laureata in Chimica e Farmacia è nel marzo
1908 Anita Stoppa.
Se consideriamo il Mezzogiorno, la Scuola di farmacia nasce
ufficialmente nel 1865 e la prima laureata in Chimica pura presso
l’Università di Napoli è Marussia Bakunin nel 1895, seguita nel 1900
da Ione Foà
9
.
L’esercizio della professione prevede il superamento di un
esame e l’iscrizone presso l’albo professionale. Se si scorrono, ad
esempio, i registri cronologici delle iscrizioni all’Ordine dei farmacisti
8
G. Bini, Romanzi e realtà di maestri e maestre, in Intellettuali e potere, a cura di C. Vivanti, in Storia
d’Italia, Annali 4, Torino, Einaudi, 1996, pp. 1223-1224.
9
V. Ravà, Le laureate in Italia, in “Bollettino ufficiale del Ministero dell’Istruzione pubblica”,
cit., p. 644.
8
di Salerno (registri che esistono solo dal 1946) troviamo numerose
iscritte. Si tratta di donne laureate che si collocano da subito dietro i
banconi delle farmacie come impiegate, ma più spesso come
proprietarie.
9
Capitolo primo
L’accesso all’istruzione universitaria
10
1. Divisione dei ruoli, accesso all’istruzione e al lavoro tra la fine
dell’ Ottocento e la Grande guerra
Nel 1877 per la prima volta nell’Italia unita una donna,
Ernestina Paper, conseguì a Firenze il titolo dottorale: è questo il
primo episodio pubblico del lungo e contrastato cammino della donna
verso l’acquisizione di una cultura più alta e verso l’esercizio delle
professioni liberali. Fino ad allora si pensava che alla donne bastasse
saper leggere e scrivere. Nelle famiglie più ambiziose poteva sembrare
opportuna qualche nozione generale che permettesse di non sfigurare
nei salotti e fosse una buona presentazione per il marito prescelto.
Nel corso dell’Ottocento per la donna non era previsto
l’accesso all’istruzione secondaria o universitaria proprio perchè non
le era consentito l’esercizio delle professioni. Non aveva senso quindi
aspirare a quei titoli di studio
10
.
Non tutto però era immobile. Donne più emancipate e
uomini più liberali in tutta Europa ed anche in Italia avvertivano il
disagio di una situazione che costituiva un ostacolo allo sviluppo
sociale. Nel 1869 uscì un libro di Salle Molière subito tradotto in
molti paesi. Nel 1870 arrivò anche in Italia, ben presto il discorso si
spostò ai paesi cattolici.
10
M. Raicich, Liceo università e professioni: un percorso difficile, in
L’Educazione delle donne. Scuole e modelli di vita femminile nell'Italia
dell'Ottocento, a cura di S. Soldani, cit., pp. 147-148.