4
ha assunto un'obbligazione internazionale che si ponesse in coerenza o meno con i suoi trattati
istitutivi per la realizzazione prima, e per il consolidamento poi, del sistema giuridico comunitario.
Da qui, la ragione di quest'analisi: in un primo momento, verificare i procedimenti previsti dallo
Statuto e dal Regolamento di procedura e attinenti alla tematica delle relazioni internazionali della
Comunità. La principale procedura prevista in quelle due fonti è emanazione dell'art. 300, par. 6
TCE, il quale appunto, come si vedrà, prevede un parere che anche se la maggior parte della
dottrina fa rientrare (giustamente) nella giurisdizione non contenziosa della Corte, non manca di
proporre dei profili interessanti nel loro risultato finale. Infatti, essi hanno costituito la base
giuridica per le grandi scelte di politica internazionale adottate dalla Comunità ed il ragionamento
giurisprudenziale a monte è divenuto in più occasioni il punto di partenza per il rilancio di negoziati
relativi a questioni di politica estera o commerciale (un caso per tutti, l'accordo sullo Spazio
Economico Europeo). Forse in questo campo, maggiormente che in altri campi in cui ha avuto
comunque un ruolo chiave la giurisprudenza, si è potuta osservare l'evoluzione del giudice
comunitario da mero arbitro dell'osservanza dei rapporti reciproci fra Stati membri, a giudice di
legittimità, quantunque si releghi ancora tali competenze come un aspetto secondario del lavoro
della Corte.
Proprio l'Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE) ha reso necessario un capitolo a parte
dell'analisi in quanto ha creato una sovrastruttura rispetto alla Comunità Europea che però,
informandosi agli stessi valori giuridici e di mercato, si è affiancata a quest'ultima nella
costituzione di un sistema allargato nelle relazioni continentali. Anche se lo Spazio Economico
Europeo non ha avuto le stesse fortune di altre iniziative relative alle relazioni esterne dell'Unione,
costituisce comunque, specie dal punto di vista di questa analisi, l'accordo internazionale in cui
maggiormente si può verificare il ruolo istituzionale da protagonista della Corte di giustizia. Essa,
come nelle ipotesi di diritto comunitario in senso stretto, svolge un ruolo fondamentale, una
“cerniera” che controlla il diritto alla base dei trattati comunitari e le ipotesi procedurali dovute
all'Accordo SEE. Infatti, caso unico non solo nell'ambito comunitario, ma nell'intera casistica delle
giurisdizioni internazionali, alcuni Stati non membri della Comunità ma aderenti all'Area Europea
di Libero Scambio (EFTA) (nel caso di specie Islanda, Norvegia e Liechtenstein) partecipano ad un
importante procedimento (il rinvio pregiudiziale, che nel diritto processuale comunitario riveste il
ruolo cardine che nelle giurisdizioni nazionali può assumere il vaglio di costituzionalità o quanto
meno il giudizio di Cassazione) relativo alle materie su cui si basa lo Spazio Economico Europeo
presentando memorie ed osservazioni scritte.
5
Il successo pratico di questo accordo, rispetto ad altri impegni internazionali che ha assunto la
Comunità nel corso della sua storia, è mancato molto probabilmente a causa dell'adesione dei
maggior parte degli Stati aderenti all'EFTA alla Comunità, ma tuttavia mantiene ancora la sua
importanza come caso di studio, in qualità di esempio di coordinamento fra addirittura tre livelli di
giurisdizione (corti nazionali, Corte EFTA e Corte di giustizia).
Da un altro punto di vista, sempre per sottolineare il ruolo della Corte di giustizia in questo ambito,
si è voluto affrontare la questione dell'incidenza del diritto internazionale (sia consuetudinario che
convenzionale) nell'ambito comunitario. Questo tipo di problematica ha portato ad elaborare una
giurisprudenza completamente originale rispetto agli altri ambiti d'incidenza del diritto
comunitario, e ciò anche in forza di un elaborato “principio del parallelismo” fra competenze
esterne ed interne, secondo cui l'Unione, essendo dotata di vastissimi poteri sul piano interno, è
parimenti dotata di amplissimi poteri nelle corrispondenti questioni previste sul piano esterno. La
necessità di coordinare al meglio l'ordinamento interno con la comunità internazionale con cui si
relaziona la Comunità, ha comportato l' introduzione di nuovi parametri interpretativi fondamentali
per la verifica della dialettica e del rapporto fra diritto internazionale e diritto comunitario.
Infine, si è resa necessaria la verifica delle modifiche del trattato di Lisbona. Il nuovo sistema
giuridico che così si è costruito ha portato alla valorizzazione della politica estera e sicurezza
comune (PESC) ma più in generale ha imposto, anche a livello sistematico, la struttura delle
relazioni internazionali come uno dei dati fondamentali dell'azione europea (ne è fatta menzione già
nell'art. 2B del nuovo TUE). Con questo nuovo sistema, si configura la possibilità che la Corte
comunque mantenga un ruolo seppure meno centrale rispetto altri ambiti di operatività della nuova
Unione. E ciò, secondo quanto sviluppato in quest'analisi, potrà avvenire in una duplice direzione.
Da una parte, la modifica della procedura di cui all'art. 300, par. 6 TCE, seppur non sostanziale dal
punto di vista della procedura (d'altro canto non si registrano nuove riforme né nello statuto né nel
regolamento di procedura), comporterà comunque una rivisitazione dei parametri a fondamento del
parere. Infatti, sarà non più solo uno (l'odierno TCE), ma due i trattati su cui basare il vaglio do
conformità che richiedono gli Stati membri o le istituzioni europee: il Trattato dell'Unione Europea
(TUE) e il Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE).
D'altro canto, torna ad essere essenziale l'analisi dei nuovi parametri normativi che sono a
fondamento dell'azione esterna dell'Unione. Soffermandosi solo sul dato squisitamente
giurisdizionale del problema (ossia nell'ambito in cui la Corte possa in qualche modo trovarsi
attribuita una data rilevanza dai trattati), ci si può rendere conto della necessità del ruolo di una
Corte di giustizia efficiente ed il più possibile obiettiva, perché istituzionalmente autonoma e
6
indipendente rispetto agli altri organi politici.
Essa, in questo campo, si ritrova ad essere ancora una volta l'istituzione che, con la sua
giurisprudenza, “riordina” in un certo senso quelli che sono i presupposti e la ratio della politica
estera europea (ne sono un esempio eloquente i pareri che sono qui stati analizzati).
Ancora di più, tra l'altro, con le riforme attuate a Lisbona, dove tale azione ha assunto un ruolo
preponderante rispetto a molte altre politiche.
Quindi, si può dire che la Corte non ha mai mancato nel corso del tempo di dare il proprio
contributo allo svolgimento corretto (ma soprattutto coerente rispetto alla lettera dei trattati) delle
relazioni internazionali della Comunità prima ed ora dell'Unione. Studiarne la giurisprudenza
significa capire forse nella maniera più compiuta le dinamiche sottostanti, e questo è parimenti
l'obiettivo del presente lavoro.
7
2) L’INQUADRAMENTO DELLE COMPETENZE DELLA CORTE CONFIGURATE NEI
LAVORI PREPARATORI E NEL TRATTATO DÌ NIZZA
L’odierno statuto della Corte di giustizia rappresenta la sintesi di un percorso che parte dai tre
Trattati istitutivi delle Comunità europee (art. 245 CE, art. 160 CEEA, art. 45 CECA), (a cui era
annesso un protocollo relativo allo statuto sulla Corte di giustizia, con norme fondamentali sia di
tipo organizzativo che processuale), e che si conclude con il Trattato di Nizza
1
. Quest’ultimo
costituisce un’importante innovazione nell’assetto giurisdizionale comunitario, in quanto ha
comportato l’abrogazione degli statuti CE e CEEA e la conseguente introduzione di un unico
protocollo relativo allo statuto della Corte di giustizia. Recita infatti l’art. 7 delle disposizioni
transitorie e finali del Trattato di Nizza: “I protocolli sullo statuto della Corte di giustizia allegati
al Trattato che istituisce la Comunità europea e al trattato che istituisce la Comunità europea
dell’energia atomica sono abrogati e sostituiti dal protocollo sullo statuto della Corte di giustizia
allegato al presente Trattato”.
L’esigenza di razionalizzazione si è resa irrinunciabile già a partire dalla Conferenza
Intergovernativa (CIG) apertasi il 14 febbraio 2000 a Bruxelles, conclusasi a Nizza con il Consiglio
Europeo del 12 dicembre dello stesso anno. Essa ha fatto rilevare come fosse prioritario superare
l’impasse creatasi all’interno del sistema giudiziario europeo a causa del sovraccarico di lavoro,
con conseguenti difficoltà nello svolgimento rapido delle proprie funzioni
2
. Ma, allo stesso tempo,
vi è stata una presa di coscienza della CIG in merito ai nuovi compiti emergenti nel contesto del
diritto comunitario, e che saranno l’oggetto principale della nostra analisi.
In uno dei documenti più importanti in tal senso è l’ “Interim report on amendments to be made to
the Treaties regarding the Court of Justice and the Court of First Instance”
3
, stilato dalla
Conferenza dei rappresentanti dei capi di Stato e di Governo. Nell’introduzione si legge: “The
Group's first and principal unanimous conclusion is that, with the enlargement of the Union in
prospect, and given the gradual extension of Community competence, it is essential to embark on a
reform of the Community's judicial system. This is a matter of urgency since the growing number of
cases could in the medium term undermine one of the fundamental pillars of the European
venture.” Questo, che certamente nel linguaggio diplomatico delle cancellerie, può rappresentare
una mera dichiarazione d’intenti, assume un nuovo significato nella più ampia prospettiva in cui la
Conferenza si colloca.
1 Firmato in sede di Consiglio Europeo, il 26 febbraio 2001. Ratificato in Italia con L. 102 del 12 maggio 2002.
2 Si deve ricordare che la CIG in quella sede si è preoccupata principalmente di un argomento politico, ed in specie
dell’allargamento a est dell’Unione Europea.
3 CONFER 4729/00, Bruxelles 31 marzo 2000.
8
Infatti, le riforme istituzionali che ora si pongono come urgenti non corrispondono alla classica e
ciclica riforma a cui l’Europa ha abituato la comunità internazionale, ma ad una contingente
necessità senza la quale il delicato equilibrio istituzionale non saprebbe come rispondere, specie
alla luce delle sempre più ampie e complesse competenze di cui si è dotata l’Unione politica ed
economica: “Il trattato ha introdotto una maggiore flessibilità per adeguare il sistema
giurisdizionale in futuro, disciplinando un certo numero di questioni nello statuto della Corte, che
potrà d’ora in poi essere modificato dal Consiglio deliberante all’unanimità su richiesta della Corte
o della Commissione. L’approvazione dei regolamenti di procedura della Corte e del Tribunale da
parte del Consiglio è passata alla maggioranza qualificata”
4
. La Corte di Giustizia evidentemente in
questo disegno occupa un ruolo di primo piano: cosicché il primo grande cambiamento investe
questo soggetto, che dovrà rappresentare nel prossimo futuro una sorta di Corte Suprema europea,
con funzione nomofilattica
5
: “La disciplina delineata mostra un sistema giurisdizionale molto
diverso dal precedente, più maturo, in cui la Corte di giustizia assume sempre più la fisionomia di
un tribunale costituzionale, con il compito di risolvere i contrasti fra gli Stati e le istituzioni, e di
ultima istanza per il controllo del rispetto dell’applicazione del diritto comunitario da parte del
Tribunale”
6
. Ed infatti sempre da un documento ufficiale si legge: “L’idea è quella di mantenere al
livello della Corte, in quanto supremo organo giurisdizionale dell’Unione, il contenzioso relativo
alle questioni essenziali per l’ordine comunitario. A tal fine, la CIG ha chiesto alla Corte e alla
Commissione di procedere quanto prima possibile ad un esame d’insieme della ripartizione delle
competenze (fra Corte e Tribunale)”
7
.
Oltre a quanto finora menzionato, sempre all’interno dei lavori della stessa Conferenza
Intergovernativa , e cronologicamente successivo, troviamo il documento: “Other amendments to
be made to the Treaties with regard to the Institutions of the European Parliament and the
European Court of Justice and Court of First Instance”
8
. In esso è stato affrontato il problema che
forse più interessava gli organi giudiziari europei, è cioè il nuovo riparto di competenze fra Corte di
giustizia e Tribunale di primo grado. Come già detto, la sola Corte non poteva infatti più
sobbarcarsi il carico di lavoro presso i propri uffici giudiziari. In quest’ottica, il documento presenta
una soluzione innovativa anche per quanto riguarda la disciplina delle corti stesse, e cioè lo statuto,
che avrà, come vedremo, grande importanza nel dettare la disciplina dei procedimenti che si
analizzeranno: “Greater flexibility and rationality could be achieved if the Statute, into which some
4 SEC (2001)99, Nota all’attenzione dei membri della Commissione, Sintesi del trattato di Nizza, Bruxelles,
18 gennaio 2001
5 “with quasi-constitutional matters” secondo i redattori, doc. cit. in nota 3 , pag. 2.
6 Fausto Pocar e Carlo Secchi, Il Trattato di Nizza e l’Unione Europea, Giuffrè Editore, Milano, 2001, pag. 20
7 doc. cit. in nota 4 , pag. 7
8 CONFER 4743/00, Bruxelles 19 maggio 2000
9
Treaty provisions could be transferred, could be amended by the Council by unanimity and the
Rules of Procedure, as the Court particularly wishes, by qualified majority. Delegations have been
generally favourable to this approach.”
9
.
Concludendo, si può dire che il Trattato di Nizza è riuscito nello scopo di ottenere le modifiche
necessarie affinché, non solo in generale il sistema giudiziario europeo, ma in particolare le
competenze sotto la nostra attenzione fossero razionalizzate (con il nuovo statuto): “On peut en
effet imaginer qu'après Nice, la Cour jouera davantage un role d'organe constitutionnel de l'Union
et de garante de l'unitè juruduque du système, tandi que le TPI aura vocation à devenir le juge de
droit commun, toujours de prémiere instance, mais à compétence générale”
10
. Inoltre, è da
sottolineare come la decisione di inserire il Parlamento fra le istituzioni con facoltà di domandare
un parere sulla compatibilità col Trattato CE (ex nuovo art. 300 par. 6) di un accordo
internazionale, abbia costituito un grande passo in avanti nel superamento della posizione
consultiva di questo organo: “l'eventualità di una possibile domanda di parere da parte del
Parlamento sarà tenuta a mente tanto dalla Commissione quanto dal Consiglio durante i negoziati.
Ben usato, questo diritto di richiesta non può che rinforzare il sistema di controllo della legalità
degli atti comunitari”
11
. Posizione che oggi può dirsi di essere più avvicinata a quella degli organi
legislativi nazionali tradizionalmente intesi
12
.
Infine, da ricordare anche la modifica dei regolamenti di procedura. Essi costituiscono l’ossatura
del potere giurisdizionale europeo, poiché contengono le regole processuali di ogni organo. Oggi la
loro modifica è sottoposta all’approvazione del Consiglio che delibera a maggioranza qualificata, e
non più come si è fatto fino al trattato di Nizza, cioè richiedendo il voto favorevole di tutti i suoi
membri.
L’abbandono di un tipico principio internazionalistico qual è quello dell’unanimità rappresenta un
9 doc. cit. in nota 4 , pag. 6.
10 Antonio Tizzano, La Cour de Justice Après Nice: le Transfert de Compétences au Tribunal de Première Instance, in
Il Diritto dell'Unione Europea, 4/2002, pag. 601
11 Ignacio Diez Parra, Il Parlamento Europeo nel Trattato di Nizza, in Il Diritto dell'Unione Europea, 2/2002, pag. 379
12 Il Parlamento Europeo costituisce tra le istituzioni europee un unicum, nel senso che rappresenta il viatico che la
Comunità ha utilizzato nel corso della sua storia per rimarcare nella direzione della democratizzazione il processo
d’integrazione europeo (che altrimenti sarebbe rimasto per larga parte un affaire dei governi nazionali senza alcuna
rappresentatività dei cittadini). Il Parlamento apre la sua prima sessione a Strasburgo il 17 luglio 1979, a seguito delle
elezioni a suffragio universale del 7 giugno precedente. In realtà la previsione di un’Assemblea parlamentare è
riconosciuta già dai trattati istitutivi ed in special modo dal trattato di Roma del 1957 che preferì istituire un’Assemblea
unica per le tre Comunità, che avrebbe esercitato le competenze riconosciute da ciascuno dei tre trattati. Dal punto di
vista dei poteri deliberativi (di cui peraltro non è mai stato titolare in senso proprio) è possibile configurare tre fasi
progressive. La prima (dall’istituzione delle Comunità, 1958, all’Atto Unico Europeo del 1987), in cui il Parlamento
mantiene meri poteri consultivi con una portata più formale ce sostanziale. La seconda fase (dall’AUE al Trattato
sull’Unione Europea del 1992) in cui vi è l’introduzione della procedura di cooperazione e del parere conforme,
strumenti con il quale l’interrelazione fra le istituzioni subisce una reale evoluzione in senso partecipativo del
Parlamento. Infine, la terza fase, che dal 1992 arriva ad oggi, nella quale si ravvisano nuove procedure quale quella di
codecisione e d’iniziativa legislativa che proseguono nel solco delle riforme attuate a cavallo fra gli anni ‘80 e ‘90.
10
passo avanti nell’avvicinamento dell’intero ordinamento comunitario ad uniformarsi a principi di
collegialità tipici degli organismi statali (senza dimenticare che, nel merito, un deliberazione a
maggioranza rende agevole la modifica dei regolamenti ogniqualvolta se ne ravvisi la necessità,
con progressivi adattamenti delle Corti). Il tentativo delle istituzioni europee di sopperire al deficit
di democraticità costituisce il leitmotiv non solo di questa riforma ma, come si vedrà, anche
dell'ultimo trattato, quello di Lisbona, dove i cambiamenti in esso contenuti si dirigono tutti in tal
senso
13
.
13 Infra, capitolo 5
11
3) ANALISI DEI SINGOLI PROCEDIMENTI
3.1.: Il procedimento ex art. 300 par. 6 (pareri sulla compatibilità con il trattato di accordi fra
la Comunità e Stati terzi ed organizzazioni internazionali) e relativa giurisprudenza
a) Linee generali
Gli accordi esterni fanno parte degli atti convenzionali alla stregua degli accordi tra Stati membri e
degli accordi interistituzionali. Essi sono il frutto della volontà concorde della Comunità o
dell’Unione, da un lato, e di uno Stato terzo o di un’organizzazione terza, dall’altro. Possono far
sorgere diritti ed obblighi in capo alla Comunità o all’Unione e diventano parte integrante
dell’ordinamento giuridico europeo alla data della loro entrata in vigore o a quella che essi
stabiliscono. Questo potere della Comunità (ius contrahendi) è riconosciuto “nel contesto degli
obiettivi del Trattato e per il perseguimento degli stessi”
14
.
L’art. 300 CE regola, in via generale, la procedura per la conclusione di accordi internazionali da
parte della Comunità, fatta eccezione per gli accordi in tema di politica commerciale comune e
politica monetaria: in questi campi valgono rispettivamente le regole speciali degli artt. 133 e 111
CE, di cui dovremo brevemente dar conto. Inoltre, “bisogna comunque tener distinto questo
procedimento (ex art. 300 par. 6) da quello del rinvio d’interpretazione. Nel primo, la Corte emette
(…) un parere sulla compatibilità dell’accordo con le norme del trattato. Nel secondo, la Corte
emette, esclusivamente su richiesta del giudice nazionale, una sentenza nella quale si pronuncia
nella interpretazione di una disposizione dell’accordo”
15
.
Recita l’art. 133, par.3, CE: “Qualora si debbano negoziare accordi con uno o più Stati o con
organizzazioni internazionali, la Commissione presenta raccomandazioni al Consiglio, che
l’autorizza ad aprire i negoziati necessari. Spetta al Consiglio e alla Commissione adoperarsi
affinché gli accordi negoziati siano compatibili con le politiche e norme interne della Comunità
(…). Le pertinenti disposizioni dell’articolo 300 sono applicabili”.
Dal punto di vista sistematico, l’articolo 133 è collocato nel Titolo VII del trattato, rubricato
appunto “Politica commerciale comune” e rappresenta il delicato punto di contatto fra quelle che
14 Luigi Sico, I Caratteri del Diritto nell’Unione Europea , CEDAM, Padova, 2007, pag. 54
15 Felicetta Lauria, in Storia dell’Integrazione Europea, vol. II, Marzorati Editore, Roma, 1997, pag. 208
12
sono le esigenze meramente interne, conseguenti alla strutturazione dell’unione doganale, e le
relazioni esterne della Comunità stessa. Ciò al fine di evitare squilibri ed incongruenze, che
potevano sorgere a seguito dell’adozione della tariffa doganale unitaria. La norma, modificata dal
trattato di Nizza che in tal modo ne ha ampliato l’operatività anche per accordi sulla proprietà
intellettuale, mantiene dunque uno specifico aggancio all’art. 300. Non vi è dubbio che la norma sul
parere di compatibilità previsto dall’art. 300, par. 6, possa essere applicata estensivamente anche in
tale settore. Tale posizione è condivisibile, nonché pare essere inoltre avallata dal fatto che “non è
possibile concludere accordi che esulino dalle competenze internazionali della Comunità, in
particolare ove essi comportino un’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari
degli Stati membri in un settore in cui tale armonizzazione è esclusa dal trattato”
16
. L’affinità con
l’impianto dell’art. 300 è evidente, ferme le diversità sostanziali della procedura di formazione
dell’accordo e che in questa sede non interessano. Pertanto si considera, per nostra opinione,
valevole quanto si dirà nel proseguo della trattazione sul ruolo della Corte di giustizia.
Altra norma importante è l’art. 111, inserito nel titolo VI , Capo II ( “Politica monetaria” ), al cui
par. 3 si legge: “In deroga all’art 300, qualora accordi in materia di regime monetario o valutario
debbano essere negoziati con uno o più Stati o con organizzazioni internazionali, il Consiglio,
deliberando a maggioranza qualificata su raccomandazione della Commissione e previa
consultazione della BCE, decide le modalità per la negoziazione e la conclusione di detti accordi.
Tali modalità devono assicurare che la comunità esprima una posizione unica. La Commissione è
associata a pieno titolo ai negoziati. Glia accordi conclusi conformemente al presente paragrafo
sono vincolanti per le istituzioni della Comunità, per la BCE e per gli Stati membri”.
Qui la norma differisce dall’articolo precedentemente analizzato: anzitutto si può escludere già a
priori un’affinità al procedimento di conclusione degli accordi ex art. 300, dato l’esplicito
riferimento ad una deroga (e di fatto anche nel resto della norma non vi sarà quell’esplicito
richiamo che abbiamo visto essere presente nell’articolo 133). Ad esempio, qui è assente il
monopolio del coordinamento dei lavori da parte dell’esecutivo comunitario, mentre è peculiare la
partecipazione della BCE. La Commissione in questa sede è solo associata ai negoziati (sic),
mentre la loro gestione è interamente affidata al Consiglio. Ad esso spetta l’ultima parola in merito
all’accordo stipulando, previo parere del comitato Economico e Finanziario (ECOFIN) e vaglio
della Commissione e BCE. Un elemento che potrebbe ulteriormente segnalare la differenza con la
struttura dell’art. 300 è poi il par. 5 dell’art. 111: “Senza pregiudizio della competenza della
Comunità e degli accordi comunitari relativi all’Unione economica e monetaria, gli Stati membri
16 Antonio Verrilli (a cura di), Diritto dell’Unione Europea - Aspetti Istituzionali e Politiche Comuni,
Edizioni Giuridiche Simone, Napoli, 2007, pag. 548