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Altri atti di violenza contro le donne includono le violazioni dei diritti delle donne in
situazioni di conflitto armato, in particolare omicidio, stupro sistematico, schiavitù sessuale,
gravidanza forzata.
Atti di violenza contro le donne includono anche il terrorismo, la sterilizzazione
forzata e l'aborto forzato, l'uso coercitivo/forzato di mezzi anticoncezionali, la soppressione
del feto di sesso femminile/selezione prenatale del sesso e l'infanticidio della figlia.>>
(Conferenza di Pechino, 1995).
Una grande percentuale della violenza attuata contro le donne è di tipo sessuale (nella
quale poi rientrano anche le categorie di violenza fisica e psicologica). Ed è proprio della
violenza sessuale che si vuole qui trattare.
1. COMPORTAMENTO SESSUALE NORMALE
C’è una domanda da cui partire per definire la devianza sessuale: “Quali
comportamenti sessuali sono normali?”. Per circoscrivere il concetto di devianza bisogna
infatti partire da quello di normalità, in modo da vedere poi come ci si è allontanati da questo.
Non esiste però una risposta certa. Ci siamo posti una domanda che deve restare aperta,
poiché il concetto stesso di normalità è un concetto aperto che varia a seconda delle culture e
a seconda delle persone: ciò che per qualcuno può essere considerato normale, può essere
visto da altri come qualcosa di ripugnante o quantomeno bizzarro.
Tutte le società cercano di regolare il comportamento sessuale dei loro membri.
Alcuni comportamenti sono considerati inaccettabili nella maggior parte delle società, ma
questo non significa che tutti accettino le stesse leggi; ogni società stabilisce, attraverso le
leggi, i suoi modelli definendo quali comportamenti sono considerati appropriati e quali,
invece, non lo sono.
Questi modelli sono almeno quattro: statistico, culturale, religioso e soggettivo
(Holmes, Holmes, 2002):
a. Modello statistico → è un modello abbastanza semplice che basa la definizione di
normalità dei comportamenti sui numeri: se un determinato comportamento è
messo in pratica da più del 50% della popolazione, allora può essere considerato
normale.
C’è però un problema: l’uso di questo modello da solo, senza associarlo ad
altri, può portare a considerare normali dei comportamenti che, secondo le idee
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socialmente diffuse, non vengono posti in questa categoria. Per fare un esempio,
col modello statistico verrebbero considerati normali alcuni comportamenti che
vanno contro la legge: negli USA, più della metà delle adolescenti ha rubato
almeno una volta in un negozio, ma non per questo possiamo considerarlo un
comportamento normale.
Bisogna quindi stare attenti nell’usare questo modello perché dà una
definizione di normalità basata semplicemente sui numeri, senza tener conto di ciò
che è giusto o sbagliato (intendendo il giusto e lo sbagliato non in senso morale,
ma come ciò che è funzionale o meno allo sviluppo della società).
b. Modello culturale → usa, per definire quali comportamenti sono da considerarsi
accettabili e quali no, strutture quali regole e leggi. Queste strutture prevedono
anche delle punizioni per chi le viola, che variano a seconda della gravità della
trasgressione.
Secondo questo modello, quindi, le leggi non sono altro che usi, costumi e
credenze che, se non rispettati, possono portare ad una sanzione legalmente
riconosciuta.
c. Modello religioso → basa la definizione di normalità dei comportamenti sessuali
sulle credenze religiose di un determinato popolo. Anche se ultimamente
l’importanza delle credenze religiose sta scemando, ci sono ancora molte persone
per le quali la religione è molto importante, e che quindi considerano questo
parametro come quello fondamentale.
d. Modello soggettivo → legittima un determinato comportamento sessuale a livello
personale, in modo tale che il soggetto è convinto che la sua condotta è
perfettamente normale. Permette però di attuare una classificazione piuttosto
blanda perché ogni atto sessuale (e ogni atto in generale) può venir legittimato e
perché vale per quella determinata persona, ma non può essere generalizzata. E’
comunque il modello più importante (Holmes, Holmes, 2002) perché definisce
l’ideologia di una persona sui concetti di normalità/anormalità.
Naturalmente, non tutti sono d’accordo su quale sia il modello migliore a cui far
riferimento, anche perché la possibilità di definire “normale” un comportamento non dipende
solo dalla persona, ma anche dalle circostanze in cui il comportamento viene attuato ed in cui
si è chiamati a darne un giudizio.
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2. DEFINIZIONI DI VIOLENZA SESSUALE
L’abuso sessuale ha una storia molto lunga; eppure ancora oggi non c’è una
definizione univoca che permetta di identificarlo. La letteratura internazionale riporta diversi
criteri sulla base dei quali definirlo: alcuni studi definiscono lo stupro in base al contatto/non
contatto sessuale, mentre altri in base all’età del perpetratore dell’abuso e di una discrepanza
tra le età di abusante e abusato; altri ancora focalizzano l’attenzione sulla percezione che la
vittima ha rispetto all’abuso e su come l’evento viene descritto in termini di consenso della
vittima o violenza del perpetratore.
Una definizione pressoché completa potrebbe essere quella che lo descrive come
l’attuazione di un comportamento sessuale imposto con la forza, la minaccia o l’inganno a
soggetti che rifiutano il rapporto o il cui consenso non può essere ritenuto valido per uno stato
di incapacità di intendere e di volere o di sottomissione fisica ed emotiva.
Qualunque definizione si voglia adottare, la violenza sessuale rimane, comunque, una
delle esperienze più devastanti che una persona possa subire.
Il termine violenza, però, può trarre in inganno; quella usata nell’atto dello stupro,
infatti, non deve necessariamente essere una <<vis atrox, cioè una violenza di intensità tale da
piegare qualsiasi possibile resistenza, ma semplicemente una violenza in grado di piegare la
resistenza della vittima… limitando e annullando la libera determinazione della vittima…>>
(Rota, 1988).
Anche se in genere lo stupro avviene tra uomini e donne o tra uomini e uomini
(frequente soprattutto negli istituti di correzione), esistono anche delle stupratrici, che
costituiscono però una percentuale irrisoria del fenomeno. (Di questa tipologia del fenomeno
si tratterà nel capitolo 4). E’ per questo che le leggi attuali, nazionali ed internazionali,
trattano principalmente i casi classici di violenza sessuale: quelli tra uomini e donne e tra
uomini e bambini. Infatti, spesso la violenza sessuale viene attuata sui minori, e questo
avviene soprattutto tra le mura domestiche.
3. VIOLENZA SESSUALE E PARAFILIE
Prima di trattare delle parafilie bisogna ricordare una cosa molto importante che
spesso viene dimenticata: molti dei reati contro la libertà sessuale non implicano l’esistenza,
nell’autore, nella vittima o in entrambi, di disturbi psicosessuali; e, analogamente,
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atteggiamenti, reazioni, condotte e abitudini in contrasto con la morale comune non portano
necessariamente al compimento di reati sessuali.
Le perversioni sessuali o, più tecnicamente, parafilie <<per indicare che l’anormalità
(para) riguarda ciò da cui il soggetto è attratto (filia)>> (Ferracuti, 1988) sono dei disturbi
psichici, attinenti alla sfera sessuale, caratterizzati dal fatto che il soggetto, per conseguire
l’eccitazione sessuale, mette in atto fantasie o comportamenti che vanno al di là di quelli che
sono gli schemi abituali. L’interesse criminologico per queste patologie è dato dal fatto che, a
volte, queste comportano il coinvolgimento di partner non consenzienti e possono quindi
rientrare nel campo dei reati sessuali.
Bisogna prima di tutto fare una precisazione: il comportamento sessuale può essere
considerato abnorme riferendosi a tre diversi parametri (Ponti, 1999):
• criterio medico-biologico, che considera le parafilie come comportamenti morbosi;
• criterio sociologico, che classifica come devianti tutte le condotte contrarie al
costume di un certo contesto culturale;
• criterio giuridico, che inserisce nella categoria dei reati alcune condotte sessuali
specificatamente precisate dalla legge penale.
E’ da sottolineare che non sempre i vari parametri si equivalgono: in primo luogo non
bisogna far coincidere quello medico con quello giuridico, cioè non bisogna pensare che tutte
le perversioni sessuali comportino la commissione di reati, e che tutti i reati sessuali siano
compiuti da soggetti affetti da parafilie. Non bisogna poi far coincidere nemmeno i parametri
sociologico e giuridico, da una parte, e sociologico e medico, dall’altra: esistono infatti dei
comportamenti che vengono censurati dalle norme di costume senza che rientrino nelle
categorie dei reati o delle parafilie; inoltre, nelle condotte sessuali il concetto di devianza non
coincide necessariamente con quello di delittuosità o di parafilia.
Per ciò che riguarda la prospettiva medico-biologica, da un punto di vista descrittivo si
possono distinguere due forme di parafilie (Ponti, 1999): in un primo gruppo troviamo quelle
situazioni in cui l’investimento sessuale è rivolto ad una figura diversa da quella classica
(partner adulto di sesso opposto). Si potranno così avere diverse situazioni: l’interesse libidico
potrà essere rivolto verso gli animali, e allora si parlerà di zoofilia o bestialismo, o verso i
cadaveri (necrofilia); oppure il soggetto si ecciterà pronunciando frasi oscene al telefono
(coprolalia telefonica) oppure palpeggiando persone non consenzienti in luoghi affollati o su
mezzi di trasporto pubblici (frotteurismo); l’interesse libidico potrebbe anche essere rivolto
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verso altre persone: si potrà avere la gerontofilia se l’interesse è rivolto verso gli anziani, e la
pedofilia se rivolto verso i bambini.
Particolare attenzione viene oggi rivolta a quest’ultimo disturbo, sia perché è un
fenomeno in continuo aumento, sia perché è tra quelli che provocano una maggiore
riprovazione sociale. Vengono considerati pedofili coloro che, avendo più di sedici anni, sono
sessualmente attratti da bambini alla soglia della pubertà o anche più piccoli. In genere, ogni
pedofilo è attratto da bambini di una particolare fascia d’età; alcuni preferiscono un sesso
specifico, mentre altri sono attratti sia dai maschi che dalle femmine. Alcuni sono attratti solo
dai bambini (tipo esclusivo), mentre altri hanno una vita sessuale con adulti. Esistono diversi
modi di esercitare la pedofilia che partono da uno spogliarsi reciproco ed arrivano fino a un
rapporto completo. Caratteristico dei pedofili è <<il giustificare o razionalizzare la loro
condotta perversa sostenendo che essa ha valore educativo per il bambino, che il bambino ne
ricava piacere sessuale o che il bambino era sessualmente provocante>> (DSM-IV, 1994). In
genere la pedofilia è una perversione cronica, ed è più frequente negli uomini.
Nel secondo gruppo si trovano invece quelle perversioni (termine inteso in senso
letterale e non morale) la cui deformazione consiste nella fissazione su componenti dell’atto
sessuale che di solito sono secondarie o totalmente eccezionali: si avrà così l’esibizionismo,
se il mostrare i genitali è eseguito verso un estraneo e diviene il fine esclusivo
dell’eccitamento; oppure il voyeurismo se l’interesse erotico consiste solamente
nell’osservare persone nude o impegnate in atti sessuali senza essere visti. Altre parafilie
appartenenti a questa categoria sono il masochismo (come meta libidica ha il provare dolore
ed il venire umiliati, percossi o fatti soffrire), il sadismo sessuale (si raggiunge l’eccitamento
sessuale attraverso l’afflizione di sofferenza fisica o psicologica) ed il feticismo (l’interesse
sessuale è totalmente rivolto verso gli oggetti) con una sua tipologia particolare, il feticismo
da travestimento (tipico di coloro che, in genere da soli e come cerimoniale masturbatorio,
amano indossare indumenti del sesso opposto).
Per ciò che riguarda la seconda prospettiva, quella sociologica, bisogna dire che la
società esprime dei giudizi di valore negativi verso alcuni comportamenti sessuali: in questo
modo si vengono a definire le condotte sessuali devianti, che sono quelle condotte sessuali
che <<indipendentemente dall’essere intese come abnormi secondo una dimensione
naturalistica, assumono qualifica di devianza per il fatto di essere censurate in quanto
contrarie alle norme del costume e della morale>> (Ponti, 1999). Costume e morale
intervengono infatti in maniera decisiva a regolare le condotte sessuali. <<E mentre in natura
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l’esercizio della sessualità è mosso da regole che si rifanno essenzialmente all’istinto
riproduttivo, […] nell’uomo il comportamento sessuale è essenzialmente appreso, è regolato
e incanalato da norme della cultura, anche se è pur sempre promosso dall’istinto libidico>>
(Ponti, 1999).
Infine, bisogna considerare la prospettiva giuridica, grazie alla quale vengono
identificate come particolarmente importanti alcune norme sessuali che tutelano principi, tabù
o privilegi che appaiono meritevoli di particolare protezione: in questo modo questi valori
vengono fatti osservare non solo con le regole morali, ma anche con le leggi penali. Si parla
in questo caso di delitti sessuali, che consistono in comportamenti, motivati dall’impulso
sessuale, proibiti dalla legge. A questa categoria appartengono le violenze sessuali (che,
bisogna precisare, non sono sempre motivate solo da impulsi sessuali, ma spesso sono agite
per soddisfare una mera e brutale aggressività nei confronti delle donne o dei più deboli), il
ratto a fine di libidine, gli atti osceni e l’incesto.
Si può quindi vedere come si stabilisce una doppia normativa nei confronti delle
condotte sessuali: da una parte ci sono le norme morali o di costume, che definiscono la
maggior parte delle regole che devono essere rispettate pena il discredito, la qualificazione di
devianza ed eventualmente l’emarginazione sociale; dall’altra parte ci sono le leggi penali,
che puniscono l’infrazione di regole del costume valutate come più importanti, e quindi
soggette alla tutela penale.
Trattando del legame tra parafilie e reati c’è da dire che mentre, per alcune di esse, le
occasioni che comportano la commissione di reati sono eccezionali, altre sono legate
direttamente con il loro compimento (Ponti, 1999). Per esempio, dal sadismo sessuale
possono conseguire lesioni personali, così come il frotteurismo può sfociare in furti; tutto ciò
non è però necessario perché venga espresso il disturbo (il sadismo può anche non portare a
lesioni se attuato entro certi limiti). L’esibizionismo realizza invece inevitabilmente il reato di
atti osceni in luogo pubblico, così come la pedofilia è sempre un reato perché si configura
come un atto sessuale compiuto su un minore, che è sempre considerato reato anche se si
svolge senza violenza e se c’è il consenso del minore.
Quindi, se le parafilie possono essere l’occasione per compiere reati di diversa natura,
non bisogna pensare che tutti i delitti motivati dall’impulso sessuale siano sempre da
ricondurre a deviazioni della sessualità. Anzi, bisogna precisare che, nella maggior parte dei
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casi, gli autori di stupro sono persone che non presentano perversioni e che esercitano una
sessualità fisiologicamente normale, aggiungendovi però la violenza sui più deboli.
Inoltre, mentre un tempo (non troppo lontano contando che la legge che ha portato a
dei cambiamenti è del 1996) i reati sessuali coincidevano con ciò che culturalmente si
considerava come devianza, e cioè con atti contrari al costume ed alla morale, oggi c’è molta
più tolleranza verso di essi, quando non vanno a ledere i diritti altrui, mentre invece è oggetto
fondamentale della tutela penale la libertà sessuale (tant’è vero che oggi le violenze sessuali
sono incluse tra i reati contro la persona e non più tra quelli contro la moralità pubblica).
4. ISTINTI SESSUALI, SOCIETA’ E LEGGI
L’istinto sessuale non solo presiede ad uno dei comportamenti fondamentali per
l’essere vivente, e cioè il permettere la progressione della specie, ma è anche una pulsione
motrice, in modo diretto o indiretto, di moltissime attività primarie, e le sue conseguenze sono
incalcolabili sul piano sia morale che sociale, perché su di esso si basa in buona parte
l’equilibrio della società.
E’ per questo che, da quando c’è una società umana, tutto ciò che attiene al rapporto
tra i sessi è sempre stato controllato dalle norme del costume e della morale in modo tale che
nell’uomo -a differenza degli altri animali- il comportamento sessuale è essenzialmente
appreso e incanalato dalle norme della cultura. Si può quindi dire che, nell’uomo, la sessualità
spontanea, libera da regole di costume, non esiste. Infatti anche nei periodi storico-sociali,
come il nostro, nei quali l’etica è apparentemente più libera e permissiva, le regole della
cultura sul comportamento sessuale sono sempre molto vincolanti, soprattutto in relazione
all’importanza che assume questo comportamento nell’ambito sociale; e tutto ciò si nota dal
fatto che queste norme prevedono l’età, i tempi e i modi per il compimento degli atti sessuali,
le tipologie dei partner, i diritti dei sessi e le modalità del corteggiamento, definendo ciò che è
ammesso e ciò che è sconveniente.
Nelle organizzazioni sociali avanzate ci sono alcuni valori sessuali ritenuti
particolarmente importanti, e quindi meritevoli di tutela, poiché posti a garanzia di principi o
tabù che richiedono maggior protezione; è per questo che vengono inseriti tra le fattispecie
degli atti penalmente rilevanti: in questo contesto la morale sociale si trasforma in norma
penale.
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A causa di tutto ciò, molteplici sono le fattispecie delittuose che puniscono
direttamente il compimento di atti sessuali. Il problema, ora, è quello di definire il concetto di
“atto sessuale”, perché è in questo concetto che il legislatore identifica l’elemento costitutivo
del delitto; da qui deriva l’evidente necessità di identificare e distinguere tra le molteplici
condotte sessuali attuabili in astratto nell’attuale momento storico, sociale e culturale, quelle
che, se consumate in assenza del consenso del partner o in altri contesti vietati, costituiscono
un delitto contro la moralità e la libertà sessuale da quelle che invece, pur sessualmente
connotate, sono identificate come reati minori oppure non costituiscono affatto un reato.
Fino ad ora però la materia è assai controversa e non si è ancora arrivati ad una
definizione unica e precisa per la mancanza di criteri certi che la consentano.
La sessualità dei singoli, infatti, salvo casi particolari, non è di per sé oggetto di
attenzione da parte del nostro sistema giuridico. E questo causa la maggior parte dei
problemi. Lo Stato laico, a differenza di quanto accade in quello confessionale, non esprime
alcun giudizio morale sulle scelte sessuali dei cittadini, e quindi non sanziona le condotte che
in tale campo differiscono dalla morale comune. Tra l’altro, compito primario
dell’ordinamento è quello di garantire la libera espressione della personalità dei cittadini in
qualsiasi forma essa si manifesti, e quindi anche come espressione degli istinti sessuali, a
patto che ciò avvenga nel pieno rispetto delle regole sociali. La rilevanza giuridica dei
comportamenti sessuali si verifica quindi solo quando essi si traducono in un’aggressione
lesiva di beni tutelati dall’ordinamento penale, quale in primo luogo la libertà sessuale di un
altro soggetto non consenziente (violenza sessuale) o non dotato della capacità di
autodeterminarsi (pedofilia); in questi casi la sessualità cessa di essere un aspetto della vita
privata del singolo ed è oggetto di repressione penale.
Comportamenti sessuali particolari, come possono essere quelli attuati da soggetti
affetti da parafilie, non sono presi in considerazione dal nostro ordinamento giuridico in
quanto tali, ma solo quando ricorrono circostanze tali da integrare un’ipotesi di reato, che
comunque, nella sua formulazione, non riflette alcuna delle definizioni usate dalla sessuologia
clinica per individuare le singole perversioni. Più concretamente, non esistono norme penali
incriminatici, ad esempio, del sadismo o del frotteurismo, ma vi sono casi in cui tali attività
sono punibili perché implicanti la violazione di altre norme.
In linea di massima, se l’attività sessuale del parafiliaco si svolge con partners
consenzienti ed in privato, egli sarà libero di dar sfogo alle sue fantasie in quanto le
discriminanti tra condotte illecite, passibili di pena, e condotte lecite, irrilevanti per il
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legislatore, sono essenzialmente il consenso di entrambi i soggetti e la non offesa del
cosiddetto senso del pudore comune.
E’ quindi evidente, nel nostro sistema legislativo, l’assenza di ogni finalità
persecutoria della sessualità atipica. Le norme di tipo repressivo, residuo di una concezione
passata, risalendo la redazione del Codice Penale al 1930, vengono mitigate dall’opera della
giurisprudenza che, sia pure con qualche eccezione, si preoccupa di adeguare il diritto alle
mutate esigenze della società.
Il problema dell’indeterminatezza della definizione dell’”atto sessuale” si è
manifestato con maggior frequenza dopo l’emissione della legge n. 66 del 15 febbraio 1996
che ha unito in un unico reato, quello della violenza sessuale, le precedenti ipotesi di
congiunzione carnale e atti di libidine, scelta che ha posto il problema di cosa debba
intendersi con “atti sessuali”, e più precisamente se essi, nella loro manifestazione più lieve,
possano identificarsi o meno con quegli atti che precedentemente erano considerati e puniti
come atti di libidine. Infatti, se da una parte è normale considerare “atto sessuale” ogni forma
di congiunzione carnale, dall’altra non è chiaro se appartengono a questa categoria anche
quelle condotte denotate da scarsa intensità erotica o così stravaganti da non rientrare nella
definizione di atto sessuale normale. Per risolvere queste incertezze interpretative è quindi
necessario dare una definizione di soglia minima di atto sessuale, al di sotto della quale
l’imposizione dell’atto ad un soggetto non consenziente non rientra nella definizione di
violenza sessuale (art. 609-bis c.p.).
E’ per cercare di trovare questa definizione che si è formato un indirizzo
giurisprudenziale che, superando la nozione moraleggiante e soggettiva dell’atto sessuale, ha
proposto una soluzione interpretativa di tipo oggettivistico, secondo la quale l’atto, per essere
giudicato sessuale, deve essere normale e comportare un contatto fisico interpersonale con
zone normalmente erogene, meglio definite dalla scienza medica, socio-psicologica e
antropologica.
Questa concezione oggettiva dell’atto sessuale, però, è stata autorevolmente criticata
perché trascurerebbe la valenza significativa dell’intero contesto in cui il contatto sessuale si
verifica. Seguendo questo orientamento, infatti, si perde la possibilità di valutare il peso
esercitato dai fattori psicologici e culturali nella dinamica intersoggettiva che ha portato
all’atto di abuso.
Per questo è stato suggerito un approccio interpretativo dell’atto sessuale definito
sintetico, che cerca di desumere il significato della violenza sessuale da una complessa
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valutazione di tutta la vicenda sottoposta a giudizio. Si viene così a “formare” un approccio
soggettivistico, che si affianca a quello oggettivistico, e che propone di definire la
connotazione sessuale di un atto basandosi su una complessiva valutazione di tutta la vicenda.
E tutto questo da un punto di vista giuridico-legislativo. Ma c’è anche un punto di
vista sociale, che è pieno di “miti e leggende” tramandatici dal passato e stabilitisi
nell’inconscio collettivo che hanno come “compito” basilare quello di legittimare questi
comportamenti aberranti e che causano l’ambivalenza, il sospetto ed il pregiudizio nei
confronti delle vittime di stupro; anche se ultimamente, per fortuna, alcuni li stanno
riconoscendo per quello che sono: spiegazioni semplicistiche per un fenomeno che, per ora,
una spiegazione ancora non ce l’ha. Il problema maggiore è che non solo gli uomini credono
in questi miti, ma spesso anche le donne (Mayerson, Taylor, 1987).
Vi sono così tanti luoghi comuni su questo argomento per molte ragioni, tra cui la più
importante è la mancanza di conoscenza. La violenza sessuale è infatti uno dei crimini dove il
numero oscuro è più elevato, essenzialmente a causa della paura di due elementi:della
vendetta da parte dell’abusatore e delle reazioni della società.
Con tutti questi “miti e leggende” si potrebbe compilare un catalogo; tra i più comuni
si ritrovano:
• quello della violenza carnale è un fenomeno limitato → falso perché questo è ciò
che crede la gente, anche per evitare di pensarci. In verità, osservando le statistiche
si vede che non è così; inoltre bisogna tener conto anche del numero oscuro, che
comporta una sottostima del fenomeno;
• riguarda solo alcune fasce sociali, in genere le più disagiate → falso perché è un
fenomeno trasversale che comprende tutte le categorie sociali, sia per ciò che
riguarda l’aggressore che per ciò che riguarda la vittima;
• questo fenomeno è, entro certi limiti, accettabile, perché legato all’aggressività che
caratterizza ogni uomo → spiegazione di comodo usata nelle società ad
orientamento patriarcale, dove gli uomini vengono legittimati ad avere il controllo
della propria partner e della relazione instaurata con essa;
• l’autore di violenze sessuali non può trattenersi dal mettere in atto questi
comportamenti perché agisce sotto la spinta di un impulso incontrollabile → non
esistono studi che dimostrino l’esistenza di questa pulsione incontrollabile. Tanto
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più che spesso chi mette in atto queste violenze ha anche una sua normale vita
sessuale con moglie/partner;
• la violenza sessuale si verifica come effetto di uno specifico problema di chi
agisce la violenza, come per esempio dipendenza da droghe o alcool e disturbi di
personalità → idea errata perché nella maggior parte dei casi coloro che
commettono questi reati sono persone che non presentano particolari problemi e
che si “divertono” a sfogare la loro aggressività sugli altri. Alcool, droghe e
disturbi psichici non sono cause della violenza sessuale; possono tutt’al più essere
fattori che precipitano la situazione;
• è un problema di uomini che da piccoli sono stati testimoni o vittime di violenze
→ alcuni abusatori appartengono a questa categoria, ma considerare vera questa
ipotesi comporterebbe una generalizzazione troppo ampia, anche perché sono stati
fatti degli studi che dimostrano che non tutti questi bambini, crescendo, diventano
uomini violenti;
• chi è stato vittima di una violenza carnale cerca subito aiuto, denunciando il fatto a
familiari, amici o polizia → non è così; molto spesso la donna che ha subito
violenza carnale tiene il fatto per sé per paura dell’aggressore, di non essere
creduta, di ciò che potrebbero pensare gli altri… E’ per questo che il numero
oscuro in questo campo è particolarmente elevato;
• la violenza carnale di solito si verifica di notte, fuori dalle pareti domestiche, ad
opera di uno sconosciuto e si compie con violenza fisica sulla vittima,
provocandole ferite e danni fisici dovuti alla sua ribellione ed al suo tentativo di
difendersi; quindi la vittima che non si oppone è in realtà immune da lesioni
fisiche → falso perché è provato da varie ricerche che la maggior parte di queste
violenze si svolgono tra le mura domestiche o comunque sono perpetrate da
conoscenti della vittima (U.S. Department of Justice, 1998). Inoltre non sempre la
vittima si ribella per la troppa paura; e le violenze fisiche possono essere attuate
anche a prescindere da una ribellione della vittima. Se però la vittima non si
ribella, può anche rimanere immune da lesioni fisiche perché abusi sessuali e fisici
non sempre sono collegati. Il violentatore, poi, specie se ha una qualche forma di
rapporto con la vittima, almeno all’inizio tende ad attuare lesioni fisiche o in zone
del corpo che si possono facilmente nascondere, non visibili dall’esterno, o in
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modo tale che sembrino incidenti domestici; così, se la vittima non ne parla con
nessuno, nessuno si insospettisce;
• non è possibile violentare una donna che realmente non vuole, in particolare se
“sana” e “forte”. Questo mito in particolare parte da una concezione distorta della
relazione violenza-resistenza-dissenso. Infatti con qust’idea si ripropone, da una
parte, lo stereotipo della vis haud ingrata puelli (forza non sgradita alla donna)
secondo il quale una donna pone sempre un po’ di resistenza ad un contatto
sessuale anche se in realtà lo vuole, mentre dell’altra l’idea, ormai elevata a
principio, che non può esserci dissenso se non c’è resistenza, e là dove non ci sono
segni di tangibile violenza, occorre concludere che non c’è stata nemmeno
opposizione e quindi la vittima era consenziente al rapporto → falso sempre per i
motivi di prima, e cioè che non sempre la donna ha la forza di opporre resistenza e
che violenza sessuale e fisica non vanno sempre di pari passo;
• la violenza sessuale trova la sua genesi in un desiderio sessuale represso e va
quindi considerata come un reato di matrice esclusivamente sessuale e non come
un qualsiasi atto di violenza; il violentatore infatti è per lo più un soggetto dalla
personalità e dalla sessualità disturbata → falso perché anche la persona che
riteniamo essere la più “normale” tra tutti i nostri conoscenti può compiere o aver
compiuto questi gesti;
• spesso l’accusa di violenza sessuale da parte della donna è falsa → e questo spiega
perché spesso le donne che denunciano violenza non vengono credute. E’ vero, a
volte può verificarsi questo fatto, specie nel caso in cui la donna soffra di disturbi
come, per esempio, manie narcisistiche o voglia vendicarsi di qualcuno. Ma basta
fare qualche esame medico per vedere se mente o meno. E comunque questi casi
sono meno frequenti di quanto le “credenze popolari” ci vogliano far pensare;
• troppo spesso il modo di vestire della donna, il suo comportamento, il fatto di
trovarsi “nel posto sbagliato al momento sbagliato” (cioè il trovarsi da sola in un
luogo isolato), sono inviti diretti all’aggressione sessuale → non ci sono leggi che
decretano come bisogna vestirsi, come ci si deve atteggiare o che posti
frequentare. Solo convenzioni sociali. E, a parte tutto ciò, un atteggiamento
provocatorio da parte di una donna che, per esempio, poi rifiuta l’invito ad una
conoscenza più approfondita (se un invito c’è, perché molto spesso si da per
scontato che le donne provocanti siano sempre disponibili per conoscenze
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sessuali) non giustifica un comportamento violento verso di lei. Inoltre le ricerche
svolte e l’esperienza dimostrano che donne e ragazze di tutte le categorie possono
essere vittime di violenze sessuali, a prescindere da atteggiamenti e modi di
vestire;
• il consenso prestato da una donna a una precedente relazione sessuale con
l’imputato o con un'altra persona a lui nota non può non implicare un consenso
anche per futuri rapporti sessuali → e le idee non cambiano col tempo? Dagli
errori del passato in genere si impara…;
• una donna che fa uso si sostanze stupefacenti o alcoliche merita di essere
violentata → e tutti gli uomini che si drogano o si ubriacano meriterebbero lo
stesso trattamento? Non credo che in molti siano d’accordo;
• le donne, in realtà, desiderano essere violentate → primo, bisogna scoprire di chi è
questa massima. E secondo, è vero che tra i desideri sessuali più spesso espressi
dalle donne c’è la violenza (Crooks, Bauer, 1983), ma bisogna anche vedere come
la si vorrebbe. E poi, tra il desiderare ed il mettere in atto c’è una distanza
incolmabile.
La loro banalità porterebbe ad ignorarli completamente. Il problema è che influenzano
l’opinione pubblica, e quindi bisogna per lo meno ricordarsi che esistono. Per fortuna questa
decisione di ignorarli è stata presa almeno dalle leggi (per lo meno sulla carta…).
5. DATI STATISTICI SULLE VIOLENZE SESSUALI
Per ciò che riguarda le ricerche ed i dati statistici, si è visto che per le donne tra i 15 e i
44 anni la violenza è la prima causa di morte e di invalidità: ancor più del cancro, della
malaria, degli incidenti stradali e persino della guerra.
Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni sono concordi: la violenza contro le
donne è frequente, nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. E non conosce
differenze sociali o culturali: le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi e a
tutti i ceti economici. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, almeno una donna su
cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. E, come si
può verificare anche solo aprendo le pagine di cronaca dei quotidiani, il rischio maggiore
sono i familiari, mariti e padri, seguiti a ruota dagli amici: vicini di casa, conoscenti stretti e
colleghi di lavoro o di studio.