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contemporanea vicinanza ad ambienti legati al fondamentalismo islamico ed al
terrorismo di al-Qaida, fanno di al-Jazeera il centro di un dibattito internazionale molto
acceso.
Nata nel 1996 grazie all’iniziativa dell’emiro del Qatar, al-Jazeera si rende nota agli
occhi del mondo nel 2000, grazie alla copertura dell’Intifada di al-Aqsa, la seconda
grande rivolta del popolo palestinese. Nel 2000 al-Jazeera è il primo network arabo a
coprire in diretta il conflitto israelo-palestinese. In un contesto in cui i media occidentali
avevano fino a quel momento rappresentato l’unica voce in campo, la rete del Qatar dà
al mondo arabo la possibilità di esprimere un proprio punto di vista sul conflitto che
opprime la regione. Per la prima volta nella storia moderna un mezzo di comunicazione
arabo è presente sul luogo dei fatti, attinge all’origine le notizie che fino ad allora
giungevano agli schermi televisivi arabi tramite l’intermediazione dei grandi colossi
dell’informazione mondiale: CNN e BBC. L’evento ha una portata talmente innovativa
da far meritare ad al-Jazeera, motore di una vera e propria “rivoluzione” dei media
regionali, l’appellativo di “CNN degli arabi”2.
La nostra analisi, che ha al-Jazeera come protagonista, parte da una doverosa
contestualizzazione storica e si propone di comprendere la portata del ruolo della rete
allo scoppio dell’Intifada di al-Aqsa.
In che modo l’operato di al-Jazeera ha rappresentato un’innovazione nel contesto
mediatico mediorientale? Qual è stato il contributo portato da al-Jazeera all’evoluzione
della “guerra di informazione per la Palestina”3? La rete di Doha è stata imparziale, o ha
piuttosto militato a favore della causa arabo-musulmana?
Per affrontare la questione, dopo aver illustrato le caratteristiche dei media arabi ed il
ruolo che essi hanno ricoperto prima della seconda Intifada, focalizzeremo l’interesse su
una discussione che al-Jazeera fa su sé stessa e sul proprio ruolo, nel corso di una delle
puntate del programma di punta “The Opposite Direction”, presentato da Faisal al-
Qasim. La discussione, avente per tema “I media arabi e l’Intifada di al-Aqsa”, avviene
in un momento cruciale dello sviluppo del network, che proprio attraverso la copertura
dell’Intifada di al-Aqsa si guadagna un pubblico internazionale. Il dibattito scelto
fotografa la situazione dei media arabi dall’interno, nel momento di svolta della loro
storia, avvalendosi degli interventi in diretta di interlocutori dalle opinioni contrastanti,
2
Intervento di Donatella Della Ratta durante l’incontro organizzato da Meet The Media Guru sul tema:
“Non solo al-Jazeera. Come il mondo arabo cambia nei new media” (Milano, 4-11-2008).
3
E. De Angelis, Guerra e mass media, Carocci, Roma, 2007, p.103.
7
provenienti da svariati paesi del mondo arabo. Il terzo capitolo presenterà una
traduzione di ampi stralci della discussione, raggruppati tematicamente, e ne analizzerà i
tratti salienti dal punto di vista del linguaggio usato e delle posizioni rappresentate.
Dagli interventi emergono le contraddizioni, sia interne alla rete che al pubblico
panarabo, relative alle aspettative nei confronti di al-Jazeera.
8
1. Nascita ed evoluzione dei media arabi
L’analisi della rete qatarense al-Jazeera, a cui con questo lavoro in parte miriamo,
muove dal presupposto che, sebbene al-Jazeera sia stata amata e contestata per il suo
“andare oltre il fare televisione”, essa resti pur sempre una rete televisiva.
Con questo capitolo ci proponiamo quindi di giungere ad un’identificazione, seppur
approssimativa, del contesto in cui al-Jazeera, come rete televisiva, ha mosso i suoi
primi passi, per poi giungere a suscitare, dopo l’11 settembre, il noto scalpore che l’ha
resa celebre a livello internazionale.
Tra gli studiosi che in Italia si sono occupati di definire meglio questa questione,
spicca la figura di Donatella Della Ratta4. Giornalista e collaboratrice per il quotidiano
“Il Manifesto”, nonché scrittrice e produttrice di programmi televisivi, Donatella Della
Ratta svolge per enti internazionali un’attività di ricercatrice sui media arabi, che l’ha
portata, negli anni, a muoversi per il mondo arabo in cerca di “stelle” della televisione e
personaggi di spettacolo significativi.
Nel suo studio: “Al-Jazeera – Media e società arabe nel nuovo millennio”, Della
Ratta inizia col sottolineare l’importanza di considerare al-Jazeera “una rete televisiva,
non un’organizzazione politica o religiosa”5, una televisione che non nasce dal nulla,
segnando banalmente un punto di rottura nella storia dei media regionali, ma il culmine
di un processo evolutivo iniziato negli anni ’50 quando, con l’inaugurazione della radio
egiziana Sawt al Arab, si apre in Medio Oriente il “mercato”6 mediale.
Fino al 1953 il mercato dell’informazione in Medio Oriente è gestito infatti dalle
potenze coloniali presenti sul territorio. Gli italiani sono i pionieri dell’impresa. Già nel
1934 il regime fascista operante in medio Oriente dà il via alla creazione di una radio in
lingua araba, Radio Bari, con cui il duce spera di sottrarre consenso alle potenze
4
Donatella Della Ratta è ricercatrice indipendente e consulente specialistica in ambito di “media e new
technology”. Nel suo curriculum spiccano consulenze specialistiche effettuate per clienti italiani ed
internazionali quali: RAI, Mediaset e Parlamento Europeo. Nel 2000 vince il premio Ilaria Alpi come
miglior autore televisivo under 30. Nel 2005 lavora come curatrice all’interno della mostra Occidente
desde Oriente, organizzata dal Museo di Arte Contemporanea di Barcellona. Tra le sue pubblicazioni: “Al
Jazeera. Media e società arabe nel nuovo millennio” (Bruno Mondadori Editore,Milano, 2005) e “Media
Oriente. Modelli, strategie e tecnologie nelle nuove televisioni arabe”(edizioni Seam, Roma, 2000);
http://www.dominoloop.it/mediaorien/donatella_della_ratta_cv.pdf
5
D. Della Ratta, ivi. , p. 6.
6
Usiamo questo termine anche se, per parlare di un vero e proprio mercato panarabo dovremo aspettare la
prima guerra del Golfo. Fino a quel momento il “mercato” arabo non è caratterizzato dai concetti di
domanda e offerta intesi nel senso classico dei termini. Parliamo più che altro di “offerte concorrenti”,
principalmente saudite e egiziane, e di un pubblico pressoché silente (Della Ratta, 2005).
9
coloniali britannica e francese. Gran Bretagna e Francia non sono inermi e le risposte
non si fanno attendere. Nel 1938 la Gran Bretagna patrocina la creazione di BBC Arabic
Service, un’emittente radiofonica che trasmette da Londra in lingua araba. Negli anni
successivi fanno la loro comparsa l’emittente radiofonica francese Radio Monte Carlo
Moyen Orient e l’americana Voice of America.
La salita al potere degli Ufficiali Liberi nell’Egitto del 1952 smuove il clima politico
nella regione inducendo parte del mondo arabo ad una responsabilizzazione e ad una
presa di posizione cosciente contro l’ingerenza delle rispettive potenze coloniali.
In questo contesto nascono le prime emittenti arabe.
Sawt al-Arab “Voce degli arabi”, radio nata in Egitto nel ’53, è la prima radio araba a
trasmettere in Medio Oriente. Le trasmissioni hanno inizialmente una durata di
mezz’ora e una chiara finalità nazionalista. Il progetto del presidente egiziano Gamal
Abdel Nasser, che per primo ha l’idea di una programmazione multilingue
(inizialmente francese e inglese), si inscrive in un vasto progetto di propaganda
panaraba, volto alla liberazione dei popoli arabi dal giogo colonialista europeo in vista
della riunificazione dell’antica ’umma islamica tramite la guida egiziana.
L’esperienza nasseriana ha successo e spinge altri stati arabi a dotarsi di nuovi
strumenti di comunicazione di massa. Nel 1955 nasce l’ASBU (Arab States
Broadcasting Union), l’associazione dei broadcasters pubblici della regione,
comprendente all’epoca Egitto, Libia, Giordania e Siria.
Secondo Donatella Della Ratta, gli inizi della storia dei media arabi sono
caratterizzati dalla presenza molto marcata di due grandi entità statali: quella egiziana e
quella saudita (che emerge con una decina d’anni di ritardo rispetto alla prima). I
governi nazionali si impongono decisamente sul settore dell’informazione,
controllandone il capitale (erogato solitamente dal Ministero dell’informazione e
rafforzato da tasse pubbliche) e l’organizzazione della programmazione (tramite i
Dipartimenti di censura o esercitando pressioni di vario tipo su giornalisti e autori).
Il boom del settore mediatico non coinvolge gli stati periferici del mondo arabo
influenzati da una tradizione religiosa di stampo conservatore come il Qatar (che
introdurrà le prime sale cinematografiche solo negli ultimi anni ’50).
In questo primo periodo i media vengono utilizzati con finalità “transnazionali” (è
questo il caso dell’Egitto nasseriano), per diffondere sentimenti panarabi e nazionalisti;
10
oppure in modo più “conservatore” (come nel caso dell’Arabia Saudita), per rafforzare
le norme sociali e mantenere uno status di monopolio politico e culturale.
Un genere di grande successo negli anni sessanta è quello delle 7, che
conciliano il gusto di stampo occidentale per l’intrattenimento televisivo, con i
riferimenti storici e culturali delle popolazioni autoctone della zona. L’Egitto, che
all’epoca dispone di tre canali via etere, è il principale fornitore di , che
vengono poi diffuse alle altre reti locali tramite offerte gratuite effettuate dall’ERTU (
Egyptian Radio and Television Union)8.
L’implicazione egiziana nel conflitto israelo-palestinese, iniziato nel ’48, crea però
non pochi problemi alle emittenti dello stato nord africano.
Nel 1967 la sconfitta araba nella Guerra dei sei giorni porta al tramonto
dell’ideologia panaraba nasseriana. La perdita della guerra pesa come un macigno
sull’onore di molti stati arabi e l’instabilità politica si traduce in una stretta di vite nel
settore del broadcast. Sicurezza interna e sviluppo economico regionale diventano
parole d’ordine:
“Tale assunto, di fatto, si traduce nella censura programmatica delle informazioni
giudicate dannose dai singoli governi per il mantenimento dello status quo […] regola che
trasforma inesorabilmente il flusso di informazioni in una scaletta protocollare dove trovano
spazio soltanto le notizie legate all’attività ufficiale dei capi di stato e di governo” 9.
Nella situazione di precarietà ed instabilità politica causate dalla sconfitta del ’67, i
maggiori stati arabi (in primis Egitto, Giordania, Siria e Libano) sentono la necessità di
dotare i propri giornalisti di codici di condotta morale che limitino la possibilità di
contestazioni interne e che impediscano che venga minata l’immagine della coesa
comunità araba agli occhi degli occidentali. L’obiettivo è innanzi tutto preservare l’unità
della Lega Araba e secondariamente, tutelarsi da possibili e quanto mai pericolosi
scandali interni.
7
Al termine arabo corrisponde il termine di origine sud-americana telenovelas o l’americano
soap operas, oggi ampiamente sfruttati dalla lingua italiana. Per approfondimenti sulla versione araba di
questo genere televisivo si faccia riferimento al sito www.mediaoriente.com, curato da Donatella Della
Ratta, alla voce “Ramadan” (ultima consultazione: 22-10-2008).
8
La rete televisiva egiziana è oggi ancora attiva e dispone di un sito internet in lingua araba consultabile
tramite collegamento all’indirizzo web: www.ertu.org (ultima consultazione: 24-10-2008). Agli inizi
degli anni novanta l’ERTU è l’unico media del mondo arabo ad offrire due canali televisivi nazionali e tre
regionali, in aggiunta ad un network radiofonico che opera in trentadue lingue (D. Della Ratta, op. cit ).
9
D. Della Ratta, op. cit ., p.33.
11
Fortemente condizionata dai finanziamenti statali (prima fonte di sussistenza del
giornalismo arabo), la stampa regionale, rappresentata dalla Federazione dei Giornalisti
Arabi, nell’aprile 1972 si dota di un primo “codice etico”10:
“In uno scenario del genere è difficile parlare di deontologia professionale: i giornalisti
sono chiamati a rispettare un codice “etico” protocollare e spesso, quando non è il potere in
carica che li costringe ad applicarlo, sono loro stessi a imporsi un comportamento
‘autocensurantesi’”11
Ai punti uno e due, il codice (approvato a Baghdad) reca i seguenti principi:
“1. Commitments to the objectives of the public and the right of the Arab nation to unity,
freedom and progress.
2. Journalists adhere to respect the right of individuals to privacy and dignity. They
should abstain from publishing personal or family scandals aiming to weaken family
relations.”
L’importanza della stampa nel mantenimento dell’unità della ’umma araba è
sottolineata anche dalla più esplicita “Arab Information Charter of Honour”12, redatta al
Cairo nel 1978 per volere del Council of Arab Information Ministers:
“The Arab media should care about Arab solidarity in all material that is presented to
the public opinion inside and outside - it should contribute with all its capacity in supporting
understanding and cooperation between the Arab countries. It should avoid what might
harm Arab solidarity and restrain from personal campaigns”.
e ancora: “The Arab media […] should be committed to the struggle against all kinds of
colonialism, different types of aggression and should support the developing and non-
aligned countries. It should coordinate with the friendly media people to influence the
international public opinion for the benefit of the Arabs and their friends.”
Trattando le responsabilità dei giornalisti arabi (la cui libertà viene comunque
riconosciuta al primo punto del documento) la carta, come già il codice del ’72, precisa:
“The Arab journalists […] should not interfere in their domestic affairs. Also, they
shouldn't abuse the media to propagate violence or to insult heads of states.”
10
La versione in lingua inglese del codice è rintracciabile all’indirizzo web:
http://www.eyeonethics.org/journalist-code-of-ethics-in-asia/arab-code-of-ethics (ultima consultazione:
22-10-2008)
11
D. Della Ratta, op. cit., p. 62.
12
La versione completa del testo è disponibile in lingua inglese all’indirizzo web: http://www.al-
bab.com/media/docs/intcodes.htm (ultima consultazione: 22-10-2008)
12
Nel 1978, in questo clima difensivo di tensione e chiusura, l’Egitto sconvolge il
mondo arabo con la firma dei trattati di Camp David. Dal 1978 e per i successivi dieci
anni, l’Egitto viene escluso dalla Lega Araba. I suoi prodotti audiovisivi sono boicottati.
Nella sua veste di unico gigante mediatico del mondo arabo, è soppiantato quindi
dall’Arabia Saudita, forte della sua posizione economica e del suo status simbolico di
“custode dei luoghi santi”. I professionisti dei media egiziani aggirano però l’embargo
iniziando a lavorare per canali sauditi sotto la cui egida i contenuti iniziano ad
islamizzarsi. La fazione islamica maggiormente conservatrice teme che l’allargamento
dell’offerta mediale e la conseguente apertura all’influenza occidentale, possano deviare
la popolazione mettendo a repentaglio il rispetto dei tradizionali valori islamici. In
questo periodo di dominio saudita, reso possibile dall’estromissione dello stato egiziano
dal mercato mediale arabo, le istanze di matrice islamica vengono esaudite. Durante la
Prima Conferenza Internazionale dei Mass Media Islamici tenutasi a Jakarta nel 1980,
viene così adottata l’ “Islamic Mass Media Charter”13 che al primo punto del suo terzo
articolo ribadisce:
“Islamic Media-Men should censor all material which is either broadcast or published,
in order to protect the Ummah from influences which are harmful to Islamic character and
values, and in order to forestall all dangers.”
Nel 1985 per volere della Lega Araba, il canale satellitare regionale Arabsat (di cui
l’Arabia Saudita detiene il 36, 6% del capitale e la possibilità di nominarne il direttore
generale) viene lanciato in orbita.
Quattro anni dopo l’Egitto rientra nella Lega Araba riprendendo il suo posto chiave
nel settore informativo.
13
La versione completa del testo è disponibile in lingua inglese all’indirizzo web: http://www.al-
bab.com/media/docs/intcodes.htm (ultima consultazione: 22-10-2008)