2
prevede che la separazione tra proprietà e controllo, e il seguente
processo di decentramento decisionale, avrebbe permesso al management
di sfruttare a proprio favore le asimmetrie informative esistenti, attraverso
il ricorso a comportamenti opportunistici che sarebbero sfociati anche
nella manipolazione dell’informativa societaria.
Successivamente, nel 1998, l’allora presidente della Securities
Exchange Commission (SEC) Arthur Levitt, in un suo famoso discorso
intitolato “The Numbers Game”, rivelava una forte ascesa delle manovre
di earnings management che avrebbe inevitabilmente condotto a un
significativo declino della qualità dei risultati di bilancio.
Prima ancora della recente crisi finanziaria, un altro fattore
destabilizzante per i criteri di redazione dei bilanci è stata l’introduzione,
per le società aventi titoli negoziati nei mercati europei, dell’obbligo di
conformarsi agli International Financial Reporting Standards (IFRS).
La reazione degli investitori a questa innovazione è stata
controversa. Coloro nella schiera dei favorevoli2 ritenevano lecito
attendersi un miglioramento della qualità degli earnings dovuto
principalmente a due fattori. Da un lato l’abbassamento dell’asimmetria
informativa esistente tra redattori e fruitori del bilancio, dall’altro un
abbassamento dei costi di comparazione tra dati finanziari di società
appartenenti a Paesi differenti. Secondo tale prospettiva l’esito finale
sarebbe stato quello di rendere i mercati europei più competitivi a livello
globale e permettere in definitiva una maggiore liquidità alle imprese che
vi ricorrono.
Al contrario, gli scettici sostengono che gli IFRS non riflettono
adeguatamente le differenze esistenti nei diversi sistemi economici
nazionali, che i costi di transizione eccedono i relativi benefici e che la
variazione del set di principi adottati avrebbe causato inevitabilmente un
aumento dell’esercizio opportunistico della discrezionalità manageriale.
Con questo studio si intende analizzare la qualità degli earnings nei
bilanci prodotti da un campione di circa 200 società quotate italiane ed
2
Per approfondimenti sulle diverse posizioni si rinvia al capitolo 3.
3
inglesi. Avvalendosi del supporto del modello di De Fond e Park (2001) per
l’analisi degli earnings non discrezionali, si compareranno i dati dei bilanci
consolidati di quelle società per le quali il 2006 rappresenta l’anno di
transizione ai principi contabili internazionali, con quelli delle società che
invece li hanno già implementati da almeno un anno, ovvero con quelle
per le quali esiste ancora la possibilità di redigere i documenti finanziari
secondo i principi locali3.
Lo scopo della ricerca è quello di verificare se, in un anno in cui nei
mercati regolamentati è possibile trovare sia bilanci redatti per la prima
volta obbligatoriamente secondo gli IFRS, che bilanci ancora predisposti
seguendo i principi contabili nazionali, la qualità dei dati finanziari abbia
subito delle variazioni significative e quindi se, almeno nell’anno oggetto di
studio, ci siano stati riflessi sull’earnings quality.
Il lavoro è stato strutturato in cinque capitoli:
1. L’obiettivo del primo capitolo è quello prospettare le diverse
concezioni di earnings quality ed earnings management esistenti in
letteratura. Dopo aver evidenziato anche il fil rouge che le collega,
saranno inoltre presentati i fattori d’innesco dell’earnings
management, nonché le relative tecniche attuative.
2. Il secondo capitolo inquadra invece la situazione soggettiva di Italia
e Regno Unito circa l’implementazione dei principi contabili
internazionali, proponendo anche un paragone tra le scelte dei due
Stati all’interno delle facoltà concesse dal Regolamento Europeo
n. 1606/2002.
3. Nel capitolo successivo sono invece elencate le ricerche empiriche
che in passato hanno studiato gli effetti dell’adozione degli IFRS
sull’earnings quality, evidenziando come il contributo del presente
studio si innesti all’interno della letteratura esistente.
3
L’obbligo di applicazione degli IFRS per le aziende quotate nel segmento AIM del London Stock Exchange è
posticipato al 1 gennaio 2007.
4
4. Il quarto capitolo si focalizza dapprima sui criteri utilizzati per la
selezione delle società incluse nel campione oggetto di analisi, e
successivamente sulle modalità di raccolta dei relativi dati finanziari
e di governance. In questa sezione sarà inoltre presentato il modello
utilizzato per l’apprezzamento dell’earnings quality, evidenziandone i
relativi pregi e difetti.
5. Nel quinto ed ultimo capitolo, in conclusione, vengono presentati ed
analizzati i risultati emersi dalla ricerca empirica.
5
1 - Earnings quality ed earnings management, il dibattito in
letteratura
1.1 - L’earnings quality
Il tema della qualità dei dati contenuti nell’informativa di bilancio è
di estrema attualità e di forte coinvolgimento, anche in ragione del periodo
di instabilità finanziaria, scaturito da alcuni fallimenti di noti colossi
bancari che si sono registrati nell’ultimo anno. Questi eventi hanno
ribadito i limiti delle informazioni economico-finanziarie diffuse agli
stakeholder, indebolendone l’aspetto dell’attendibilità agli occhi degli
investitori (Osili e Paulson, 2008).
Tra tutti i valori contabili sono certamente gli earnings quelli che
godono di una maggiore rilevanza ai fini della valutazione delle diverse
opportunità di investimento. Questa è la ragione per cui l’earnings quality
analysis alimenta un intenso dibattito, sia in dottrina che nella prassi,
dovuto anche alla mancanza di univocità sia per quanto concerne la
definizione teorica, sia con riguardo ai modelli di misurazione empirica.
Esprimere un giudizio circa la correttezza degli earnings non è un
processo semplice in quanto le società sono solite diffondere numerosi dati
relativi agli utili (si pensi a ricavi, reddito operativo, EBITDA o utile netto)
e, in aggiunta, sono talvolta frutto di calcoli differenti.
È possibile rinvenire in letteratura numerose definizioni di earnings
quality che differiscono le une dalle altre per via della prospettiva
adottata.
Dechow e Schrand (2004) adottano la prospettiva degli analisti e la
definiscono perciò come la capacità di riflettere la perfomance operativa
corrente, di essere un buon indicatore di quella futura, e di essere un’utile
misura di sintesi per la valutazione di una società.
Non distante la posizione di Schipper e Vincent (2003) che
definiscono l’earnings quality come il livello con cui gli utili risultanti da
6
bilancio riflettono fedelmente l’invisibile benchmark del reddito economico
Hicksiano4 (Hicks, 1939).
Esiste inoltre la prospettiva della decision usefulness che è quella
privilegiata sia dal framework dello International Accounting Standards
Board (IASB, 1989), che dallo Statement of Financial Accounting Concepts
(SFAC) No.2 (FASB, 1980)5. Secondo quest’ultimo infatti sono le
caratteristiche di rilevanza, affidabilità e comparabilità quelle
imprescindibili nell’informativa societaria ai fini del processo decisionale
degli utilizzatori del bilancio.
Dechow e Dichev (2002) considerano invece l’earnings quality dal
punto di vista della qualità della stima degli accruals, con particolare
attenzione a quelli che loro ritengono anomali (cosiddetti “abnormal
accruals”). Essi sono considerati i valori contabili più agevolmente
manipolabili dal management e conseguentemente sono anche dei buoni
indicatori del grado di arbitrarietà da loro esercitato nella formazione dei
dati di bilancio. Se usati correttamente gli accruals hanno il compito di
traslare nel tempo il riconoscimento dei flussi di cassa, in modo che il
valore risultante (earnings) rappresenti meglio la performance economica
dell’impresa. Essi sono prevalentemente basati su stime e congetture che,
se errati, possono comportare una rettifica dei futuri accruals e quindi
degli earnings. Si può affermare perciò che l’andamento dell’ammontare
delle rettifiche agli accruals e l’earnings quality sono collegati da una
relazione proporzionalmente inversa.
Qualsiasi sia la definizione preferita, tutte concorderebbero
nell’affermare che, a un livello di earnings management praticato più
elevato, corrisponderebbe una minore qualità degli earnings. ¨ però
altrettanto vero che la mancanza di earnings management non è di per sé
sufficiente a garantire l’alta qualità degli earnings: seguire, ad esempio,
4
In una sua teoria Hicks definiva il reddito di un periodo come “la somma che si può spendere alla fine
dell’esercizio in modo da tornare ad essere nella stessa situazione di ricchezza in cui si era all’inizio del
periodo”.
5
In verità le caratteristiche qualitative contenute in questi framework si riferiscono all’informazione contabile
in senso lato e perciò non ai soli earnings.
7
rigidamente un set di principi dalla qualità scadente, porterebbe
comunque alla produzione di financial reports di bassa qualità.
1.2 - L’earnings management
1.2.1 - Alle radici del fenomeno: la teoria dell’agenzia
Sebbene oggigiorno appaia come un neologismo o una nuova
frontiera della gestione d’impresa, l’earnings management è un fenomeno
che affonda le sue radici nel ventesimo secolo. Le prime lungimiranti
intuizioni risalgono al 1939, quando Fitzpatrick elaborò la teoria
dell’”Accounting Behaviour”, affermando che l’informativa contabile
esterna d’impresa sarebbe fortemente condizionata dal sistema
motivazionale ed etico dei suoi amministratori, i quali, nell’adempimento
delle loro funzioni, sono principalmente orientati al perseguimento di
obiettivi personali non sempre coincidenti con quelli societari.
Successivamente Jensen e Meckling (1976), sulla scorta
dell’Accounting Behaviour, hanno elaborato la cosiddetta “Agency Theory”.
Secondo questa teoria la separazione tra la proprietà e controllo, ossia tra
azionisti e management, comporta un processo di decentramento
decisionale attuato mediante l’instaurazione di un rapporto contrattuale
tra delegante (principal) e delegato (agent). I tratti che lo caratterizzano
sono però le forti asimmetrie informative e il conflitto d’interessi esistenti,
che provocano l’insorgere dei così detti “costi d’agenzia”. Quest’ultimi
possono distinguersi in tre categorie:
costi di controllo: determinati dal monitoraggio dell’attività dell’agent
da parte del principal;
costi di rassicurazione: dovuti all’attività di convincimento dell’agent
nei riguardi del principal, della bontà della propria opera;
costi residuali: derivanti da conflitti d’interesse che i costi precedenti
non sono in grado di risolvere.