2
imprese del settore generalmente percorrono al fine
dell‟implementazione dei propri processi di sviluppo globali, quindi
procederemo attraverso un esame delle principali modalità di ingresso
sui mercati esteri.
L‟ultima parte del capitolo è dedicata all‟analisi di
accessibilità/attrattività di un Paese ad elevato potenziale per il Made in
Italy di lusso, l‟Australia. Onde valutare opportunità e rischi di tale
mercato si è deciso di procedere per gradi, attraverso una prima analisi di
carattere macroeconomico seguita da un‟ulteriore analisi di tipo settoriale
(in particolare sull‟abbigliamento di lusso). Un simile studio ci ha
permesso tanto di fare una valutazione attuale del mercato quanto di
prospettare scenari futuri per i nostri prodotti di lusso in Australia.
1.2 L’industria del lusso: una proposta per una definizione
Il carattere intangibile del lusso e la dimensione di sogno a cui
spesso è associato nella mente dei consumatori rendono difficoltosa la
ricerca di una possibile definizione di lusso e, per tale via dell‟industria
che vi si ricollega. È tuttavia indispensabile disporre di una definizione
che consenta di ricostruire i confini di quella parte dei vari settori che
possa considerarsi come “industria del lusso” onde misurarne il peso
all‟interno dell‟economia, apprezzandone al tempo stesso la
performance.
La definizione che si è preferito adottare in questo lavoro è quella
proposta dal Comitè Colbert, la quale si basa su un lavoro di ricerca della
McKinsey & Co. La definizione in questione si articola come un
percorso logico in due tappe1.
1
Si veda COMITÈ COLBERT 1990.
3
La prima fase consiste nell‟identificazione dei settori di attività
suscettibili di appartenere all‟industria del lusso. Sono considerati come
candidati al lusso i settori che soddisfano entrambi i seguenti criteri:
ξ dal lato della domanda, i prodotti e servizi devono rispondere a
bisogni che vanno al di là del necessario e che fanno appello ai sensi;
ξ dal lato dell‟offerta, i prodotti e servizi devono incorporare una
forte componente umana nella creazione.
Questa prima fase ha condotto la McKinsey & Co ad identificare
trentacinque settori di attività qualificabili come di lusso, tra i principali
ricordiamo: abbigliamento, accessori, calzature, profumeria, gioielli,
arredamenti, automobili.
La seconda fase consiste nell‟identificazione delle imprese
produttrici di lusso in ciascuno dei settori di attività considerati.
Una specificazione va fatta in merito a cosa debba effettivamente
intendersi per “lusso”. In questa sede, accogliendo l‟impostazione
prevalente in letteratura, consideriamo il lusso come un universo,
declinabile tuttavia in tre galassie2:
ξ lusso inaccessibile;
ξ lusso intermedio;
ξ lusso accessibile.
Il lusso inaccessibile si pone alla sommità di un‟ideale piramide. A
questa categoria appartengono beni dei quali esistono solo pochi pezzi,
spesso realizzati su misura e distribuiti attraverso canali altamente
selettivi a prezzi “astronomici”. Alla categoria del lusso intermedio
appartengono, invece, quei prodotti che ricalcano nel marchio e nello
stile i beni della categoria superiore ma che non sono custom made; tali
beni possono comunque essere adattati alle esigenze del consumatore,
distribuiti in modo selettivo e venduti a prezzi molto alti. Infine il lusso
2
Si veda ALLÉRÉS 1997.
4
accessibile è la galassia dei beni prodotti in serie, distribuiti su più larga
scala e venduti entro un range di prezzo più contenuto.
Definito il settore del lusso, è ora possibile procedere ad un‟analisi
dettagliata dello stesso volta ad individuarne i tratti distintivi, sia in
termini qualitativi che quantitativi.
1.3 La competizione nel settore lusso: l’internazionalizzazione come
scelta obbligata
In linea generale, il settore dei beni di lusso si presenta molto
frammentato e variegato, caratterizzato da differenze di strutture, mezzi e
profitti. L‟offerta si sostanzia per la presenza, nello stesso segmento, sia
di piccole imprese che portano avanti la tradizione artigianale, sia di
grandi players che producono, direttamente o indirettamente tutto ciò che
è lusso. I grandi players del lusso sono imprese globali; operano, infatti,
nella Triade Europa, Usa e Asia come si trattasse di un unico grande
mercato, con una offerta pressoché indifferenziata3. Le imprese minori al
contrario, si comportano ancora come artigiani, puntando alla creazione
di nicchie produttive e alla fidelizzazione della clientela tradizionale ma,
considerata la velocità di evoluzione attuale del mercato, cominciano ad
aprirsi al contesto internazionale, con le difficoltà che conseguono
nell‟adottare logiche di tipo globale4.
Sin qui nulla di nuovo rispetto a qualsiasi altro settore. È ben noto,
infatti, che le imprese si trovano oggi a dover operare in un contesto
sempre più internazionale in conseguenza di un fenomeno generalizzato
di globalizzazione della domanda5. Il mercato moderno risulta infatti
3
Si veda DEPPERU 1993.
4
Ci riferiamo in particolare alla necessità di adottare una formula manageriale della gestione e
alla difficoltà di riuscire ad acquisire conoscenze specifiche sui nuovi mercati.
5
Si veda FELLOWS 1997.
5
profondamente influenzato dall‟abbattimento dei confini spaziali, dalla
possibilità di reperire informazioni e di comunicarle senza vincoli in
tempo reale.
Questa realtà ha condizionato e continua a condizionare tutti i
settori perché i gusti e le tendenze divengono facilmente globali e
condivisi ovunque. La globalizzazione altera i parametri di spazio,
portando tutti a vivere in un villaggio globale dove le distanze risultano
implose e tutto è più vicino. Questo fenomeno crea un cortocircuito tra le
differenze: differenze che prima vivevano sul reciproco distanziamento si
trovano sovrapposte, intimamente compenetrate. “Oggi le differenze
sono messe in discussione dalle facilità di scambio e contatto a distanza
ed entrano in una specie di melting-pot che le mescola e che in certe
condizioni le fonde fino ad eliminarle”6. Il concetto di territorio perde,
dunque, il suo significato. Le scelte hanno sempre più spesso a che fare
con conoscenze, tecniche, modelli ed espressioni artistiche provenienti
da Paesi diversi. Tale esperienza di contaminazione transazionale ha dato
luogo a quella che è stata chiamata globalità: “compresenza di luoghi
differenti in uno, che li avvicina e insieme li contrappone”7.
Quanto appena asserito vale a maggior ragione per il lusso. I
consumatori mondiali desiderano le stesse firme del lusso perché i
modelli di riferimento vengono tratti dai simboli imposti dai trends
culturali di moda in un momento dato, per poi essere comunicati e
condivisi a livello internazionale. I trends vengono divulgati attraverso
Internet, le TV, le riviste di moda, divenendo pressoché uniformi.
L‟esistenza di un consumatore universale e, per tale via di un segmento
di domanda transnazionale, crea l‟opportunità di beneficiare di
importanti sinergie in termini di strategie, per lo più di marketing.
6
Si veda RULLANI 1999.
7
Si veda RULLANI 1999.
6
Sulla base di queste considerazioni possiamo considerare il lusso
come un mercato globale in cui le imprese possono usufruire di vantaggi
competitivi dall‟integrazione delle proprie attività su base mondiale8. I
consumatori del lusso, più di tutti, peraltro, precorrono i tempi
dell‟omologazione culturale perché sono tra i più informati e attenti alla
diffusione dei trends internazionali. Di qui un‟esigenza imprescindibile
per le imprese del settore, le quali devono divenire “obbligatoriamente”
internazionali, per rispondere efficacemente alla domanda globale e, al
contempo, non venir schiacciate dalla notorietà dei marchi che già hanno
intrapreso la strada dell‟internazionalizzazione. Si può quindi
immaginare un unico mercato nel quale tutti i competitors puntano ad un
target fortemente omogeneo che si estende dagli Usa all‟Europa sino al
Giappone e che si sta aprendo sempre più a Paesi quali il Sud America, il
Sud Est Asiatico e l‟Est Europa. Per le imprese che operano in questo
contesto non ha quindi senso una distinta definizione della strategia
competitiva nazionale ed internazionale, esse, infatti, riscontrando
“esigenze” simili nei diversi Paesi in cui operano possono rivolgere loro
una stessa offerta9. Il mercato internazionale del lusso da questo punto di
vista può essere considerato come una “grande nicchia” caratterizzata da
desideri omogenei in cui competono i “nomi” più esclusivi del settore.
Un simile scenario ovviamente influenza la scelta delle strategie
aziendali, che devono essere necessariamente orientate alla ricerca di una
crescita dimensionale volta a creare marche e prodotti capaci di sostenere
i costi della commercializzazione mondiale. In tal modo le imprese del
lusso puntano ad ottenere positive sinergie gestionali dovute alla massa
critica raggiunta in fatto di produzione, acquisti e distribuzione. Questa
decisione nasce in risposta al predetto fenomeno di globalizzazione della
8
Si veda VELO 1992.
9
Si veda DEPPERU 1993.
7
domanda; in sostanza, per poter rispondere efficacemente al continuo
mutamento dello scenario, le imprese necessitano di poter operare a
livello globale investendo ingenti capitali in: i) ricerche di mercato; ii)
innovazione di prodotto; iii) comunicazione; iiii) distribuzione. Solo
attraverso forti investimenti in queste attività si può, dapprima, affermare
il marchio a livello globale e, in un secondo momento, vigilare sulla
posizione raggiunta. Gli importanti investimenti nel settore, oltre ad
essere una necessità nel contesto della competizione internazionale,
rappresentano un necessario strumento difensivo. Sostenendo consistenti
investimenti si creano infatti importanti barriere all‟entrata contro
eventuali nuovi competitors e si pongono fuori gioco le piccole imprese
che non sono in grado di sostenerli. Ma è evidente che solo un‟impresa
di grandi dimensioni può sostenere ed ammortizzare efficientemente tali
spese.
Alla luce di quanto detto, alle imprese del lusso, operanti nel
contesto di competizione globale, si può adattare il concetto di curva S10;
curva che pone direttamente in relazione i risultati di gestione con gli
investimenti effettuati. Esiste una soglia di investimenti al di sotto della
quale il mercato si accorge poco o nulla della presenza dell‟impresa
reagendo, in modo meno che proporzionale, agli sforzi da questa
sostenuti; l‟impresa si trova, infatti, schiacciata dagli avversari che,
anche se di pari livello, sono avvantaggiati da una maggiore notorietà
internazionale e dalla possibilità di ripartire i costi in modo più efficace.
Prerogativa dell‟impresa è quindi quella di porre in essere ingenti
investimenti che le garantiscano di poter essere al di sopra della sua
soglia di efficacia; superata questa soglia la risposta del mercato sarà più
che proporzionale agli sforzi e la diffusione della notorietà, e con essa
dei risultati, sarà spinta, oltre che dagli investimenti diretti, anche da
10
Si veda GANDELLINI 1993.
8
molte componenti esogene che operano sul mercato: i media, il
passaparola e la stessa contraffazione, sintomatica della notorietà
raggiunta. Esiste infine un tetto al di sopra del quale gli investimenti
ulteriori hanno un impatto marginale a fronte della saturazione del
mercato rispetto ai messaggi, di diversa natura, inviati dall‟impresa. A
questo punto la teoria della curva S prevede che il processo si fermi;
parlando di lusso è opportuno invece aggiungere un ulteriore step. Nel
settore del lusso, infatti, l‟eccessiva diffusione del marchio porta ad una
perdita del valore e ad una riduzione delle vendite dovuta alla
banalizzazione dell‟immagine aziendale. Di qui la necessità di adattare la
curva ipotizzando che, raggiunto il punto di saturazione, gli ulteriori
investimenti penalizzino i risultati aziendali. Si ottiene così l‟adattamento
della curva S che può essere osservato nella figura sottostante.
Figura 1: Curva S adattata al mercato del lusso
Fonte: Ns. elaborazione
risultati
investimenti
9
1.3.1 L’implementazione dei processi di sviluppo globale
Si è visto come il primo obiettivo delle imprese del lusso sia
necessariamente quello di crescere per poter efficacemente sostenere gli
ingenti investimenti resi necessari dallo scenario generale. La crescita
tuttavia, non deve avvenire casualmente, ma in modo strategico e
graduale: si deve, cioè, cercare di capitalizzare in un primo momento su
uno stesso marchio, collezione, campagna pubblicitaria, Paese estero,
settore merceologico, per poi “dare l‟assalto” a tutte le opportunità del
mercato, aprendosi al contesto competitivo internazionale.
Il percorso di crescita più razionale per le imprese del settore,
secondo Pambianco, sembra cominciare con la specializzazione, seguito
dalla diversificazione, quindi in ultima fase si trovano le acquisizioni11.
Figura 2: I tre step del processo di crescita
Fonte: Ns. elaborazione
11
Si veda PAMBIANCO 1999.
SPECIALIZZAZIONE
DIVERSIFICAZIONE/ESTENSIONE
ACQUISIZIONI
10
La strategia di specializzazione consiste nel concentrarsi sui bisogni
di un segmento o di un gruppo particolare di acquirenti senza pretendere
di indirizzarsi al mercato intero. Lo scopo è quello di soddisfare i bisogni
specifici del segmento “meglio” dei concorrenti che si rivolgono alla
totalità del mercato12. Questa strategia può comportare sia la
differenziazione sia l‟acquisizione del vantaggio di costo, sia entrambe,
purchè limitatamente al segmento su cui l‟impresa concentra i propri
sforzi. A ben vedere, nel caso del lusso la specializzazione non può che
comportare una differenziazione, peraltro, particolarmente forte. Una
simile strategia, rispondendo alle esigenze di distinzione sociale del
consumatore, garantisce all‟impresa la costruzione di una chiara
immagine che, se ben comunicata, genera un inevitabile incremento di
notorietà. La specializzazione rappresenta una via percorribile anche
dalle imprese di dimensioni minori e ad ogni modo essa rappresenta una
strategia per così dire “preliminare”. Tutti i grandi marchi del lusso
devono la loro posizione attuale ad una strategia di specializzazione, la
quale ha permesso loro di portare avanti nel tempo uno stile
inconfondibile affermatosi pian piano e radicatosi nella mente dei
consumatori di tutto il globo a partire dall‟enfasi riposta su di un
particolare aspetto distintivo. In genere l‟impronta stilistica deriva
inizialmente da un singolo prodotto per poi passare ad una, più o meno
ampia, gamma di prodotti che incorporano il life-style che l‟impresa
propone ai suoi clienti, puntando ad affermare la competenza specifica
nel core business.
Un simile processo, a ben vedere, mira ad elevare l‟impronta
stilistica del marchio a valore preminente cui legare i diversi prodotti. La
tendenza generale è quella di legare la caratterizzazione del marchio al
nome dello stilista creatore delle collezioni; una tale prassi può tuttavia
12
Si veda LAMBIN 2000.
11
risultare rischiosa qualora si consideri la possibilità che lo stilista possa
lasciare l‟impresa e destinare i suoi sforzi creativi altrove. A ragion di
ciò, risulta pertanto preferibile slegare le produzioni dal nome di un
determinato stilista; l‟importante è basare le produzioni su uno stile
chiaramente identificabile, riconoscibile nell‟evoluzione delle tendenze
che si propongono e si susseguono al fine di garantire un‟immagine di
continuità. Non dovrebbe emergere quindi la mano dello stilista ma
l‟impronta, destinata a divenire inconfondibile, del marchio. Il concetto
stilistico, che deve essere necessariamente compreso e condiviso anche a
livello organizzativo, diviene così la fonte da cui devono trarre origine
tutti i prodotti realizzati dall‟impresa.
Il processo di crescita continua attraverso una strategia di
diversificazione che comporta l‟entrata in prodotti-business nuovi per
l‟impresa. Le logiche di base sottostanti la diversificazione sono
molteplici; nel caso dei beni di lusso tuttavia è plausibile ritenere che le
diversificazioni hanno come obiettivo il miglioramento d‟immagine al
fine dell‟acquisizione di una maggiore notorietà (logica d‟immagine). In
linea generale si distingue tra13:
ξ diversificazione concentrica: l‟impresa aggiunge alla sua gamma
attività nuove ma complementari alle attività esistenti sul piano
tecnologico e commerciale. L‟obiettivo è dunque quello di beneficiare
di effetti sinergici conseguenti alla complementarietà delle attività,
allargando così il mercato potenziale dell‟impresa;
ξ diversificazione pura: l‟impresa entra in attività nuove che non
hanno rapporto con le sue attività tradizionali, tanto sul piano
tecnologico quanto su quello commerciale. L‟obiettivo è quello di
orientarsi verso campi completamente nuovi per ringiovanire il
portafoglio delle attività.
13
Si veda LAMBIN 2000.
12
Nel caso che si osserva prevale una strategia di diversificazione
concentrica; le imprese del lusso non puntano, infatti, ad aprirsi a nuovi
mercati ma ad abbracciare tutti i segmenti di quello in cui già operano. In
tal modo esse riescono ad ottenere un‟estensione del portafoglio prodotti
e, al contempo, a massimizzare le sinergie tra comunicazione, immagine,
produzione, distribuzione, garantendo l‟omogeneità tra questi elementi.
Un simile risultato non può che essere ottenuto attraverso lo sfruttamento
dell‟immagine di marchio affermatasi durante la fase di specializzazione.
È proprio facendo leva sulla notorietà conquistata, infatti, che le imprese
del lusso possono permettersi di allargare la propria gamma produttiva
andando a toccare più o meno intensamente tutti i segmenti del mercato.
Quando vi è coincidenza tra il posizionamento ricercato
dall‟impresa e quello percepito dai consumatori è possibile, peraltro,
trovare sempre qualche nuovo oggetto, fino a quel momento considerato
comune, da elevare al rango di lusso. Proprio in questi ultimi anni si è
diffusa una tendenza alquanto singolare: le imprese del lusso hanno dato
vita ad un processo di riconsiderazione dei più disparati oggetti reperibili
sui comuni mercati di massa (chitarre, candele, caschi, ecc.) ripensandoli
come prodotti di lusso. Questo processo di “elevazione” è stato reso
possibile mediante il ricorso a designers che hanno ridefinito il concetto
stesso di tali prodotti e, per tale via, i materiali produttivi. L‟inserimento
di questi prodotti nel circuito distributivo del lusso, la comunicazione
mirata ed integrata nel contesto aziendale e le suggestioni che
caratterizzano il marchio, hanno poi fatto il resto, caricandoli di
significati ed emozioni che non erano stati attribuiti loro
precedentemente.
La stragrande maggioranza delle imprese del lusso a marchio
affermato ha perseguito una strategia di diversificazione di questo tipo;
nella figura sottostante riportiamo alcuni esempi tipici: