antitrust generale al settore bancario, nonché l’eventuale incidenza da riservare ai
profili della stabilità e dell’efficienza tutelati in sede di vigilanza prudenziale.
L’analisi economica dell’intermediazione finanziaria ha individuato peculiari
ragioni di specialità, sia microeconomiche, sia macroeconomiche, delle banche
rispetto alle altre tipologie di imprese: sotto il primo profilo, vengono in rilievo le
c.d. asimmetrie informative tra cliente e impresa, che nel settore bancario hanno
un’incidenza particolare.
In campo finanziario, le banche incontrano difficoltà nella valutazione delle
alternative di impiego, sia perché l’informazione necessaria ha un alto contenuto
specialistico, sia perché il prenditore di fondi ha tutto l’interesse ad esaltare la
propria qualità; in più, in considerazione del fatto che l’informazione prodotta
dalla banca ha natura riservata, visto che la banca non ha interesse a svelare alla
concorrenza i suoi clienti migliori, e quest’ultimi spesso desiderano che sia
mantenuta la confidenzialità sui rapporti intrattenuti.
Alla specificità di ordine microeconomico individuata, si sovrappone una
specificità di ordine macroeconomico, che parte dalla considerazione della bassa
sostituibilità tra il credito fornito dalle banche e quello ottenibile ricorrendo a
diverse forme di finanziamento.
Questa constatazione è all’origine della particolare attenzione rivolta dalle
autorità alla stabilità degli intermediari creditizi: le crisi finanziarie, sempre
possibili a cause della natura fiduciaria del rapporto tra banca e depositante, non
possono che riflettersi in una repentina contrazione dei finanziamenti dell’intera
economia e sono, quindi, capaci di trasformarsi in crisi del settore produttivo,
causando anche processi cumulativi, c.d. effetto domino.
È riconosciuto, inoltre, che la capacità di introdurre innovazioni nel processo
produttivo degli intermediari creditizi dipende dalla disponibilità del credito: in tal
senso, tanto più alta è la disponibilità del credito, intesa come capacità degli
offerenti di orientare risorse verso impieghi più remunerativi, tanto più agevole
sarà per la banca attrarre risorse finanziarie, favorendo, inoltre, una crescita di
tutto il sistema economico.
4
La presenza simultanea di questi fattori di specificità rende molto più
difficoltosa, che in altri settori, l’applicazione di una normativa a tutela della
concorrenza.
La necessità di un contesto informativo adeguato per l’esercizio dell’attività
bancaria porta a considerare come improponibile una struttura del mercato
bancario caratterizzata da un’elevata presenza di operatori come in altri settori,
secondo il modello della concorrenza perfetta.
Problemi particolari sorgono inoltre in merito alle dimensioni e alla natura del
mercato rilevante su cui condurre l’analisi antitrust: la sola individuazione del
mercato della raccolta non costituisce un’adeguata rappresentazione dell’impresa
bancaria, visto che anche altri sono i fattori da prendere in esame per analizzare la
posizione della banca nel mercato; il credito bancario, poi, rappresenta un
prodotto distinto, non omogeneo e poco sostituibile con i prestiti erogati da altri
intermediari; inoltre, l’estensione del suo mercato è determinata non tanto dalle
proprietà oggettive del prodotto, quanto dalle caratteristiche della clientela.
In perfetta armonia con il modello adottato a livello comunitario, la l. 287/90 si
applica a qualsiasi impresa, privata o pubblica, ad eccezione di quelle che per
disposizione di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico
generale, ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per quanto
strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati.
Il legislatore italiano, tuttavia, ha voluto sancire che le banche siano sottoposte
alle regole della concorrenza, e quindi non rientrano nella deroga prescritta
dall’art. 8, equivalente nazionale dell’art. 86 CEE.
L’art. 20, l. 287/90, infatti, assoggetta le banche alle disposizioni sostanziali
relative alle fattispecie anticoncorrenziali vietate dalla legge antitrust disponendo,
a seguito della riforma del risparmio, che nei confronti delle aziende ed istituti di
credito l’applicazione degli articoli 2, 3, 4 e 6 spetta all’Autorità garante della
concorrenza e del mercato, con esclusione delle operazioni di concentrazioni
lesive della concorrenza per le quali vi è la competenza congiunta della Banca
d’Italia e dell’Autorità garante.
Accanto a questa prima regola generale, la l. 287/90 prevede una serie di
norme specifiche che riguardano per diversi aspetti le banche, e che,
5
indirettamente, ne confermano la soggezione alla disciplina generale della
concorrenza.
La l. 287/90 presentava originariamente un intero Titolo, il V, dedicato
interamente alle “Norme in materia di partecipazione al capitale di enti creditizi”:
la scelta del legislatore di inserire questa disciplina, relativa ai vincoli per
l’assunzione di partecipazioni bancarie da parte del capitale privato e al delicato
rapporto banca-industria, era stata da più parti criticata, poiché risultava al di fuori
delle tradizionali tematiche antitrust.
Sulla base di queste ragioni, si è ritenuto opportuno dare una sistemazione più
consona all’intera normativa delle partecipazioni bancarie, attraverso
l’abrogazione del Titolo V della l. 287/90 e l’incorporazione, con modifiche, nel
Capo III del Titolo II del T.U. d.lgs. 385/93 (il T.U.B.), sito naturale della
normativa volta a garantire la sana e prudente gestione degli intermediari bancari.
Recenti vicende hanno poi determinato un radicale cambiamento nella
disciplina della concorrenza che ha visto traslare la competenza operativa nel
settore bancario dalla Banca d’Italia, impegnata nel ruolo di tutore della
concorrenza da ben prima l’entrata in vigore della l. 287/90, all’Autorità garante,
quale organo più idoneo a garantire un assetto concorrenziale nel settore del
credito; la legge in esame, n. 262/05 intitolata “Disposizioni per la tutela del
risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”, è il risultato di un sistema
normativo potenzialmente debole vittima delle sue stesse imperfezioni.
Il lavoro condotto si ripropone proprio di ripercorrere le diverse fasi di nascita,
crescita e sviluppo della concorrenza e la sua applicabilità al sistema creditizio
così come affrontato nel nostro Paese, analizzando le diverse fattispecie lesive
anche attraverso lo studio di provvedimenti adottati dall’Autorità competente.
6
CAPITOLO I
LA CONCORRENZA NEL SETTORE BANCARIO
SOMMARIO: 1. La concorrenza e la sua disciplina: dallo Sherman Act alla legge 287/90.
– 2. La disciplina comunitaria e l’applicabilità al settore creditizio. – 3. La legge n.
287/1990. – 4. La regolamentazione bancaria. – 5. Introduzione della concorrenza
bancaria. – 6. Gli sviluppi della concorrenza bancaria. – 6.1 Le nuove armi competitive. –
6.2 Gli effetti della concorrenza. – 7. Il mercato rilevante. – 7.1 L’esperienza USA
nell’individuazione del mercato. – 7.2 I prodotti finanziari. – 7.3 I mercati di dimensione
rilevante.
1. La concorrenza e la sua disciplina: dallo Sherman Act alla legge 287/90.
La disciplina della concorrenza è stata introdotta in tutti gli ordinamenti
caratterizzati da un’economia industrializzata, come strumento in grado di
realizzare un equilibrio tendenzialmente più stabile in quanto caratterizzato da
continui piccoli aggiustamenti.
Un mercato concorrenziale consente il libero trasferimento di risorse
produttive da un settore ad un altro dell’attività economica in virtù della
convenienza di utilizzo derivante dalle possibili opzioni disponibili, ma se libere
di agire, le forze economiche si evolvono in sistemi anticoncorrenziali che
minacciano il pluralismo economico alla base del funzionamento del mercato,
nonché il perseguimento della finalità sociale cui si subordina la libertà di
iniziativa economica così come dettato dall’art. 41 della Costituzione.
Da qui il bisogno di dotarsi di una regolamentazione che garantisca un
ambiente concorrenziale, poiché il legislatore è consapevole dell’inevitabile
7
insufficienza di meccanismi correttivi spontanei del mercato al fine di evitare
effetti distorsivi dello stesso.
Il primo esempio di legislazione antitrust lo abbiamo negli Stati Uniti
d’America con l’approvazione dello Sherman Act1 nel 18902.
Prima di allora il mezzo più diffuso per incrementare i profitti era infatti
l’istituto del trust, che consisteva nell’assegnare ad un fiduciario i propri diritti di
partecipare e votare ai singoli consigli delle imprese che aderivano all’accordo,
garantendo in tal modo un controllo incrociato e la stabilità delle proprie attività;
il sistema in ben poco tempo ebbe successo, arricchendo i maggiori esponenti dei
mercati.
L’introduzione dello Sherman Act suscitò non poche perplessità in
considerazione del fatto che la normativa non mirava al perseguimento
dell’efficienza economica e alla creazione di una reale concorrenza, ma a limitare
il potere dei trust e dei capitalisti: le norme erano facilmente aggirabili o venivano
applicate in maniera tale da creare confusione e incertezza, con arbitrarie
applicazioni distanti dallo spirito della norma.
Per chiarire le ambiguità e le incertezze dovute all’applicazione dello Sherman
Act, dobbiamo attendere il 1914 con l’applicazione del Clayton Antitrust Act3, il
quale pose un punto fermo nell’applicazione delle norme di diritto della
concorrenza4.
Durante lo stesso anno divenne legge anche il Federal Trade Commission Act,
con il quale si approvò la creazione di una Commissione, la Federal Trade
1
Definito anche Antitrust Act, prende il nome dal senatore dell’Ohio John Scherman, quale
massimo esponente della legge contro i trust e qualsiasi altra forma di monopolio.
2
FLORIDIA e CATELLI, Diritto antitrust: le intese restrittive della concorrenza e gli abusi di
posizione dominante, Milano, 2003, pp. 7-8.
3
Il testo fu predisposto dal Deputato Henry De Lamar Clayton e pose il divieto di alcuni
comportamenti monopolistici da parte delle imprese, nonché un più efficace controllo delle
operazione di concentrazione, stabilendo il divieto di realizzare delle fusioni mediante acquisto di
azioni o beni, nell’ipotesi in cui l’operazione può dare luogo ad una diminuzione o ad un
affievolimento della concorrenza o alla creazione di un monopolio.
4
CELONA, L’antitrust nella giurisprudenza, in Raccolta sistematica di Giurisprudenza
commentata, 1999, p. 4.
8
Commission5 (FTC) con il compito di promuovere la libera e corretta concorrenza
nel sistema economico degli Stati Uniti6.
L’ultimo passo fu compiuto nel 1976 con l’approvazione dell’Antitrust
Improvement Act, con il quale s’introdusse l’obbligo di comunicazione delle
operazioni di fusione o acquisizione al Dipartimento di Giustizia e alla FTC,
nonché la possibilità di chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni per i
consumatori nei confronti dei componenti dei cartelli o di chi intende
monopolizzare un mercato.
Per quanto attiene all’Europa, il bisogno di dotarsi di una legislazione antitrust
sorge solo nel secondo dopoguerra, periodo in cui nascono le prime normative
contenenti una disciplina: in Francia nel 1945 (Ordonnance n.145 – 1483) e nel
Regno Unito (Monopolies and Restrictive Practices Act), ma solo nel 1957 fu
approvata in Germania la prima legge nazionale organica in materia di
concorrenza, anno in cui si costituì la Comunità Economica Europea con la firma
del Trattato di Roma.
La politica comunitaria in materia di diritto della concorrenza risente molto
dell’influenza tedesca: norme restrittive ed un sistema rigido per garantire che la
concorrenza costituisca non un fine ma una condizione di realizzazione del
mercato comune o interno.
La disciplina antitrust comunitaria è dunque contenuta nel Trattato di Roma
entrato in vigore ne 1959, integrata da una serie di regolamenti del Consiglio e
della Commissione e da direttive, nonché successivi atti normativi fondati su
elaborazioni giurisprudenziali.
A livello nazionale, solo l’approvazione della legge n. 287/1990 ha portato
all’introduzione di una disciplina interamente dedicata alla tutela della
concorrenza.
5
Composta da cinque membri, di cui non più di tre possono appartenere alla medesima parte
politica, vengono tutt’oggi nominati dal presidente degli Stati Uniti, previa approvazione del
Senato e durano in carica per sette anni.
6
DALLE VEDOVE, Concentrazioni e gruppi nel diritto antitrust, in Collana di Studi giuridici,
Padova, 1999, p. 6.
9
2. La disciplina comunitaria e l’applicabilità al settore creditizio.
Il Trattato Ce contiene quella che è la disciplina generale per la tutela della
concorrenza a livello comunitario: se ne occupano gli artt. 81 e 82 nel vietare
rispettivamente le intese restrittive della concorrenza e lo sfruttamento abusivo di
una posizione dominante7, i quali trovano piena attuazione nel settore bancario8.
A livello comunitario l’applicazione degli artt. 81 e 82 del Trattato Ce da parte
della Commissione Europea è stata disciplinata prima dal regolamento n. 17/62 e
poi dal regolamento n. 1/20039: il primo affidava alla Commissione il compito di
definire le modalità di rilevazione delle violazioni stabilite dalla normativa
antitrust, e la facoltà di esentare intese ai sensi dell’art. 81, par. 3; il secondo ha
attuato un processo di modernizzazione nell’applicazione delle norme comunitarie
in materia di intese e abusi di posizione dominante, sancendo il definitivo
superamento del sistema di controllo accentrato a favore del coinvolgimento delle
autorità antitrust e dei giudici nazionali10.
Tra le novità introdotte dal regolamento n. 1/2003 c’è il superamento delle
autorizzazioni in deroga concesse dalla Commissione Europea al ricorrere delle
condizioni previste dall’at. 81, par. 3, e la contemporanea previsione dell’onere di
verificare la liceità dell’accordo in capo all’impresa stessa11.
L’Autorità garante ed i giudici nazionali sono ora investiti del compito di
applicare gli artt. 81 e 82, se pur limitata ad i casi individuali, e l’art. 81 par. 3
nella sua interezza, sicché le autorità nazionali antitrust valutano la liceità di
un’intesa e la ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento di un’esenzione.
Al fine di garantire la coerente applicazione della disciplina comunitaria,
Commissione Europea e autorità nazionali coordinano il loro operato per mezzo
di un sistema a rete che ne garantisce la costante cooperazione e limita così la
possibilità che vengano emesse decisioni in contrasto, poiché queste sono nulle
qualora siano in conflitto con le delibere comunitarie.
7
Sull’argomento si rinvia al cap. II, parr. 1 e 7.
8
Decisiva a tal fine fu la sentenza del caso Züchner e Bayeriche Vereinsbank del 1981 riportata in
Raccolta, 1981, pp. 2021 ss.
9
In G.U.C.E. L 1 del 4 gennaio 2003.
10
BROGGIATO, Guida alla disciplina antitrust per le banche, 2005, Roma, pp. 22-23.
11
Sull’argomento si rinvia al cap. II, par. 1.
10
Il regolamento n. 1/2003 ha inoltre modificato la modalità di definizione delle
ammende, non più stabilite in quote fisse, ma proporzionali al fatturato
dell’impresa, per la violazione di norme procedurali; particolare rilievo assume la
decisione della Commissione di esentare dall’applicazione di una sanzione
amministrativa, quelle imprese che si autodenunciano nell’inosservanza della
legge, contenuta nella “Comunicazione in materia di immunità dalle ammende e
di riduzione dell’importo nei casi di cartelli tra imprese”12: lo scopo è quello di
disincentivare pratiche gravemente lesive della concorrenza favorendo la
cooperazione delle imprese.
L’applicazione della nuova disciplina è stata agevolata dalla pubblicazione di 6
comunicazioni13 ed un regolamento14, che meglio chiariscono incertezze operative
connesse alle molteplici disposizioni previste; definito pacchetto di
modernizzazione, sancisce: la cooperazione delle autorità nazionali con la
Commissione ed ancora tra le autorità antitrust, le modalità di presentazione di
denunce ed i criteri per individuare l’organo competente, la facoltà per le imprese
di richiedere un orientamento informale alla Commissione sulla liceità o meno di
accordi che si intende porre in essere, la nozione di pregiudizio al commercio tra i
membri della Comunità Europea, le linee direttrici per l’applicazione dell’art. 81
par. 3 del Trattato15.
3. La legge n. 287/1990.
Il nostro Paese si è dotato di una legislazione in materia solo nel 1990 con
l’approvazione della legge n. 287 del 10 ottobre 199016, recante “Norme per la
tutela della concorrenza e del mercato”, la quale, oltre a porre i cardini della
disciplina della concorrenza in Italia, istituisce, con l’articolo 10, l’Autorità
12
In G.U.C.E., C 45 del 19 febbraio 2002.
13
In G.U.C.E., L 123 del 27 aprile 2004.
14
In G.U.C.E., C 19 del 27 aprile 2004.
15
BROGGIATO, Guida alla disciplina antitrust per le banche, cit. alla nota 10, pp. 22 ss.
16
La necessità di adottare una legge antitrust era all’attenzione del Parlamento dal 1950, cioè da
quando il Ministro dell’Industria dell’epoca Togni, aveva presentato il primo progetto di legge a
cui ne seguirono altri tra i quali ricordiamo: la proposta Malagodi – Bozzi intitolata “Norme per la
tutela della libertà di concorrenza e di mercato” nel 1955, riproposta in una versione riveduta e
corretta nel 1959, e la proposta di legge sul “Controllo dei Monopoli” di Giorgio Amendola nel
1960.
11
Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)17, quale organo indipendente e
preposto alla vigilanza in tema di intese, accordi e deliberazioni, nonché rispetto a
tutte le attività “che abbiano per oggetto o per effetto” di restringere o falsare il
gioco della concorrenza sul mercato nazionale o su di una sua parte rilevante.
La legge 287/90 vieta le intese restrittive della concorrenza e l’abuso di
posizione dominante con riferimento all’intero mercato nazionale o a una sua
parte rilevante.
Le operazioni di concentrazione sono vietate quando dalle stesse derivi la
costituzione o il rafforzamento in modo sostanziale e durevole di una posizione
lesiva della concorrenza nel mercato di riferimento.
Lo stimolo che in Italia dà vita all’iter legislativo, viene dalla Comunità
Europea, che in vista della pubblicazione e della successiva entrata in vigore
dell’Atto Unico del 1986, presenta il Libro Bianco della Commissione CEE sul
completamento del mercato interno nel 1985, dando un forte impulso a dotarsi di
politiche atte a favorire il funzionamento dei mercati coerenti con quelle
comunitarie.
In Italia si susseguirono così varie iniziative delle quali però ebbero maggior
rilievo due disegni di legge del 1988: il primo intitolato “ Norme per la tutela del
mercato” presentato dal Senatore Guido Rossi, ed il secondo disegno intitolato
“Norme per la tutela della concorrenza e del mercato” presentato dal Ministro
dell’Industria Adolfo Battaglia.
Dalla fusione di queste due proposte è infine scaturita la Legge approvata il 27
settembre del 1990 dal Senato, che attualmente disciplina la concorrenza in Italia,
in rapporto alla normativa Europea.
Il nostro ordinamento ha riguardo al tema della concorrenza, prevedendola in
norme di rango costituzionale: l’articolo 41 della Costituzione infatti, nel sancire
che “L’iniziativa economica privata è libera” e che “Non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà
ed alla dignità umana”, afferma la necessaria presenza di una norma, intesa come
disciplina legislativa, che preveda e tuteli quello che è stato definito “il bene
giuridico concorrenza”18.
17
Sull’argomento si rinvia al cap. III, par. 3.
18
BANCA D’ITALIA, La tutela della concorrenza nel settore del credito, 1992, Roma, p.41.
12