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‘confezionare’ lavori da distribuire sul mercato che, oltre
all’Europa e all’America, è ormai aperto al Giappone e alle altre
economie emergenti su scala mondiale. Si notano qui
strettamente connessi i connotati indicati nel precedente
capoverso, ed emblema di una loro convergenza all’interno di un
discorso comune è il ‘disco’, che è contemporaneamente la
“riproduzione artistica” della creazione del musicista, il “mezzo
tecnologico” attraverso il quale la composizione è in grado di
giungere al pubblico, e infine il “prodotto commerciale” di
un’azienda che intende far quadrare i propri bilanci; oltreché,
naturalmente, un supporto materiale per la promozione del
messaggio ideologico-artistico del compositore.
Vi è però da fare una precisazione. Al termine del secondo
conflitto mondiale, la Germania ha vissuto un periodo di
stagnazione economico-artistica a causa del nazismo prima e
delle devastazioni della guerra poi; a questa depressione si è
reagito, nel campo musicale, con l’istituzione dei corsi estivi di
Darmstadt, in cui le maggiori menti del ‘settore’ e i giovani più
promettenti del mondo avevano la possibilità di confrontarsi e di
portare avanti una ricerca critica come in precedenza non era
mai stato possibile. Dai seminari di Darmstadt è nato il cd.
“serialismo integrale”, che ha portato alle estreme conseguenze
il sistema dodecafonico di Schoenberg e Webern; per la cittadina
tedesca è passato il genio di John Cage, ispiratore della cd.
“musica aleatoria” e padre dell’happening e della performance;
grazie alle esperienze nei corsi estivi molti compositori
avrebbero sviluppato, portando avanti i principi della Scuola o
avversandoli, buona parte delle correnti musicali del secondo
Novecento, fin quasi ai giorni attuali. Si sta parlando,
ovviamente, di tutta la musica d’avanguardia che, esattamente
come per la poesia nello stesso periodo, ha allontanato
definitivamente le folle dai grandi appuntamenti musicali che da
almeno due secoli avevano segnato la storia di quest’arte (la crisi
della poesia invece, per quanto tangente con quella della musica,
ha avuto un’altra evoluzione e una diversa conclusione). Nella
maniera più assoluta non si ha intenzione, in questa sede, di
osteggiare le premesse e gli sviluppi del movimento
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d’avanguardia ma di riportare un semplice dato di fatto: i
compositori di musica ‘colta’, oggi, non sopravvivono se non
grazie alle sovvenzioni pubbliche e ai finanziamenti privati,
situazione che ha provocato una sorta di ritorno al mecenatismo
del passato.
Nel cuore delle persone, infatti, la musica ‘leggera’ aveva
già preso il posto di quella ‘impegnata’. E ciò in maniera sempre
più evidente per l’appunto dagli anni Quaranta in poi. Prima in
America, la nazione che insieme all’URSS era davvero uscita
vincente dal conflitto e con la quale si spartirà il mondo fino al
crollo del socialismo e del regime sovietico; ma che, al contrario
della seconda, si è fatta portavoce di un capitalismo sfrenato, di
una società opulenta in cui è nata una nuova tipologia di
consumatore: il teenager, attorno al quale si sarebbe configurata
una inedita cultura giovanile. Poi in Europa e altrove in
Occidente e anche in là, a partire dall’ex alleato e ora
spalleggiante Regno Unito fino alle cd. culture ‘globalizzate’,
entrate nell’orbita occidentale-americana negli ultimi decenni.
Negli USA il business musicale era saldamente in mano
agli editori: si vendevano ad es. ancora più spartiti che dischi; e
poche case discografiche si spartivano il mercato. Le canzoni,
nel dopoguerra, riflettevano valori e istituzioni di un mondo
piccolo borghese (amore, matrimonio, famiglia). Ma l’avvento
del rock’n’roll muterà irreversibilmente la musica e la società. E
cambierà, o quantomeno influenzerà anche l’arte, in particolar
modo la grafica che, dapprima debolmente, diverrà in seguito
elemento costitutivo ed imprescindibile di quel ‘triplice’ oggetto
che abbiamo visto essere il disco: inizia così la storia della
grafica musicale, che toccherà il suo apice negli anni ’70, e che
verrà affrontata nelle pagine seguenti.
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Capitolo primo
Il ‘disco’
È ormai riconosciuto il valore del disco come bene
culturale, oggetto di tutela e di valorizzazione, di studio e di
ricerca, al pari del libro e del film, oltre che come elemento tra i
più emblematici della cultura industriale del XX secolo.
Dopo le pionieristiche esperienze fonografiche tra la fine
dell’800 e il primo decennio del ’900, espressioni tipiche della
cultura della macchina, la successiva produzione del disco fu il
risultato dell’interazione di conoscenze tecnico-scientifiche e di
attenzioni estetiche: sia nella confezione dei supporti (etichette,
contenitori) sia nella progettazione delle macchine per la
riproduzione del suono. Il cilindro prima, i dischi poi, ma anche i
nastri e i successivi supporti fino ai CD, rinviano ad una
interrelazione di funzioni e di competenze.
In questo senso la storia del disco si connette, come detto
in precedenza, a quella della tecnologia applicata (le macchine
per l’incisione e la riproduzione del suono), della scienza
(soprattutto chimica e fisica), dell’economia
(internazionalizzazione della produzione e del commercio), della
sociologia e del costume, fino a quella dell’arte e del design che,
dapprima in sordina, entrano poi a pieno titolo nella catena per la
confezione del prodotto ‘disco’.
Fino agli anni ’50, per i 78 giri, la copertina era costituita,
nella maggioranza dei casi, da una semplice busta di carta
realizzata in modo seriale, talvolta ben decorata per evidenziare
la marca, le tecniche ma non le note di contenuto che venivano
demandate, all’interno, all’etichetta applicata sul disco. Con
l’avvento del 45 e in seguito del 33 giri, confluiscono nella
copertina non solo gli elementi descrittivi del disco (autore,
interprete, casa discografica, codici identificativi, note,
presentazioni) ma soprattutto le elaborazioni artistiche e
grafiche volte a connotare, e talvolta ad esaltare a fini
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commerciali, le peculiari caratteristiche proprie di ogni singola
produzione e/o degli artisti coinvolti.
Alla base di questa trasformazione della confezione che
racchiudeva il disco c’era la necessità di ottenere un supporto in
grado di contenere una maggiore quantità di musica registrata,
ed era un’esigenza che proveniva in gran parte dal mondo della
musica sinfonica ed operistica. Le opere liriche e le sinfonie,
tanto per fare un esempio, erano messe in vendita in ingombranti
confezioni di dieci, quindici, a volte venti 78 giri, racchiuse in
album tanto eleganti quanto scomodi da consultare e lontani da
quella continuità sonora che il pubblico degli ascoltatori avrebbe
sicuramente gradito, atta a ricreare almeno in parte la magica
atmosfera delle esecuzioni ascoltate nelle sale da concerto.
Gli studi scientifici tesi ad ottenere una maggiore capacità
di immagazzinare informazioni sonore in un disco ebbero un
notevole impulso nella seconda metà degli Anni Quaranta,
quando le industrie discografiche avvertirono come imminente la
palese concorrenza che poteva esercitare sul disco a 78 giri la
registrazione su nastro magnetico (che permetteva una durata di
riproduzione notevolmente superiore a quella del 78 giri, e con
una notevolissima riduzione del fruscio di fondo). La scoperta
che il vinile, un materiale termoplastico la cui definizione
corretta è “cloruro di polivinile”, era in grado di assorbire un
numero di solchi per centimetro triplicato rispetto a quanti ne
poteva contenere la gommalacca (120 contro 40), e di consentire
la rotazione di questo nuovo disco a microsolchi ad una velocità
più bassa (33 giri e 1/3 al minuto al posto di 78) consentì di
aumentare fino a 25 minuti per lato la durata della musica
riproducibile. Di conseguenza sarebbero aumentate le
informazioni da fornire al pubblico su ciò che il disco conteneva,
sia che si trattasse di un’opera, sia che si trattasse, a maggior
ragione, di una serie di canzoni, che potevano variare da dieci a
dodici, distribuite sui due lati del supporto.
Per rendere più attraente merceologicamente il prodotto, e
per sfruttare al meglio il richiamo che il volto dei cantanti poteva
esercitare sui loro ammiratori, si cominciò a pensare ad una vera
e propria copertina, alla stregua di quella dei libri. Sul lato
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esposto al pubblico nei negozi di dischi ci sarebbe stata una
fotografia dell’interprete, mentre invece il retro avrebbe accolto
informazioni più dettagliate sul contenuto del supporto. Si
diffuse quindi immediatamente la consuetudine di realizzare in
questo modo le copertine dei dischi, abbandonando
definitivamente la tecnica della busta forata al centro, che
consentiva la lettura dell’etichetta del disco sui due lati e che era
illustrata soltanto dal marchio della casa produttrice e delle
etichette ad essa collegate.
Ben presto si pensò che oltre alle immagini fotografiche
potevano essere usate, per illustrare la copertina, le riproduzioni
di disegni, acquerelli, chine, pastelli, e si rese dunque necessaria
la presenza di un grafico che controllasse ed organizzasse la
distribuzione delle informazioni e delle immagini. Fu così che
alcune grandi case discografiche, a fronte di una produzione
cospicua ed esponenzialmente in crescita, si dotarono di un
apposito reparto grafico che curasse tutta la produzione
dell’azienda, dalle copertine alle immagini di corredo della
pubblicità e della comunicazione. L’importanza del disco come
veicolo di musica (classica, jazz, pop, rock) e di cultura crebbe
così in modo esponenziale in America come in Europa.
Parallelamente si rafforzò l’attenzione dei produttori per
l’immagine delle copertine dei singoli prodotti, sempre più
spesso affidate alla sensibilità di artisti, illustratori, fotografi, che
da semplici contenitori le trasformarono in elementi di pregio via
via più complessi ed elaborati, fino a presentarsi talvolta come
ricercate pubblicazioni, con pagine o fogli sciolti, in qualche
caso quasi come multipli a più facciate.
Fu l’occasione per molti giovani disegnatori di cimentarsi
in una dimensione creativa del tutto nuova, con la possibilità di
far arrivare le proprie produzioni ad un pubblico
straordinariamente vasto e assolutamente trasversale. A partire
dagli anni ’60, infatti, il disco divenne non solo un prodotto di
ampio consumo e oggetto di forti interessi economici, ma anche
un emblema dei radicali mutamenti sociali in atto soprattutto
nelle giovani generazioni.