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vuole punire i delitti dei cosiddetti mostri, è necessario ammettere che
anch’essi fanno parte del genere umano di cui, in fondo, non sono che una
variazione, per quanto orribili possano essere le loro azioni»
1
.
La vera condanna, credo, sia proprio questa: rifiutare a priori l’idea che
davanti a noi ci sia un uomo, che ci sia ancora dell’umanità, sicuramente
nascosta e che aspetta di essere trovata e ascoltata.
Desidero sottoporre al gentile lettore, il testo della canzone di Gino Paoli,
molto discussa per la sua sottintesa spinta alla pietà per il pedofilo
protagonista nel testo.
IL PETTIROSSO
“Aveva gli occhi come un pettirosso
Era una donna di 11 anni e mezzo
Si alzò la gonna e saltò nel fosso
Aveva addosso un vestitino rosso…
Mentre passava in mezzo a quel giardino di 70 anni
Voleva ancora afferrare tutto
e non sapeva cosa è bello e cosa è brutto
E l’afferrò con cattiveria lei si trovò le gambe in aria
Lui che cercava cosa fare
C’era paura e c’era male
Il male lo afferrò proprio nel cuore
come succede con il primo amore
E lei lo prese fra le braccia
Con le manine gli accarezzò la faccia
Così per sempre si addormentò per riposare
Come un bambino stanco di giocare…”
Possono scaturire evidenti e senza filtri critiche al cantautore, dato che ne
ripropongo il testo, ma se sono giunta a tal punto è perché intendo e desidero
riportare le stesse parole di Gino Paoli alle accuse fattegli: «Quello di cui si
parla qui è la pietà. Io ho pietà per i vinti. Anche per quelli che hanno fatto le
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Cf. Vittorino Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza.
Super Saggi, Bur, Milano 2000.
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cose peggiori: quando uno è a terra io non lo prendo a calci in faccia. Fa parte
della mia natura. Forse è questo che ha provato la bambina del “Pettirosso”, la
pietas che a noi riesce così difficile (…). Il vecchio della canzone è
chiaramente un matto, ma cosa dobbiamo fare dei matti? C’è anche in loro
un’umanità che va capita: non per giustificare o per perdonare. Si fa in fretta a
condannare senza capire, ma capire serve a evitare che certe cose si ripetano.
La pietà si cerca dove ce n’è bisogno, dove è più difficile averne. La pietà
“facile” è falsa, è retorica. Questo clamore sveglierà un sacco di gente, il che è
giusto. Come artista di fama, so di avere un faro puntato addosso tutto il tempo
e faccio del mio meglio per portarlo dove mi sembra giusto».
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Capitolo 1°
PEDOFILIA IN DIVENIRE
-Linee storiche-
L’abuso sessuale è sempre stato presente nella storia dell’uomo assumendo
significati differenti, a seconda del tempo e del contesto; ma resta
costantemente presente un unico comune denominatore, ovvero la
“dissimmetria” esistente nel rapporto tra l’adulto e il bambino, che a sua volta
sottende un divario nella gestione del potere, sottolineandone l’abuso.
Molti studiosi, sono concordi nel distinguere storicamente tre periodi
principali: età classica, Medioevo, periodo tra fine Ottocento e inizi Novecento,
dai quali emerge, nonostante una pesante omertà legislativa, l’intolleranza
sociale nei confronti della pratica pedofila.
1.1. La pederastia nella Grecia classica e nell’antica Roma.
Il sostantivo “pedofilia” non compare mai negli scritti del tempo, ma viene
sempre usato il verbo paidofilen e il sostantivo paidofilis. E’ tra il VI e IV
secolo a.C. che la relazione pedofila ebbe una grande diffusione, specialmente
in Atene e Sparta; questa consisteva in una relazione sessuale tra adulti maschi
e adolescenti, istituita spesso all’interno di un’esperienza spirituale e
pedagogica attraverso la quale l’amante adulto trasmetteva le virtù del
cittadino.
La “sodomizzazione” simboleggiava la sottomissione del giovane al più
anziano per essere ammesso nel gruppo dei detentori del potere; lo sperma, in
particolare, era considerato il detentore delle virtù virili. L’eros costituiva
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quindi la condizione indispensabile dell’insegnamento, poiché filosoficamente
era, al contempo, desiderio, piacere e amore, proprio per questo però era breve
il passo da un eros paedagogos ad una pedofilia sensuale. A tal proposito si può
essere concordi nel sostenere che « il plasmare, l’istruire è uno dei dogmi della
pedofilia. Il pedofilo vuole sentirsi maestro. La guida che conduce in territori
inesplorati».
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I ruoli nella relazione pederasta erano quindi essenzialmente due, dove uno era
l’erastes, l’amante, colui che prendeva l’iniziativa e organizzava il
corteggiamento, l’altro era l’eromenion, l’amato, che doveva ben guardarsi dal
concedersi troppo facilmente. Naturalmente il ruolo dell’amato era passivo, per
questo quando un adulto si concedeva passivamente era considerato
negativamente dall’opinione pubblica. Se da un lato la pederastia era una
pratica libera, dall’altro ha a che vedere con la conflittualità stessa della
relazione pederesta, poiché questa relazione non era scontata: sottostava a
regole precise. Il ragazzo doveva essere pubere, nel caso contrario, venivano
sancite pene severe.
«Dai dodici ai diciassette-diciotto anni il maschio era un partner passivo di
rapporto che lo legava ad un adulto. Una volta raggiunta la maggiore età, in
cui era neaniskos (a partire dai venticinque anni circa), egli assumeva un
ruolo attivo, dapprima (cioè fino al matrimonio) con i paides, e quindi sia
con i paides sia con le donne».
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Anche per le ragazze la vita sessuale incominciava prematuramente: si
sposavano inotorno ai dodici-tredici anni e, nel caso di Sparta, le donne
2
Cfr. Camarca e Parsi, pp.8 sg, 2000
3
Cfr. Cantarella, 1995, p.65
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usavano avere della amanti proprio tra le adolescenti ed era costume unirsi con
delle amanti prima del matrimonio, come rito di iniziazione. Rispetto però al
sesso maschile, l’amore femminile non veniva considerato come strumento di
formazione pedagogico, per questo non ha trovato spazio tra i filosofi e nelle
leggi.
Seppur decantata, la pratica pederastica, cela una sottile forma di ostilità,
specialmente nelle opere di Platone, poiché non considerata solo come via di
insegnamento, ma temuta come forma di sopraffazione. A tal proposito,
Calasso giunge ad una riflessione importante, dove piacere e sapere si
incontrano per poi con-fondersi: «l’intreccio tra un corpo da conquistare come
una fortezza e il volo metafisico -egli afferma- è, per Platone, l’immagine
stessa dell’eros. Infatti, l’amato si concederà perché desidera “l’educazione e
sapienza di ogni specie”».
L’amato diventa oggetto di piacere, non ha una sua autonomia psicologica;
annulla se stesso fisicamente per accogliere il sapere dentro di se, è un
«sottomettersi in modo giusto» (Platone, Simposio).
Una visione diversa emerge nel quadro storico della società romana, dove il
“ragazzo libero” è sostituito dallo “schiavo” e, talvolta, dal nemico sconfitto.
Si perde, quindi, l’immagine filosofica dell’eros che viene sostituita dalla
brutalità e dalla sopraffazione; ed è Cantarella a descrivere, nell’opera
“Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico”, la relazione pedofila: «Il
giovane romano veniva educato, sin dalla più tenera età, a essere un
conquistatore. Imporre la propria volontà, assoggettare tutti, dominare il
mondo: questa è la regola di vita del romano. E la sua etica sessuale, a ben
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vedere, altro non era che un aspetto della sua etica politica». La legge
proteggeva i ragazzi liberi, poiché un giorno avrebbero dovuto imparare ad
imporsi; per ciò, racconta Plutarco, si era soliti far indossare una bulla d’oro
attorno al collo dei fanciulli, affinchè non venissero scambiati per degli schiavi.
Soltanto nell’epoca augustea, i rapporti pederastici assumono il carattere di
romantici e hanno come oggetto anche i ragazzi liberi, grazie all’influenza del
modello ellenico. Con Giustiniano, tutto questo giunge al suo termine: viene
bandito ogni rapporto pedofilo e omosessuale, in quanto offensivo agli occhi
del Signore.
L’asimmetria a cui si è accennato all’inizio e la totale assenza della presa in
considerazione del mondo emotivo del fanciullo trova le sue fondamenta nelle
stesse annotazioni di Freud, scrive infatti « la differenza più incisiva tra la vita
amorosa del mondo antico e quella nostra, risiede nel fatto che l’antichità
sottolineava la pulsione, noi invece sottolineiamo il suo oggetto.
Gli antichi esaltavano la pulsione ed erano disposti a nobilitare con essa anche
un oggetto inferiore, mentre noi stimiamo poco l’attività pulsionale di per sé e
la giustifichiamo soltanto per le qualità eminenti dell’oggetto».
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1.2. La pedofilia nel Medioevo.
Nonostante potesse essere considerata deplorevole e contro natura la relazione
omosessuale, sia pedofila che non, veniva invece tollerato e appoggiato il
matrimonio tra una bambina di dieci anni e un uomo molto più anziano. Non si
parlava di pedofilia in questo caso.
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Cf. Sigmund Freud, “Tre saggi sulla teoria sessuale”, 1909.
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Diffusa, inoltre, era l’usanza di stipulare contratti d’affitto di bambini a
padroni, i quali esercitavano su di essi una sorta di apprendistato,
accompagnato anche da promiscuità relazionali. Tale apprendistato cominciava
all’età di otto anni, quando i bambini lasciavano la casa dei genitori e si
avventuravano al loro destino, e terminava tra i dodici-quattordici anni. Un po’
servi e un po’ figli di adulti, un po’ maestri e un po’ padroni, relazioni basate
su una perenne oscillazione tra autenticità e inautenticità, della seduzione e
della scoperta.
Dipinge bene questo ondeggiare Cosimo Schinaia sostenendo che «ogni
relazione docente-discente contiene in sé il rischio dell’investimento
narcisistico da un lato e dell’idealizzazione acritica dall’altro. Il maestro,
confortato dalla potenzialità pura del gesto infantile, vede nel discepolo sé
stesso idealizzato, e tende a porre in lui
ogni speranza di superamento dei propri limiti con vissuti risarcitori proiettati
nell’allievo».
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Questa relazione, divenendo simbiotica, porta il docente a vivere
il bambino come oggetto di proiezione del proprio Sé ideale, dall’altro lo
studente percepirà il maestro come porto sicuro, in contrapposizione al padre
cattivo che lo ha allontanato da casa. Anche dietro questo apparente stato di
soddisfacimento latente di bisogni affettivi, regna incontrastata la negazione
dell’infanzia nel Medioevo, talvolta torturata fino ad essere arsa sui roghi.
5
Cf. Cosimo Schinaia, “pedofilia, pedofilie”, Bollati Boringhieri.