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show ad esse legati. In Italia, patria della lirica, manca una vera cultura del musical,
considerato spesso un ibrido poco “vendibile”.
Spesso perciò, quando si tratta di importare nel nostro paese spettacoli che già
godono di successo all’estero, ci si trova di fronte al problema della traduzione. Meglio
tradurre, adattando il libretto per essere cantato in italiano, o è preferibile invece sempre e
comunque la versione originale, magari con l’ausilio di sopratitoli? Del dibattito che
avviene sulla questione parlerò più approfonditamente nel Capitolo 3, dedicato alla
traduzione del musical, ma ad un livello più generale si può affermare che per quanto
riguarda il musical entrambe le posizioni (a favore o contro la traduzione) raccolgono
accaniti sostenitori e detrattori.
Resta comunque il fatto che, per quanto buona, una traduzione resterà sempre
qualcosa di diverso rispetto all’originale. Allo stesso tempo però è anche un’opera
d’amore, uno sforzo, spesso anche molto gratificante, che rende accessibile un lavoro a
persone che normalmente non potrebbero apprezzarlo o anche solo conoscerlo a causa
della barriera linguistica.
Nel campo del teatro musicale il problema si è presentato per la prima volta a
proposito dell’opera lirica, che in quanto forma di teatro musicale popolare (nella sua età
dell’oro era ben lontana dall’aura di intoccabile sacralità che oggi le si attribuisce) si può
collegare al musical attraverso un percorso che passa anche per l’Operetta (vedere capitolo
1.2, Cenni di storia del musical). Quando appunto l'opera lirica era un genere popolare, era
inevitabile che venisse tradotta nelle diverse lingue d'Europa ad ogni nuovo debutto. Le
Nozze di Figaro di Mozart fu immediatamente tradotto in tedesco, in inglese e in francese.
Il Trovatore di Verdi fu conosciuto in Francia come Le Trouvère, e viceversa Don Carlos
fu scritto prima per l'Opéra in Francese e in seguito tradotto in italiano. Anche Wagner fino
agli anni '50 si dava in Italia regolarmente nel nostro idioma
3
. In tempi più recenti però, la
risposta è stata quasi sempre univoca: oggi le opere sono sempre rappresentate in lingua
originale, e i casi di opere tradotte sono rari o limitati a scopi didattici o di studio. È anche
vero però che al giorno d’oggi l’opera è considerata un genere colto, a differenza di quanto
accadeva in passato, e che quindi il repertorio (almeno per quanto riguarda i titoli più
celebri) è ben conosciuto dagli appassionati, e perciò è legittimo presupporre che questi
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Informazioni sulle traduzioni delle opere tratte da:
Alberto Basso, Storia della Musica, Torino, UTET 2005, e Marco Beghelli, Tutti i libretti, Torino,
UTET, 1995
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abbiano tutte le possibilità e i mezzi per conoscere in anticipo il libretto e prepararsi
adeguatamente alla visione.
Per quanto riguarda il musical, invece, le cose stanno diversamente. In molti paesi
del mondo, soprattutto anglosassoni, il musical è un genere estremamente popolare e che
non cessa mai di attirare pubblico. I “classici”, conosciuti e ormai consolidati, sono sempre
molto richiesti e spesso restano in cartellone per anni, come Cats o The Phantom of the
Opera, ma c’è allo stesso tempo una continua domanda di novità, di cui gli spettatori sono
sempre affamati. La produzione di nuovi musical è perciò in costante aumento, il che rende
il repertorio sempre più ampio e variegato: è quindi naturale che, dato il suo scopo di
raggiungere il maggior numero di spettatori possibile, la traduzione sia una pratica molto
diffusa: basta eseguire una ricerca su uno qualsiasi dei cataloghi di negozi di musica online
per rendersi conto che i musical più celebri sono disponibili tradotti in decine di lingue.
Un altro piano su cui il dilemma si pone quello delle traduzioni per il cinema:
spesso infatti dai musical di successo vengono tratte versioni cinematografiche. Come
comportarsi allora quando è necessario pensare all’adattamento italiano? Ci sono
essenzialmente due possibilità: la prima è quella di doppiare soltanto i dialoghi e lasciare le
canzoni originali, traducendole per mezzo di sottotitoli. Questa è la soluzione più semplice
ed economica, che risolve gran parte dei problemi col minimo sforzo ed è perciò molto
usata. Un esempio è il film Evita di Alan Parker (1996), tratto dall’omonimo musical di
Andrew Lloyd Webber, oppure Moulin Rouge di Baz Luhrmann (2001). Gli svantaggi
sono che in questo modo si crea un divario tra parti parlate e cantate che rischia di spezzare
la continuità del film e con essa la sospensione dell’incredulità dello spettatore, senza
contare il fatto che l’attenzione è costretta a dividersi tra l’azione che accade sullo schermo
e la lettura dei sottotitoli.
La seconda possibilità è quella di doppiare tutto, traducendo sia i dialoghi che le
canzoni. È quello che succede di prassi per i film di animazione, come ad esempio quelli
della Walt Disney o, più recentemente, della DreamWorks Animation, in cui le canzoni
presenti sono tradotte e cantate in italiano. Questa soluzione è sicuramente più appagante
dal punto di vista del coinvolgimento, in quanto lo spettatore italiano si viene a trovare
nella stessa situazione in cui si troverebbe uno spettatore che guardasse il film originale
“da madrelingua”. Il doppiaggio presenta però dei problemi: innanzitutto la sincronia del
labiale, che vuole la massima corrispondenza visiva possibile tra quanto accade sullo
schermo e quando viene pronunciato dai doppiatori. Essendo l’Italia un paese di lunga
tradizione di doppiaggio, anche il pubblico è in un certo senso “educato” a ignorare la
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discrepanza tra movimento labiale e suono, entro certi limiti. Purtroppo nel caso del canto
questo problema diventa più evidente: i movimenti della bocca sono più ampi, e quindi
l’effetto di non corrispondenza rischia di causare disturbo. Da qui l’esigenza, per molti
film musicali doppiati, di adattare il cantato in modo da restare il più possibile vicini al
labiale originale, talvolta sacrificando l’aspetto contenutistico o estetico del testo. È
accaduto questo nella versione cinematografica de Il Fantasma dell’Opera di Joel
Schumacher, dove il traduttore Masolino d’Amico è stato costretto ad attenersi
strettamente al labiale
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, in modo da far corrispondere suoni e immagini il più possibile.
Non credo che esista una soluzione sempre idonea a tutte le occasioni al dilemma se
sia meglio tradurre oppure no. Piuttosto, credo che sia opportuno di volta in volta
considerare quali sono i punti a favore e quelli a sfavore di una traduzione. In alcuni casi,
ad esempio se la notorietà e la diffusione dell’opera originale sono molto vasti, ritengo che
una traduzione sia da sconsigliare. Mi riferisco a casi come quello del Jesus Christ
Superstar rappresentato dalla Compagnia della Rancia nel 2006/2007, con la traduzione di
Michele Renzullo e Franco Travaglio. Per quanto si tratti di una traduzione ben fatta e
molto accurata, il musical è così celebre e così amato, che a mio parere non solo una
traduzione non era necessaria, ma forse è stata addirittura dannosa. Un musical come Jesus
Christ Superstar, già noto al grande pubblico attraverso il film del 1973 di Norman
Jewison, è così ben presente nella memoria e nel bagaglio culturale anche italiano che
sentire alcuni brani già considerati “classici” come I don’t know how to love him o Heaven
on their minds in italiano crea a mio avviso uno scompenso, se non addirittura una sorta di
imbarazzo, che potrebbe nuocere al godimento dello spettacolo.
Naturalmente si tratta sempre di opinioni personali e soggettive, ma personalmente
ritengo che in casi come questo la versione originale sopratitolata sarebbe stata più
efficace. Allo stesso modo mi comporterei anche con i musical chiamati “juke-box
musicals” come We Will Rock You (basato sulle canzoni dei Queen), dalla storia meno
4
Masolino d’Amico, Masolino d’Amico racconta come ha adattato i testi, in “La Stampa” del
02/12/2004, p. 31.
Scrive d’Amico:
« Per difendersi dalla pirateria i produttori avevano deciso di conservare nelle inquadrature solo le
bocche dei personaggi, ossia il solo elemento su cui mi sarei dovuto concentrare. [...] Traducendo,
avevo barato un poco - infilato qua e là una sillaba, peraltro cantabile; allungato senza parere una
nota. Le mie canzoni si sarebbero così potute cantare a teatro. Ma non sulla colonna sonora del
film! Appresi così con orrore che la produzione si aspettava un perfetto sincronismo delle voci non
solo con la musica già registrata e non modificabile in alcun modo, ma anche coi movimenti labiali
degli interpreti originali. Certe parole fondamentali non si potevano dunque impiegare perché
incongrue con la bocca del lui o della lei di turno! »
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conosciuta ma costruiti su canzoni talmente celebri da essere ormai entrate nella cultura
popolare. Magari, ci si potrebbe limitare a tradurre solamente le parti dialogate. In questo
modo si sono per l’appunto comportati gli adattatori del film tratto dal musical Mamma
mia, uscito nel 2008 e costruito sulle canzoni degli ABBA: i dialoghi parlati sono stati
doppiati normalmente, mentre le canzoni sono state lasciate in originale, aggiungendo
soltanto i sottotitoli.
In altri casi invece, quando la notorietà dell’opera non è così vasta, sono
completamente d’accordo che la traduzione sia non solo accettabile, ma addirittura
preferibile. I sopratitoli possono purtroppo distogliere l’attenzione da ciò che accade sul
palcoscenico, e quindi, ove possibile, tradurre è quasi sempre una scelta vincente. Negli
ultimi anni hanno circolato in Italia buoni adattamenti di Jekyll & Hyde e Joseph and the
amazing Technicolor Dreamcoat e il recente Avenue Q, nei quali la traduzione italiana,
proprio a causa della relativa mancanza di notorietà dei musical originali, è servita bene
allo scopo di coinvolgere gli spettatori dando allo stesso tempo un’immagine abbastanza
accurata dell’originale.
Un altro fattore, di non secondaria importanza, è anche la lingua di partenza.
Quando ho deciso di avventurarmi nella traduzione di Tanz der Vampire, originariamente
in tedesco, l’ho fatto mossa dalla consapevolezza che, al contrario dell’ inglese il tedesco è
lingua meno diffusa e spesso anche percepita come “dura” e poco gradevole all’orecchio
italiano, così come dal desiderio di rendere questo musical comprensibile anche a chi non
conosce questo idioma.
Sebbene la produzione di musical in lingua tedesca non sia paragonabile a quella
anglosassone, c’è anche in area germanica una fioritura di questo genere che si sta
affermando sempre più, e che non è pensabile proporre in lingua originale, almeno in
Italia. Alcuni timidi tentativi sono stati fatti in territori storicamente vicini al mondo
germanico, come a Trieste, dove il 2 agosto 2005 presso il Teatro Verdi di Trieste è stato
rappresentato Elisabeth, uno dei musical di maggiore successo in Austria, in una versione
“ibrida” con brani in lingua originale inframmezzati da narrazioni in italiano e qualche
brano particolarmente rilevante adattato in italiano
5
. Si tratta però di casi sporadici, più
eccezioni che regole, e che in ogni caso sono necessariamente limitati a territori in cui il
tedesco è parlato o conosciuto.
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Si tratta di un una tantum: il musical, eseguito in collaborazione con l’ Orchestra del Teatro
Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste sotto la direzione Caspar Richter, è andato in scena in questa
versione una sola volta e non prevedeva repliche. Le parti in italiano sono state tradotte da Franco
Travaglio.
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Non spetta certo ad un traduttore stabilire quali siano i mercati più adatti per
proporre un musical straniero, che sia tradotto oppure no: entrano in gioco fattori troppo
complessi, che sono di competenza di produttori e direttori artistici. Tuttavia ciò che un
traduttore può e deve fare, a mio parere, è cercare di rendere il meglio possibile il materiale
originale nella propria lingua, facendo in modo che lo spettatore abbia l’illusione di non
trovarsi di fronte a un’opera tradotta, bensì destinata ad essere vista e ascoltata nella
propria lingua. È con questo spirito che mi sono avvicinata alla traduzione di Tanz der
Vampire, pensando prima di tutto allo spettatore, e all’effetto finale che lo spettacolo vuole
produrre.
Con questa tesi mi propongo di mettere in pratica le conoscenze acquisite tramite
gli studi compiuti in questi anni, coniugandole con una delle mie passioni di sempre, per
proporre la mia versione di traduzione italiana di questo musical: dopo una prima parte in
cui farò una panoramica sulla storia del musical come genere di intrattenimento e sulla sua
struttura, mi dedicherò all’analisi e all’approfondimento di Tanz der Vampire, illustrando
le fonti da cui il musical è stato sviluppato e il team che ha portato alla sua creazione.
Prenderò quindi in esame i mezzi tecnici a mia disposizione, in particolar modo facendo
riferimento alle nozioni di metrica e fonetica nel canto, di cui ho acquisito una maggiore
consapevolezza. Nella parte centrale della tesi proporrò la mia traduzione, mettendola a
fianco dell’originale, e illustrerò quindi il mio modo di agire e il percorso che ho compiuto
attraverso le varie fasi della traduzione, confrontandomi anche con altre traduzioni
esistenti.