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tendono ad essere formate in prevalenza da granuli di quarzo, come alcune della
Sardegna o la piccola Cala Violina in provincia di Grosseto.
I sedimenti delle spiagge alle alte latitudini sono spesso prodotti dall’erosione
costiera di rocce poco cementate di origine recente, come nella costa atlantica
degli Stati Uniti o anche nel Nord Europa. Le coste sabbiose possono essere
alimentate anche dai venti, in particolare laddove ci sono deserti prossimi al mare,
come in Mauritania o Namibia o essere costituite da gusci di conchiglie o
frammenti di coralli come avviene in ambiente tropicale, in coste ben protette o
presso estuari e lagune.
L’origine dei sedimenti può anche essere strettamente legata alle attività e ai
prodotti umani, basti pensare ai pezzi di vetro, di mattoni o addirittura plastica o ai
materiali di risulta delle attività estrattive, di cui possiamo trovare esempi in
alcune spiagge toscane del settore orientale dell’Isola d’Elba e in quella di Baratti o
della Sardegna a Buggerru.
Così come per l’origine anche la dimensione dei sedimenti delle spiagge può essere
assai variabile, dalla sabbia fine sino alla ghiaia, ai ciottoli e ai massi. Sedimenti più
fini delle sabbie si trovano solamente in ambienti a bassa energia come le spiagge
lagunari o all’interno di estuari. La tendenza generale a riscontrare in ambienti ad
alta energia sedimenti più grossolani e meglio classati (costituiti da per la maggior
parte da elementi delle stesse dimensioni) può subire molte eccezioni a causa
dell’origine del materiale, come avviene in numerose spiagge oceaniche ricche di
sabbia fine, giunta da molto lontano e priva degli elementi più grossolani persi
lungo il percorso.
Le caratteristiche morfologiche dell’Italia determinano una notevole variabilità
delle dimensioni dei granuli che costituiscono le coste sabbiose: fiumi derivanti da
grandi pianure alluvionali (come il Po o l’Adige) riescono a portare solo sedimenti
di dimensioni minori, mentre fiumi a carattere torrentizio con tragitti ad elevata
pendenza, quali molti di quelli appenninici, portano alla foce elementi più
grossolani.
Sotto l’attacco del moto ondoso la spiaggia assume una forma che consente una
più efficace dissipazione dell’energia, in dipendenza dalle onde incidenti e dalle
caratteristiche granulometriche dei sedimenti, tanto che il suo profilo cambia
continuamente. Le onde modellano la costa a partire da quando il moto orbitale
delle particelle d’acqua subisce l’attrito con il fondale; in teoria quindi fino a dove
si ha una profondità pari a circa la metà della lunghezza dell’onda incidente.
Ne consegue che le zone più prossime alla riva sono quelle rimodellate in
continuazione mentre le parti più distanti subiranno mutamenti significativi solo in
caso di eventi eccezionali, in grado di muovere i sedimenti lì deposti.
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Osservando il profilo di una costa sabbiosa sono individuabili tre unità principali:
• la spiaggia emersa o retrospiaggia (backshore, il cui limite interno è collocato al
piede di eventuali sistemi dunali presenti),
• la spiaggia intertidale o foreshore (alternativamente inondata ed esposta
all’atmosfera ad opera del moto ondoso e delle maree),
• la spiaggia sommersa o esterna (shoreface).
Il limite verso il largo della spiaggia sommersa deve essere considerato quello della
profondità di chiusura, oltre la quale si considerano trascurabili, per un dato
tempo di ritorno, le variazioni di morfologia del fondale. In altre parole, la
profondità di chiusura è la profondità oltre la quale l’energia del moto ondoso non
è più in grado di determinare spostamenti significativi di sedimento. Il limite
interno è collocato in corrispondenza delle dune poiché si tratta delle aree in cui
non si risente più (in un certo periodo, a meno di mareggiate eccezionali) del moto
ondoso, ed il vento è in grado di movimentare la sabbia asciutta della spiaggia
emersa.
Dalla duna verso il mare possono rinvenirsi una o più creste a sezione triangolare
che individuano le berme, strutture che si generano in corrispondenza di zone a
forte deposizione, causata dall’infiltrazione dell’acqua nella sabbia insatura. In
seguito a forti mareggiate, è possibile individuare, oltre a quella ordinaria, altre
berme più interne, delle quali la più alta è detta di “tempesta”, generatesi nel
momento in cui le onde, caratterizzate da un maggiore run-up, spingono l’acqua al
di sopra della berma ordinaria, determinandone l’erosione e generandone altre
più arretrate e di maggiore altezza. La pendenza del profilo dipende
fondamentalmente dall’energia del moto ondoso e dalla granulometria del
Figura 1: Profilo di una spiaggia (da APAT, 2007)
12
sedimento: essa aumenta con l’altezza media delle onde, e, tenendo costante
questo parametro, all’aumentare della granulometria.
Nella porzione sommersa della spiaggia possono essere presenti una o più barre,
cordoni di sabbia ad andamento approssimativamente subparallelo alla spiaggia,
eventualmente separati da solchi o truogoli, che si originano in corrispondenza
della linea dei frangenti. E’ questa la zona in cui le onde, a causa dell’interazione
col fondale, aumentano la loro ripidità, superando il limite di stabilità: si verifica
così il frangimento. In questa fase le onde cominciano a mobilizzare ingenti
quantità di sedimento; questo flusso di acqua e materiale verso riva (on-shore) si
incontra con quello in direzione opposta (off-shore), innescato dall’innalzamento
del livello del mare (associato al flusso di massa verso terra), che si verifica nei
pressi della riva. Questa circolazione si chiude in corrispondenza della linea dei
frangenti, dove il flusso off-shore perde capacità di trasporto ed abbandona il
sedimento, che va a costituire la barra.
Vista la forte interazione tra profilo di spiaggia e clima ondoso, Shepard (1950)
definì un “profilo estivo” ed uno “invernale”, generalizzando le modifiche che una
stessa spiaggia può subire in funzione delle condizioni meteorologiche. Superando
questo approccio eccessivamente semplicistico, è pur vero che, come evidenzia
Pranzini (2004), si possono individuare e caratterizzare un profilo di tempesta
(storm profile), contraddistinto da numerose barre e maggiori pendenze
determinate dalle intense mareggiate, e un profilo di mare lungo (swell profile), in
Figura 2: Pendenza di una spiaggia (da Pranzini, 2004)
13
cui le barre sono utilizzate dal moto ondoso per l’accrescimento della spiaggia,
diminuendo le loro dimensioni e la distanza dalla riva (Bovina et Sinapi 2008).
Lo sviluppo longitudinale di una spiaggia è il risultato di numerosi processi che le
fanno assumere la configurazione migliore per opporsi al moto ondoso. In
condizioni ideali di equilibrio e senza alimentazione una costa sabbiosa dovrebbe
avere un andamento tale che i fronti delle onde vi arrivino ortogonalmente, senza
flusso di sedimenti lungo la riva. Poichè le spiagge normalmente in particolare in
Italia vengono investite da onde di diversa provenienza e intensità, l’andamento
della linea di riva è il risultato delle varie forze in gioco, anche se spesso si può
identificare un’onda prevalente che ne determina l’andamento. Altri fattori che
contribuiscono a determinare lo sviluppo longitudinale della spiaggia possono
essere una marcata stagionalità del moto ondoso, così come la presenza di foci dei
fiumi, con il loro apporto sedimentario, o irregolarità del fondo, come isole, rocce
o secche che possono modificare la direzione e l’intensità delle onde.
Quindi la spiaggia costituisce un’entità in continuo movimento, anche qualora
raggiunga lo stato di equilibrio. Ogni spiaggia presenta una propria “fisiologia”,
determinata da fattori diversi (onde, maree, correnti costiere, vento, apporti
sedimentari), influenzati a loro volta dalle variazioni del livello marino, dall’assetto
geologico e dalle caratteristiche fisiografiche della regione. Tutti i processi propri
del ciclo sedimentario (erosione, trasporto e sedimentazione) si succedono in
rapida sequenza, definendo il bilancio costiero o sedimentario della spiaggia, cioè
il bilancio tra apporti e perdite di sedimento. Il bilancio si riferisce generalmente
all’unità fisiografica, tratto di litorale che sottende uno o più corsi d’acqua, dove i
sedimenti presentano movimenti confinati all’interno dei limiti dell’unità stessa e
Figura 3: Bilancio sedimentario costiero (da APAT, 2007)
14
dove gli scambi di sedimenti tra unità fisiografiche adiacenti sono da considerarsi
nulli.
Il limite verso largo dell’unità fisiografica è individuato dalla già vista profondità di
chiusura (Bovina et Sinapi 2008). Le voci principali di input del bilancio di una costa
bassa sono l’apporto di sedimenti dai sistemi fluviali e/o da quelli prodotti
dall’erosione delle coste alte che la delimitano, mentre le voci di perdita sono
inerenti al flusso di sedimenti verso il largo.
In realtà il bilancio sedimentario è assai complesso, in quanto legato a vaste unità
territoriali e influenzato da moltissimi processi che possono condizionarne sia
l’apporto fluviale che le perdite in mare.
Le dune costiere rappresentano l’elemento di transizione tra il sistema
deposizionale costiero delle spiagge e l’ambiente dell’entroterra, svolgendo un
importante ruolo di raccordo funzionale sia fisico che biotico.
Esse devono la propria genesi ed evoluzione al vento, che preleva i granuli di
sedimenti dalla spiaggia, trasportandoli fino a quando la sua velocità lo consente o
fino a quando trovano un ostacolo. Questo processo, chiamato deflazione, si
svolge in realtà secondo regole più complesse e le particelle estremamente fini,
quali i limi e le argille che sono coesive e formano superfici lisce, possono opporsi
all'erosione più di quanto non lo facciano le sabbie.
Quando la velocità del vento supera i 3 m/s i primi granelli che iniziano a muoversi
hanno dimensioni di circa 0,06 mm, mentre le particelle più fini e quelle più
grossolane necessitano di velocità superiori per essere messe in movimento. I
granelli di 0,02 mm, per esempio, inizieranno a muoversi solo quando il vento avrà
Figura 4: Bilancio sedimentario costiero (da Pranzini, 2004)
15
già raggiunto i 5 m/s, e allora nel flusso sedimentario dovremmo trovare anche
particelle di 0,2 mm. Questi dati si riferiscono a materiali monodimensionali, nel
qual caso i granelli fini sono estremamente coesivi e formano superfici poco
scabrose dalle quali è difficile distaccare i singoli granuli; ma in un deposito
eterogeneo, i granelli più piccoli vengono asportati dal vento assai più facilmente
(Pranzini, 2004).
Le cose si complicano ulteriormente in quanto il vento, in prossimità delle asperità
del suolo, presenta un flusso non laminare con frequenti variazioni di velocità.
Dove viene superata la velocità limite per determinati granelli, questi vengono
messi in movimento e anche sollevati, ma ricadono al suolo dopo aver percorso
una traiettoria più o meno lunga. Questo movimento per «saltazione» interessa
circa il 75% della sabbia in transito in una determinata sezione, mentre il restante
25% è soggetto a un processo di trascinamento (creeping), sia per la spinta del
vento radente che per impatto dei granuli che dopo ogni salto ricadono al suolo
(Pethick ex Pranzini, 2004). La gran parte della sabbia, quindi, si muove attraverso
una serie di salti e rimbalzi, attraverso i quali si possono sollevare e mettere in
movimento altre particelle. La quota raggiunta dai granelli non è mai molto alta, e
il 50% del flusso avviene nei primi 5 cm dalla superficie (Zenkovich ex Pranzini,
2004).
Tutti questi movimenti interessano comunque la frazione a granulometria minore
di tutta l’area della spiaggia, dove si forma un deposito residuale costituito da
particelle di dimensioni medie maggiori rispetto a quelle del materiale originario.
L'effetto di questi processi appare evidente analizzando le dimensioni dei granuli
che costituiscono i vari depositi costieri: in genere una duna è formata da materiali
più fini e meglio classati rispetto a quelli che costituiscono la spiaggia antistante.
Sotto l'azione del vento la superficie della spiaggia si modella in ripples, la cui
altezza può raggiungere alcuni centimetri e la lunghezza alcuni decimetri, in
funzione diretta con la velocità del vento e con le dimensioni dei granuli.
Figura 4: Meccanismi di movimento dei granuli di sabbia (da Pranzini, 2004)
16
Superfici orizzontali estremamente regolari possono trarre origine anche da altro
processo, legato al fatto che la sabbia umida è poco soggetta alla deflazione, è così
che venti anche intensi non possono determinare l’abbassamento del profilo della
spiaggia oltre il livello della falda freatica, che normalmente è prossimo a quello
del mare, e che quindi diviene il livello di base dell’erosione eolica.
Quando il vento incontra un ostacolo, che può essere costituito da vegetazione
rocce e manufatti, ma anche da materiale portato dal mare sulla spiaggia, il suo
flusso viene modificato sia in termini di direzione che di velocità. Localmente la
velocità può anche aumentare, determinando erosioni concentrate, ma spesso
tende a ridursi, consentendo la deposizione di parte della sabbia trasportata.
Elementi geometrici ben definiti, come recinzioni o edifici, determinano spesso un
accumulo di sabbia sul lato sopravento, che può però essere separato dall’ostacolo
da un profondo solco dovuto a correnti erosive localizzate o inversioni di direzione
del flusso (Pranzini, 2004).
Il materiale che si muove per effetto del creeping è meno soggetto a questi pro-
cessi e fluisce verso l'ostacolo fermandosi alla base, a meno che qui non si vengano
a formare vortici capaci di allontanarlo, sempre per creeping o per saltazione.
La vegetazione costituisce un ostacolo meno rigido e frena il vento in modo
graduale, infatti dove essa è presente non si formano mai dei solchi e la duna si
raccorda in modo morbido con la spiaggia. Già le piante delle prime fitocenosi, più
prossime al mare, costituiscono un ostacolo sufficiente a formare una prima duna
embrionale che, se non intaccata da forti oscillazioni stagionali della linea di riva,
avrà modo di crescere e costituire una duna vera e propria (foredune). In questo
processo la vegetazione che continua a crescere sopra di essa ha un ruolo
determinante, mantenendo sempre una barriera semi-permeabile che «pettina» il
vento e trattiene i granelli da esso trasportati. Nelle dune in accrescimento
l'innalzamento di quota della sommità in genere avviene a un tasso di 0,3 - 0,5
m/anno (Pranzini 2004) e le specie che hanno determinato la formazione della
duna embrionale vengono sostituite da altre più adatte a vivere nel nuovo
ambiente. Nell’ambito degli studi botanici questa stretta relazione tra vento e
vegetazione nella genesi delle dune fu già studiata e definita negli anni ’30 da Kuhn
Holz-Lordat come “binomio dinamico”, ed è stata successivamente ampliata da
Pignatti in “trinomio dinamico”, aggiungendo la sabbia come terzo imprescindibile
fattore necessario a definire il sitema (Pignatti, 2002).
Se la spiaggia è in accrescimento, la foredune può vedere davanti a sé la
formazione di un altro cordone sabbioso che la priverà di una parte consistente
dell'apporto eolico. La vecchia duna avrà quindi un'evoluzione più lenta, mentre si
accrescerà rapidamente il nuovo cordone. È così che con il passare del tempo, in
17
spiagge soggette a progradazione, i cordoni sabbiosi si affiancano l'uno all'altro,
formando sistemi dunali profondi fino ad alcuni chilometri.
Se la progradazione della spiaggia è rapida, la nuova foredune si formerà a una
certa distanza dalla vecchia, lasciando fra le due una zona depressa, che potrà
successivamente trasformarsi in uno stagno interdunale. Una rapida
progradazione della costa favorisce lo sviluppo di numerose dune embrionali che
non hanno però la possibilità di crescere e diventare vere e proprie foredunes. Solo
se la linea di riva non subisce consistenti spostamenti o se la crescita della spiaggia
è molto lenta si possono formare dune costiere molto elevate, altrimenti si
sviluppa una pianura costituita da cordoni di spiaggia o da dune embrionali. Il
modello concettuale di Psuty prevede la possibilità di sviluppo delle dune anche su
litorali in erosione, ma la loro formazione è comunque il naturale risultato quando
la spiaggia è in avanzamento o equilibrio (Pranzini, 2004).
Dopo quanto detto, non sorprenderà il fatto che la disposizione di gran parte delle
dune costiere, indipendentemente dalla direzione da cui spira il vento, sia sempre
parallela alla riva. Il motivo di ciò risiede nel fatto che la vegetazione può
svilupparsi solo a una ben determinata distanza dal mare, a causa delle condizioni
ambientali, ed è a quella distanza che può contribuire alla formazione di un
cordone sabbioso, che viene quindi a trovarsi sempre parallelo alla riva.
Figura 5: Modello di Psuty (da Pranzini et Simeoni, 2005)
18
Ciò non avviene in quegli ambienti in cui la vegetazione non può sopravvivere o
dove la disponibilità di sabbia e l'energia del vento sono tali da coprire la
vegetazione e dare luogo a dune mobili che, in questo caso, si svilupperanno con
direzioni allineate a quelle dei venti prevalenti, modificandosi eventualmente con
il mutare delle stagioni.
In queste dune si può apprezzare meglio il profilo caratteristico dei depositi eolici,
che vede il lato sopravento a debole pendenza e quello sottovento piu ripido. Il
primo riceve costantemente materiale dalla spiaggia antistante, ma viene anche
eroso dal vento, che trasporta i granuli fino alla cresta della duna, dove la
compressione del flusso fa registrare le massime velocità. Più alta è la duna e più
veloce è il vento sulla cresta, tanto che un processo di feedback ne inibisce una
crescita indefinita. Superata la cresta, il vento riduce la propria velocità e
abbandona parte delle particelle che trasportava; altre dalla cresta cadono per
gravità per andare a costituire un versante con pendenza regolare e costante,
determinata dall'angolo di riposo dei materiali. Questo è normalmente compreso
fra i 32° e i 34°, con i sedimenti più grossolani che danno luogo a un pendio più
ripido (Pranzini, 2004).
In entrambi i lati si possono generare vortici che determinano un'inversione dei
flussi, quelli che si formano sul lato posto sottovento contribuiscono
all'accrescimento di questo fianco della duna. La crescita della duna su questo lato
e l'erosione del lato opposto sono i processi che determinano il movimento
dell'intero corpo dunale, che può avvenire solamente se la copertura vegetale è
scarsa o assente. Le dune non fissate dalla vegetazione si muovono piuttosto
rapidamente, con una velocità direttamente proporzionale a quella del vento e
inversamente proporzionale al volume del corpo sabbioso. In questa migrazione le
dune possono spingersi in profondità nell'entroterra, accumularsi alla base dei
rilievi o risalire anche ripide falesie per andare a posizionarsi alla loro sommità
(Pranzini, 2004).
I processi di cui abbiamo parlato mostrano come siano complessi i fenomeni che
regolano la formazione delle coste e delle dune sabbiose, in cui i processi biotici,
ed in particolare lo sviluppo della vegetazione, giocano un ruolo fondamentale.
Bisogna però sottolineare che, oltre alle funzioni connesse con i processi
ecosistemici, i sistemi dunali vanno a svolgere anche importanti funzioni
geologiche.
Le dune infatti possono costituire una riserva di sabbia in grado di rialimentare le
spiagge durante le fasi erosive dovute all’andamento stagionale o a fenomeni di
mareggiate eccezionali, costituendo anche una barriera morfologica contro
l’ingressione marina e le inondazioni. Particolarmente importante risulta essere il
ruolo idrogeologico nel poter contenere l’intrusione salina all’interno delle acque
19
dolci delle falde freatiche continentali, grazie alla lente d’acqua dolce che è
presente con fluttuazioni stagionali negli apparati dunali e che determina un
innalzamento del livello piezometrico (quota reale della falda sul livello del mare)
(Bovina et Sinapi, 2008). L’interfaccia tra acqua dolce e acqua salata si trova infatti
a una profondità rispetto al livello del mare pari a circa 40 volte l’altezza del livello
piezometrico (legge di Ghyben – Herzberg, un abbassamento di un metro del
livello piezometrico, ad esempio per effetto del pompaggio di un pozzo, causa la
risalita di 40 metri di un cono d’acqua salata), pertanto questa lente d’acqua sotto
le dune può contribuire efficacemente contro i diffusi fenomeni di intrusione
salina, dovuti nella maggior parte dei casi all’eccessivo sfruttamento antropico
delle falde freatiche.
Figura 6: Il ruolo delle dune nel contrastare l'intrusione salina (da Antonellini et al.
2008)
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2.1 Inquadramento bioclimatico
Definire il clima costiero risulta assai difficile in quanto è suscettibile di enormi
variazioni locali determinate da molteplici fattori geografici e geomorfologici che
possono creare processi particolari e talvolta occasionali nei diversi siti costieri.
Indipendentemente da ciò tutte le aree costiere si trovano a subire condizioni
climatiche particolari riconducibili al contrasto tra le proprietà termiche della terra
e quelle del mare, che danno origine a gradienti barici tali da innescare flussi
nell’atmosfera che vanno a sommarsi o a ostacolare quelli che costituiscono la
circolazione primaria a scala planetaria.
A livello locale si esalta l’azione termoregolatrice della massa idrica marina, che
tende a riscaldarsi in estate e a cedere calore durante i mesi autunnali ed invernali,
mentre in primavera-estate le acque, raffreddatesi durante l’inverno, assorbono
calore, temperando il clima litoraneo. In Italia questa azione è particolarmente
sensibile lungo le coste dell’Adriatico, che, essendo poco profondo e chiuso su tre
lati, è un mare con maggiore tendenza al surriscaldamento durante i mesi estivi.
Le spiagge e i sistemi dunali dell’Italia sono tutti affacciati sul Mediterraneo, il
popolamento di questi ambienti va quindi inquadrato nel contesto biogeografico
della regione mediterranea. La zona biogeografica mediterranea viene definita
proprio dalle sue caratteristiche climatiche: temperatura media annua compresa
tra 14° e 18° C, precipitazioni più o meno abbondanti (400-900 mm, ed anche
localmente fino a 1500 mm e più) concentrate nella stagione fredda, mentre in
estate si ha un periodo arido di (2) 3 - 5 mesi (Pignatti, 2002). In nessun mese la
temperatura media scende al di sotto di 0° C; precipitazioni nevose e gelate sono
rare e si verificano solo sporadicamente. Queste caratteristiche permettono la vita
a specie sempreverdi, che possono continuare la fotosintesi anche nei mesi
invernali e che si riproducono anche nell’ambiente delle spiagge. Queste
condizioni sono oggi prevalenti in tutto il bacino mediterraneo, ma non esclusive di
questo, in quanto esse si manifestano anche in altre zone del mondo, come la
California, il Cile centrale, alcune aree meridionali del Sudafrica e alcuni settori
dell’Australia occidentale e meridionale.
Per quanto riguarda gli ambienti litoranei italiani, si può osservare come non tutti
siano però associati a territori con caratteristiche di vera mediterraneità.
Nella classificazione bioclimatica messa a punto da Rivas-Martinez (1997), secondo
indici climatologici comunemente adottati negli studi sulla vegetazione (Ubaldi,
2003), e riscontrabile in figure 9 e 10, l’Alto Adriatico ha infatti un clima di tipo
temperato oceanico, mentre nelle Marche, così come nelle coste liguri e versiliesi,
2. Flora e vegetazione delle coste sabbiose
22
il clima presenta un carattere di transizione (temperato oceanico sub
mediterraneo) verso il tipo strettamente mediterraneo (mediterraneo
pluvistagionale oceanico) che riguarda tutte le coste restanti.