5
divario esistente tra le varie realtà locali e così colmare un gap che non
avrebbe fatto altro che favorire lo sviluppo dell’ideologia comunista3.
La politica di Eisenhower in America Latina si divise tra l’invio di
finanziamenti, aiuti militari a governi anche di tipo dittatoriale purché
anticomunisti e l’intervento diretto con azioni clandestine organizzate dalla
CIA.
Un documento del National Security Council del 18 agosto del 1954
“US policy toward Latin America”4, affermava che gli Stati Uniti si dovevano
impegnare per evitare la penetrazione comunista nei Paesi latinoamericani: i
punti salienti di questa politica erano lo sviluppo e l’incremento della stabilità
economica e il rafforzamento delle relazioni militari.
La parte economica del programma si cercò di attuarla puntando alla
concessione di prestiti attraverso l’Import-Export Bank, in modo tale da creare
una base sicura agli investimenti privati e puntando inoltre ad una graduale
riduzione delle tariffe commerciali statunitensi.
La parte militare del programma, oltre a proporre sostanziosi aiuti
militari, si basava soprattutto sulla garanzia di accesso incondizionato delle
materie prime locali alle imprese americane, accesso questo che, secondo la
teoria di Kennan, costituiva una questione strategica di sicurezza nazionale.
Un altro punto del documento sottolineava l’importanza di evitare la
nascita di regimi nazionalistici, questi ultimi visti come “primo passo per la
penetrazione comunista”5.
Jacopo Arbenz, eletto presidente del Guatemala nel 1951 col 60% dei
voti, fu vittima della politica dell’intervento diretto; un memorandum del 22
aprile del 1954 diretto al direttore della CIA Allen Dulles diceva che:
In Guatemala, le forze comuniste esercitano una influenza
politica ben superiore alla loro consistenza numerica e la
3
Ennio Di Nolfo, “Storia delle relazioni internazionali.”, Laterza, Roma-Bari, 1996, p.1060
4
“La politica degli Stati Uniti verso l’America Latina”, National Security Council, 18 agosto
1954,top secret. http:/nsarchive.chadwyck.com.
5
P.F.Galgani, “America Latina e Stati Uniti”, Franco Angeli,Milano, 2007, p.31.
6
situazione è destinata a peggiorare finché il Presidente Arbenz
resterà al potere…Abbiamo ragione di credere che le decisioni
politiche del suo governo non vengono assunte in sede di
gabinetto, ma all’interno di un comitato ristretto composto da
quattro comunisti e da altri sei favorevoli all’ideologia
comunista.6
In particolare fu il tentativo di Arbenz di nazionalizzare la United Fruit
Company che provocò una “covert operation” organizzata dalla CIA: un
esercito costruito “ad hoc” invase il Guatemala passando dall’Honduras, ed il
27 giugno 1954 Arbenz si dimise ed andò in esilio.
La soluzione adottata in Guatemala costituì l’esempio per le azioni da
adottare contro Cuba.
L’amministrazione Eisenhower aveva sostenuto per anni la lotta di
Fulgencio Batista contro i guerriglieri guidati da Fidel Castro inviando
consiglieri militari ed aiuti militari come bombardieri.
Quando nel 1959 Fidel Castro prese il potere, la notizia che tra i sui
sostenitori vi era una forte infiltrazione comunista spinse Washington ad
esercitare pressioni affinché il leader cubano tenesse lontano dal gruppo
dirigente i “rossi”.
La risposta di Castro fu una nazionalizzazione dei beni appartenenti
alle imprese americane, dando come indennizzo dei risarcimenti simbolici o al
di sotto del reale valore dei beni stessi.
Il 6 luglio 1960 il Congresso degli Stati Uniti votò una prima misura
economica contro Cuba, autorizzando il Presidente a ridurre o sopprimere le
importazioni di zucchero dall’isola.
Il giorno successivo Eisenhower emanò un provvedimento che ridusse
drasticamente le importazioni per l’anno in corso7.
Nel 1954 Eisenhower riaffermando la responsabilità delle “covert
operations” come compito della CIA, decise di includere nel programma il
6 FRUS, “Eisenhower Administration, Guatemala, 1952-1954”.
http://www.state.gov/r/pa/FRUS/ike/guat/20178.htm
7
Leo Hubermann & Paul Sweezy, “Il socialismo a Cuba”, Dedalo libri, Bari, 1971.p.112.
7
Segretario di Stato ed il Segretario alla Difesa in maniera tale da poter
assicurare una maggior coordinamento tra azioni segrete e politica estera degli
USA.
Nacque così lo “Special Group”, una task force composta da un gruppo
di coordinamento che a seconda del tipo di operazione poteva variare di
composizione, contemplando al suo interno la presenza di addetti alla
sicurezza nazionale e all’intelligence8.
Nel febbraio del 1960 Castro firmò un accordo con l’Unione Sovietica
per l’acquisto di partite di zucchero, la reazione di Washington fu la
costituzione di una task force che avrebbe dovuto indebolire il sostegno delle
masse al governo di Castro ed abbatterlo in modo da instaurare un esecutivo
più accettabile per gli interessi statunitensi.
Il programma di azioni clandestine contemplava l’invasione di Cuba
da parte di una forza di esuli cubani composta di 1.500 uomini: l’operazione,
preparata dall’amministrazione repubblicana, fu avviata dal democratico
J.F.Kennedy convinto dall’intelligence della buona riuscita del tentativo9.
Lo sbarco a Cuba fu un fallimento. La mancata riuscita del piano per
rovesciare Castro ebbe parecchi contraccolpi in America Latina dove
l’opinione pubblica si convinse che Kennedy non era nient’altro che un nuovo
Theodore Roosevelt, pronto ad inviare i Marines per tutelare gli interessi
statunitensi10.
Furono questi i motivi che portrarono la rivoluzione cubana ad
imboccare una via autoritaria per la propria autodifesa. L’alleanza stretta da
Cuba con l’Unione Sovietica inoltre consentì ai sovietici di poter collocare
segretamente missili nucleari a breve distanza dalle coste americane, in
8
U.S. Government Printing Office Superintendent of Documents, “Foreign Relations of the
United States, 1964-1968” [d’ora in avanti FRUS 1964-1968], Vol.xxxii, Dominican
Republic; Cuba; Haiti; Guyana. Office of the Historian: Bureau of Public Affairs,
Washington, 2005; Johnson Administration, 1964-1968, Vol.xxxii, Note on Covert Actions,
p.xxxi.
9 Robert Dallek, “Flawed Giant, Lyndon, Johnson and his Times 1961-1973”,Oxford
University Press, New York,1998. p.54.
10
P.F.Galgani, “America Latina e Stati Uniti”, Franco Angeli,Milano,2007, p.35.
8
maniera tale da poter riequilibrare la situazione analoga che essi stessi
subivano ai propri confini con le installazioni missilistiche americane in
Turchia ed ai cubani di scongiurare il pericolo di una nuova forza d’invasione.
La crisi più grave della guerra fredda fu risolta da una sostanziale
intesa, che implicitamente riconosceva qualche ragione ai sovietici circa la
minaccia nucleare ravvicinata che essi avvertivano11.
Lo smantellamento dei missili sovietici in cambio del ritiro delle
testate nucleari in Turchia (ufficialmente avvenuto perché vecchie ed
inutili12), permise alle due superpotenze di raggiungere un clima di maggiore
collaborazione, di questo clima ne giovarono anche i rapporti tra USA e Cuba,
portando il Presidente Kennedy durante il suo ultimo anno di presidenza a
tentare un progressivo riavvicinamento con Fidel Castro.
La politica di Eisenhower verso l’America Latina era stata più volte
oggetto di critiche da parte di Kennedy, la sua opinione era che la regione,
nella politica estera del “generale”, non godesse di importanza alcuna e che le
uniche misure adottate fossero semplicemente il rafforzamento dell’apparato
militare ed il sostegno a governi dittatoriali.
L’amministrazione Kennedy era animata dalla tendenza all’aumento
del contrasto ideologico con l’Unione Sovietica; enfatizzando la superiorità
del sistema americano in campo sia politico che economico. Un elemento
essenziale della strategia kennediana per vincere questa sfida era togliere al
comunismo ogni argomento di critica, promuovendo riforme, progresso,
giustizia sociale soprattutto nei Paesi del terzo mondo. Ma in effetti si trattò
anche di attuare una sorta di “marketing negativo” della realtà cubana per
sminuire la riuscita della rivoluzione di Castro.
Il Presidente Kennedy aveva per esempio firmato la Legge Pubblica
87-510, del 28 giugno 1962 nota come “Atto di Assistenza alla Emigrazione e
11
R.D’Agata, “Disfatta mondiale. Motivi ed effetti della guerra fredda”, Odradek, Roma,
2007, p.105.
12
http://www.armscontrol.org/act/2002_11/cubanmissile.asp
9
ai Rifugiati dell’Emisfero Occidentale”, rivolta fondamentalmente a
canalizzare l’emigrazione da Cuba. Fallito il tentativo di distruggere la
rivoluzione attraverso la via militare (Baia dei Porci, bande
controrivoluzionarie, ecc.) ed attraverso il blocco economico, il governo degli
Stati Uniti aveva considerato cruciale l’aspetto migratorio per i suoi propositi
anticubani.
Con questa legge si pretendeva far apparire che tutti i cubani che tentavano di
emigrare lo facevano in quanto perseguitati per le loro "opinioni politiche
contrarie al regime" ed allo stesso tempo fare dell’emigrazione dei cubani
verso gli Stati Uniti un problema di "sicurezza nazionale".
In virtù di questa Legge furono create condizioni finanziarie speciali
per sostenere gli immigranti cubani.
Dopo la "Crisi di Ottobre", il Governo degli Stati Uniti aveva
incrementato la sua offensiva per incentivare le partenze illegali da Cuba a
qualsiasi prezzo e, allo stesso tempo, vennero limitate all’estremo le
possibilità di emigrazione legale. Per ragioni propagandistiche, con questo
sistema si cercava di dimostrare che la Rivoluzione cubana era stata un
fallimento.
Vennero anche utilizzati artifici legali. Per esempio, quelli che arrivavano a
Miami direttamente da Cuba, anche se colpevoli di reati vari, erano
considerati "rifugiati" e veniva loro garantito l’ingresso immediato, mentre i
cubani che cercavano di entrare negli Stati Uniti da paesi terzi venivano
considerati stranieri ed erano sottoposti al normale procedimento di
immigrazione.
La linea perseguita dall’amministrazione Kennedy era quella di attuare
cambiamenti negli USA e nel resto del mondo occidentale in maniera tale da
ridurre le cause di conflitto con i Paesi ad ideologia comunista, ragionare sulle
esigenze comuni e riuscire a modificare la struttura autoritaria dei regimi
filosovietici. Perciò la vera novità nella politica USA fu la mancata invasione
dell’isola durante la “crisi dei missili”; l’invasione, caldeggiata dai vertici
10
militari di Washington non venne attuata nell’ambito della ricerca di una
politica basata sulla promozione dei dritti individuali di libertà e,
contemporaneamente, sulla difesa della pace.
In quest’ottica i tentativi di dialogo tra USA e Cuba che erano iniziati
pochi mesi dopo il tentativo fallito di invasione alla Baia dei Porci 13 ,
aumentarono sostanzialmente dopo la crisi dei missili: secondo due
memorandum del 196314 l’intenzione era quella di migliorare le relazioni con
Cuba nell’interesse della stabilità degli equilibri latinoamericani.
Kennedy incaricò William Attwood, ambasciatore in Guinea, amico e
sostenitore del Presidente, di contattare il consulente di Castro Renè Vallejo
per organizzare un incontro negli USA con un ufficiale dello Stato Maggiore
cubano in maniera tale da poter discutere la possibilità di cambiamento della
politica cubana di esportazione della rivoluzione nell’emisfero.
Le condizioni che l’amministrazione Kennedy poneva, riguardavano la
fine dei tentativi di sovversione diretti ai Paesi dell’emisfero occidentale ed
inoltre la fine dell’ingerenza esercitata dall’Unione Sovietica nella politica
cubana15; ciò che in realtà si sperava a Washington (e forse era convinzione da
parecchi condivisa), era che Castro si rivelasse un nazionalista più interessato
al benessere di Cuba e dei cubani più che un comunista soggetto alle direttive
di Mosca: la politica verso Cuba era indirizzata quindi a far risaltare queste
caratteristiche che gli USA avevano costretto a celare col blocco economico
imposto da Eisenhower.
Sicuramente il tentativo di invasione della Baia dei Porci e la crisi dei
missili rischiarono di compromettere la credibilità dell’Alleanza per il
Progresso, iniziativa che, varata nel 1961, doveva dare una sterzata alla
politica USA verso l’America Latina. Già nel discorso inaugurale Kennedy
13
Robert Dallek, “Flawed Giant, Lyndon, Johnson and his Times 1961-1973”,Oxford
University Press, New York,1998. pp.16, 17, 20, 86, 94,97.
14
www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB103/630411. pdf,M.Bundy, 11 aprile 1963.
www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB103/631112.pdf.12 novembre 1963.
15
Robert Dallek, “Flawed Giant, Lyndon, Johnson and his Times 1961-1973”,Oxford
University Press, New York,1998. pp.92,94.
11
aveva accennato a questo programma proprio per porre in risalto quanto la
politica del Sud America fosse importante per la propria amministrazione.
Infatti la regione oltre che rappresentare l’area più critica dell’intero scenario
mondiale16, acquistava un peso sempre maggiore negli equilibri della guerra
fredda: dopo i successi ottenuti in Europa nel dopoguerra gli USA avevano
bisogno di recuperare terreno in quella regione a loro più vicina che sotto la
pressione dell’instabilità economica e politica poteva trovare nel comunismo
una possibile soluzione.
Ponendo come priorità lo sviluppo dei Paesi più poveri l’Alleanza per
il Progresso, come un nuovo Piano Marshall, attraverso un sistema di
sostanziosi aiuti economici, mirava alla promozione dello sviluppo economico
e democratico dell’America Latina. Ciò era presentato come una rivoluzione
pacifica, che non avrebbe dovuto essere sfruttata da Paesi ostili per
conquistare posizioni all’interno del continente americano.
L’Alleanza doveva servire per rendere gli uomini liberi e capaci di
sconfiggere la povertà, ma gli Stati Uniti non avrebbero comunque tollerato
nessun tipo di sovversione e di aggressione rendendo così le nazioni
dell’emisfero occidentale responsabili del proprio destino17.
1.2. I primi passi dell’amministrazione Johnson
Durante i primi giorni della sua presidenza, solo il 5% degli americani
dichiarava di conoscere abbastanza bene Lyndon Baines Johnson mentre il
16
P.F.Galgani, “America Latina e Stati Uniti”, Franco Angeli,Milano, 2007,cit.,p.35.
17
Peter M Sánchez,. “Continuity and Change in U.S. Foreign Policy Toward Latin America:
the Alliance for Progress Under Presidents John F. Kennedy and Lyndon B. Johnson”,
Journal of Third World Spectrum, 1995, pp. 1-19.
http://web.ebscohost.com.proxysba.uniss.it:2048/ehost/detail?vid=5&hid=6&sid=80bd0ebb-
ade6-4be8-b9c3-
aed61d91fea9@sessionmgr14&bdata=JnNpdGU9ZWhvc3QtbGl2ZQ%3d%3d#db=hia&AN=
H000421124.01#db=hia&AN=H000421124.01
12
67% riconosceva di non sapere nulla del nuovo Presidente degli Stati Uniti. Il
settanta per cento della nazione nutriva seri dubbi che il nuovo Presidente
fosse capace di seguire la strada intrapresa da Kennedy18.
Johnson ricorderà i primi giorni del suo mandato come un severo
banco di prova: la scomparsa di un leader popolare e carismatico come
Kennedy imponeva al suo ruolo di non poter mostrare nessuna esitazione o
dubbio circa le linee guida della nuova amministrazione. Se la politica di
Kennedy era indirizzata verso il traguardo di un’America migliore e di un
mondo costruito sulla pace tra i popoli19 seguendo la linea guida dello slogan
“iniziamo”, Johnson si proponeva come la nuova guida che intendeva
perseguire il progetto kennedyano rendendo partecipi di questo proposito tutti
gli americani proclamando la linea dal “continuiamo”20.
Vice Presidente di Kennedy, divenne il trentaseiesimo Presidente degli
Stati Uniti d’America dopo i tragici fatti di Dallas21, un evento straordinario e
devastante per la vita di molti americani, privati improvvisamente di una
guida e di una figura così carismatica come quella di JFK.
La prima incombenza di Johnson fu quella di evitare che il gruppo di
lavoro di Kennedy rassegnasse le dimissioni, in modo da evitare che queste
potessero sembrare al mondo ed agli americani il segno di una mancanza di
fiducia nel nuovo Presidente. Conscio del fatto di non poter esercitare lo
18
Robert Dallek, “Flawed Giant, Lyndon, Johnson and his Times 1961-1973”,Oxford
University Press, New York,1998. p.54.
19Gareth Jenkins, “From Kennedy’s cold war to the war on terror.”, History Today, 2006,
pp.39-41.
http://web.ebscohost.com.proxysba.uniss.it:2048/ehost/detail?vid=33&hid=9&sid=205fc631-
d3ab-4684-a3d8-
2413d644124@sessionmgr11&bdata=JnNpdGU9ZWhvc3QtbGl2ZQ%3d%3d#db=hia&AN=
H001722053.01
20
Robert Dallek, “Flawed Giant, Lyndon, Johnson and his Times 1961-1973”,Oxford
University Press, New York,1998. p.56.
21
Nelson, Anna K., “JFK Assassination Rewiew Board, OAH, Foster Release of Top Secret
Documents.”, OAH Newsletter, 1998, pp. 5, 8, 10.
http://web.ebscohost.com.proxysba.uniss.it:2048/ehost/detail?vid=36&hid=9&sid=205fc631-
d3ab-4684-a3d8-
22413d644124@sessionmgr11&bdata=JnNpdGU9ZWhvc3QtbGl2ZQ%3d%3d#db=hia&AN
=H000479471.01
13
stesso controllo sul congresso come accadeva con Kennedy sulla politica
estera, Johnson si ritrovò dipendente dalla linea politica dei consiglieri di JFK,
il Segretario di Stato Rusk, il Segretario alla Difesa Robert McNamara, e
soprattutto McGeorge Bundy, Consigliere alla Sicurezza Nazionale. Ciò che
Johnson aveva in mente, come ammise candidamente in una conferenza
stampa era semplicemente creare un senso di continuità e di unità nella
nazione.
Si potrebbe affermare che Johnson iniziò la sua campagna elettorale
quando diventò presidente dopo la morte di JFK. Uno dei provvedimenti più
urgenti fu quello di dare garanzie alle lobbies economiche del Paese, una
politica di supporto che avrà notevoli ripercussioni nell’ America Latina.
Johnson non nutriva alcun interesse per l’America Latina, considerava
la regione come un’accozzaglia di popoli che cercavano di penetrare
illegalmente negli USA, una situazione che egli, texano di nascita, aveva
vissuto vivendo al confine con il Messico22. Il trentaseiesimo Presidente degli
Stati Uniti appariva intenzionato a seguire la strada del rinnovamento dei
rapporti con l’America Latina attraverso l’Alleanza per il Progresso23 . In
realtà, però, il sistema per contrastare il pericolo di una penetrazione
comunista nella regione si basava principalmente sulla ricerca della stabilità
politica ed economica: un sistema che implicava l’appoggio anche a dittature.
Il 14 gennaio 1965, nel tradizionale discorso sullo Stato dell’Unione,
Johnson espresse la volontà di monitorare costantemente la situazione
22
L.B.Johnson nacque il 27 agosto 1908 a Johnson City, in Texas nella contea di Blanco,
fondata da James Polk Johnson, nipote quest’ultimo di Samuel Elay Johnson, il nonno del
futuro presidente.
23
Herrera, Felipe., “Alianza Para el Progreso: los Postulados y las Realizaciones.”, Estudios
Internacionales, 1986, pp. 125-132.
http://web.ebscohost.com.proxysba.uniss.it:2048/ehost/detail?vid=38&hid=9&sid=205fc631-
d3ab-4684-a-
3d822413d644124@sessionmgr11&bdata=JnNpdGU9ZWhvc3QtbGl2ZQ%3d%3d#db=hia&
AN=H000325628.01