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prodotti durante la combustione. Tale sistema sembrerebbe utile per individuare
prontamente i focolai di un incendio e per adempiere al compito di monitorare
e diffondere l’allarme ancora prima che la “piuma” del fumo si diffonda in
atmosfera. E’ stato dimostrato la fattibilità e le potenzialità del sistema,
realizzando una stazione mobile, e successivamente anche fissa, Lidar/Dial di
telerilevamento attivo per la rivelazione precoce degli incendi boschivi e per la
riduzione dei falsi allarmi. Il progetto, che è stato sviluppato dal 1 Aprile 2004
fino al 31 Marzo 2008, presso il centro di ricerche di Lamezia Terme, e oggetto
del contratto di ricerca industriale SAI (Sistema Allerta Incendi) finanziato dal
MIUR (Ministero dell’Istruzione dell’Università della Ricerca) e dal CRATI
(Consorzio per la Ricerca e le Applicazioni di Tecnologie Innovative) in
collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Roma “Tor
Vergata”, ha previsto la realizzazione e la sperimentazione sul campo di una
stazione mobile Lidar/Dial, dotata di sorgente laser impulsata a stato solido
Nd:Yag e T.E.A a CO2.
L’idea cardine di questo lavoro di tesi è quella di esporre il funzionamento del
sistema nel suo complesso, con una particolare attenzione alle tecnologie
impiegate per la trasmissione dei dati; verranno fornite le soluzioni più
interessanti ai fini di uno sviluppo progettuale coerente con gli obiettivi del
sistema di rivelamento precoce degli incendi boschivi.
Nel primo capitolo, dopo una breve introduzione riguardante gli obiettivi
raggiunti dal progetto SAI, verranno introdotte le caratteristiche peculiari del
sistema e i suoi notevoli vantaggi rispetto alle altre tecniche attualmente in uso,
quindi ne verrà fornito uno schema realizzativo.
In seguito sarà esposta la differenza tra sistemi di rivelamento degli incendi
attivi e passivi, con una particolare attenzione alla tecnica Lidar (Ligth
Detection and Ranging – Rivelazione di luce a distanza), utilizzata per il
progetto in questione.
Nel secondo capitolo verrà illustrato nello specifico il funzionamento della
tecnica Lidar/Dial: la prima basata sulla variazione della densità di aerosol
nell’atmosfera, l’altra riguardante la stima della variazione di concentrazione di
acqua (Dial : Differential Absorption Lidar – Assorbimento differenziale lidar).
v
Quindi si procederà alla caratterizzazione dei parametri ottici e atmosferici
fondamentali per lo sviluppo di questi due sistemi, supportando l’esposizione
teorica con i dati sperimentali, raccolti durante la campagna di ricerca
effettuata sul campo. Vedremo infine come, grazie a queste due tecniche
sperimentali, sia effettivamente possibile una precoce “visione dell’incendio”,
minimizzando i falsi allarmi.
Verranno riportati i dati conclusivi, relativi ai test simulativi effettuati nel
laboratorio del CRATI di Lamezia Terme (CZ) e a Settefrati (FR), a supporto
dell’esposizione fornita.
Nel terzo capitolo, confortati dalla validità dei risultati sperimentali raggiunti,
vedremo nello specifico la struttura e il funzionamento dell’apparato trasmissivo
del sistema, parte centrale di questo lavoro di tesi, che prevede l’elaborazione e
il processing dei dati raccolti sul campo. Verranno forniti dei possibili schemi
realizzativi del sistema di trasmissione con una caratterizzazione accurata dei
singoli “blocchi” che lo costituiscono. Verranno introdotte le nozioni
fondamentali sulle reti di TLC e wireless, successivamente, verranno
caratterizzate gli standard cellulari più diffusi al fine di un loro possibile
impiego nel sistema.
Nel quarto capitolo, dopo aver analizzato i sistemi cellulari, si cercheranno
delle valide alternative nell’ambito delle reti wireless di comunicazione: si
valuterà l’impiego del Wi-Max, quindi verranno caratterizzate le reti wireless di
sensori (WSN) come possibile supporto all’attività del sistema Lidar/Dial, sia
per quanto riguarda la trasmissione dei dati, che per il monitoraggio
ambientale. Si discuterà di un possibile impiego congiunto delle due tecnologie.
Infine, saranno discusse le possibili applicazioni su vasta scala di questo sistema
per la rivelazione precoce degli incendi boschivi, in particolare nei Parchi
Nazionali e nelle aree protette, allo scopo di una sua ingegnerizzazione.
Seguiranno, a conclusione del lavoro, tre appendici contenenti gli
approfondimenti su alcuni dei temi trattati durante l’esposizione della tesi.
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Capitolo I
Introduzione al sistema di rilevazione precoce degli incendi:
Tecniche di Telerilevamento Ambientale
1.1 Descrizione dell’obiettivo finale del progetto SAI
L’obiettivo del progetto SAI [1] (Sistema Allerta Incendi) è stato la messa
a punto di un sistema integrato per la rivelazione precoce degli incendi
boschivi e la minimizzazione dei falsi allarmi. Il sistema è basato su tre
componenti strutturali: un sistema LIDAR per le misurazioni in campo, una Rete
Neurale per la minimizzazione dei falsi allarmi, una catena di modellistica per la
prevenzione e la previsione degli incendi. Il primo componente è il cuore del
sistema in quanto emette un fascio laser che, interagendo con quanto viene
rilasciato in atmosfera dal focolaio dell’incendio, ne rileva la presenza; il
secondo componente opera al fine di minimizzare i falsi allarmi dovuti alla
presenza di fumi che non si originano da incendi boschivi (fumi industriali,
particolato atmosferico sollevato da vento forte, fumi che si originano da
pratiche agricole “sicure”, nebbie ecc.). La Rete Neurale, inoltre, agisce per
diminuire i tempi impiegati dal sistema ad elaborare i segnali del Lidar
[appendice A]. Il terzo componente è costituito da una catena integrata di
modelli che, eseguiti in sala operativa, consentono di effettuare delle previsioni
ragionevoli sull’evoluzione di un incendio o sulla sua probabilità di innesco
utilizzando informazioni sia di natura meteorologica che di tipo geomorfologica
specializzate per il territorio in esame. Il termine “terreno boschivo” è qui
utilizzato in senso ampio ad indicare macchia, garriga, brughiera, ed anche
prateria da cui sia stata rimossa la vegetazione boschiva. Il problema degli
incendi, nel nostro paese come in tutto il mondo, ha un notevole impatto sia
ambientale che economico, dal momento che vengono spesi annualmente circa
80 milioni di Euro per combatterli [2].
Scoppiato l’incendio, il parametro principale è quello legato alla rapidità
d’intervento dei servizi di vigilanza, al fine di limitare l’area che sta bruciando.
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In realtà, da un certo momento in poi, l’incendio diventa sempre più
difficilmente controllabile.
Pertanto, allo scopo di consentire un intervento quasi immediato, è
necessario rivelare l’insorgere dell’incendio quanto prima possibile. La
rivelazione precoce d’incendi dipende dalla capacità di rilevare il rilascio dei
prodotti di combustione in atmosfera durante la fase iniziale. Le manifestazioni
principali di un bosco in fiamme sono l’emissione di luce, sia a lunghezza
d’onda visibile (fiamme) che IR, e di una colonna di fumo composta da gas e
piccole particelle che salgono e diffondono in atmosfera. Il processo di
combustione della vegetazione, in atmosfera ossidante, provoca l’emissione di
una considerevole quantità di CO2, H2O e tracce di composti organici volatili
derivati dalla pirolisi del legno. Sovente l’inizio dell’emissione di H2O e CO2
precede la comparsa della colonna visibile di fumo e della fiamma. Pertanto un
sistema basato sulla rivelazione della presenza anomala in atmosfera di questi
componenti può essere valido per un allarme precoce.
Questa colonna di materiale ascendente trasporta inoltre una notevole
quantità di particelle sospese di dimensioni variabili. E’ possibile assumere che
le particelle immesse in atmosfera abbiano un diametro compreso tra 1 e 100
mm. Di contro l’atmosfera, in condizioni standard [3,25], ed in assenza
d’inquinamento, presenta un basso contenuto di CO2 e di particolato, le cui
dimensioni medie sono minori di 10 mm. Questa situazione rappresenta il
“fondo naturale” rispetto al quale bisogna rivelare gli effetti derivanti dall’inizio
di un fenomeno di combustione. Infatti, in genere, la densità di particelle
“normalmente” presente in atmosfera è di svariati ordini di grandezza inferiore a
quella osservata a seguito di combustione.
Per quanto concerne la radiazione emessa, è opportuno sottolineare come
lo spettro di emissione, sia visibile che IR, sia fortemente determinato dalla
temperatura di combustione, dalla natura dei legni combusti e dalla
composizione dell’atmosfera. In conclusione, per rilevare un incendio, occorre
studiare tre parametri principali [1]:
• gas (CO2, H2O e specifici composti organici);
• particelle presenti nel fumo;
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• radiazione emessa.
Ovviamente tutti questi parametri possono essere monitorati. Al momento
esistono due strategie principali per la rivelazione del fumo e della radiazione
emessi da incendi, precisamente: le tecniche passive e le tecniche attive [4].
A ) Sistemi passivi
Col termine “sistema passivo” [1,4] si intende un sistema che non
interagisce direttamente con il target. Ad oggi esistono rivelatori d’incendi che
utilizzano principalmente la rivelazione passiva di luce visibile e infrarossa.
Durante le ore notturne un sistema passivo può rivelare tipicamente un’area di
solo 1 m2, mentre in condizioni di luce ambiente la soglia di rivelazione
aumenta. Un’altra limitazione della rivelazione passiva è la necessità di avere
l’incendio all’interno della linea di vista del rivelatore. Questa condizione è
ovviamente in contrasto con la necessità di rivelare l’incendio nella fase iniziale,
dal momento che il fuoco è spesso mascherato dalla presenza di alberi e ostacoli.
I sistemi passivi più diffusi possono essere classificati in:
Rivelatori di fumo
I rivelatori più diffusi sono i sensori di fumo, utilizzati praticamente
ovunque, ma soprattutto per la sorveglianza degli edifici. I meccanismi adottati
dai sensori di fumo sono svariati ed includono [1]:
Ionizzazione con elementi radioattivi: Rivelatori a ionizzazione, noti come
rivelatori di fumo a camera di ionizzazione (ICSD-Ionization Chamber Smoke
Detector), utilizzano una quantità minima di sostanza radioattiva (americio 241)
che emette sia radiazione gamma che particelle alfa e, anche in caso di
danneggiamento accidentale, non rappresentano un rischio significativo per gli
utenti. Il materiale radioattivo fissa il valore della conducibilità elettrica della
camera di rivelazione. In tal modo, se del fumo penetra nella camera, il valore di
conducibilità cambia e si attiva il segnale di allerta. Questi sistemi sono utili solo
in spazi chiusi.
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Effetto fotoelettrico: I rivelatori fotoelettrici utilizzano una piccola sorgente
luminosa che scintilla su di un rivelatore fotosensibile. Il segnale di allarme è
attivato quando il fumo interferisce con la luce, in quanto l’intensità di
radiazione raccolta dal sensore diminuisce.
Rivelazione da diffusione ottica: Un sistema di rivelazione molto semplice è il
rivelatore ottico che contiene, all’interno del collimatore, un diodo IR (LED). Il
collimatore è posizionato ad angolo ottuso rispetto al fotodiodo. Questo possiede
un filtro integrale per luce diurna ed emette periodicamente un impulso di luce
collimata. In aria pulita il fotodiodo non riceve luce direttamente dal LED.
Quando il fumo entra nella camera, diffonde la luce del LED emettitore sul
fotodiodo, in una quantità dipendente dalle sue caratteristiche e dalla densità del
fumo. Utilizzando tipi di sensori più complessi è possibile stimare la natura e la
composizione del fumo. Tutti questi tipi di rivelatori passivi devono essere
posizionati in regioni sotto sorveglianza per un funzionamento ottimale.
Rivelazione di radiazione di fiamma
La fiamma del fuoco può essere rivelata mediante tecniche d’immagine o
di rivelazione del calore [1]. La tecnica d’immagine sarà discussa nel paragrafo
successivo. I rivelatori di calore utilizzano un termistore che sonda l’aria nella
posizione del sensore. Il termistore è connesso ad una rete di resistori, che
producono una tensione dipendente dalla temperatura. La rete di resistori
elettrici, legati a micro controllori che utilizzano particolari algoritmi, genera
l’allarme se la temperatura del sensore sale al di sopra di una soglia predefinita.
Questo sistema passivo usato per la rivelazione di fiamme deve essere
posizionato nella regione sotto osservazione per ottimizzarne il funzionamento.
Tecniche di rivelazione immagini
Esistono due tipi di sistemi basati sulla rivelazione ad immagine che
possono essere utilizzati per la rivelazione di fiamme [1]:
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Tecnologia basata sulle immagini da satellite: Le immagini da satellite hanno un
valore considerevole per la mappatura delle aree incendiate [4]. La conoscenza
di queste aree può aiutare a comprendere la struttura e la dinamica della
morfologia del terreno boschivo. Inoltre, anche se questa è una tecnologia molto
costosa, ci sono interessi globali per monitorare i regimi d’incendio [1,4].
Rivelatori CCD al suolo: Solo i sistemi basati su CCD sono generalmente
utilizzati per la sorveglianza d’incendi boschivi. Questi sistemi permettono solo
rivelazione visibile ad una distanza non superiore a 5 km e senza nessuna
informazione sulla reale posizione del fuoco. Se questi sistemi sono utilizzati per
la sorveglianza d’incendi, non danno risposte in condizioni meteorologiche
particolari, come ad esempio in caso di nebbia. Quando le camere CCD sono
ottimizzate per la rivelazione della fiamma non risultano particolarmente
efficienti nel caso in cui il profilo del terreno sia vario (presenza di alberi
montagne, rocce, ecc.). I sistemi CCD inoltre sono molto sensibili alle variazioni
giorno/notte complicando notevolmente il software di elaborazione dei dati.
Molti di questi si affiancano a rivelatori IR [1,4] .
B) Sistemi attivi
Col termine: “sistemi attivi” [1,3,4], si configurano quei sistemi che
utilizzano l’interazione di un “probe” direttamente col bersaglio da rivelare. Un
Lidar (Light detection and Ranging – Rivelazione di luce a distanza) è un tipico
esempio di sistema attivo, che consente la rivelazione di oggetti e componenti
chimici in atmosfera. Infatti, la radiazione laser emessa interagisce direttamente
con le particelle bersaglio ed il segnale da queste retrodiffuso è rivelato da un
opportuno sensore. La tecnica è anche conosciuta come “Radar Ottico”.
Pertanto, potendo i sistemi attivi interagire direttamente col “bersaglio fumo”, un
sistema di rivelazione Lidar è più efficiente di qualunque altro sistema passivo.
E’ ben noto che i Lidar sono stati ampiamente utilizzati in svariate
applicazioni tecnico – scientifiche. In particolare per la rivelazione di inquinanti
e l’analisi della loro composizione. Malgrado ciò, l’applicazione per la
rilevazione precoce di incendi ha richiesto una serie di studi propedeutici e
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modifiche rispetto ai sistemi tradizionali. Ulteriori approfondimenti sul Lidar
sono forniti nel paragrafo 1.4
1.2 Struttura del progetto
Lo schema del nuovo dispositivo Lidar è rappresentato in Figura 1. Uno
degli scopi della ricerca effettuata è stato quello di sviluppare un rivelatore per
la sorveglianza incendi, alternativo a quelli attualmente esistenti.
Combinando un rivelatore Lidar, una Rete Neurale (RN), un sistema di
acquisizione dati “addestrato” e l’applicazione di modellistica atmosferica ad
area limitata, il progetto ha previsto la realizzazione di un nuovo rivelatore
dinamico per il controllo efficiente degli incendi boschivi [1,12].
Il progetto che è stato, come già precedentemente accennato, sviluppato e
testato efficacemente sul territorio, sia presso il centro ricerche del CRATI Scrl,
situato a Lamezia Terme (CZ) , con la collaborazione dell’Università degli Studi
della Calabria (Rende), sia presso il Comune di Settefrati (FR), con la
collaborazione dell’Ente Parco Nazionale dell’Abbruzzo e Lazio; prevede la
seguente modellizzazione, di cui forniamo di seguito una breve esposizione dei
suoi componenti fondamentali [1].
Figura 1) Schema di funzionamento del sistema sul campo [1]
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Nucleo fondamentale è costituito dal “modulo Lidar” (1: sorgente laser,
sistema di trasmissione/ricezione della radiazione, rivelatore) che invia sulla
zona da indagare (2: piuma di fumo) la radiazione laser (3: fascio laser
trasmesso) e raccoglie il segnale retrodiffuso (4: radiazione di backscattering).
Ottenute le informazioni necessarie, la stazione di controllo (5: centro di
elaborazione del segnale) riceve il segnale trasmesso via etere (6: sistema di
telecomunicazione bilaterale), lo analizza ed invia, se necessario, il segnale di
allarme (7) [1].
Altro elemento caratterizzante il sistema è la sua integrazione con gli
output di un insieme di codici di calcolo e modelli che forniscono la previsione
delle condizioni meteorologiche ad area locale e la possibile evoluzione
dell’incendio. Il sistema di modellizazione degli incendi sarà basato su tre
elementi distinti: modello ad area limitata RAMS, modello HYPACT ed un
modello Back Trajectories [1].
Il RAMS è un potente modello a multiscala che consente di simulare
l’interazione tra i flussi a scala sinottica e le caratteristiche geografiche locali
(topografia, uso del suolo ecc.). Questo modello può essere spinto a risoluzioni
molto alte e ben si addice alle necessità del progetto. Si può supporre, infatti, che
in fase operativa, ovvero una volta avvistato l’incendio, il modello debba
eseguire le simulazioni a risoluzioni di qualche centinaia di metri [1,12].
Il modello RAMS avrà due compiti nel progetto, entrambi prognostici. Il
primo sarà la realizzazione di mappe di rischio dinamico di incendi, il secondo
sarà il suo uso operativo una volta che l’incendio è stato avvistato. Si proverà a
preparare le mappe di rischio dinamico tutti i giorni per i tre giorni successivi.
Queste mappe fotografano il rischio incendi per i tre giorni successivi in base
alle condizioni meteorologiche previste dal RAMS. Ad esempio se il giorno
dopo è previsto un alto tasso di umidità, la probabilità di sviluppo degli incendi
sarà bassa [1,4].
La metodologia che verrà seguita nel realizzare le carte di rischio dinamico
è quella individuata dal WMO (World Meteorological Organization). Questa
consiste nel combinare, in modo opportuno, quattro parametri meteorologici: