bicchier d'acqua.
Illusionista, architetto maniacale della frase, visionario ammalato di
malinconia, algebrico direttore d'orchestra, António Lobo Antunes è un
boxeur abile tanto nel lavorio ai fianchi quanto nell'attacco diretto a viso
scoperto. In entrambi i casi si rimane sopraffatti dalla sua non comune
abilità con le parole.
“Os Cus de Judas” è il racconto – in parte autobiografico, in parte
romanzato – dell'esperienza dello scrittore arruolato come medico
dell'esercito di occupazione portoghese in Angola, negli anni in cui detta
occupazione stava per capitolare sotto la sempre più crescente spinta
indipendentista africana.
Ma non è solo un romanzo di guerra, “Os Cus de Judas”, o lo è in
una accezione decisamente molto più ampia e radicale del termine: la
guerra di cui parla Lobo Antunes è sì quella dei soldati, delle armi, degli
uomini che vestono uniformi e di quelli che gli si oppongono, del Potere e
della violenza; ma è soprattutto la guerra quotidiana che ognuno di noi si
trova ad affrontare con se stesso e con gli altri, con l'altro da sé, lo straniero
che vive oltre i nostri confini conosciuti e quello che tutte le notti condivide
il nostro letto, le nostre abitudini, i luoghi a noi più familiari.
È altresì - come già accennato e come si cercherà di far notare nel
corso dell'argomentazione - un'opera di alta scrittura, che fu percepita sin
dalla sua pubblicazione (la prima edizione data 1979) come portatrice di
3
una radicale rottura con quello che era stata fino alla seconda metà del
Novecento gran parte della letteratura portoghese. Qualcosa, insomma, di
mai letto prima, soprattutto nel modo di affrontare un tema-tabù come
quello dell'occupazione portoghese in Africa: aperto, diretto, scabroso nel
suo portarne alla luce tutti quegli aspetti oscuri, spiacevoli e troppe volte
censurati, perché percepiti come macchie sulla coscienza (individuale e
collettiva) di cui è preferibile non far parola.
La presente Tesi si sviluppa in tre capitoli, tali quanti i piani
temporali che s'incrociano all'interno del romanzo. Un passato remoto -
quello dell'infanzia e dell'adolescenza – scisso nella memoria del Narratore
tra nostalgia e rifiuto (per il mondo reazionario e borghese della propria
famiglia, altresì oppressiva).
Un passato prossimo segnato dall'esperienza della guerra, vissuta e
sofferta sulla propria pelle (ma non sarebbe inadeguato dire nella propria
anima) per ventisette lunghi mesi. Un'esperienza lacerante e formativa allo
stesso tempo. Un doloroso apprendistato all'agonia, senza alcun dubbio,
ma allo stesso tempo un insostituibile scuola di vita per il protagonista
senza nome del romanzo, dietro cui non c'è altri che lo scrittore stesso.
Infine, il tempo presente: l'incontro con una sconosciuta in un bar di
Lisbona, la notte trascorsa insieme tra bevute e memorie (quelle del
Narratore: alla fine del romanzo, della donna non avremo carpito che alcuni
particolari anatomici e i suoi numerosi silenzi), l'amore consumato
4
nell'appartamento dell'uomo, il distacco tra i due allo spuntare del giorno.
Numerose le tematiche presenti in “Os Cus de Judas”, ognuna
delle quali avrebbe richiesto studi approfonditi ed uno spazio ben più
ampio di una sola Tesi di laurea.
Ho focalizzato il mio lavoro su quelli che ritengo tra gli aspetti
principali ed ineludibili dell'opera di Lobo Antunes: la memoria, il rapporto
col Tempo (in maiuscolo: personale e comune a tutti), il dolore, la
solitudine, il coraggio di chi si fa testimone di situazioni che si pongono al
confine tra l'umano e la tenebra, di cui Conrad ha narrato magistralmente
nel suo “Heart of Darkness”.
Scopo del presente lavoro è quello di ripercorrere le tappe di questo
viaggio al termine della notte, facendo riferimento sia ai diversi studi
sull'opera di Lobo Antunes pubblicati in questi anni, sia lasciando spazio
alle innumeri suggestioni che esplicitamente o meno il romanzo
generosamente offre.
La speranza di chi scrive è che l'interesse nei confronti di un autore
come António Lobo Antunes vada sempre aumentando, soprattutto nelle
nuove generazioni di lettori.
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Capitolo Uno
Memoria
“Attraverso il nero della notte aveva
guardato all'indietro negli anni profondi.”
Charles Baudelaire
Memoria.
L'ideale sillabario di “Os Cus de Judas” potrebbe aprirsi su questa
parola, chiave d'ingresso a gran parte dell'opera di António Lobo Antunes.
Una memoria mai cristallina, mai pacifica; mai ripiegata su se stessa
come luogo di rifugio e conforto dalla implacabile minaccia dello scorrere
del tempo.
Lobo Antunes non è Marcel Proust, per quanto entrambi condividano
lo stesso morboso attaccamento col passato, la stessa ostinata memoria de
6
elefante
1
.
Se Proust può aprire la sua “Recherche” col pacifico assunto: “A
lungo, mi sono coricato di buon ora”
2
, Lobo Antunes potrebbe, al
contrario, vantare una lunga carriera da insonne al pari di un più affine
Emile Cioran.
“Há quanto tempo não consigo dormir? Entro na noite como un
vagabundo furtivo com bilhete de segunda classe numa carruagem de
primeira, passageiro clandestino dos meus desânimos encolhido numa
inércia que me aproxima dos defuntos e que o vodka anima de um frenesim
postiço e caprichoso, e as três da manhã vêem-me chegar aos bares ainda
abertos (...).”
3
Gravato dall'inesorabile presenza del demone della lucidità
4
, l'anti-
eroe senza nome del romanzo “Os Cus de Judas” si trova a vivere una
situazione di costante squilibrio tra Passato e Presente in cui i piani
temporali spesso si confondono, si intrecciano, influenzano a vicenda lo
1
Memória de Elefante è il titolo del primo romanzo di Lobo Antunes, pubblicato anch'esso a Lisbona nel
1979.
2
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto – Dalla parte di Swann, p. 5
3
António Lobo Antunes, Os Cus de Judas, p. 81
4
Giovanni Rotiroti, Il demone della lucidità – Il “caso Cioran” tra psicanalisi e filosofia
7
sguardo ora annebbiato ora limpidissimo del Narratore.
Una lucidità, quindi, che non comporta un consapevole distacco
rispetto al proprio vissuto, ma che ha invece l'effetto di renderlo
intollerabilmente vivo e presente anche a distanza di anni, come se
l'esistenza dell'uomo non potesse che essere un incessante déjà vu da cui
non è possibile liberarsi.
E' forse superfluo aggiungere che in casi di eventi traumatici quali
una guerra, o una sciagura, questa condanna all'eterno ritorno del passato è
causa di profondissimi traumi, a volte irreversibili, che sfociano nella follia,
nella paranoia, molto spesso nel suicidio.
“Há quanto tempo de facto não consigo dormir? Se fecho os olhos,
uma rumorosa constelação de pombos levanta voo dos telhados das
minhas pálpebras descidas, vermelhas de conjuntivite e de cansaço, e a
agitação das suas asas prolonga-se nos meus braços em tremuras
hepáticas, apenas capazes de um tropeçar desajeitado de galinha, as
pernas enrolam-se na colcha numa humidade de febre, por dentro da
cabeça uma chuva de Outubro tomba lentamente sobre os gerânios tristes
do passado.”
5
5
Os Cus de Judas, p. 82
8
Più volte nel corso del racconto ci troviamo in situazioni in cui lo
stesso protagonista ammette di non poter affermare con certezza che un
certo ricordo sia esattamente fedele a quanto accaduto, insinuando il dubbio
che tutta la fitta trama tessuta dalla sua felice abilità colloquiale non sia
altro che “uma espécie de romance de mau gosto impossível de acreditar,
uma história inventada com que a comovo a fim de conseguir mais
depressa (um terço de paleio, um terço de álcol, um terço de ternura, sabe
como é?) que você veja nascer comigo a manhã na clarizade azul pálida
(...)”
6
Si colga in primo luogo la velenosa ironia alla base di questo
passaggio. Certo, il Narratore gioca a mettere le mani avanti, addossando la
colpa di questi dislivelli di memoria al bere, all'ora tarda, alla mancanza di
una sufficiente quantità di riposo: “Não faça caso, o vinho segue o seu
curso e daqui a nada peço-lhe para casar comigo: é o costume.”
7
Ma non bisogna credere ciecamente a questa accorata dichiarazione
di sincerità da parte del brillo seduttore che gioca a scoprire le carte con la
sua affascinante preda.
C'è di più, c'è altro, una profonda ferita legata ai ricordi della guerra
coloniale in Africa che non sa rimarginarsi, per quanto alcol le si getti
sopra.
6
Ibidem, p. 81
7
Ibidem, p. 30
9
“Porque camandro é que não se fala nisto? Começo a pensar que o
milhão e quinhentos mil homens que passaram por África não existiram
nunca (...)”
8
Il silenzio, l'oblio, la rimozione generale del ricordo di quanti non
hanno più interessi, o non hanno mai voluto averne, nei riguardi di una cosa
sporca come una guerra, in questo caso figlia della “estupidez do Estado
Novo”
9
fa diventare fantasmi partoriti dalla mente di un ubriaco mezzo
milione di anime segnate per sempre da una guerra spaventosa.
Come afferma rabbiosamente un tenente portoghese che fa più volte
richiesta di un falso referto da parte del giovane medico che certifichi “uma
doença, doutor (...) anemia, leucemia, reumatismo, uma doença de merda
que me passe à reserva”
10
.
“Você já se preguntou o que fazemos aqui? Pensa que alguém nos
agradece, não, porra, escute lá, pensa que alguém nos agradece?”
11
E' la tragica, bruciante verità che rimane incisa sulle macerie
dell'anima quando si torna a casa, sconfitti, mutilati come “sapos coxos”
12
8
Ibidem, p. 81
9
Ibidem, p. 103
10
Ibidem, p. 95
11
Ibidem, p. 95
12
Ibidem, p. 103
10
da un conflitto ingiusto (ma quale conflitto non ha in sé una sua base di
profonda ingiustizia?), in cui ci si è trovati ad imbracciare il fucile dalla
parte del torto, in questo caso la forza di occupazione portoghese in terra
angolana.
Quella del ritorno in patria è una delle scene più dolenti del romanzo:
“entre o homem que voltava sozinho da guerra à sua cidade e
caminhava atravès de cachos de estrangeiros indiferentes, e nós que nos
dirigimos para a saída do bar ao longo de um corredor de nucas e perfis
cuja monótona diversidade os aproxima dos manequins da Baixa,
petrificados em acenos imóveis de uma inutilidade patética, cadáveres que
você não conheceu, as nucas e os perfis nunca viram, os estrangeiros do
eroporto ignoravam, e que, portanto, são inexistentes, inexistentes,
percebe?, inexistentes, inexistentes como a sua ternura por mim (...)”
13
La paura e l'angoscia di essere diventati degli spettri erranti, come il
padre di Amleto nel primo atto della tragedia di Shakespeare
14
, condannati
in eterno a chiedere il tributo della memoria di quanti non hanno visto, di
quanti ignorano, o fingono di ignorare.
Si torna a casa “senza un ringraziamento”, e c'è qualcuno che
13
Ibidem, pp. 99 - 100
14
Cfr. William Shakespeare, Amleto, atto I, scena I
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