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1.1 Distribuzione territoriale
Nel 2003 il 28,5% delle organizzazioni di volontariato è localizzato nel Nord-
ovest, il 31,5% nel Nord-est, il 19,3% nel Centro e il 20,7% nel Sud ed Isole
(Grafico 1). Rispetto al 1995 le organizzazioni di volontariato crescono più della
media nazionale (+152,0%) nel Mezzogiorno e nel Nord-est (rispettivamente
+263,1% e +161,9%), meno nel Nord-ovest e nel Centro (rispettivamente
+119,0% e +115,6%). La distribuzione riflette, soprattutto nelle regioni del Nord e
del Centro, la storica importanza delle associazioni di assistenza, di matrice
religiosa e laica, tradizionalmente affiancate alle istituzioni amministrative locali
nell’erogazione dei servizi alla popolazione riguardo alle fasce sociali più
svantaggiate.
1.2 Caratteristiche strutturali
Nel 2003 più della metà delle organizzazioni (53,3%) opera con meno di 21
volontari (Grafico 2), mentre la quota era pari al 49,8% nel 1995. A fronte
dell’aumento delle unità, il numero medio di volontari per organizzazione
diminuisce attestandosi a 39 unità nel 2003 contro le 58 del 1995. La classe
dimensionale che raccoglie il maggior numero di organizzazioni rimane quella
con 11-20 volontari, dove si concentra il 28,3% del totale. Tale quota resta
Grafico 1 Organizzazioni di volontariato per area geografica - Anni 1995
e 2003
11
sostanzialmente
invariata rispetto
al 2001, al 1999 e
al 1997, mentre si
riduce se
confrontata con il
1995 (31,6%).
Sempre rispetto
al 1995, la quota
delle organizzazioni di piccole dimensioni (con meno di 11 volontari) è molto più
elevata nel 2003 (+6,8 punti percentuali), sebbene sia leggermente inferiore a
quella rilevata nel 2001 (-1,2 punti percentuali). Tra le organizzazioni di grandi
dimensioni si registra invece una consistente diminuzione della quota di quelle
con più di 60 volontari (-6,4 punti percentuali), anche se essa risulta lievemente
in crescita rispetto al 2001 (+0,4 punti percentuali).
1.3 Volontari e dipendenti
Nel 2003 le organizzazioni di volontariato iscritte ai registri regionali impiegano
circa 12 mila dipendenti e 826 mila volontari. Rispetto al 1995, i dipendenti sono
cresciuti del 77,0%, i volontari del 71,4%. Nel periodo 1995-2003 i dipendenti
sono aumentati in misura significativa soprattutto nel Mezzogiorno (+281,4%),
nel Nord-est (+202,6%) e nel Nord-ovest (+128,7%), mentre diminuiscono al
Centro (-16,4%). Il ricorso a lavoratori dipendenti da parte delle organizzazioni di
volontariato rimane molto contenuto: sebbene, rispetto al 1995, il numero delle
organizzazioni con almeno un dipendente raddoppi in termini assoluti (da 1.074
a 2.220), la loro quota sul totale delle unità diminuisce (dal 12,9% al 10,6%). La
distribuzione per area geografica dei volontari è del tutto analoga a quella delle
organizzazioni, con una maggiore concentrazione di essi (59,9% nel 2003) nelle
regioni settentrionali. Inoltre, così come rilevato per le organizzazioni,
Grafico 2 Organizzazioni di volontariato per classi di volontari - Anno 2003
12
l'incremento di volontari proporzionalmente maggiore si registra nelle regioni
meridionali, nelle quali sono quasi il triplo di quelli rilevati nel 1995. Di
conseguenza, anche la quota di volontari sul totale nazionale relativa a
quest’area passa dal 12,5% del 1995 al 18,7% del 2003 (Grafico 3). Nelle regioni
centrali l’incremento percentuale dei volontari è più contenuto, cosicché la
quota relativa scende dal 25,5% del 1995 al 21,4% del 2003. Nelle due aree
geografiche settentrionali la crescita dei volontari è proporzionalmente maggiore
nel Nord-est rispetto al Nord-ovest. Ne consegue che, nel 2003, le regioni nord-
orientali mostrano una quota di volontari (31,5%) superiore a quella delle regioni
nord-occidentali (28,4%).
Grafico 3 Volontari per area geografica - Anni 1995 e 2003
1.4 Settori di attività, servizi offerti ed utenti
La sanità (28,0%) e l’assistenza sociale (27,8%) si confermano i settori nei quali
opera il maggior numero di organizzazioni di volontariato. Tuttavia, tra il 1995 e il
2003 la quota percentuale di organizzazioni diminuisce di 14,4 punti percentuali
nella sanità e di 2,7 punti percentuali nell’assistenza sociale (Tavola 1). In
aumento invece i settori della ricreazione e cultura, protezione civile e
protezione dell’ambiente, nei quali le quote percentuali passano,
rispettivamente, dall’11,7% al 14,6%, dal 6,4% al 9,6% e dal 2,2% al 4,4%. È
pressoché costante il peso relativo delle organizzazioni attive in via prevalente
13
nell’istruzione, nella tutela e protezione dei diritti e nelle attività sportive,
mentre si attesta al 7,6% quello riferito agli altri settori (comprendente i settori
della filantropia e promozione del volontariato, della cooperazione e solidarietà
internazionale, dello sviluppo economico e coesione sociale e della religione).
Tavola 1 Organizzazioni di volontariato per settore di attività prevalente - Anni 1995 – 2003
14
2. Visione generale e classificazione delle organizzazioni
Nel nostro sistema economico e sociale l’impresa si presenta come un istituto
rilevante, con caratteri propri ed altri comuni ad istituti diversi, come la famiglia
e le comunità religiose. L’impresa è infatti lo strumento attraverso il quale in
modo organizzato vengono soddisfatti bisogni di natura economica ed in via
subordinata di socializzazione. Tale considerazione è riflessa, ad esempio, anche
nella Costituzione della Repubblica Italiana (1948), che riconosce il valore
fondante del lavoro per la costruzione della collettività nazionale. L’impresa è
dotata di beni e di mezzi, oltre che di uomini organizzati per uno scopo,
generalmente consistente nel soddisfacimento di una domanda che proviene
dalla società.
Accanto alle imprese di produzione e di erogazione si servizi con fine di lucro,
possiamo riconoscere la presenza di altri istituti, caratterizzati dalla erogazione
dei servizi e dal consumo. Tra questi si evidenziano:
ξ la Pubblica Amministrazione nelle sue articolazioni centrali e locali, che
risponde alle esigenze di produzione ed erogazione di servizi a prevalente
natura pubblica, come la sanità e l’istruzione;
ξ la Famiglia, istituto essenzialmente dedito al consumo e alla auto
produzione di servizi che poi vengono solitamente utilizzati dalla stessa
unità produttrice (es. pulizia della casa, assistenza alle persone);
ξ gli Enti No profit che, come le imprese, dispongono di risorse materiali ed
immateriali (es. conoscenze, relazioni) utilizzate per il perseguimento dei
propri fini caratteristici.
Le organizzazioni non a diretto scopo di lucro (denominate come “organizzazioni
no profit”) sono istituti che operano per conseguire il bene collettivo o bene
comune tramite la produzione e l’erogazione di beni e servizi in una logica
prevalentemente di scambio con l’ambiente esterno. Le onp sono ai quali gli
individui apportano singolarmente o come gruppi sociali organizzati, risorse
15
proprie (economiche, di tempo, ..) per trarre, in una logica di scambio con l’onp,
benefici diretti o indiretti. Tutto ciò avviene in modo finalizzato al
soddisfacimento dei bisogni della collettività.
Il settore no profit, il terzo settore dopo lo Stato e le imprese, eredita
sostanzialmente alcune caratteristiche tecnico-organizzative delle imprese
private e alcune funzionalità proprie degli istituti pubblici, come il
soddisfacimento di bisogni socialmente rilevanti. In particolare, al terzo settore
appartengono varie organizzazioni, giuridicamente configurate in maniera
diversa, i cui fondamentali caratteri comuni sono essenzialmente i seguenti:
ξ costituzione formale, l’ente senza scopo di lucro deve essere formalmente
costituito, mediante la redazione di un documento formale dal quale risulti
l’assetto organizzativo, nonché le regole e le modalità di funzionamento
dell’ente;
ξ natura giuridica privata, ossia non appartenenza dell’ente al comparto
pubblico;
ξ autogoverno o autonomia decisionale, le organizzazioni no profit devono
essere dotate di una completa autonomia gestionale;
ξ assenza di distribuzione di profitto, i profitti eventualmente generati dalla
gestione non possono essere distribuiti ai soci ma vengono capitalizzati per
sostenere lo sviluppo dell’organizzazione;
ξ presenza di una certa quantità di lavoro volontario, ovvero di fattore lavoro
acquisito senza vincolo di remunerazione.
2.1 Peculiarità gestionali
Oltre a queste caratteristiche fondamentali, importante è anche sottolineare i
seguenti aspetti gestionali degli istituti no profit:
ξ esistenza di una gestione tipicamente complessa, consistente nel
prevalente esercizio di attività di utilità sociale (attività istituzionali)
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accompagnate dal concorrente esercizio di attività produttive collaterali,
realizzate secondo caratteri di non prevalenza e finalizzate
all’ottenimento di avanzi di gestione da utilizzarsi per il finanziamento
dell’attività principale;
ξ tendenza a creare, al pari delle imprese adeguate strutture patrimoniali al
fine di favorire condizioni di sviluppo e di sopravvivenza dell’istituto nel
tempo;
ξ gestione istituzionale sorretta frequentemente dallo slancio ideale o dalla
generosità del fondatore e/o dal contributo volontario spesso discontinuo
dei simpatizzanti. Tale affermazione é naturalmente meno vera per le
organizzazioni di maggiori dimensioni, che tendono a mostrare aspetti
organizzativi e di governo societario propri delle imprese aventi fini di
lucro;
ξ prevalente utilizzo di volontari non remunerati, motivati da spirito
altruistico e dalla condivisione dei valori dell’istituto;
ξ cessione di servizi istituzionali generalmente complessi a titolo gratuito o
a prezzi non di mercato, con conseguenti impatti, per l’organizzazione nel
raggiungimento di condizioni economiche di equilibrio;
ξ stretta dipendenza del successo dell’organizzazione dalla qualità delle
risorse umane a disposizione.
Se per le op il profitto è un chiaro indicatore del perseguimento degli obiettivi
istituzionali, nelle onp le risorse finanziarie sono uno strumento che serve per
raggiungere gli obiettivi dell’onp al fine di dare alta qualità al servizio offerto o
per diffondere il valore etico.
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Figura 1 Differenze tra organizzazioni no profit e profit
Al di là delle differenze rilevate, corre l’obbligo di sottolineare come ancora oggi
la cultura del no profit in Italia tenda spesso a oscurare i tentativi di razionalità
organizzativa e gestionale nella fornitura di un servizio nel nome della tutela
della missione e dell’impianto valoriale sottostante. Invece è proprio la missione
di un’impresa no profit che reclama la più accurata attenzione nella gestione
delle risorse finanziarie ed umane. Tale considerazione è ancor più vera se ci si
focalizza sulla forte sottocapitalizzazione del Terzo settore italiano, con la
conseguente necessità di coltivare lo sviluppo del “profitto del no profitto”, cioè
l’avanzo di gestione, come l’unica soluzione per la continuità dell’organizzazione.
A questo fine, l’ONP, analogamente all’OP, seppur con combinazioni differenti,
sviluppa un finalismo complesso, alimentato da risultati economici positivi. A
questo proposito, si osserva come spesso le ONG non siano in grado di
riconoscere pienamente il livello di efficacia e l’efficienza di un servizio, al di la
dell’utilità percepita dai destinatari. Tutto ciò deve portare a riflettere su quali
siano i sistemi e gli strumenti necessari a misurare i risultati di una ONP.
Il valore di mercato del settore non è
facilmente misurabile
L'organizzazione è formata da:
- dipendenti
- volontari
La raccolta delle risorse finanziarie e la
gestione economica dell'offerta di
prodotti/servizi sono spesso non
integrate
La disponibilità di risorse può essere
illimitata (si veda volontario)
Il senso di appartenenza è la
motivazione più importante
ONP
Il valore del mercato (e del potenziale)
è misurabile
L'organizzazione è formata da:
- dipendenti
La raccolta delle risorse finanziarie e la
gestione economica dell'offerta di
prodotti/servizi sono integrate
La disponibilità di risorse è limitata
Il senso di appartenenza è una delle
motivazioni del personale insieme con
il denaro e con la necessità
OP
18
2.2 Classificazione
Le organizzazioni del terzo settore possono essere classificate come unità di sola
erogazione (organizzazioni no profit pure) oppure, come unità, al contempo, sia
di erogazione che di produzione (organizzazioni no profit composte). Inoltre,
come già accennato, esse hanno come finalità prevalente il soddisfacimento
diretto di bisogni socialmente rilevanti (assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi
ecc.), rispetto a cui la massimizzazione del risultato economico costituisce
soltanto una finalità secondaria. Mentre nell’impresa, il perseguimento di
situazioni di eccedenza dei ricavi sui costi, data la prevalenza del finalismo di
carattere economico sugli altri, rappresenta l’obiettivo guida di tutta l’attività,
negli istituti no profit questo costituisce esclusivamente il presupposto che
consente agli stessi di perseguire, nel tempo, la finalità sociale in condizioni di
autonomia economica, ovvero senza ricorrere in via prevalente o esclusiva a
sovvenzioni esterne.
Per le organizzazioni no profit è stata individuata la seguente classificazione (in
versione riassuntiva):
ξ le associazioni. Le associazioni possono essere definite come aggregazioni
di persone che si organizzano per la realizzazione di uno scopo comune
che si sostanzia nel perseguimento di finalità di carattere sociale (es.
istruzione, divertimento);
ξ le fondazioni. Il principale aspetto distintivo tra le associazioni e le
fondazioni consiste nel fatto che le prime basano il proprio operato e la
stessa ragione d’essere sull’elemento personale, mentre nelle fondazioni
il principale elemento costitutivo è rappresentato dal patrimonio. E’
interessante rilevare come le Fondazioni anche nelle realtà italiana ed
europea, pur perseguendo fini sociali, rappresentano attori di prima
rilevanza nella vita economica. Esempi significativi sono costituiti dalle
fondazioni bancarie (es. Fondazione CARIPLO, Fondazione CARIVERONA)