5
La prima cerca di modificare le condizioni fisiche e sociali di maggior
pericolo degli incendi.
La seconda consiste nello studio delle probabilità; dei modi di propagazione
del fuoco e nella pianificazione delle strutture di difesa.
La lotta attiva comprende l’avvistamento e lo spegnimento con ogni mezzo
quanto prima possibile.
Infine c’è la ricostituzione che, rispettando i criteri della prevenzione mira
alla mitigazione dei danni e al ripristino della risorsa.
Quest’ultima fase costituisce un aspetto fondamentale per la realizzazione di
nuovi soprassuoli in grado di sostituire quelli distrutti o danneggiati e per
migliorarne la resistenza a possibili future avversità.
La bibliografia scientifica e l’esperienza dei tecnici forestali, negli ultimi
anni, hanno evidenziato come la ricostituzione della copertura forestale, in aree
percorse da incendi, deve essere perseguita - quando possibile -
tempestivamente sfruttando la capacità pollonifera delle specie autoctone. Allo
stesso modo per le aree colpite e prive di matrici di interesse forestale si
interviene con operazioni di rimboschimento realizzate con tecniche a basso
impatto ambientale, attraverso la preparazione localizzata del terreno (quale ad
esempio buche) ed impianti di latifoglie autoctone o misti a seconda delle
diverse condizioni edafiche.
La ricostruzione di un soprassuolo richiede un investimento in termini
monetari, che può essere quantificato solo attraverso lo studio dell’effettivo
danno ecologico-economico prodotto dai diversi tipi di incendi boschivi.
Obiettivo del presente lavoro è la definizione di una metodologia operativa di
valutazione economica dei danni, relativi a prodotti e servizi con o senza
prezzo, nelle aree boschive percorse dal fuoco attraverso l’analisi
multidisciplinare, riferita sia ad aspetti generali sia specifici di tipo estimativo,
con l’integrazione di concetti e nozioni tratte dalla selvicoltura, dalle
utilizzazioni forestali, dalla pianificazione forestale, dall’ecologia,
dall’economia e dall’estimo ambientale.
Il presente lavoro di ricerca si articola in quattro principali fasi:
6
- nella prima, vengono approfonditi gli aspetti più significativi della politica
forestale nazionale e comunitaria del XX secolo fino all’attualità, mettendo in
risalto i momenti di maggiore significato economico per il territorio nazionale.
In particolare vengono analizzati gli strumenti inerenti la politica dei
rimboschimenti, la gestione del patrimonio forestale e gli atti comunitari di
maggiore rilevanza fino alle nuove misure forestali previste nella
Programmazione 2007/2013.
- nella seconda, vengono analizzate le principali normative statali e
comunitarie in materia di incendi boschivi, riguardanti misure di prevenzione
di lotta attiva, repressione degli illeciti, ricostituzione del manto vegetale.
- nella terza sono affrontate le problematiche relative agli incendi boschivi in
Calabria esaminando prima le caratteristiche territoriali, climatiche e del
settore forestale regionale, e successivamente l’evoluzione del loro numero,
della superficie percorsa dal fuoco e le cause scatenanti.
Al riguardo viene analizzato il Piano Antincendio boschivo (AIB) licenziato
dalla Giunta Regionale con delibera n° 407 del 16 maggio 2001, quale
strumento principale di previsione e prevenzione del fenomeno.
- la quarta fase di ricerca è incentrata sull’approfondimento del caso studio,
nel quale viene applicato l’approccio teorico e metodologico per la valutazione
economica dei danni da incendio su un’area boschiva percorsa dal fuoco nel
Comune di Reggio Calabria. In questo caso si è ipotizzata una stima del danno
ambientale attraverso un procedimento analitico basato sul criterio del costo di
ricostruzione.
7
2. LA POLITICA NAZIONALE E COMUNITARIA FORESTALE.
2.1. La politica dei rimboschimenti in Italia: dalla legge n. 3917/1877 alla I°
legge sulla montagna del 1952.
Il quadro normativo in materia forestale, successivo all’unificazione del
Regno d’Italia, era piuttosto complesso, laddove si considera che vigevano
poche leggi, che rispondevano alle esigenze territoriali dell’epoca (come in
Veneto ed in Sicilia), mentre le restanti risultavano troppo ancorate al
pregresso periodo storico.
Emerse allora la necessità di varare una legge in grado di disciplinare tutto il
settore forestale sul territorio nazionale per tutelare i beni silvo-pastorali degli
Enti pubblici nei confronti di quelli privati, assoggettare i boschi a vincolo
restrittivo secondo il giudizio delle competenti Autorità, vietare il
disboscamento ed il dissodamento nei casi di particolari condizioni ambientali
e consentire l’applicazione di norme per garantire il buon governo del bosco
(turni, epoca e modalità di tagli), disciplinare i sistemi repressivi con
l’applicazione di pene pecuniarie ragguagliate all’ammontare del danno ad
all’estensione del terreno disboscato (Bernardini F.,1987).
Purtroppo, l’esistenza di forti interessi privati nei riguardi dei demani
pubblici e la differente situazione tecnico-economica delle Regioni italiane,
non permisero in effetti, di portare a termine alcune proposte legislative
fondamentali per la crescita del settore forestale nazionale.
Solo nel 1887, venne approvata la legge Majorana-Calatabiano n. 3917 del
20 giugno1887, definita la “I° legge forestale italiana”, che oltre a emanare
drastiche disposizioni vincolistiche
1
, in qualche modo eccessivamente limitanti
1
La legge n. 3917/1887 (a cui seguì il Regolamento del 10/02/1878 n. 4293), sottoponeva
infatti a vincolo forestale i boschi e le terre spogliate di specie legnose sulle cime e pendici dei
monti fino al limite superiore della zona del castagno, nonché quelli che per la loro situazione
potevano, col disboscamento o col dissodamento, dar luogo a scoscendimenti, smottamenti,
interrimenti, frane, valanghe, tanto da provocare danno pubblico disordine dei corsi d’acqua,
alterazione della consistenza del suolo, oppure danneggiare le condizioni igieniche del luogo.
Disciplinava inoltre, in tali terreni vincolati, la coltura silvana e l’utilizzazione dei boschi
attraverso l’emanazione delle Prescrizioni Provinciali di Massima e di Polizia Forestale alle
8
del diritto di proprietà, si occupò del problema sia in termini di economia
pubblica che privata dei rimboschimenti (Tofani M., 1961).
L’accrescersi del fabbisogno di legname e l’aumento delle importazioni per
far fronte alle necessità di una popolazione di 35 milioni di abitanti che in
quegli anni svolgeva attività di vario tipo usufruendo di materiale legnoso,
determinò l’esigenza di portare a 7 milioni la superficie forestale italiana allora
stimata intorno ai 4,5 milioni di ettari (Fratini, R., 2007).
Per favorire la politica dei rimboschimenti furono emanate in seguito, diverse
normative e tra queste si ricordano: la n. 5238 (1 marzo 1888) dove per la
prima volta, venne considerato il problema del rimboschimento nel più grande
ambito del bacino idrografico; la n. 173 (30 marzo 1893), la quale consentiva,
previa autorizzazione, la sottrazione dei terreni, anche quelli sottoposti a
vincolo; rispetto a quest’ultimi, la necessità di opere di rimboschimento e del
rinsaldamento si presentava connessa alle opere idrauliche, per le quali era
previsto l’obbligo di costituire un consorzio e di poter erogare dei contributi
finanziari a privati corrisposti dallo Stato e dagli Enti locali.
L’emanazione della legge n. 227 (legge Luzzati del 2 giugno 1910), segnò
poi un profondo cambiamento considerato che, essa si fondava sull’attivo
principio << che la tutela silvana non può basarsi sulla polizia forestale, ossia
sulla perpetua minaccia di sanzioni penali contro i rapaci disboscatori,
avendo l’esperienza dimostrato come tali sanzioni non riescano a proteggere i
boschi esistenti>> per cui occorreva associare ad una politica “vincolistica” gli
strumenti del “fare” incoraggiando e proteggendo chi voleva effettivamente
eseguire opere fattive. In base a tale principio venne costituito il Demanio
forestale dello Stato (Regolamento del 19 febbraio 1911 n. 188), che doveva
quali i proprietari dovevano uniformarsi (per l’utilizzo dei loro boschi), senza il bisogno di
chiederne la preventiva autorizzazione. Infine permetteva all’allora Ministero dell’Agricoltura
di provvedere al rimboschimento dei terreni vincolati , tramite i Comitati Provinciali Forestali
costituiti in ogni provincia a norma di legge e di esercitare l’esproprio dei terreni medesimi
qualora i proprietari si fossero rifiutati di compiere i lavori dovuti entro il termine dei sei mesi
dal mandato. A tale scopo era pure prevista la costituzione dei Consorzi Provinciali di
Rimboschimento fra proprietari e Province, sempre con facoltà di esproprio (Bernardini
F.,1987).
9
servire come modello di gestione per i selvicoltori privati. Esso disciplinava il
taglio dei castagneti nei periodi in cui il legno veniva fornito alle fabbriche per
l’estrazione del tannino usato per la concia delle pelli; fissava, per un
determinato periodo di tempo, l’esenzione da imposte dei terreni vincolati o
meno sottoposti a rimboschimento dai singoli proprietari o riuniti in consorzio,
forniva, gratuitamente, un premio in danaro per i rimboschimenti facoltativi e
per la ricostruzione dei boschi eccessivamente deteriorati.
Di particolare importanza furono, inoltre, le disposizioni che incoraggiavano
la costituzione di associazioni e consorzi di proprietari boschivi, per la tutela
dei castagneti da frutto colpiti da malattie, per la prevenzione e l’estinzione
degli incendi boschivi, per la difesa dagli attacchi di parassiti animali e
vegetali, per il taglio e la vendita dei prodotti forestali, per il miglioramento dei
boschi e dei pascoli, per la creazione di piccole industrie forestali e per
l’incremento della produzione e del commercio dei prodotti legnosi.
Nonostante le diverse leggi scaturite fino ad allora, nel tentativo di conciliare
l’attività agro-pastorale da un lato, e sopravvivenza del bosco dall’altro, i
risultati ottenuti non furono soddisfacenti, stante il continuo mutare delle idee
in materia di politica forestale e montana. Solo nel dicembre 1923 si arrivò al
varo della cosiddetta Legge Serpieri
2
(n. 3267), che dettava precise norme su
2
Si tratta di una legge fondamentale, tuttora vigente nelle sue linee fondamentali, che affronta
l’intero problema forestale e con esso quello dei terreni montani. Una lettura dei sette titoli che
la compongono fa intravedere la sua portata generale:
- provvedimenti per la tutela di pubblici interessi ove comprende nell’ambito delle limitazioni
alla proprietà privata l’intera disciplina del vincolo per scopi idrogeologici (art. 1-16) come
pure del vincolo per altri scopi protettivi (art. 17-23); negli art. 24-38 sono invece riportate le
relative disposizioni penali e di polizia;
- sistemazione e rimboschimento dei terreni montani ove si considera (art. 39-74) la
sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani. Viene inoltre affrontato il problema del
rimboschimento e rinsaldamento di terreni vincolanti (art. 75-89) attraverso disposizioni
generali e particolari;
- incoraggiamenti a favore della selvicoltura e della agricoltura montana ove si considerano
esenzioni fiscali e contributi finanziari dello Stato (art. 90-99), inoltre l’istruzione, la
propaganda e l’assistenza (100-105);
10
“Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e dei terreni
montani”. Essa mirava al raggiungimento di due obiettivi importanti: il primo
di natura giuridica costituito da limitazioni o divieti (vincolo idrogeologico) ed
il secondo di carattere amministrativo con sostanziali interventi diretti, come la
sistemazione dei bacini montani, il rimboschimento dei terreni nudi, la
ricostituzione dei boschi estremamente deteriorati, il miglioramento dei pascoli
montani, la tutela dei beni silvo-pastorali dei Comuni ed altri Enti e
considerando nello stesso tempo le esenzioni fiscali, i contributi finanziari
dello Stato. Per i rimboschimenti eseguiti da privati o da Enti, furono
predisposti oltre che esenzioni fiscali e assistenza tecnica, contributi finanziari
nella misura non superiore ai 2/3 della relativa spesa (Bevacqua L., 1990).
Altra tappa fondamentale, in materia di politica forestale, fu la
promulgazione del Testo Unico sulla bonifica integrale
3
del 13 febbraio 1933
- gestione dei patrimoni silvo-pastorali dello Stato, dei Comuni e di altri Enti ove si considera
l’azienda del Demanio Forestale dello Stato (art. 106-129), nonché i patrimoni silvo-pastorali
dei Comuni ed altri Enti (art. 130-138), e la loro gestione (art. 139-168); si introduce
l’importante strumento del piano economico (art. 130), prevedendo inoltre aziende speciali,
aziende per la gestione dei domini collettivi, altre forme di gestione (fra cui molto importanti i
Consorzi forestali – art. 155), infine affidamenti della gestione dello Stato;
- diritti d’uso sui boschi e sui terreni vincolanti ove si affronta il problema degli usi civici e
collettivi anche in relazione al vincolo idrogeologico;
- organi di amministrazione forestale
- disposizioni finali e transitorie.
3
In base all’art. 1, alla bonifica integrale si provvede per scopi di pubblico interesse, mediante
opere di bonifica e di miglioramento fondiario. Le opere di bonifica sono quelle che si
compiono in base ad un piano generale di lavoro e di attività coordinate, con rilevanti vantaggi
igienici, demografici, economici e sociali, in comprensori in cui ricadono laghi, stagni, paludi
e terre paludose, o costituiti da terreni montani dissestati nei riguardi idrogeologici e forestali,
ovvero da terreni estensivamente utilizzati per grave cause di ordine fisico e sociale, e
suscettibili, rimosse queste, di una radicale trasformazione dell’ordinamento produttivo. In
altre parole il raggiungimento di un migliore assesto dell’economia montana in tutti i suoi rami
(non solo terriero, ma edilizio, stradale ecc.) e con i mezzi tecnici disponibili volti sempre al
fine ultimo della difesa e del progresso della montagna, poteva essere conseguito soltanto con
un più attivo intervento pubblico.
11
n. 215, con il quale si crearono le premesse per una maggiore e più incisiva
possibilità di interventi nell’ambito del bacino montano, individuato quale
comprensorio di bonifica
4
, mirati, tra l’altro, alla realizzazione delle opere
previste dalla legge, tra le quali rimboschimento e ricostituzione di boschi
degradati, da attuare attraverso specifici Piani di Bonifica. Essendo
praticamente nulla la convenienza dei privati ad eseguire tali opere, i costi per
realizzare le stesse erano totalmente a carico dello Stato.
Dopo la seconda guerra mondiale, fino ai primissimi anni 50, vennero
emanati alcuni importanti provvedimenti che ammettevano finanziamenti per i
rimboschimenti, quali ad esempio: la legge n. 264 del 29 aprile 1949 relativa
all’istituzione dei cantieri di rimboschimento e di lavoro per la sistemazione
montana, con l’obiettivo di ricostruire gli oltre 120.000 ettari di bosco perduti
per impieghi bellici e ridurre la forte disoccupazione nelle zone montane e la
legge n. 646 del 10 agosto 1950 istituitone della Cassa per il Mezzogiorno
destinata a programmare e realizzare l’intervento straordinario nelle zone più
arretrate del paese.
Anche se furono proposti diversi strumenti legislativi a sostegno della
politica di rimboschimento, l’incremento dei nuovi boschi, nell’arco del
trentennio tra il 1930 ed il 1959, fu modesto rispetto a quanto programmato,
con circa 350.000 ettari, pari al 19% della superficie territoriale.
Tra le cause che condussero al fallimento delle varie politiche attuate si
ricorda in particolare la scarsità finanziaria, la mancata continuità nell’azione
dello Stato e la tragica condizione economico-sociale in cui versavano le
popolazioni montane. In questo contesto, gli agricoltori preferirono coltivare
Le opere di miglioramento fondiario sono quelle che si compiono a vantaggio di uno o più
fondi, indipendentemente da un piano generale di bonifica.
4
Affinché, un bacino montano potesse essere classificato comprensorio di bonifica era
necessario, che i lavori da eseguire, avessero lo scopo di trasformare radicalmente l’esistente
ordinamento produttivo terriero da primitivo ed estensivo ad uno nuovo intensivo capace di
fornire più elevate produzioni globali e nel contempo di fissare stabilmente alla terra una più
densa popolazione rurale.
12
cereali, patate o praticare il pascolo anziché realizzare nuove superfici
boschive stante la loro bassa redditività.
Di conseguenza, i rimboschimenti rimasero una priorità dello Stato, il quale
si accollava l’intero costo dell’opera stessa per cui risultava limitata
l’estensione superficiale visto il notevole carico finanziario. Solo nel 1952, con
la promulgazione della legge sulla montagna
5
(n. 991) vennero recuperati da
parte del Demanio Forestale, circa 250.000 ettari di boschi degradati: lo Stato
acquisiva superfici forestali, attraverso il Corpo Forestale, in aree montane e
interveniva con opere di rimboschimento, miglioramento e sistemazioni
idraulico-forestale.
Essa non apportò di fatto nessun elemento innovativo nell’approccio ai
problemi della montagna se non quello dell’istituzione dei comprensori di
bonifica dei terreni montani che, a causa del degrado fisico e del dissesto
economico, non erano suscettibili di una proficua sistemazione produttiva.
All’interno di questi comprensori era possibile costituire consorzi di
prevenzione tra privati ed enti pubblici per realizzare opere che fossero in
grado di migliorare la stabilità del suolo e consorzi di bonifica montana capaci
di provvedere all’esecuzione, alla manutenzione e all’esercizio delle relative
opere di bonifica. Ai consorzi erano concessi fino al 75% delle spese per
stipendi al personale tecnico e di custodia per la gestione tecnica dei boschi e
5
La prima legge sulla montagna riprese il concetto di bacino montano e di bonifica integrale
mettendoli assieme nella prospettiva, rilevatasi poi infondata, di dare una soluzione ai gravi
problemi dei territori montani. Si pensava che l’agricoltura, e quindi la bonifica, potessero
risolverli. L’unica considerazione intersettoriale era quella collegata allo sviluppo
dell’artigianato. Tale legge è stata fondamentale per la montagna e per le sue foreste. Anche se
non è certamente riuscita a migliorare la situazione della montagna, che per la verità è andata
aggravandosi negli anni 50 e 60 a mano a mano che si affermava lo sviluppo delle aree forti di
pianura, ha contribuito a salvaguardare il patrimonio forestale e a difendere i suoli. Questo
grazie anche all’azione dei Consorzi di Bonifica Montana specificatamente pensati e finanziati
per difendere i suoli ed attività agro-pastorali. Vanno comunque ricordati anche altri aspetti
che hanno contribuito a fare di questa legge un importante atto di politica forestale. Da
ricordare l’acquisizione di nuovi boschi da parte del demanio pubblico, il sostegno ai boschi
posseduti dalle Comunioni familiari, l’incoraggiamento ai rimboschimenti, ai Consorzi e ad
Aziende speciali forestali, alla pianificazione forestale.
13
un contributo alle aziende fino al 75% delle spese per il rimboschimento e/o
ricostituzione dei boschi degradati.
La mancata partecipazione dei piccoli proprietari alla formazione di consorzi
o ai processi di ricomposizione fondiaria in modo da favorire il sorgere di
aziende di media e anche di grande ampiezza, costituì di fatto un limite allo
sviluppo di tali progetti per motivi riconducibili alla mancanza di convenienza
finanziaria e soprattutto alla lunga attesa dei redditi spesso non godibili in una
sola vita, nonostante i sussidi in conto capitale, che lo Stato erogava per
l’attività di rimboschimento (Tofani M., 1961).
La legge sulla montagna, ha goduto di un finanziamento decennale di circa
50 miliardi di lire ed è stata rifinanziata per il periodo di attuazione del I° e del
II° Piano Verde e dalle leggi nazionali n. 454 del 2 giugno 1961 e n. 910 del 27
ottobre 1966, che hanno permesso allo Stato di intervenire a favore dei
proprietari, concedendo contributi a fondo perduto del 75% per il
rimboschimento e del 50% su terreni di altro genere.
Dal 1952 al 1968, sono stati ricostituiti 150.000 ettari di boschi degradati e
rimboschiti 560.000 ettari, con una spesa intorno ai 70 miliardi di lire, ma gli
interventi effettuati dai privati sono stati molto scarsi (Fratini, R., 2007).
2.2. La Gestione dei beni forestali: l’attuazione dell’ordinamento regionale
ed i suoi effetti sulla materia forestale.
L’attuazione dell’ordinamento regionale, che si verificò attraverso la legge
delega del 16 maggio 1970 n. 281 e il DPR. del 15 gennaio 1972 n. 11, diede
inizio al trasferimento delle funzioni amministrative in materia di “agricoltura
e foreste” dallo Stato alle Regioni con profonde ripercussioni sul settore
forestale.
Tale trasferimento, riguardò soprattutto le strutture periferiche
6
facenti capo
alla Direzione generale dell’Economia forestale e montana dell’allora
6
Le strutture periferiche riguardavano in particolare l’Ispettorati agrari, l’Ispettorati regionali
delle foreste, l’Ispettorati dipartimentali e dei relativi uffici distrettuali.
14
Ministero dell’Agricoltura e Foreste, ad eccezione delle Stazioni forestali e del
personale del Corpo Forestale dello Stato (Abrami A., 1996).
La separazione fra funzioni ed uffici appartenenti alle Regioni da una parte, e
personale dipendente dallo Stato dall’altra risultava però un’anomalia rispetto
al principio generale che voleva il personale seguire la funzione e l’ufficio.
Solo di recente è stata emanata al riguardo la legge n. 36 (del 6 febbraio
2004) con la quale si è disposto il nuovo ordinamento del Corpo forestale dello
Stato, provvedendo alla definitiva scissione, con alcune eccezioni, fra
competenze amministrative ormai trasferite alle Regioni, e funzioni di polizia,
che caratterizzano il Corpo.
Il DPR n. 11/1972, prevedeva, inoltre, l’emanazione di alcuni provvedimenti
per il passaggio dei beni forestali statali alle Regioni. Ma ciò si verificò solo in
parte, considerato che un quarto dell’intero patrimonio forestale rimase di
proprietà dello Stato, venendo esclusi tutto quanto non presentava
caratteristiche colturali e produttive forestali, quali fasce litoranee frangivento,
riserve naturali, boschi da seme. La funzione di tali boschi, era riconducibile
all’interesse nazionale rappresentato, rispettivamente, dalla difesa del suolo,
dalla protezione della natura, dal rispetto degli obblighi di diritto comunitario
(Abrami A., 1987).
Per completare il trasferimento regionale
7
venne emanata nel 1975 una
ulteriore legge delega n. 382 (del 22 luglio 1975) e due anni dopo il D.lg. di
attuazione n. 616 (del 24 luglio 1977), che permise di completare il passaggio
sia dei beni forestali demaniali, con la soppressione dell’ente gestore e cioè
l’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, sia delle funzioni amministrative
relative ai territori montani, alle foreste ed alla conservazione del suolo,
7
Ricordiamo comunque, che si dovette attendere il 1992 con la legge di riforma delle
autonomie locali (legge 190/92) per dare un nuovo impulso al decentramento regionale,
attribuendo maggiori responsabilità alle Regioni ed agli altri Enti locali, promuovendo istituti
giuridici più snelli e molto più agili nell’amministrazione quali ad esempio le aziende speciali.
Con la legge 54/97, la Bassanini-uno, all’interno di una ampia manovra di decentramento
amministrativo, il quadro delle competenze regionali per il comparto forestale è stato
pressoché completato (Carbone F., 1999).
15
comprensive del vincolo idrogeologico, rimanendo peraltro vietata alle
Regioni una diversa disciplina normativa del vincolo.
Solo in seguito, con la legge n. 183/89 sulla difesa del suolo, venne conferito
a livello regionale il potere d’intervento legislativo avente per oggetto il
vincolo idrogeologico (Abrami A., 2005).
Insieme al vincolo, nelle Regioni vennero riprese le funzioni relative
all’assesto e pianificazione del territorio, intese in senso ampio fino a
comprendere la tutela dell’ambiente
8
.
Non fu quindi un caso, che la legislazione urbanistica delle Regioni si
manifestò nel tempo, con la denominazione di “uso e tutela del suolo” in cui
era prevista al suo interno non solo la disciplina dell’attività edilizia, ma anche
il governo in senso lato del territorio e, con esso, la tutela degli aspetti
ambientali. In sostanza la legislazione urbanistica mirava ad assumere
all’interno del processo di pianificazione tutti i settori di interesse territoriale
attraverso una loro valutazione complessiva. Essa era strutturata mediante una
pianificazione a cascata che iniziava da un piano regionale, in cui si operavano
le scelte di carattere generale, per arrivare alla loro definizione in sede
comprensoriale
9
.
Rimasta per molto tempo inattuata nell’ordinamento giuridico nazionale, la
correlazione fra urbanistica e vincolo idrogeologico si realizzò in buona parte
con l’entrata in vigore dell’art. 80 del decreto n. 616/1977, il quale impostò su
nuove basi il problema dell’organizzazione e gestione del territorio. Non solo il
vincolo idrogeologico diventò uno dei mezzi idonei per controllare le possibili
utilizzazioni del territorio, ma nella legislazione urbanistica regionale si
rinvenne anche in una certa misura, la salvaguardia dei terreni boscati a
prescindere dal vincolo, cosìchè si verificò l’auspicata integrazione tra
8
Tale era la concezione dell’urbanistica come risultava codificata nell’ art. 80 del decreto n.
616 del 1977.
9
Oggi in sede provinciale, in conseguenza dell’attribuzione delle Province di competenza in
materia urbanistica e quindi realizzate attraverso i piani regolatori comunali e i loro strumenti
attuativi.
16
disciplina urbanistica e forestale in relazione alla conservazione dei territori
silvani.
Appare opportuno evidenziare, al riguardo come qualche anno prima
dell’emanazione di tale decreto, la legge n. 15 della regione Lombarda (15
aprile 1975) dal titolo “Disciplina urbanistica del territorio regionale e misure
di salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale paesistico”, avesse già
imposto il divieto di nuove costruzioni ed opere di urbanizzazione nelle aree di
boschi d’alto fusto o di rimboschimento, così mirando alla tutela del bosco in
quanto tale, ovvero, a prescindere dal vincolo idrogeologico.
Nella stessa direzione si mossero poi altre Regioni quale il Piemonte, che
con la legge n. 56 (5 dicembre 1977) dal titolo “Tutela ed uso del suolo”,
dettava misure di salvaguardia che vietavano nuove costruzioni nelle aree di
boschi di alto fusto o di rimboschimento e nei boschi che assolvevano funzioni
di “salubrità ambientale”.
Con l’entrata in vigore della legge nazionale n. 431 (8 agosto 1985) di
conversione in legge del D.lg. n. 312 (27 giugno 1985), successivamente
riprodotta con modificazioni nel D.lg. n. 41 (22 gennaio 2004), la protezione
venne estesa alla generalità dei boschi, che in quanto categorie di beni
paesistico-ambientali, furono classificati come “bellezze naturali”, passando
così da una tutela concentrata su beni e località dotate di un rilevante pregio
estetico, ad una protezione effettuata direttamente dalla legge avente ad
oggetto tipologie territoriali e categorie di beni
10
(Abrami, A., 2005).
L’abbandono del bosco, teorizzato dalle politiche di carattere protezionistico,
ha avuto però effetti negativi nel tempo e solo negli ultimi anni si è presa
10
Questi sono i territori costieri per una profondità di trecento metri dalla linea di battigia, i
territori contermini ai laghi per una profondità di trecento metri, i fiumi, i torrenti e i corsi
d’acqua in genere iscritti nei pubblici registri con relative sponde per una fascia di
centocinquanta metri dagli argini. Ed inoltre le montagne per la parte eccedente i 1600 metri
sul livello del mare per la catena alpina e i 1200 metri per la catena appenninica e per le isole.
Infine i ghiacciai, i vulcani, i territori coperte da foreste o da boschi, ancorché percorsi o
danneggiati dal fuoco e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, ecc.
17
coscienza, che esso debba essere gestito per potersi mantenere funzionale ed
esplicare a meglio le sue funzioni.
L’emanazione del Dlgs. n. 227 (18 maggio 2001), ha messo in evidenza
l’importanza della gestione boschiva; l’art. 1 detta disposizioni finalizzate alla
valorizzazione della selvicoltura, intesa quale elemento fondamentale per
conciliare lo sviluppo socio-economico e la salvaguardia ambientale
consentendo all’imprenditore silvano di ritrarre una determinata quantità del
prodotto legnoso garantendo lo svolgimento delle altre funzioni del bosco
(Abrami A., 2001).
L’art. 4 vieta poi la trasformazione del bosco
11
, fatte salve le autorizzazioni
rilasciate dalle Regioni a norma dell’art. 151 del Dlgs. n. 490 (29 ottobre 1999)
per cui deve essere compensata da rimboschimenti con specie autoctone su
terreni non boscati rientranti nel medesimo bacino idrografico. È data facoltà
alle Regioni di prevedere, in luogo di tale rimboschimento compensativo, il
versamento di una somma, corrispondente all’importo presunto dell’intervento
compensativo, da utilizzare per la realizzazione di interventi di riequilibrio
idrogeologico nelle aree geografiche più sensibili, ricadenti in altri bacini
idrografici.
L’ art. 5, consente alle Regioni di dettare norme atte a garantire il recupero
dei boschi qualora sussistano gravi processi di degrado o vi siano motivi di
pubblica incolumità, e stabilisce che le Regioni, gli enti locali e le associazioni
agrarie debbano favorire lo sviluppo ed una più razionale gestione sostenibile
delle risorse forestali promuovendo la costituzione o la partecipazione ai
consorzi forestali o altre forme associative.
Successivamente è stato emanato dal Ministero dell’Ambiente e Tutela del
Territorio un decreto (16 giugno del 2005) riguardante le “Linee Guida di
programmazione forestale” con l’obiettivo di fornire un quadro generale dello
<<stato di conservazione e valorizzazione delle foreste e dei prodotti forestali
in un approccio globale di gestione sostenibile delle risorse naturali
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Costituisce trasformazione del bosco in altra destinazione d’uso del suolo ogni intervento
che comporti l’eliminazione della vegetazione esistente finalizzata a un’utilizzazione del
terreno diversa da quella forestale.
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rinnovabili e più genericamente del territorio, tenendo conto di tutte le
componenti ecologiche, socio-culturali ed economiche…>>.
In tale ottica sono stati individuati quali obiettivi prioritari: la tutela
dell’ambiente; il rafforzamento della competitività della filiera-legno; il
miglioramento delle condizioni socio-economiche degli addetti; il
rafforzamento della ricerca scientifica. Di conseguenza è demandata alle
Regioni e alle Province Autonome, la definizione delle proprie linee di tutela,
conservazione, valorizzazione e sviluppo del settore forestale e
redigere/revisionare i propri piani forestali, in prospettiva di una gestione
forestale sostenibile e multifunzionale della foresta.
2.3. L’esperienza della forestazione produttiva nelle regioni meridionali:
dalla legge “Quadrifoglio” al “Piano Forestale Nazionale”.
Tra i provvedimenti a favore dei rimboschimenti a carattere prettamente
produttivo, si ricorda in particolare la legge n. 984 (27 dicembre 1977) definita
legge “Quadrifoglio”, che definiva linee di indirizzo generale in materia agro-
forestale senza separare gli obiettivi dell’agricoltura da quelli forestali, che nel
complesso risultavano comunque marginali.
Gli interventi pubblici potevano essere coordinati attraverso una serie di
attività tipicamente agricole insieme alla forestazione, all’irrigazione,
all’utilizzazione e alla valorizzazione dei terreni collinari e montani, per cui la
legge prevedeva:
- la formazione di un piano agricolo nazionale per un periodo di cinque anni,
nell’ambito del quale, per i settori attinenti alla forestazione e all’irrigazione, il
piano e i rispettivi programmi regionali avevano durata decennale;
- l’incremento della produzione legnosa, attraverso la piantagione di specie
forestali a rapido accrescimento in terreni non convenientemente utilizzati;
utilizzati per colture agricole o per attività di allevamento; destinabili al
rimboschimento o al miglioramento della selvicoltura esistente sia per la tutela
dell’ambiente e sia per l’assesto idrogeologico (Greco N., 1994).