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italiane ai mercati finanziari attraverso la quotazione di valori mobiliari di
propria emissione e, correlativamente, si pose il problema della tutela del
risparmio e della organizzazione di una vigilanza pubblicistica sulle società
quotata e sulla borsa in generale.
I primi progetti in materia (Santoro Passarelli del 1962, De Gregorio del
1964, De Gennaro-Visentini del 1967) prevedevano però la concentrazione
delle competenze sulla vigilanza sui mercati finanziari in capo alla Banca
d’Italia. Si devono aspettare dieci anni dal progetto Santoro Passarelli per
l’ipotesi della istituzione di un’apposita autorità di vigilanza delle società
quotate, ipotesi che per la prima volta apparve nel progetto Lombardi del
1972, secondo il quale, però, l’istituenda commissione si sarebbe dovuta
inquadrare tra gli strumenti di programmazione economica operando di
concerto con gli organismi pubblicistici a ciò deputati.
L’istituzione di un’autonoma commissione di controllo sulle società
quotate e sulla borsa, deputata alla tutela del risparmio ed alla trasparenza
dei mercati, sulla scia di consolidate esperienze straniere (Securities
Exchange Commission, S.E.C. negli Stati Uniti del 1934, la Commission
des opérations des bourse, C.O.B., ora Autorité des Marchés Financiers,
A.M.F., in Francia del 1967), figura invece nel progetto Marchetti del
1973.
La scelta di affidare ad un’autorità amministrativa indipendente alcuni
fondamentali compiti in materia di tutela del risparmio risponde quindi ad
un modello conosciuto già da altri ordinamenti. Certamente non era
presente nella mente dei costituenti, e per molti anni il legislatore si è
sforzato di adempiere al precetto costituzionale di cui l’art 47, soprattutto
con strumenti di diritto societario e tributario, lasciando però che la
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disciplina dei mercati finanziari restasse prevalentemente affidata ad usi di
borsa le cui radici affondavano, in larga parte, nel secolo precedente1.
Le ragioni che influenzarono la diffusione nell’ordinamento italiano, ed in
quelli europei, la figura dell’autorità amministrativa indipendente
nell’ultimo quarto del XX secolo, vanno sicuramente ricollegate alle
precedenti esperienze dei paesi di common law. Nella loro origine
anglosassone, e principalmente americana, il fenomeno delle Independent
Agencies, risalente già alla seconda metà dell’ottocento, esprimeva
soprattutto una risposta all’esigenza di regolare interessi diffusi ma poco
tutelati; esigenza che nasceva in un contesto ordinamentale caratterizzato
però da un basso grado di centralizzazione delle funzioni pubbliche e da
una marcata prevalenza delle dinamiche di mercato rispetto alla presenza
dello Stato, in piena ottica liberista.
Negli ordinamenti europei continentali, improntati invece al modello
napoleonico dello Stato forte e molto centralizzato, si è percorsa per alcuni
versi, la strada opposta. In questi ordinamenti infatti, l’istituzione delle
autorità amministrative indipendenti appare piuttosto come un tentativo di
risposta «tecnica» alla crisi della sovranità dello Stato, non più in grado di
dominare con strumenti di valenza di politica generale i contrasti di
interesse dei gruppi diversi in cui la società si compone. Ed appare, nello
stesso tempo, un tentativo di rendere più flessibile la regolamentazione dei
settori connotati da forte dinamismo2.
Le costituzioni moderne sono state fondate, in passato, sulla distinzione
strutturale tra gli ambiti di competenza dei privati nel campo economico e
quelli propri dello Stato, in modo che l’azione di quest’ultimo non
1RORDORF, La Consob come autorità amministrativa indipendente nella tutela del risparmio, in Il Foro
Italiano, 2000, p. 144.
2RORDORF, La Consob, cit., p. 145
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interferisse nel sistema delle relazioni economiche, affidate alle
determinazioni della volontà contrattuale. Dunque, i processi economici e
distributivi erano riservati – secondo un principio proprio delle costituzioni
materiali – all’autonomia privata. Quando usciva da questi confini, il potere
pubblico era definito da regole e limiti, di cui i diritti individuali erano il
fondamento. Gli organi pubblici vedevano definite le proprie competenze e
i loro reciproci rapporti in modo preciso ed inderogabile.
Seguì quella che Albert Venn Dicey chiamò «end of laisser faire» ed età
del collettivismo. I governi assunsero un ruolo di guida dell’economia e
trovarono applicazione generalizzata in campo economico le pianificazioni,
fondate su norme di tipo finalistico.
I poteri pubblici indipendenti rappresenterebbero, quindi, una reazione
all’abuso del governo economico (di cui le pianificazioni sono il maggior
esempio). Mentre questo poneva fini all’azione degli operatori privati, i
poteri indipendenti regolano, prescrivono, stabiliscono norme condizionali.
Nel governo economico, tutti i poteri risalgono allo Stato-governo, mentre
le autorità sono indipendenti dal governo. Ecco, dunque, perché, quando è
parso conveniente proteggere gli interessi dei risparmiatori, non si sono
posti in essere uffici statali, ma istituzioni indipendenti.
La migliore prova di ciò può cercarsi nella vicenda statunitense, delle
“Commissions”. Queste avevano avuto un primo sviluppo agli inizi del
secolo (1905-1915), nello stato di Wisconsin, sotto l’impulso degli
economisti dell’università di quello Stato. L’idea che muoveva questo
gruppo era che occorresse distinguere le funzioni amministrative da quelle
politiche, istituendo un corpo di funzionari permanenti ed apolitici.
Ma è negli anni ’30 che il modello «regulating business by independent
commission» trova maggiore diffusione, specialmente in ambito federale.
In questo periodo, l’intento non è tanto quello di moralizzare la vita
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pubblica, quanto quello di riconoscere «the authority of experts»: le
commissioni indipendenti, composte da esperti, che adottano metodi
scientifici di indagine e che offrono garanzie di neutralità; gli interessi
economici, si pensava, sarebbero stati meglio curati da scienziati ed esperti
operanti su basi tecniche, piuttosto che da politici o da giudici.
Quando si sono dovuti quindi conferire compiti regolativi potenzialmente
illimitati, riconoscere ampia discrezionalità alle scelte pubbliche, lasciare
incerti i confini reciproci degli organi pubblici, si sono preferiti uffici non
statali e non dipendenti dal governo.
Oltre alla ragione economica dell’istituzione dei poteri indipendenti, si
deve considerare anche quella più strettamente politica, che è legata al
mutamento costituzionale prodotto dal nuovo modo di scrutinio ( lungo il
corso della storia dell’Italia unita, sono stati sempre i mutamenti della
formula elettorale che hanno scandito le modificazioni costituzionali,
perché essi hanno determinato il tipo di sistema dei partiti e di governo).
Nei tempi attuali alla nascita delle autorità indipendenti, convivono un
modo di scrutinio di tipo maggioritario con un ordinamento dei poteri
unitario, per cerchi concentrici: il corpo elettorale sceglie una maggioranza
parlamentare; questa legifera e sceglie, nello stesso tempo, il governo; il
governo, a sua volta, dà esecuzione alle leggi e dirige l’amministrazione; la
legittimazione di quest’ultima, infine, dipende esclusivamente dal vertice
politico.
Lo Stato ad organizzazione compatta e concentrata poteva convivere con
un sistema elettorale che distribuiva i poteri tra le forze politiche, piccole e
grandi. Queste, a loro volta, trovano tra di loro contrappesi ad
un’organizzazione unitaria e concentrata. Ma un modo di scrutinio
maggioritario richiede l’abbandono dell’organizzazione compatta, a favore
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della distribuzione dei poteri. Al potere spartito tra partiti, andrebbe
sostituito un potere distribuito per istituzioni indipendenti.
Riprendono forza, a questo punto, gli insegnamenti classici del liberalismo.
L’intuizione di Montesquieu, che per fare governo moderato, occorre
combinare i poteri, temperarli, farli agire e regolarli, gettare, per così dire,
zavorra all’uno per rafforzare l’altro. La teoria di Benjamin Constant del
potere neutro, che è un potere «astratto». Le raccomandazioni, di un solo
anno successivo, di Thomas Jefferson, per cui «(…) il mezzo per avere un
governo buono e fidato non sta nell’affidare a un unico organo tutto il
potere, ma nel dividerlo tra molti, distribuendo a ciascuno esattamente le
funzioni che è in grado di assolvere, (…) attribuendo ad ognuno la
direzione di ciò che il suo cerchio riesce a sorvegliare direttamente»3. Le
osservazioni, infine, di un liberale francese, come Alexis De Tocqueville,
sulla prima grande democrazia, quella nordamericana, e sul sistema
politico-amministrativo francese, là dove metteva in luce il pericolo del
dispotismo democratico, della tirannide legislativa derivante dal
matrimonio tra democrazia e centralizzazione, ed auspicava la
frammentazione e spartizione del potere fra soggetti diversi, in modo che,
agendo da contrappesi, trovassero un temperamento del loro potere.
Tutte queste osservazioni vertono su un punto solo, che è quello della
distribuzione dei poteri costituzionali in presenza di un sistema elettorale
maggioritario. Quando, oggi, si invocano, genericamente e forse
ingenuamente, garanzie, si suggerisce che l’esercizio del suffragio non
esaurisce il contenuto della democrazia. Questo è assicurato anche da un
buon equilibrio tra i poteri e dalla possibilità di questi di correggersi
reciprocamente, perché gli interessi del popolo non coincidono con le sue
3Così scriveva il terzo Presidente degli Stati Uniti d’America Thomas Jefferson in una lettera a J. C.
Cabell del 2 febbraio 1816.
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inclinazioni, per cui occorrerebbe salvare la Repubblica dal popolo stesso
che ne è alla base.
Ecco, dunque, il posto delle istituzioni indipendenti. Esse servono a
spezzare il potere pubblico, a sdoppiarlo, a distribuirlo. Le istituzioni
indipendenti coabitano nella sfera pubblica, ma in concorrenza. Assicurano
il policentrismo là dove prima prevaleva una concezione organicistica del
potere. Sottopongono a verifica, limitano, consentono una certa ingerenza
di ciascuno dei poteri negli altri4.
La loro nascita ed evoluzione in Italia, si colloca così nella scia di un
principio dominante: di fronte all’emergenza di esigenze nuove
dell’ordinamento istituzionale, corrispondenti a interessi e valori sostanziali
nuovi, si è dato mano alla creazione di modelli organizzativi e
procedimenti capaci di approntare tutele differenziate e più idonee al
perseguimento delle esigenze stesse .
Il legislatore italiano, ritenendo di interpretare una raggiunta maturazione
di consapevolezza della coscienza collettiva, non ha più potuto esimersi
dall’affidare la funzione di tutela di particolari interessi collettivi di
rilevanza costituzionale, che necessitano quindi di particolare protezione,
ad organismi indipendenti, muniti cioè di una peculiare posizione di
terzietà, di rincarata imparzialità, di neutralità e di indifferenza rispetto agli
interessi stessi.
La creazione delle istituzioni indipendenti e le leggi relative vanno perciò
viste come attuazione di valori e principi di rilievo costituzionale e
rispondono a ragioni di scorporo e di neutralizzazione del governo degli
interessi, rientranti nei settori sensibili, dalla linea e dagli apparati della
ordinaria vita amministrativa e dagli indirizzi del potere esecutivo, in
4CASSESE, La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa- Consob e i poteri indipendenti, in Riv.
Soc., 1994, p. 419 ss.
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funzione non solo e non tanto del carattere tecnico della materia e degli
obiettivi di efficienza propri di ogni attività amministrativa, quanto
piuttosto di valutazioni politiche che esigono che la cura degli interessi
stessi sia affidata ad organismi dotati di accresciuta autonomia e di più alta
imparzialità, portatori di una posizione neutra, volta al perseguimento
dell’interesse obiettivo dell’ordinamento: organismi, dunque, come tali,
indipendenti5.
Nel quadro della ferrea idea della tripartizione dei poteri, si tenderebbe a
considerare tali autorità indipendenti come espressione del potere esecutivo
e non di quello legislativo o giudiziario. Poi, attribuita la natura
amministrativa a tali soggetti, si individua nella neutralità il connotato di
indipendenza di tali organismi. Si afferma, in proposito, che la neutralità è
un concetto diverso rispetto all’imparzialità. Si precisa infatti, che
l’imparzialità è un predicato di tutte le amministrazioni, trattandosi
dell’obbligo, per tutti i pubblici amministratori, di astenersi da arbitrarie
discriminazioni o da condizionamenti soggettivi o oggettivi. Ma pur
essendo imparziali, le componenti soggettive di organi ed enti pubblici
agiscono nella veste di portatrici di interessi pubblici specifici, ed è per
questo che come tali, in genere le amministrazioni non sono terze rispetto
agli interessi di cui sono portatrici. Terzietà che si riscontra invece nelle
autorità indipendenti, le quali quindi sono considerate come garanti delle
regole, e non portatrici di interessi, dovendo agire senza ponderare,
attenendosi rigorosamente al fine evidenziato dalla legge, e per questo
considerate neutrali6.
5LONGO: Ragioni e modalità dell’istituzione delle autorità indipendenti. In I garanti delle regole, a cura
di Cassese - Franchini, Bologna, 1996, p. 467.
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IELO, Autorità indipendenti e giudice: cooperazione e sindacato, in Amministrare, fasc. 1-2, 2006, p.
205.
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La definizione dell’«indipendenza» delle autorità finisce con l’assumere la
connotazione di “assenza di relazione” rispetto al potere politico, in tal
modo collocandosi in una prospettiva più ampia di quella riconducibile
all’“autonomia”, essendo utilizzabile nelle ipotesi in cui «sia necessario
evitare che si possano sviluppare relazioni tali da incidere sull’esercizio
della funzione di un soggetto, in qualche modo condizionandola»7.
Esaminando specificatamente la posizione della Consob, viene posto
l’accento sulla normativa che ne disciplina l’organizzazione e la funzione, e
dunque, sul significato ascrivibile ai relativi contenuti con riguardo vuoi al
momento originario della sua istituzione, vuoi a quello successivo in cui la
legge n. 281 del 1985 conferisce all’ente struttura ordinamentale con
evidenti riflessi sul piano dei rapporti con l’autorità politica.
Sulla base delle previsioni normative che, nel tempo, hanno finito col
riconoscere all’istituzione in parola una “autonoma gestione delle spese”,
nonché la facoltà di deliberare “le norme concernenti la propria
organizzazione ed il proprio funzionamento”, viene meno la “limitata
autonomia” che, alle origini, caratterizzava il potere ordinatorio della
Commissione e si delinea un rinnovato contesto disciplinare nel quale «le
leggi relative alla Consob sono norme di conferimento piuttosto che di
comportamento; non disciplinano l’esercizio di poteri, come per le
pubbliche amministrazioni, ma assegnano compiti come per gli organi
costituzionali»8.
Ciò consente di ipotizzare una figura della Commissione preordinata ad
identificare una forma organizzativa nella quale la separazione dalla
“politica” assurge a presupposto per un’oggettivazione dell’attività e,
7Così FRANCHINI, Le autorità indipendenti come figure organizzative nuove, in I garanti delle regole.
Le autorità indipendenti, a cura si Cassese - Franchini, Bologna, 1996, p. 69 ss.
8Così CASSESE, La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – Consob e i poteri indipendenti,
in Riv. Soc., 1994, p 412 ss.
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dunque, diviene garanzia di efficienza, in adesione ad una logica tipica del
mercato.
È evidente come il riconoscimento di tale status alla Commissione appare
pienamente conforme al processo di «deconcentrazione» delle potestà
statuali verificatosi nel corso degli ultimi decenni, per cui, dopo
l’entificazione delle strutture pubbliche, spetta alle amministrazioni
indipendenti segnare un ulteriore passo sulla via del distacco e della
separazione dall’apparato ministeriale9.
Il riconoscimento della natura amministrativa delle autorità indipendenti
muove da un’operazione governata dalla “regola” della divisione tripartita
dei poteri sovrani. Frutto di tale operazione è il fatto che se tali poteri
neutrali non sono organi legislativi e non sono neanche giudici, e allora non
possono che essere espressione del potere esecutivo. Tuttavia, tale
operazione a ben vedere presenta non pochi limiti. La stessa esclusione di
tali organismi dall’orbita legislativa non è poi così scontata
Infatti, nelle scienze giuridiche statunitensi, uno dei connotati di neutralità
di questi organismi è stato individuato proprio in una progressiva
attrazione della loro attività all’area del legislativo.
Questa attrazione si realizza soprattutto tramite meccanismi caratterizzati
da analisi tecniche e riscontri collaborativi in funzione di informazione
delle assemblee legislative, complessivamente finalizzati a garantire
l’affidabilità, la trasparenza, la credibilità, la responsabilità, l’efficacia e
l’efficienza dell’azione dei poteri neutrali. Il legame assemblee legislative-
autorità si salda tramite il circuito dei controlli neutrali,con i quali, lungi
dall’essere controlli di legittimità, si sottopongono i regolatori al controllo
degli uffici neutrali di monitoraggio degli uffici parlamentari.
9CAPRIGLIONE e MONTEDORO, voce Società e borsa (commissione per le), in Enc. Dir., vol. VI
aggiornamento, Milano, 2003, p. 1033.