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legittimare la propria libertà e l’indipendenza femminile in quanto tale, ma
soprattutto è un’attività terapeutica, una passione che si traduce in
missione, con l’impegno di offrire ai posteri il suo pensiero.
Una donna sana ma ammalata che il 28 marzo 1941 si suicida
annegandosi nel fiume Ouse. Virginia è vinta dall’esasperazione e smette di
combattere: come la falena del saggio The Death of the Moth
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che dà il
titolo all’omonima raccolta, si lascia andare con dignità, senza cercare di
opporsi a qualcosa che, ormai, è più forte di lei.
Deve gran parte della sua celebrità ai suoi romanzi, ma la sua eredità
letteraria include anche moltissimi saggi che riflettono lo stesso carattere
creativo che contraddistingue la sua fiction. Fin dal 1902, infatti, collabora
con un gran numero di recensioni, articoli e scritti critici con le più note
testate giornalistiche di quel periodo. Scrive ben duecentoquindici articoli
per il Times Literary Supplement, interviene su periodici quali The New
Statesman, The Criterion, The Nation and Athenaeum, The New Republic,
The Yale Review e The New Statesman and Nation, tutti di livello buono o
ottimo.
Riesce a pubblicare in vita due raccolte critiche, The Common Reader,
prima e seconda serie (1925 e 1932). Le successive verranno curate e
pubblicate postume da suo marito Leonard: The Death of the Moth (1942),
The Moment (1947), The Captain’s Death Bed (1950) e Granite and
Rainbow (1958).
I suoi scritti, ben lontani dalla critica accademica del tempo, pedante
e viziata da pregiudizi, esprimono tutto il suo essere e la libertà della sua
esperienza letteraria. Sono ricchissimi nel numero nonché negli argomenti
(poesia, romanzo, saggistica, arte, storia, racconti di viaggio, fotografia,
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«The struggle was over. The insignificant little creature now knew death. As I looked at the dead moth,
this minute wayside triumph of so great a force over so mean an antagonist filled me with wonder. Just as
life had been strange a few minutes before, so death was now as strange. The moth having righted himself
now lay most decently and uncomplainingly composed. O yes, he seemed to say, death is stronger than I
am». V. Woolf, “The Death of the Moth”, in Virginia Woolf, The Death of the Moth and Other Essays,
London, The Hogarth Press, 1942, p. 361.
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persino musica e gastronomia) e svelano il costante sforzo analitico
dell’autrice, la sua prepotente curiosità, la ricerca della perfezione formale,
e soprattutto la sua natura di lettore al tempo stesso comune, ma anche non
comune. I suoi saggi sono scritti anche eruditi, che rivelano gusto e
raffinatezza nello stile, nonché grande sensibilità nei contenuti. Lo scopo
primario della scrittrice è esortare il lettore a leggere e a farlo con passione
ed autonomia di giudizio; ciò che ne consegue è una sorta di mutua
assistenza tra scrittore e pubblico, un rapporto unico di collaborazione. La
critica diviene, in tal modo, uno strumento indispensabile e complementare
alla comprensione dell’opera letteraria.
È più che evidente nelle sue pagine critiche l’attenzione al romanzo
come genere e ai suoi maggiori esponenti. L’autrice non ignora alcun
periodo della storia letteraria nazionale e non si pone confini geografici. Il
romanzo, che sia inglese, francese, spagnolo o russo, resta la forma
letteraria a lei più congeniale. La Woolf espone i suoi principi letterari e
mostra, al contempo, una visione dell’opera narrativa originale poiché
personalissima.
In conclusione, i suoi saggi vanno visti come un magnus opus, da
leggere e analizzare singolarmente o mettendoli l’uno in relazione all’altro,
al fine di cogliere una visione più ampia sia della scrittrice che delle sue
idee sulla letteratura e sul mondo.
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CAPITOLO I
Virginia Woolf: un percorso originale
1.1. Storia di una scrittrice.
Life is not a series of gig lamps
symmetrically arranged; life is a
luminous halo, a semi-transparent
envelope surrounding us from the
beginning of consciousness to the
end.
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Virginia Woolf
Nel presentare un personaggio di rilievo se ne dipinge inevitabilmente
un quadro non completo, che sottolinea solo alcuni aspetti, solo alcune
caratteristiche, penalizzandone altri, fornendone quindi un’immagine
parziale. Il rischio aumenta nel caso di una scrittrice eclettica come
Virginia Woolf, il cui percorso esistenziale ha offerto innumerevoli chiavi
di lettura, suscitando le più svariate interpretazioni. L’equivoco nasce in
parte da episodi cruciali della sua vita, come la malattia e il suicidio, che
calamitano l’attenzione offuscando altri lati del suo carattere. Ma ciò che
1
V. Woolf, “Modern Fiction”, in Virginia Woolf, The Common Reader: first series (1925), London, The
Hogarth Press, 1951, p.189.
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rende ancor più ardua l’analisi è la continua alternanza tra le due sfere,
quella pubblica e quella privata: tra la Woolf mondana, circondata da amici
e conoscenti, e la Woolf chiusa nella sua solitudine interiore, inibita,
apprensiva.
Virginia Adeline Stephen nacque il 25 gennaio 1882 al numero 22 di
Hyde Park Gate, Londra. Dapprincipio la famiglia chiamò “beauty” questa
piccola dai capelli rossi e gli occhi verdi. Suo padre, Leslie Stephen, fu uno
dei critici e storici maggiormente noti dell’età vittoriana. Dopo la fine
prematura della prima moglie Harriet Marion, figlia di William M.
Thackeray, dal cui matrimonio nacque Laura,
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sposò in seconde nozze
Julia Jackson Duckworth, anch’ella vedova e già madre di George, Stella e
Gerard. Dalla loro unione nacquero Thoby, Vanessa, Virginia ed Adrian.
Dato il numeroso nucleo familiare, non c’è da stupirsi che l’autrice
abbia dedicato uno dei suoi saggi più celebri alla necessità per una donna
di avere una stanza tutta per sé, prezioso bene di cui anch’ella dovette fare
a meno per lungo tempo.
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L’infanzia e l’adolescenza della scrittrice furono insolite; la casa
paterna era luogo d’incontro di famosi critici e scrittori dell’epoca: Henry
James, George Meredith, Edmund Gosse. Ne risultò un’anomala
formazione culturale, priva di educazione scolastica, inizialmente diretta
dai genitori.
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Eppure già all’età di quindici anni Virginia fu capace di
orientare personalmente le sue scelte nella biblioteca paterna, sviluppando
un crescente gusto per la saggistica, la storia e la biografia.
2
Laura, bimba ritardata, fu sempre fonte di preoccupazione per Leslie Stephen e la sua seconda moglie,
che, esasperati dalla crescente frustrazione, la ricoverarono in un istituto per bambini con handicap
mentali.
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Virginia Woolf, A Room of One's Own (1929), London, The Hogarth Press, 1978.
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La madre impartiva lezioni di latino che iniziarono addirittura prima che Virginia compisse i sette anni
di età.
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Furono pochi gli anni veramente spensierati, quelli pregni delle
interessanti lezioni paterne, dei romanzi di Walter Scott, dei disegni in cui
il padre illustrava i luoghi teatro delle storie di avventura da lui narrate. A
tal proposito, Virginia scrive in Impressions of Sir Leslie Stephen:
When we were old enough, he spent the time in reading aloud to us. I cannot remember
any book before Tom Brown’s School Days and Treasure Island, but it must have been
very soon that we attacked the first of that long line of red backs – the thirty-two
volumes of the Waverly novels… At the end of a volume my father always gravely
asked our opinion as to its merits, and we were required to say which of the characters
we liked best and why. I can remember his indignation when one of us preferred the
hero to the far more lifelike villain… When my brothers had gone to school, he still
went on reading to my sister and me, but chose more serious books. He read Carlyle’s
French Revolution, and stopped in the middle of Vanity Fair… He read Miss Austen
through, and Hawthorne, and some of Shakespeare and many other classics… He began
too to read poetry instead of prose on Sunday nights.
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Sono opere storiche e biografiche quelle che Virginia legge su
suggerimento del padre: The History of England di Froude, Queen
Elizabeth di Creighton, Life of Scott di Lockhart, The History of Rome di
Arnold, The History of England di Macaulay e quasi tutti gli scritti di
Carlyle, nonché le opere paterne.
D’altronde questi riteneva che una solida base storico-culturale fosse
essenziale per garantire l’apprendimento della letteratura, la sua evoluzione
correlata agli eventi storici, l’alternarsi dei generi letterari, concetti che si
ritrovano nell’opera saggistica della Woolf.
Quel periodo, dunque, può essere considerato una premessa alla sua futura
attività letteraria, dedicata soprattutto al giornalismo e ai romanzi.
Fu proprio l’ambiente familiare, così fertile, a favorire conoscenze e
amicizie interessantissime dal punto di vista artistico. Lytton Strachey,
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Virginia Woolf, “Impressions of Sir Leslie Stephen”, in The Essays of Virginia Woolf, ed. by A.
McNellie, London, The Hogarth Press, 1986, vol. I, p. 127.
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scrittore e critico letterario, per breve tempo pretendente di Virginia,
rimase legato a lei da un’affettuosa amicizia consolidata negli anni. Anche
Clive Bell, famoso critico d’arte e futuro marito di Vanessa, mantenne
sempre un rapporto di reciproca stima con la cognata.
Entrambi condivisero con i fratelli Stephen l’esperienza del
Bloomsbury Group, riunioni informali di ritrovo e discussione tenute da
giovani intellettuali, tra cui Leonard Sidney Woolf, futuro marito di
Virginia, e Roger Fry, noto critico d’arte, destinato ad occupare un posto di
rilievo nella cerchia degli amici più stretti.
Il Bloomsbury, come semplicemente lo chiamavano i suoi aderenti, doveva
il suo nome al quartiere londinese in cui si svolgevano gli incontri; in un
lasso temporale che va dal 1905 circa fino alla seconda guerra mondiale, i
suoi esponenti furono i personaggi dell’avanguardia inglese,
intellettualmente liberi ed estremamente raffinati in campo artistico
letterario.
Dolorosi avvenimenti condizionarono presto la vita dell’autrice: i
numerosi lutti che colpirono amici e parenti acutizzarono, anche se non ne
furono l’unica causa, il suo malessere psichico, rendendola ulteriormente
fragile. Ma a spezzare definitivamente la sua infanzia fu la morte della
madre, il 5 maggio 1895. Questa perdita, subita a soli tredici anni, la
ossessionò per sempre.