3
sicuramente l'accesso alle fonti di informazione. Ciò è dovuto al fatto che poteri politici e
comandi militari, in un tempo in cui ogni minuto ci sembra di sapere, in “tempo reale”,
quello che avviene nel mondo, mirano a controllarle per condizionare l'informazione,
perché un'informazione libera potrebbe danneggiare gli interessi dei leader e dei gruppi
politici al potere.
Agli editori ed ai direttori spetta l'importante processo della selezione delle notizie,
il cosiddetto newsmaking, ed essi sono spesso guidati da criteri tutt'altro che etici e
deontologici nel decidere che cosa è giusto che il pubblico sappia e che cosa deve essere
invece omesso; questo purtroppo accade anche durante lo svolgersi di un conflitto, in tutte
le sue fasi. Significativa a tale proposito la citazione con la quale si apre il V Capitolo del
libro di Mimmo Candito, I Reporter di guerra, e che terrei a riportare: “[...] Quando si
dichiara guerra, la prima vittima è sempre la verità. Arthur Ponsonby, in Falsehood in
Wartime”.
2
Questa tipologia professionale ha subito notevoli mutamenti dalle sue origini
ai nostri giorni; tale evoluzione può essere riscontrata nel rapporto esistente tra i
giornalisti ed i militari. Basti pensare al modo Sir Garnet Wolseley definì nel 1869 i
corrispondenti di guerra al seguito dei militari, nello specifico Russell, ricordato da
Mimmo Candito: ”[...] questi nuovi figurini inventati ora in appendice agli eserciti,
che mangiano a sbafo le razioni dei soldati e nemmeno sanno che cosa sia il lavoro”.
3
La guerra in Iraq ha rappresentato un punto di svolta perché da allora i reporter
sono tenuti a debita distanza dai campi di battaglia, oppure organicamente inseriti
nell'esercito come embedded (“vincolati”), il che comporta la necessità di seguire un
vero e proprio codice di comportamento: chi rientra in questo gruppo, infatti, è
costretto a firmare un contratto, che non consente una completa libertà di movimento.
Sono cresciuti pesantemente l'influenza e la pressione dei militari sui
giornalisti di guerra, ma anche la messa in scena di eventi bellici che si prestano in
modo particolare a diventare notizie in quanto rispondono a determinati criteri di
2
Cit. in M. CANDITO, I reporter di guerra, pag. 219.
3
M. CANDITO, I reporter di guerra, pag. 13.
4
spettacolarità. Si ottiene dunque un'informazione che dona al pubblico a volte solo
l'apparenza di sapere tutto quando, invece, non si sa niente sulla cruda realtà della
guerra, e le immagini più cruente vengono nascoste, lasciando spazio solo a quelle
che rispondono a criteri di spettacolarità.
4
Accanto ai giornalisti embedded, operano anche i free lance, che devono
seguire da indipendenti le operazioni sul campo, senza alcun tipo di contratto o
assicurazione, e la cui sorte spesso non è delle migliori. Ed ecco l’eterna diatriba tra
esercito e giornalisti cosiddetti “cani sciolti”: da un lato i corrispondenti pretendono
una maggiore libertà nella ricerca e narrazione degli avvenimenti, d’altro canto gli
eserciti non vogliono che qualcuno faccia da intralcio alle operazioni militari,
esponendo a rischi se stesso e gli altri.
In questa tesi intendiamo offrire una panoramica storica che tratta a grandi
linee l'evoluzione della figura del reporter di guerra dagli esordi ai nostri giorni,
cerchiamo di analizzare alcuni eventi bellici significativi dal punto di vista della
disinformazione (Vietnam, Afghanistan, Iraq) e proviamo ad ipotizzare quale sarà il
futuro di questa professione difficile e controversa, grazie al contributo di autori
significativi e testimonianze dirette di personalità che hanno conosciuto in prima
persona la realtà della guerra. Ci si domanda inoltre se dobbiamo arrenderci alla
limitazione del reporter di guerra nella propria facoltà di informare oppure se, e
come, è possibile una rinascita di questa professione.
Bisogna sperare che la consuetudine non sia più quella di giornalisti che
descrivono la guerra dalle terrazze di Hotel di lusso o grazie alle veline passate dagli
eserciti, bensì quella di professionisti dell’informazione disposti a ricercare la verità e
a cantare fuori dal coro l’obiettività, anche in situazioni limite, andando oltre il già
detto. La figura dell'inviato di guerra è significativa per le Scienze della
Comunicazione Sociale in quanto emblematica per il mestiere del giornalista e del
comunicatore: egli in particolare dovrebbe descrivere attraverso i suoi occhi ciò che
vede in terre colpite dalla guerra, senza lasciarsi piegare o indebolire da pregiudizi.
4
P. SUBER, Inviato di guerra. Verità e menzogne, Roma, Laterza, 2004, pag. 108.
5
Nel ripercorrere la storia della professione e nell’ipotizzarne l’evoluzione mi
avvalgo di fonti orali e scritte, di libri di storici, giornalisti e docenti di comunicazione,
che rappresentano visioni ed indirizzi di indagine diversi; l’argomento è dunque
particolarmente controverso e discusso, e vari studiosi appartenenti a diverse categorie si
sono avvicinati alla materia. Per quanto riguarda i giornalisti, la produzione è cospicua
soprattutto negli ultimissimi anni, quindi ho dovuto fare un lavoro di cernita dei saggi che
non fossero solo reportage dell’esperienza giornalistica sul campo ma che contenessero
delle precisazioni teoriche supportate da esempi concreti. Le ricerche dunque non
mancano, ma ho mirato ad unificare al meglio analisi storica, mediatica, sociologica: dalla
storia, attraverso i mezzi di comunicazione, nella società. Il tutto nella maniera più
organica possibile, seguendo un metodo analitico-critico ed induttivo: da un’analisi
dettagliata dell’evoluzione del mestiere del reporter di guerra nei vari conflitti ed
attraverso il diffondersi dei vari mezzi di comunicazione grazie, si giunge ad una
panoramica più ampia sul giornalismo in generale e sul ruolo del destinatario nel
processo comunicativo; questo sempre grazie all’analisi di alcuni autori.
Il testo è strutturato in tre capitoli. Il primo è essenzialmente storico: parte dal
primo e più famoso inviato di guerra, Russell, e giunge alla rivoluzione informatica.
Ripercorro l'evoluzione dei mezzi di comunicazione adottati nel corso della storia per
comunicare la realtà della guerra, fornendo precisazioni sulle peculiarità di ognuno di
essi in relazione a tale comunicazione.
Il secondo capitolo, invece, scende nello specifico di alcuni eventi bellici
particolari, significativi dal punto di vista dell'evoluzione mediatica (Vietnam, Golfo,
Iraq, Afghanistan), esempi di un sano giornalismo in relazione a ciascuno di questi
casi bellici. Ripercorro le evoluzioni della figura professionale, nello specifico con la
nascita del giornalismo embedded durante la guerra del Golfo, che ha rivoluzionato il ruolo
degli inviati nel corso dei conflitti.
Il terzo ed ultimo capitolo, infine, è di approfondimento: si tratta la distinzione
tra giornalisti embedded e free lance; i rischi del mestiere; le distorsioni del
giornalismo attraverso l’instant journalism ed il newsmaking. Nello specifico,
6
affronterò la questione di Internet, che può rappresentare un’importante arma di difesa
contro la limitazione della libertà d’espressione, in favore della libera partecipazione del
destinatario attraverso una fruizione critica e responsabile. Purtroppo però la rete
informatica, come la realtà complessa dei media, è irrimediabilmente caratterizzata da
ambiguità: può essere opportunità di libertà di informazione ma anche veicolo di
propaganda; ad esempio quando il vero si confonde o si scambia per “verosimile”.
Positiva comunque la nascita di organizzazioni di professionisti del settore che hanno
deciso di unirsi per difendere la libertà d’espressione e combattere la censura e la
scomparsa del senso critico che annega nell’immaginario collettivo dominante. Che
sia di buon auspicio per tutti, professionisti e pubblico, per una conoscenza il più
possibile completa ed il meno veicolata possibile.
7
Capitolo primo
ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL REPORTAGE DI GUERRA
“La guerra, da Omero in poi, è stata sicuramente uno degli argomenti più
narrati”.
5
Le idee circa l'origine del reporter di guerra sono contrastanti: alcuni
accademici addirittura la fanno risalire all'Anabasi di Senofonte, altri riconoscono in
Giulio Cesare il primo ad aver fornito una descrizione in tempo reale dell'evento
bellico. Lo storico Raymond Sibbad, invece, è convinto che il primo reporter sia stato
il cavaliere Jean de Varin, che aveva raccontato alcune delle fasi più salienti della
battaglia di Agincourt del 1415, con il duca di Orléans.
Nonostante ciò, ormai si concorda con il vedere come capostipite di questa
professione l'irlandese William Howard Russell, inviato del quotidiano inglese The
Times, che con la sua cronaca del 14 novembre 1854, descrisse con dovizia di
particolari la sconfitta della cavalleria inglese dopo l'assalto alle truppe russe, durante
la celebre guerra di Crimea.
6
Seguirò dunque alcune delle tappe principali, a partire da Russell, per
ripercorrere l’evoluzione che ha subito il rapporto tra media e guerra, nello specifico
come è cambiato il modo di fare informazione da zone di guerra con l’introduzione
graduale dei nuovi mezzi di comunicazione (telegrafo, telefono, radio, cinema,
televisione, Internet).
5
V. DAMIANI, Professione reporter di guerra, Roma, Prospettiva editrice, 2007, pag. 12.
6
Cf. V. DAMIANI, Professione reporter di guerra, pagg. 12-13.
8
1. William Howard Russell
William Russell si distaccò dal passato, in cui le notizie dal fronte giungevano
solo tramite alcuni servizi di ufficiali appositamente scelti dall'Autorità militare.
Invece dei resoconti sterili e retorici, dunque, egli offrì dei racconti che gli fecero
meritare una statua di bronzo nella cattedrale londinese di St. Paul. Su di essa, una
targa recita: “William Howard Russell, il primo e il più grande”.
7
Ciò che contraddistinse il ruolo rivestito da William Russell e lo fece
considerare l'effettivo capostipite dei reporter di guerra fu molto probabilmente il
fatto che la sua attività professionale si sviluppò con il sorgere della guerra moderna.
Dall'incrocio delle sciabole, c’era stato, infatti, il netto passaggio al rombo dei
cannoni.
Russell ebbe il coraggio di mettersi contro i canoni prestabiliti nel racconto di
guerra (in precedenza si celebravano solo le vittorie), e provò ad offrire una
descrizione il più possibile realistica di ciò che stava avvenendo in Crimea il 14
novembre del 1854.
Ci si può dunque solo immaginare lo stupore dei lettori del Times quel giorno: per
quanto Russell non utilizzò mai chiaramente la parola “sconfitta” per l’esercito
britannico, cercando di edulcorare il disastroso esito della battaglia con termini quali
“eroismi” e “generosità straordinaria dei nostri uomini”, egli non si fece scrupoli di
alcun genere a narrare la verità.
In realtà, cronologicamente parlando, un altro inviato era stato spedito al
fronte dal Times per descrivere una guerra: Henry Crabb Robinson, quasi mezzo
secolo prima di lui. Inviato in Prussia dall’allora direttore della testata, John Walter,
per seguire da vicino le imprese di Napoleone, egli si rivelò però un fallimento. Il
suo primo racconto da inviato, infatti, ossia quello spedito da Friedland, fu soltanto il
misero riporto di ciò che raccontava chi invece era stato realmente presente a quella
9
battaglia. Egli può essere considerato quindi, più che il precursore di un sano
reportage di guerra, l’antenato di alcuni esponenti della triste degenerazione di questa
professione, che si limitano a descrivere i conflitti comodamente adagiati nella
propria stanza d’albergo.
Un corrispondente invece degno di nota al pari di Russell può essere
considerato Charles Lewis Guneison, distintosi durante la guerra civile spagnola.
Inviato nel 1834 dal Morning Post, infatti, egli fu spedito in galera accusato di
spionaggio. A salvarlo dai carlisti fu solo ed esclusivamente il governo inglese che
provvide a difenderlo. A dimostrazione del suo lavoro certosino, l’enorme incremento
di vendite del suo giornale e l’immediata reazione del Times che spedì Russell a
Malta per tentare di mantenere il primato.
8
Una conseguenza del lavoro di Russell fu che nel 1856 in Gran Bretagna venne
reso obbligatorio l’accreditamento dei giornalisti da parte delle autorità militari. In
qualche modo, sostiene Vincenzo Damiani, “era l’embrione del giornalista
embedded”.
9
2. L'arrivo dei mezzi di comunicazione
Come si legge in La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche,
Il rapporto tra i mezzi di comunicazione di massa e la guerra è stato
caratterizzato fin dalla nascita dei primi strumenti d’informazione da un
intenso legame di reciproca dipendenza, come se le innovazioni nel settore
della comunicazione fossero di volta in volta al servizio delle operazioni
militari e, al tempo stesso, i mass media trovassero negli eventi bellici un
terreno di sperimentazione e avanzamento delle proprie potenzialità.
10
7
Cf. V. DAMIANI, Professione reporter di guerra, pagg. 12-13.
8
Cf. M. CANDITO, I reporter di guerra, pagg. 219-226.
9
V. DAMIANI, Professione reporter di guerra, pag. 15.
10
G. AMALFITANO, Guerra e mass media, in F. LEVER – P. C. RIVOLTELLA – A. ZANACCHI (Eds),