1.1.1 I GRANDI MAGAZZINI
Nasce così un modo di vita che celebra con il grande magazzino i nuovi riti del
consumo. Innanzitutto:
� L'obiettivo primario è quello di cercare di vendere il più
possibile, accontentandosi di bassi margini di guadagno, ma in modo
tale da ottenere una rapida rotazione della merce, in questo modo si
potevano raggiungere alti volumi di fatturato diminuendo la giacenza
media nel magazzino della merceologia esposta.
� In secondo luogo, si rifiuta la prassi corrente e fino allora
indiscussa di contrattare con il cliente il prezzo di volta in
volta: nel grande magazzino il prezzo è fisso. Al cliente però si
concede di entrare nel negozio liberamente senza doversi sentire
obbligato all' acquisto.
� Infine, gli si consente di riportare indietro la merce se
questa si sia rivelata non di suo gradimento.
Anche se in condizioni ambientali molto diverse, i grandi magazzini sorgono in
modo simile e il successo nei confronti delle botteghe tradizionali è dirompente.
Un’altra sostanziale diversità tra il vecchio e il nuovo modo di intendere il
commercio è ben presente nella comparazione che segue.
Il negozio tradizionale, soprattutto nell'abbigliamento,
si occupa di una linea di prodotti molto delimitata, le
buone
regole del mestiere gli dicono che non si tratta di vendere
molto, ma di vendere con forte profitto.
Il grande magazzino offre invece un ampio
assortimento, cioè una vasta gamma di
prodotti.
Il punto di partenza è dato di solito dagli articoli di vestiario, dalle
stoffe e dai tessuti, ma ben presto l'attività si diversifica: si forma una sezione per
l'arredamento e i prodotti per la casa, per la gioielleria, per la cartoleria e per i
giocattoli.
Fondamentale diventa vendere grandi quantità di merci a moltissimi clienti e ad un
prezzo notevolmente inferiore a quello praticato dalla concorrenza.
Come già affermato, i margini di guadagno sono
volutamente tenuti bassi poiché come è facile intuire
l'obbiettivo è mantenere la merce in magazzino il più breve
tempo possibile.
Ci si serve della pubblicità, attraverso cataloghi, annunci,
manifesti, come mai era avvenuto in passato.
Si cura la disposizione
delle vendite in modo
che nessun angolo
rimanga deserto, ma
dappertutto ci siano clienti e confusione, e
soprattutto sia affollato l'ingresso, motivo certo di
curiosità per i passanti.
All'interno l'ambiente è confortevole con più di
un tocco esotico. L’accostamento delle merci è
tale da colpire l'occhio con la contiguità dei colori più accesi, mentre sui banchi
stoffe e tessuti sono posti in modo apparentemente disordinato. Le sezioni sono
collocate in modo che il cliente si muova il più possibile e venga stimolato ad
acquisti cui non aveva pensato al momento dell'entrata.
La "vendita porta vendita" e quindi l'ingresso libero e l'aver posto sotto uno stesso
tetto prodotti molto diversi si rivela un elemento molto favorevole.
Il grande magazzino, infine, non concede generalmente credito e il flusso di denaro
è tale da renderlo indipendente da finanziatori esterni.
Tutti questi nuovi criteri di gestione del punto di vendita rappresentano un'evidente
soluzione di continuità con il passato.
Superiorità organizzativa,
grandi superfici di vendita, ampi assortimenti
merceologici, disponibilità finanziaria divengono
i fattori chiave della moderna gestione delle
strutture di vendita in termini imprenditoriali
NASCE COSI’ LA DISTRIBUZIONE
MODERNA
CAPITOLO 1
INDICE
1.1.2 L'ESEMPIO DEL BON MARCHÉ
Storicamente le prime forme distributive moderne nacquero nella seconda metà
dell’800 grazie ad Aristide Boucicaut che nel 1852 applica gradualmente questi
innovativi criteri gestionali ad un florido negozio di tessuti ed abbigliamento di
Parigi: il Bon Marché.
Il successo è irresistibile. Le vendite passano da 500.000 franchi nel primo anno a
cinque milioni nel 1860, a venti milioni nel 1870. Quando muore, nel 1877,
Boucicaut è probabilmente il proprietario della maggiore impresa al dettaglio
esistente al mondo.
L'esempio del Bon Marché trova rapidamente degli imitatori a Parigi, come il
Magazzino Louvre che punta su una clientela a più alto reddito, e poi
Printemps, alla cui guida è un ex-dipendente di Boucicaut, e la Samaritaine.
Ma è negli Stati Uniti che fra il 1860 e il 1880 i "departement stores" si
moltiplicano: a New York, con il più vasto mercato della nazione, per proseguire a
Chicago, Filadelfia, Boston, Baltimora, Detroit.
Più lenta è l'evoluzione della nuova forma di organizzazione commerciale in Gran
Bretagna, in Germania, nei Paesi Bassi, in Svizzera, in Scandinavia, paesi nei quali
però dopo il 1890 consegue notevoli affermazioni.
In Italia i primi grandi magazzini furono avviati alla fine dell’800 per iniziativa di due
commercianti, Bocconi a Milano e Mele a Napoli. Grazie all'attività dei fratelli
Bocconi, che operavano nel commercio milanese per tradizione famigliare, nel
1877 viene aperto il primo grande magazzino nel capoluogo lombardo, seguito da
filiali nei maggiori centri urbani del Paese.
I magazzini della ditta Bocconi saranno poi acquistati da "La Rinascente", la
società che perseguirà il preciso obiettivo di portare alla definitiva affermazione
anche in Italia la nuova formula commerciale.
CAPITOLO 1
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1.1.3 I MAGAZZINI A PREZZO UNICO
I primi anni del nostro secolo, hanno visto nascere anche in Italia i magazzini a
"prezzo unico", sulla base del modello americano promosso da
Woolworth.
Il termine "vendita a prezzo unico" non è del tutto corretto: in realtà ci si avvale di
una scala di prezzi che corrispondono a multipli e sottomultipli dell'unità monetaria,
una scala tanto più estesa quanto più si passa dal mercato americano e dal
mercato inglese a quello dell'Europa continentale, nel quale i gusti e le preferenze
individuali incidono in misura maggiore.
Cosi', se la più grande impresa in questo campo degli Stati Uniti e della Gran
Bretagna, la Woolworth, attorno al 1935, vende con un sistema che prevede tre
prezzi, in Italia nello stesso periodo la Upim scagliona le sue merci su una
cinquantina di prezzi.
L'essenziale è che si tratti di prodotti soggetti a
vendite di massa, che rispondano cioè a una
domanda vasta e costante, non influenzabile
dalla moda o da gusti personali.
Non solo quindi si limitano i tipi di merci, ma soprattutto si limita l'assortimento
delle singole merci che in genere non supera i cinquemila articoli cosi da andare
incontro alle ordinarie esigenze della clientela.
L’obiettivo del magazzino a "prezzo unico" è
dunque quello di raggiungere la più ampia
fascia possibile di consumatori e, a questo scopo,
si colloca non solo nelle metropoli, ma anche
nelle città medie e piccole, ovunque vi sia un
notevole addensamento demografico.
Il magazzino a "prezzo unico" mantiene dunque alcune caratteristiche proprie del
grande magazzino, sia dal punto di vista del tipo di offerta presentata, sia dal punto
di vista organizzativo.
Innanzitutto può effettuare acquisti di massa per una gamma più ristretta di
prodotti, riuscendo ad esercitare una maggiore pressione sui fornitori e perciò a
spuntare prezzi più bassi.
Si differenzia inoltre in modo abbastanza netto dal grande magazzino per altri
elementi caratteristici, determinati proprio dal largo consumo della merce posta in
vendita.
Non si presenta più la necessità della grandiosità e del lusso tipici del grande
magazzino, bastano locali spaziosi, appositamente disegnati per permettere al
cliente ampia libertà di movimento.
Non è più necessario spendere somme notevoli per la pubblicità; e neanche è
necessario attirare la clientela offrendole servizi come sale di lettura o da tè o
cabine telefoniche o particolari benefici come la possibilità di restituire i prodotti
ritenuti insoddisfacenti.
D'altra parte l'atto della vendita appare molto semplificato, tanto che è possibile
utilizzare forza lavoro meno qualificata rispetto a quella in servizio presso i grandi
magazzini.
Infine nel nostro Paese le più importanti imprese che si presentano sul mercato con
questa innovativa formula commerciale sono Upim dapprima e Standa
subito dopo.
Nel 1928 La Rinascente, costituita nel 1917 dall’industriale Senatore Borletti allo
scopo di rilevare i magazzini Bocconi, aprì il primo magazzino Upi a Verona, la cui
insegna sta per "Unico Prezzo Italiano", lo stesso fu poi ridenominato UPIM (dove
la M sta per Milano). Il capitale della società è interamente posseduto da La
Rinascente, ma per precisa volontà di Franco Monzino, il dirigente che più aveva
voluto l'introduzione in Italia della nuova formula commerciale, il grosso del
pubblico avrebbe dovuto ignorare la comune origine delle due aziende. In tal modo
gli avversari non avrebbero avuto interesse a svalutare l'iniziativa, mentre il
pubblico avrebbe visto un fenomeno di dinamismo nelle due ditte separate e si
sarebbe appoggiato ora all'una ora all'altra.
Lo stesso Monzino, lasciata La Rinascente per alcuni disaccordi, fonda nel 1931 la
"Società Anonima Magazzini Standard", la quale aprirà nello stesso anno il suo
primo magazzino a Milano con l’insegna "MODERNO 33", che in seguito,
e più precisamente nel 1937, prenderà il nome di "Standa".
Ciò che risulta in definitiva è un
organismo agile e flessibile con un
elevato indice di rotazione delle
merci, che consente di ottenere un
ottimo livello di profitto totale
anche se quello per unità di merce
è basso.
Tra le maggiori imprese operanti nel
settore ricordiamo Woolworth,
importata in Inghilterra dall'omonimo
imprenditore americano. Sempre in
Inghilterra vanno citate Marks and
Spencer e The British Home Stores.
In Germania sono presenti Leonard
Tietz e Karstadt; mentre in Francia
conquistano un facile successo
Nouvelles Galeries e Printemps.
CAPITOLO 1
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1.2.1 LA NASCITA DI NUOVE FORMULE DISTRIBUTIVE
Dalla metà degli anni '50 anche nei paesi europei compare la formula commerciale
maggiormente destinata al successo e alla diffusione: il supermercato.
Alla base di questa nuova tipologia di vendita, stanno una serie di importanti
cambiamenti economici e sociali che hanno particolarmente caratterizzato lo
scenario europeo nel secondo dopoguerra.
INCREMENTO DEI CONSUMI PRIVATI PRO CAPITE
CONSIDEREVOLI FENOMENI DI
INURBAMENTO
PROFONDE MODIFICAZIONI
INTERVENUTE NELLE CONDIZIONI
DI VITA DEI CONSUMATORI
Sono tutti elementi che hanno fortemente condizionato il mutamento dell'offerta di
servizi commerciali da parte delle imprese operanti nel settore.
CAPITOLO 1
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1.2.1.1 I COMPARTI GROCERY E NON GROCERY
Un connotato di grande rilievo del nuovo mercato dei servizi commerciali è
rappresentato dalla separazione, sempre più netta, tra due tipologie commerciali di
beni: quella dei beni di largo consumo, o non problematici, o cosiddetti banali
(GROCERY), e quella dei beni problematici (non grocery).
Si tratta di due comparti fondamentali della distribuzione commerciale,
caratterizzati da tecniche di vendita, da meccanismi competitivi, da rapporti con
l'industria, sostanzialmente differenti.
Un prodotto viene considerato "bene di largo consumo" in relazione alla sua
idoneità ad essere sottoposto alle regole della distribuzione di massa,
indipendentemente dalla frequenza di acquisto o dal suo valore unitario.
Questa idoneità dipende si dalle caratteristiche merceologiche e dal grado di
conoscenza del bene di cui dispone il consumatore, ma anche dalla capacità del
sistema distributivo (e industriale) di convincere il consumatore ad accettare un
trattamento commerciale dei beni sostanzialmente differente dal grande magazzino
e caratterizzato dalla standardizzazione del servizio, e dalla diminuzione del costo di
distribuzione.
Più specificamente, si può parlare di beni "BANALI" quando:
l'attività di acquisto assume un significato routinario;
l'acquirente è disposto a rinunciare al servizio di assistenza
offerto dal commerciante, manifestando una forte propensione
agli acquisti di tipo a self-service;
il consumatore non è disposto ad investire risorse di tempo
nell'attività di acquisto dei prodotti;
il consumatore tende a preferire i punti di vendita con un
assortimentomolto ampio, tale da favorire la concentrazione
degli acquisti.
Diversamente, i beni sono ritenuti "PROBLEMATICI" quando:
le decisioni di consumo sono rese complesse da innumerevoli
variabili; oltre ai prezzi e alla qualità dei prodotti tendono infatti ad
assumere una particolare rilevanza le caratteristiche socio-
economiche dei consumatori e gli stili di vita;
l'attività di acquisto non assume un significato routinario;
il consumatore attribuisce un'enorme importanza al servizio
offerto;gli acquirenti sono disposti ad investire tempo nell'attività di
acquisto, tanto da considerarla un’attività gratificante ed appagante;
i consumatori tendono a preferire i punti di vendita con un
assortimento specializzato e profondo, in grado cioè di offrire diverse
alternative di acquisto per lo stesso genere di prodotto.
Riporto di seguito alcuni degli esempi più caratteristici delle due categorie di
prodotti.
In ragione di queste considerazioni, appare evidente l'esigenza di proporre
un'offerta commerciale ben differente a seconda della tipologia di prodotti
considerata.
I cambiamenti sociali ed economici di cui abbiamo detto tendono, di fatto, ad
ampliare la gamma di prodotti che a buona ragione possono essere introdotti nella
categoria dei beni "banali". I ritmi di vita più frenetici, il sempre più diffuso lavoro
femminile, diminuiscono la disponibilità di tempo libero e l'attenzione per alcuni tipi
di acquisti: quelli concernenti i beni di largo consumo, atti a soddisfare le ordinarie
necessità dei consumatori.
Sono prodotti banali la maggior parte
dei prodotti alimentari, quali la pasta, il
riso, le conserve di pomodoro, il pane,
ecc.; ma anche buona parte di quei
prodotti utilizzati per l'igiene personale o
della casa: saponette, carta igienica,
detersivi, ecc.
Per avere un'idea di prodotti
problematici si pensi invece ad impianti
stereofonici molto sofisticati, a capi
d'abbigliamento molto ricercati, alle
automobili .
CAPITOLO 1
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1.2.2 IL SUPERMERCATO
Questo è il terreno ideale perché possa nascere una moderna forma distributiva
che faccia del libero servizio la sua caratteristica più importante:
Nel supermercato il consumatore può trovare un vasto assortimento di prodotti di
largo consumo, in massima parte preconfezionati, nonché, eventualmente, alcuni
articoli non alimentari, ma sempre di uso domestico corrente. La vendita è
organizzata a libero servizio con pagamento all'uscita poiché, nella maggior parte
dei casi, l'assistenza del personale non si rende necessaria.
Oggi, secondo le definizioni concordate in seno ad un apposito gruppo di studio
ministeriale,
In Italia già nel 1957 veniva aperto il primo supermercato da parte della
Supermarkets Italiani, una società nata dalla collaborazione tra il Gruppo
Rockfeller e alcuni imprenditori italiani.
Malgrado questo inizio promettente, per una serie di ragioni la diffusione dei
supermercati nel nostro Paese è ben più lenta di quanto non accada in Inghilterra,
Francia o Germania.
L'incremento dei consumi privati, pur essendo di proporzioni straordinarie
(4,8 % su base annua nel periodo 1955-69), subisce una flessione negli anni '60.
L'espansione del mercato provoca infatti una più intensa pressione competitiva e
l'evoluzione economica del Paese si rivela meno lineare di quanto apparisse
inizialmente; compaiono una serie di costi che in precedenza non sembravano poter
frenare le diverse crescite aziendali: molto serio è il balzo verso l’alto del costo del
lavoro, raddoppiato nel periodo tra il 1960 e il 1965.
IL SUPERMERCATO
per supermercato si intende un esercizio di
vendita al dettaglio operante nel campo
alimentare (autonomo o reparto di un grande
magazzino) che dispone di una superficie di
vendita che varia tra i 400 e i 2500 mq..
CAPITOLO 1
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1.2.2.1 I VINCOLI GUIRIDICO-POLITICI CHE NE HANNO
RALLENTATO LO SVILUPPO
Ancora più gravi sono una serie di ostacoli giuridico-politici che non consentono
l'espansione dei grandi gruppi di vendita al dettaglio. La legislazione restrittiva
stabilita tra il 1926 e il 1938 è ancora in vigore, e permane la pressione sul potere
politico del picco e medio commercio, che frena la modernizzazione dell'apparato
distributivo.
Una forte pressione in questo senso prenderà precisa forma nella legge 426/71 che
regolamenta il settore della distribuzione commerciale in modo molto rigido.
L'operatore pubblico è intervenuto per porre delle barriere di ordine
amministrativo all'entrata, al fine di raffreddare l'intensità competitiva all'interno del
mercato.
Per il mondo della G.D.O. (Grande Distribuzione Organizzata), le principali
implicazioni fanno riferimento agli orari consentiti per l’apertura e la chiusura degli
esercizi commerciali; agli insediamenti commerciali, che si devono collocare
secondo le previsioni dei piani urbanistici definiti dalle autorità locali; all'apertura
dei punti di vendita subordinata alla concessione di autorizzazioni amministrative.
La regolamentazione della velocità della modernizzazione nel settore distributivo
avrebbe dovuto impedire l'espulsione di una componente dell'offerta rappresentata
dal dettaglio tradizionale; tale espulsione avrebbe potuto generare infatti, secondo il
legislatore, una situazione di instabilità non facilmente assorbibile nel breve termine.
Il prezzo che si è pagato è risultato probabilmente superiore a quello ipotizzabile, i
quanto alla rallentata trasformazione del settore in termini competitivi, peraltro
prevista, si è aggiunta una situazione congiunturale non favorevole al commercio
durata per tutti gli anni '70.
Ai vincoli propri della regolamentazione voluta, si sono poi aggiunti quelli
determinati dall'inefficienza della pubblica amministrazione, sebbene solo in parte
prevedibili. Infatti, se si poteva immaginare che l'impreparazione culturale e tecnica
della burocrazia amministrativa a trattare il problema distributivo avrebbe di fatto
rallentato il processo di regolazione, la gestione dei processi di pianificazione a
livello comunale e non a livello regionale non era un dato previsto nemmeno dal
testo di legge. Tutto ciò poiché i piani commerciali, imprescindibili per la
concessione delle autorizzazioni amministrative, furono subordinati alle stesure dei
piani urbanistici, che sono appunto di competenza delle autorità comunali spesso
inadempienti nella realizzazione o nel rinnovo degli stessi.
La discrezionalità più ampia a livello locale nella gestione normativa ha prodotto
non solamente intensità competitive molto difformi sotto il profilo spaziale, ma a
volte, situazioni contrastanti rispetto agli orientamenti della legge.
Finalmente nel 1982 il decreto Marcora ha aperto la strada ad una serie di
modifiche alla legge quadro che si sono susseguite per tutti gli anni '80.
Una serie di provvedimenti legislativi e di interpretazioni attuative hanno infatti
limitato gli effetti restrittivi della L.426/71 senza che venisse effettuata una riforma
legislativa generale ed organica. La modalità utilizzata è stata quella di ampliare i
cosiddetti "automatismi", consistenti nell'autorizzare i singoli operatori a superare
automaticamente, a certe condizioni, i vincoli contenuti nei piani commerciali e nei
criteri di programmazione commerciale.
I vincoli più importanti che si sono così potuti superare sono:
- quelli concernenti l'ampliamento della superficie di vendita (fino a
200 mq. per punti di vendita che operino da almeno un triennio);
- il rilascio dell'autorizzazione nel caso di concentrazione di più
esercizi commerciali (qualora in un nuovo esercizio con superficie di vendita non
superiore ai 400 mq., poi 600 mq., si concentri l'attività di almeno due esercizi
dello stesso settore merceologico operanti nel comune da almeno tre anni);
- l'unificazione e aggregazione di più merceologie (gli esercizi di
almeno 200 mq. che dispongono di una tabella merceologica relativa all'alimentare
hanno il diritto di ottenere una nuova tabella che prevede l'accorpamento dei beni
di largo e generale consumo).
Altra importantissima innovazione riguarda poi l'ampliamento e la liberalizzazione
degli orari di apertura. E' stato infatti concesso al sindaco di introdurre deroghe al
limite massimo di 44 ore settimanali di apertura.
Pur in presenza di ritardi da parte di alcuni comuni ad adeguarsi alla nuova
normativa, intorno alla metà degli anni '80 si assiste ad un diffuso ampliamento
dell'orario di apertura consentito che, di fatto, raggiunge le 50 ore settimanali.
Il vincolo della pausa pomeridiana di due ore viene superato con la legge 121 del
1987 che consente alle imprese l'orario continuato e la possibilità di posticipare la
chiusura alle 21.
Attraverso questa opportunità, le imprese dispongono non solo di un arco
settimanale di apertura ormai comparabile a quello di altri paesi europei, ma
possono avvalersi di un'ampia autonomia nel definire l'opzione temporale più
consona al settore merceologico trattato e alla tipologia di vendita gestita.
Grazie alla legge 863 del 1984, infine si è accuratamente disciplinato il rapporto di
lavoro part-time, che rappresenta un'opportunità molto rilevante particolarmente
per le imprese della distribuzione moderna. La possibilità di far fronte alle
fluttuazioni della domanda di consumo che si susseguono nelle diverse ore della
giornata e, più ancora, nei diversi giorni della settimana, gestendo il personale con
una certa elasticità, consente infatti alle imprese di sfruttare al meglio la propria
forza lavoro.
Malgrado tali innovazioni abbiano fortemente accelerato la modernizzazione
dell'apparato distributivo, va però detto che, alla luce del mercato unico europeo e
in un contesto di concorrenza internazionale, è oggi necessaria una politica
commerciale in grado di assicurare un'efficienza anche maggiore nel settore.
A tale scopo, secondo gli studiosi della materia, occorre una legislazione non solo
estremamente liberista, ma anche in grado di incentivare la modernizzazione della
distribuzione italiana.
Alla fine degli anni '50 però, rileva anche la sostanziale immaturità della domanda
di servizi commerciali che continuava a premiare il tradizionale, malgrado le
condizioni per un cambiamento innovativo dello scenario distributivo italiano
fossero ormai mature.
La clientela sentiva ancora un'importante familiarità con il punto di vendita
tradizionale: la personalizzazione del servizio, il contenuto relazionale ed umano, la
continuità delle proprie abitudini, erano tutti aspetti ai quali si continuava a dare
grande peso da parte del maggior numero dei consumatori.
Tutte queste condizioni non permisero perciò all'Italia di avere uno sviluppo delle
nuove forme distributive pari a quello ad esempio della Francia, dove società come
Carrefour, Promodès, Auchan, riuscirono facilmente ad imporsi con dimensioni
rilevanti sul mercato.
Questo ritardo nell'innovazione da parte del nostro Paese non fu senza
conseguenze, poiché all'estero le imprese più consolidate ebbero presto modo di
misurarsi con formule distributive ancora più all'avanguardia.
Tra le imprese in Italia che più meritano di essere citate ricordiamo Supermarkets
Italiani, i cui punti vendita utilizzano l'insegna Esselunga; Standa, che non tarda ad
investire le sue capacità organizzative anche nell'area "food"; il Gruppo Pam.
Non mancano esempi di azionariato pubblico, quali GS-Società Generale
Supermercati, che fa capo alla finanziaria Sme, controllata dall'IRI; ne forme di
cooperazione al consumo che pure si manifestano con moderne reti di vendita:
come Coop Italia.
Già dalla fine degli anni '50, il Gruppo Rinascente era entrato nell'area della
distribuzione alimentare rilevando alcune catene di supermercati: nasceva cosi la
Società Supermercati Alimentari, Sma. Lo sviluppo dell'azienda in questa
direzione, pur con qualche esitazione iniziale, ha dato risultati notevoli.
Nel 1989 Rinascente ha acquistato in Sicilia Sigros e Sagea, cosicchè, attualmente,
gran parte del fatturato aziendale è realizzato dall'area alimentare del Gruppo.
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