8
“Il potere esecutivo sarà conferito a un Presidente degli Stati Uniti
d’America. Egli rimarrà in carica per un periodo di quattro anni e la sua
elezione – insieme a quella del Vicepresidente prescelto per lo stesso
periodo – avrà luogo secondo le modalità seguenti:
Ogni Stato nominerà, nel modo che verrà stabilito dal suo organo
legislativo, un numero di Elettori, pari al numero complessivo dei senatori
e dei rappresentanti che lo Stato ha diritto di mandare in Congresso2…”
Il numero di seggi alla Camera dei Rappresentanti è stabilito dallo statuto federale;
al momento ci sono 435 rappresentanti. Ci sono, in aggiunta, due senatori per ogni
Stato; di conseguenza, i 50 Stati insieme hanno 535 voti elettorali. Il District of
Columbia ha acquisito tre voti elettorali in conseguenza della ratifica del XXIII
Emendamento alla Costituzione americana, nel 19613; dunque, in totale ci sono
538 voti elettorali – per cui la maggioranza necessaria per eleggere Presidente e
Vicepresidente corrisponde a 270 voti. Dopo ciascun censimento federale
decennale, i 435 seggi della Camera dei Rappresentanti sono ridistribuiti fra i 50
Stati; nessuno Stato ha meno di tre grandi Elettori.
0.1.3. La riunione del Collegio Elettorale.
La riunione del Collegio Elettorale, a metà dicembre, è regolata dal XII
Emendamento alla Costituzione americana:
“Gli Elettori si riuniranno nei loro rispettivi Stati e procederanno, con voto
a scrutinio segreto, alla nomina del Presidente e del Vicepresidente, uno
dei quali, almeno, non dovrà essere residente nel loro stesso Stato; essi
2
Costituzione degli Stati Uniti d’America. Art. II, sez. 1, comma 1,2. Trad. Sacerdoti Mariani
Gigliola, Reposo Antonio, Patrono Mario, Guida alla Costituzione degli Stati Uniti d’America
(Firenze: Sansoni, 1999), p. 98.
3
Vedi capitolo II, paragrafo 2.2.2.
9
indicheranno in una scheda il nome della persona per cui votano come
Presidente e in una scheda distinta il nome di quella per cui votano come
Vicepresidente; compileranno liste distinte di tutti coloro che avranno
avuto suffragi per la Presidenza e di tutti coloro che avranno avuto suffragi
per la Vicepresidenza, col numero di voti da ciascuno raccolti: tali liste
saranno dagli Elettori firmate, autenticate, e trasmesse sigillate alla sede
del Governo degli Stati Uniti, indirizzate al Presidente del Senato4”.
La Costituzione inoltre prevede che:
“Il Congresso fisserà la data per nominare gli Elettori, e il giorno in cui
questi saranno chiamati a votare, giorno che dovrà essere lo stesso in tutti
gli Stati Uniti5”.
La data delle votazioni per gli Elettori presidenziali, infatti, è stabilita dalla legge
federale:
“Gli Elettori del Presidente e del Vicepresidente saranno nominati, in ogni
Stato, il martedì successivo al primo lunedì di Novembre, ogni quattro anni
dopo ciascuna elezione del Presidente e del Vicepresidente6”.
La data in cui si riunisce il Collegio Elettorale, allo stesso modo, è stabilita dalla
legge federale.
0.1.4. Per chi votano i cittadini.
Il popolo statunitense ha il diritto, secondo la Costituzione, di votare per i
Rappresentanti degli Stati Uniti; il XVII Emendamento (ratificato nel 1913) stabilì
che i cittadini avessero il diritto di eleggere anche i Senatori in un’elezione diretta
4
Ibidem, p. 134.
5
Costituzione degli Stati Uniti d’America. Art. II, sez. 1, comma 4. Ibidem, pp. 99-100.
6
Codice degli Stati Uniti. Titolo 3, cap. 1, sez. 1.
10
(che fino a quel momento erano eletti dalle assemblee legislative dei vari Stati,
secondo la Costituzione originaria). Da notare che il popolo, tuttavia,
costituzionalmente non ha nessun diritto a votare per il Presidente, per il
Vicepresidente o per gli Elettori presidenziali; piuttosto, la Costituzione americana
prevede che:
“Ogni Stato nominerà, nel modo che verrà stabilito dal suo organo
legislativo, un numero di Elettori, pari al numero complessivo dei senatori
e dei rappresentanti che lo Stato ha diritto di mandare al Congresso…7”.
Oggi la quasi totalità degli Stati americani (eccetto Maine e Nebraska8) si avvale
di un sistema majority – o per usare un termine più caro alla tradizione
statunitense del winner-takes-all – per il quale, ai candidati Presidente e
Vicepresidente che ricevono più voti, anche senza raggiungere la maggioranza
assoluta, viene assegnata la totalità dei voti elettorali dello Stato; mentre in
passato, e in particolare dalla nascita degli stati Uniti a metà ‘800 circa, vi era una
maggiore eterogeneità a riguardo: molti Stati assegnavano i propri voti elettorali
senza un diretto coinvolgimento del popolo, su scelta dell’assemblea legislativa
statale. Dunque, non esiste nessuna previsione costituzionale che imponga un
metodo piuttosto che un altro di assegnazione dei voti elettorali, né che leghi
direttamente al volontà popolare all’assegnazione dei grandi Elettori; principio
che, fra l’altro, è stato reiterato dalla Corte Suprema in più occasioni9.
7
Costituzione degli Stati Uniti d’America. Art. II, sez. 1, comma 2. Trad. Sacerdoti Mariani
Gigliola, Reposo Antonio, Patrono Mario, op. cit., p. 98.
8
I quali, rispettivamente nel 1969 e nel 1991, si sono dotati di un sistema cosiddetto “dei distretti
congressionali”, su cui si tornerà nel capitolo II, paragrafo 2.1.3.
9
La sentenza McPherson v. Blacker, 146 U.S. 1 (1892), e la sentenza Bush v. Gore, 531 U.S. 98
(2000), sulle quali si tornerà nel capitolo II, paragrafo 1.2. e nel capitolo III, paragrafo 3.4.7.
11
0.1.5. Per chi votano i grandi Elettori.
E se non esiste una previsione di tal genere in Costituzione, allo stesso modo i
grandi Elettori sono tenuti a votare per il candidato che raccoglie più voti a livello
statale – o per i due casi sopracitati a livello congressionale – ma non sono
obbligati, costituzionalmente, a farlo; infine, oggi10 sulla scheda elettorale chi vota
si trova davanti il nome dei candidati Presidente e Vicepresidente, ed esprime un
voto unico per il ticket presidenziale; in pochissimi casi sulla scheda, sotto i nomi
dei candidati presidenziali, vengono riprodotti in caratteri più piccoli anche i nomi
degli Elettori corrispondenti. Più spesso compare la dicitura “elettori per”; motivo
per cui molti americani ignorano completamente il fatto che non si trovano di
fronte ad un’elezione diretta11, ma che stanno votando per una collettività di
individui tenuti – comunque – ad esprimere il loro voto in armonia con la volontà
degli elettori.
Una volta riuniti, ciascuno nella capitale del proprio stato, per esprimere il loro
voto per Presidente e Vicepresidente ed aver conteggiato il risultato che poi
inviano al Senato degli Stati Uniti, questi grandi Elettori esauriscono la loro
funzione, e sciolgono il Collegio Elettorale; se è vero che già l’indomani
dell’election day si conosce il nome del futuro inquilino della Casa Bianca, il
momento in cui viene effettivamente eletto il nuovo Presidente corrisponde alla
riunione del Collegio Elettorale e al conteggio dei suoi voti in Senato, e non al
precedente momento del voto dei cittadini e dello scrutinio dei voti a livello
statale.
10
Questa tendenza si diffonde a partire dalla quarta decade del secolo scorso. Vedi capitolo II,
paragrafo 2.3.2.
11
Cfr. Stroppiana Luca, Stati Uniti (Bologna: Il Mulino, 2006), p. 65.
12
0.1.5. Elettorato attivo e passivo.
Per quanto riguarda l’elettorato attivo, sono ammessi a votare tutti i cittadini
americani12, senza distinzione di razza, colore o precedente condizione di
schiavitù (XV Emendamento), di sesso (XIX Emendamento), gratuitamente
(XXIV Emendamento), che abbiano compiuto diciotto anni di età (XVI
Emendamento); l’elettorato passivo invece, tranne che per il limite di due mandati
presidenziali (XXII Emendamento) e per quanto riguarda la figura del
Vicepresidente (XX Emendamento) è regolato dalla Costituzione originaria:
“Non sarà eleggibile alla carica di Presidente chi non sia cittadino degli
Stati Uniti per nascita o cittadino nel momento in cui questa Costituzione
sarà adottata, né potrà essere eleggibile a tale carica chi non abbia
raggiunto l’età di trentacinque anni e non sia residente negli Stati Uniti da
quattordici anni13”.
Questi, principalmente, sono gli elementi atrutturali che regolano il processo di
elezione presidenziale negli Stati Uniti d’America.
0.2. Prospetto della tesi.
Nella prima parte della presente opera verrà tratteggiato il percorso storico che,
dalle origini della Costituzione, attraverso l’analisi delle prime tornate elettorali
della storia americana (capitolo I), ha portato al sistema odierno di elezione del
Presidente, con particolare attenzione al susseguirsi dei vari metodi utilizzati dagli
12
Come stabilito dal XIV Emendamento, “tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e
soggette alla loro sovranità sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono”. Trad.
Sacerdoti Mariani Gigliola, Reposo Antonio, Patrono Mario, op. cit., p. 139.
13
Ibidem, p. 100.
13
stati per eleggere i grandi Elettori (capitolo II); successivamente, verranno presi
in considerazione gli aspetti problematici del sistema elettorale in esame, con
particolare attenzione per il fenomeno del malapportionment, anche attraverso la
disamina delle elezioni più controverse (capitolo III). Nella seconda parte, invece,
ci concentreremo su un’analisi più “empirica” e basata sui dati elettorali aggregati
delle sedici più recenti tornate elettorali – 1948-2008 – per mettere in evidenza
alcuni effetti sistemici del Collegio Elettorale (capitolo IV), per poi cercare di
stabilire, attraverso approcci diversi, dove risiede il potere effettivo nel processo di
elezione presidenziale (capitolo V); infine, verrà dedicato un breve spazio
all’esame delle principali prospettive di riforma proposte (capitolo VI).
14
15
Capitolo I
La nascita del sistema elettorale presidenziale degli Stati
Uniti d’America
1.1. Le origini. La Convenzione Costituzionale del 1787.
A differenza dei sistemi elettorali di buona parte dei paesi occidentali, le cui
origini risalgono a tempi relativamente recenti – ultimo cinquantennio o poco più
indietro – gli Stati Uniti eleggono il loro Presidente con un impianto strutturale
che è praticamente lo stesso da 219 anni. Dalla prima elezione, nel 1789, a oggi
molte modifiche sono state fatte al sistema elettorale, sotto forma sia di
emendamenti costituzionali, che di leggi federali e statali; tuttavia i capisaldi del
sistema, le sue parti fondamentali rimangono, a oggi, invariate rispetto a quando
George Washington venne eletto primo Presidente col voto unanime di tutti i
grandi Elettori. La maggior modifica al sistema, poi, risale ancora ai tempi dei
Padri Fondatori, a solo quindici anni dopo la prima prova elettorale14, quando
emerse chiaramente che il metodo usato generava notevoli problemi in elezioni
competitive: da quel momento in poi, per le successive 52 elezioni presidenziali
14
Si tratta del XII Emendamento, ratificato appena prima delle elezioni del 1804, che impose un
voto separato per il Presidente e per il Vice-Presidente, reso necessario dai problemi generati
dall’elezione presidenziale del 1800. Sulle controverse elezioni del 1800 e sul XII Emendamento
si tornerà nel paragrafo 1.4.
16
(1804 – 2008) si può tranquillamente affermare che il sistema elettorale
statunitense è rimasto sostanzialmente inalterato15.
Per comprendere fino in fondo il funzionamento del sistema elettorale
statunitense, quindi, è necessario avere ben chiara l’origine del sistema stesso, e
dunque il contesto politico in cui si trovavano gli Stati Uniti al momento della
ratifica della loro carta costituzionale: tredici stati, i cui interessi divergevano
notevolmente riguardo a svariati temi – schiavitù e contemperamento degli
ineressi degli stati grandi e piccoli in primis –, sospettosi di un eventuale sistema
politico che mettesse troppo potere in mano al popolo, e contemporaneamente
preoccupati di evitare i rischi di un esecutivo troppo forte, memori della recente
dominazione da parte della Corona inglese. Ma, contemporaneamente, bisognosi
di un superamento costruttivo del sistema confederale che aveva funzionato fino a
quel momento ma che rischiava di disgregarsi sia per le inadempienze statali che
per l’insufficienza dei poteri congressuali16.
1.1.2. Il “grande compromesso”.
I framers, i 55 delegati di dodici stati17, spaccato della classe dirigente che aveva
fatto la rivoluzione, si riunirono il primo lunedì di maggo del 1787 a Filadelfia con
lo scopo di revisionare gli articoli della Confederazione, come deciso dal
Congresso nel febbraio dello stesso anno; ma la Convenzione, appena riunita,
15
Cfr. Cain Chris, Basciano Peter M., Cain Ellen, “The Electoral College: diversification and the
election process”, Springer Science+Business Media, Jan. 2007, pp. 21-22; cfr. anche U.S.
Election Assistance Commission, “The Electoral College” (September 2008). www.eac.gov, p. 2.
16
Cfr. Stroppiana Luca, op. cit., p. 29.
17
Dodici su tredici: il Rhode Island non inviò una delegazione alla Convenzione.
17
decise di metterli da parte per procedere alla stesura di una nuova carta
costituzionale, adottando come base il progetto della Virginia.
Innanzitutto raggiunsero l’accordo sulla forma di governo da stabilire, decidendo
che fosse auspicabile un mixed government in cui i due poteri – legislativo ed
esecutivo – si configurassero come una “democratica” camera dei Rappresentanti
(eletta dal popolo), un “aristocratico” Senato (eletto dalle assemblee legislative dei
vari stati e non dal popolo come oggi) e un “monarchico” Presidente18; poi sulla
rappresentanza nei due rami del legislativo, stabilendo che per il primo ci si
sarebbe attenuti a un criterio proporzionale alla popolazione19 mentre per il
secondo ci sarebbero stati due membri per stato, indipendentemente dalla
dimensione geografica e dalla popolazione, contemperando così gli interessi dei
vari stati (il cosiddetto Connecticut Compromise20, tradotto spesso come “grande
compromesso”).
1.1.3. La questione presidenziale
A questo punto non restava che la questione presidenziale: i poteri che avrebbe
avuto il capo dell’esecutivo federale, e – quello che interessa a noi – il metodo di
elezione del Presidente. Per quanto riguarda questo secondo aspetto, vennero
18
Cfr. Schmidt Philip R., “The electoral college and conflict in American history and politics”,
Sociological Practice: A Journal of Clinical and Applied Sociology, vol. 4, no. 3, September 2002.
19
Su questo criterio pesava tuttavia la “regola dei tre quinti”: per assegnare i seggi ogni stato
avrebbe contato gli individui liberi come unità e gli schiavi (“tutti gli altri individui non liberi”)
come 3/5. Tale previsione venne abolita dal XIV emendamento, mentre il XIII esplicitamente
aboliva la schiavitù in generale, seppur nel testo costituzionale originario tale termine non veniva
utilizzato.
20
Tale compromesso era necessario per l’entrata in vigore della Costituzione stessa, che secondo
l’art. VII sarebbe avvenuta non appena fosse stata ratificata dalle Convenzioni di nove stati su
tredici; una rappresentanza proporzionale alla popolazione avrebbe scontentato gli Stati poco
popolosi, mentre il principio del voto per Stati avrebbe scontentato quelli grandi. Cfr. Stroppiana
Luca, op. cit., p. 31.
18
inizialmente prese in considerazione svariate idee, fra cui la selezione da parte del
Congresso, dei Governatori degli stati, delle assemblee legislative statali, di un
gruppo selezionato di membri del Congresso, e del popolo con un’elezione
diretta21; a metà luglio, tuttavia, la Convenzione si trovò di fronte alla scelta fra
due proposte, che fra tutte avevano ricevuto maggiori consensi: da una parte
l’elezione da parte delle assemblee legislative dei vari stati o da parte del
Congresso stesso per un mandato settennale, il cosiddetto Virginia Plan – cosa che
agli stati liberi del nord però suonava un po’ troppo simile ad una monarchia, che
legava troppo direttamente il potere esecutivo federale al legislativo (federale o
statale che fosse), e che contraddiceva i principi democratici cui erano legati – e
dall’altra l’elezione da parte del popolo riunito in un’unica circoscrizione
nazionale. Ma anche questo poneva dei problemi: innanzitutto gli stati schiavisti
del sud ne sarebbero risultati svantaggiati, per via della loro disparità demografica
con gli stati liberi del nord, e in secondo luogo tutti i framers convenivano che, in
un contesto politico decentrato e caratterizzato da grandi distanze come quello
degli Stati Uniti, i cittadini non avrebbero avuto la conoscenza necessaria per
operare una scelta razionale finendo per votare regolarmente i candidati
geograficamente a loro più vicini e dunque più conosciuti22. Argomentando contro
l’elezione diretta del Presidente, ad esempio, il rappresentante del South Carolina
Charles Pinckney mise in guardia l’assemblea sui rischi dell’”incompetenza delle
masse incolte nel fare una scelta così delicata e consapevole23”; in modo simile,
George Mason della Virginia affermò che “permettere ai cittadini di scegliere il
Presidente sarebbe innaturale, esattamente come lo sarebbe chiedere di scegliere
21
Cfr. Neale Thomas H, “The Electoral College: How It Works In Contemporary Presidential
Elections” (CRS Report for Congress, Sept. 2003), http://fas.org/sgp/crs/index.html , p. 2.
22
Cfr. U.S. Election Assistance Commission, op. cit., p. 3.
23
Williams Victor, MacDonald Alison M., “Rethinking Article II, Section 1 and its Twelfth
Amendment: Challenging our Nation’s Malapportioned, Undemocratic Presidential Election
System”, Marquette Law Review, vol. 77, no. 2, Winter 1994, p. 209.
19
dei colori a un cieco24”. Di converso, i delegati del nord cercarono di mettere in
gaurda l’assemblea contro i rischi di un’elezione presidenziale da parte del
Congresso; il Governatore Morris, della Pennsylvania, la definì “un’opera di
intrighi, di cabale, e di fazioni: sarebbe come l’elezione di un papa da parte di un
conclave di cardinali25; lo stesso Madison, che era teoricamente favorevole a
un’elezione diretta, in quanto delegato del sud riconosceva come questa non fosse
una via concretamente percorribile26.
Fu per “mediare” queste due posizioni che emerse per la prima volta la proposta di
una nomina temporanea di un gruppo di venticinque elettori, da parte delle
assemblee legislative dei vari stati, che si riunissero appositamente ed
esclusivamente per votare il Presidente degli Sati Uniti27. Inizialmente questa
soluzione venne accolta come soddisfacente dalla Convenzione, ma prima
dell’inizio di agosto gli entusiasmi a riguardo si erano notevolmente raffreddati,
per tornare all’idea di partenza leggermente modificata: elezione da parte degli
organi legislativi per un unico termine non rinnovabile di sette anni28.
Ma su questa proposta non si riusciva a trovare l’accordo per via dell’oposizione
degli stati del nord, dunque si decise di lasciare la decisione in materia ad una
commissione speciale, separata ed indipendente dalla Convenzione, che
deliberasse a riguardo, la Committee on postponed parts, che riprese la proposta
dei venticinque elettori, apportandole alcune modifiche: essa propose, infatti,
l’elezione del Presidente da parte di un gruppo di elettori assegnati ai vari stati in
proporzione alla rappresentanza in entrambi i rami del Congresso, scelti secondo
le modalità che ciascuno stato ritenesse opportune. Questi elettori si sarebbero
riuniti nei loro rispettivi stati (e non in un’assemblea comune, per evitare “passioni
24
Ivi.
25
Ivi.
26
Ibidem, p. 210.
27
Cfr. Rakove Jack N., “Presidential Selection: Electoral Fallacies”, Political Science Quarterly,
vol. 119, no. 1, spring 2004, p. 28.
28
Farrand Max, ed., The Records of the Federal Convention of 1787 (New Haven, CT: Yale
University Press, 1966), pp. 57-58, 99-101, 118-121.
20
e fermenti” secondo le parole di Madison29) per effettuare due voti ciascuno, uno
dei quali obbligatoriamente per un candidato che non fosse residente dello stato
dell’elettore in questione: il candidato con più voti sarebbe stato eletto Presidente,
il secondo Vicepresidente. Implicitamente, in questo modo, si pensava che la
seconda scelta di ciascuno (dopo la prima, mossa da interessi “geografici” di voto
al candidato appartenente al proprio stato) sarebbe necessariamente risultata la
prima scelta collettiva. Nel caso che questi “grandi Elettori” non fossero riusciti a
produrre una maggioranza, o ci fosse stato un pareggio fra i primi due, il Senato
sarebbe stato chiamato a scegliere il Presidente fra i primi cinque candidati che
avessero ricevuto più voti30.
Questa soluzione combinava ingegnosamente il sistema elettorale da definire con
il Connecticut compromise raggiunto a luglio, mettendo d’accordo gli interessi dei
vari stati: quelli più popolosi, del nord, avevano il vantaggio di poter promuovere i
propri candidati più facilmente, ed avevano un numero maggiore di voti; gli stati
schiavisti del sud godevano del vantaggio della regola dei 3/5 che, tramite il
numero di elettori proporzionale alla rappresentanza in Congresso e non alla
popolazione, veniva estesa anche al metodo di elezione del Presidente; gli stati
piccoli, infine, godevano del cosiddetto senatorial bump (i due grandi Elettori in
più dovuti all’equivalenza di ogni stato nella rappresentanza in Senato) e lo stesso
potere di tutti gli altri stati nel caso che l’elezione fosse andata al Senato. In questo
modo, si riuscì a creare un “compromesso a tre” che risolvesse la dialettica delle
contrapposizioni esistenti, ovvero:
a. Fra stati grandi e piccoli;
29
“Poiché gli ‘Elettori’, scelti in ciascuno stato, dovranno riunirsi e votare nello stato in cui sono
eletti, questa loro divisione e separazione li esporrà meno a passioni e fermenti che potrebbero
estendersi poi al popolo, nel caso si riunissero in un unico luogo, in uno stesso momento”. Sulla
stampa newyorkese, nei mesi dei lavori della Convention, iniziarono a comparire articoli in difesa
del progetto della nuova carta costituzionale, tutti firmati con lo pseudonimo Publius; la maggior
parte di essi scritti da Hamilton e Madison, vennero poi pubblicati nel 1788. Hamilton Alexander,
Jay John, Madison James, trad. e ed. Sacerdoti Mariani Gigliola, Il Federalista, (Torino:
Giappichelli Editore, 1997), p.349.
30
Rakove Jack N., op. cit., p. 29.
21
b. Fra stati liberi del nord e stati schiavisti del sud;
c. Fra sostenitori dell’elezione diretta del Presidente e sostenitori della
selezione da parte del legislativo31.
Un’unica cosa suscitava ancora dubbi: l’elezione del Presidente da parte del
Senato – nel caso di un pareggio o di una mancata maggioranza – rischiava di
minare il principio, molto sentito dai framers del nord, di mantenere il potere
esecutivo più indipendente possibile da quello legislativo. La soluzione, ancora
una volta, venne scelta nel senso di una mediazione fra interessi contrapposti: la
scelta del Presidente sarebbe spettata alla Camera dei Rappresentanti e non al
Senato. Dunque sempre da un ramo del legislativo, sì, ma comunque da un organo
eletto dal popolo e non dai parlamenti dei vari stati32, e secondo il principio –
ancora una volta, per tutelare gli stati piccoli – di equa rappresentazione, giacchè
la delegazione di ogni stato avrebbe avuto un solo voto, indipendentemente dal
numero di rappresentanti. Nel caso di un pareggio fra i primi due candidati, la
Camera avrebbe scelto solo fra questi; se nessun candidato avesse raggiunto la
maggioranza, invece, si sarebbe scelto fra i primi cinque, e il quorum sarebbe stato
costituito dalla rappresentanza, composta da uno o più membri, dei due terzi degli
stati, e per l’elezione sarebbero stati necessari i voti della maggioranza di tutti gli
stati. Al Senato, invece, sarebbe spettato il compito di eleggere il Vicepresidente
solo nel caso in cui, dopo l’elezione del Presidente da parte della Camera dei
Rappresentanti, ci fossero stati più candidati con lo stesso numero di voti, in una
votazione a scrutinio segreto con un voto per ciascun senatore.
31
The Harvard Law Review Association, “Rethinking the Electoral College Debate: the Framers,
Federalism, and One Person, One Vote”, Harvard Law Review, vol. 114, no. 8, June 2001, p.
2527.
32
L’elezione popolare diretta della seconda camera del Congresso risale al 1913, con la ratifica del
XVII Emendamento.
22
Infine questa proposta stabiliva che, per mantenere la scelta del Presidente più
lontana possibile da “intrighi e corruzione33”, la carica di Elettore potesse essere
svolta da chiunque, eccetto membri del Congresso o cittadini che ricoprissero
incarichi fiduciari o retribuiti alle dipendenze degli Stati Uniti.
1.1.4. L’accordo raggiunto. Caratteristiche salienti.
Questo progetto alla fine venne incorporato nella Costituzione senza modifiche di
rilievo34, ed andò a costituire i primi quattro commi dell’Art. II, sez. 1 della
Costituzione degli Stati Uniti:
“Il potere esecutivo sarà conferito a un Presidente degli Stati Uniti
d’America. Egli rimarrà in carica per un periodo di quattro anni e la sua
elezione – insieme a quella del Vicepresidente – avrà luogo secondo le
modalità seguenti:
Ogni Stato nominerà, nel modo che verrà stabilito dal suo organo
legislativo, un numero di Elettori, pari al numero complessivo dei senatori
e dei rappresentanti che lo Stato ha diritto di mandare al Congresso; ma né
senatori, né rappresentanti, né altri che abbiano incarichi fiduciari o
retribuiti alle dipendenze degli Stati Uniti, potranno essere nominati
Elettori.
Gli Elettori si riuniranno nei rispettivi Stati e voteranno, a scrutinio
segreto, per due persone, delle quali una almeno non residente nel loro
33
“La Convenzione ha stabilito che non saranno ‘elettori’ tutti coloro che per le loro cariche
potrebbero essere sospettati di eccessiva devozione nei confronti del Presidente uscente […], così,
a meno che non sia stato corrotto il grande corpo popolare, i responsabili immediati dell’elezione
assumeranno il loro incarico liberi da ogni malvagio pregiudizio”. Hamilton Alexander, Jay John,
Madison James, trad. e ed. Sacerdoti Mariani Gigliola, op. cit., p. 350.
34
Cfr. Neale Thomas H., op. cit., p. 3.
23
stesso Stato. Essi compileranno una lista di tutti coloro che hanno ottenuto
suffragi con il numero dei voti raccolti da ciascuno; questa lista sarà da
essi firmata, autenticata e trasmessa sigillata alla sede del Governo degli
Stati Uniti, indirizzata al Presidente del Senato. Questi, in presenza del
Senato e della Camera dei rappresentanti, aprirà le liste autenticate e quindi
si procederà al computo dei voti. Chi avrà ottenuto il più alto numero di
suffragi sarà Presidente, sempre che questo numero rappresenti la
maggioranza del numero totale degli Elettori nominati; e se vi sarà più di
uno che abbia raggiunto tale maggioranza, con ugual numero di voti, allora
la Camera dei rappresentanti procederà immediatamente ad eleggere uno di
essi come Presidente, mediante scrutinio segreto; qualora, invece, nessuno
raggiungesse la maggioranza, la Camera procederà in modo analogo a
eleggere il Presidente tra i cinque che abbiano raccolto il maggior numero
di voti. Nell’elezione del Presidente, tuttavia, i suffragi si conteranno per
Stato e la rappresentanza di ciascuno Stato avrà un solo voto. A tale scopo
il quorum sarà costituito dalla rappresentanza, composta da uno o più
membri, dei due terzi degli Stati, e per l’elezione saranno necessari i voti
della maggioranza di tutti gli Stati. In ogni caso la persona che, dopo
l’elezione del Presidente, abbia raccolto il maggior numero di suffragi sarà
nominata Vicepresidente. Se due o più candidati si trovassero ad avere
ugual numero di voti, il Senato, a scrutinio segreto, eleggerà fra questi il
Vicepresidente.
Il Congresso fisserà la data per nominare gli Elettori, e il giorno in cui
questi saranno chiamati a votare, giorno che dovrà essere lo stesso in tutti
gli Stati Uniti35”.
35
Costituzione degli Stati Uniti d’America. Art. II, sez. 1, commi 1-4. Trad. Sacerdoti Mariani
Gigliola, Reposo Antonio, Patrono Mario, op. cit., pp. 98-100.
24
Oltre al quinto comma, che abbiamo già visto riguardare l’elettorato passivo36, i
seguenti commi sei, sette e otto, che non trascriviamo, si occupavano
rispettivamente dei casi di decesso, dimissioni o impedimento ad adempiere delle
due massime cariche; dell’indennità prevista per la figura del Presidente; e infine
del giuramento che il Presidente eletto avrebbe dovuto pronunciare prima di
entrare in carica.
Da notare che, nonostante la Convenzione avesse precedentemente mostrato una
notevole indecisione37 sul sistema elettorale da adottare, come abbiamo visto, alla
fine questo fu uno dei pochi elementi della carta costituzionale in fieri ai quali
vennero risparmiate critiche e dubbi. Questo emerge chiaramente dalle parole
dello stesso James Madison che, sempre sotto lo pseudonimo di Publius, scriveva:
“Nel progetto in esame, la parte relativa alle modalità di elezione del
Presidente degli Stati Uniti è forse l’unica, di una qualche importanza, che
sia sfuggita a critiche e che abbia ricevuto un pur minimo segno
d’approvazione dai suoi avversari. In un attacco fra i più ragionevoli –
apparso in forma stampata – un avversario si è degnato di ammettere che le
modalità d’elezione del Presidente offrono sufficienti garanzie. Io vado
oltre, e non esito ad affermare che sono quantomeno straordinarie, se non
perfette38 […]”.
Per alcuni, questo accordo sul metodo di elezione del Presidente derivava non
certo dalla convinzione che tale sistema fosse perfetto, ma bensì da una cinica
analisi per la quale si riteneva che fosse – quantomeno – meno pericoloso delle
alternative prese in considerazione in sede costituente. Che fosse, cioè, una sorta
36
Ricordiamo i requisiti: cittadinanza americana per nascita o nel momento della ratifica della
Costituzione, trentacinque anni di età e residenza negli Stati Uniti da almeno quattordici anni.
Ibidem, p. 100.
37
Qualche numero: in tutto vennero votate 30 risoluzioni sulla questione elettorale, e il dibattito
durò 22 giorni. Cfr. Peirce Neal R., The People’s President: The Electoral College In American
History And The Direct-Vote alternative (New York, NY: Simon & Schuster, 1968), pp. 28-57.
38
Hamilton Alexander, Jay John, Madison James, trad. e ed. Sacerdoti Mariani Gigliola, op. cit., n.
68, p. 349.
25
di compromesso, di cui ci si poteva “accontentare” visti i rischi delle alternative
prese in considerazione; e comunque, una soluzione – forse l’unica – attorno alla
quale si potesse creare il consenso necessario, vista l’opposizione degli stati del
nord a un’elezione da parte del Congresso o dei parlamenti statali, e di quelli del
sud a un’elezione popolare diretta39. Il sistema elettorale che emergeva, in ogni
caso, si configurava come caratterizzato dai seguenti elementi:
a. Elezione indiretta, a due stadi. Chi elegge il Presidente è un “corpo
intermedio” di elettori, scelti appositamente per questo – e solo questo –
compito, a loro volta eletti separatamente da ciascuno stato.
b. Sistema flessibile. Ciascuno stato mantiene piena libertà nella scelta di
come eleggere questi grandi Elettori.
c. Contemperamento degli interessi degli stati grandi-piccoli, incorporando
nell’elezione presidenziale il “grande compromesso” sulla composizione
del legislativo bicamerale. La scelta di dare a ciascuno stato tanti grandi
Elettori quanti i rappresentanti in Congresso favoriva gli stati piccoli sia
per il senatorial bump, sia per il dettato costituzionale che assegnava
almeno un rappresentante a ciascuno stato, sia per l’ipotesi di contingent
election40 nella quale ciascuno stato avrebbe avuto un voto.
d. Bilanciamento dell’interesse federale e di quello statale: si decentrava a
livello dei singoli stati l’elezione di una carica rappresentativa dell’intera
nazione41.
e. Riconoscimento della schiavitù. La regola dei 3/5 implicitamente veniva a
influire sul sistema elettorale tramite la rappresentanza alla Camera dei
Rappresentanti e dunque il numero di grandi Elettori.
39
Cfr. Williams Victor, MacDonald Alison M., op. cit., pp. 201-203; cfr. anche Rakove Jack N.,
op. cit., p. 29.
40
Elezione nella quale nessun candidato riceve la maggioranza dei voti elettorali, o i cui due primi
candidati ricevono un ugual numero di voti.
41
Stroppiana Luca, op. cit., p. 70.
26
f. Sfiducia nei confronti del popolo, che si voleva sì coinvolto nella
designazione della carica presidenziale, ma al quale non si voleva affidare
del tutto tale delicato compito. La scelta di un corpo intermedio rispondeva
a una considerazione di tipo elitario42.
g. Sospetto nei confronti dei pericoli della vicinanza di legislativo ed
esecutivo. I grandi Elettori non dovevano essere in nessun modo legati al
Congresso o a qualunque altro incarico federale.
h. Sfiducia nei confronti dei grandi Elettori stessi, nonostante li si ritenesse
cittadini “più illuminati” e per questo investiti del delicato compito di
scegliere per conto del popolo43. Esplicativa è la previsione costituzionale
di farli riunire separati, ciascuno nel proprio stato, per scongiurare il
pericolo di corruzione; e il fatto stesso di dare a ciascun elettore due voti di
cui uno obbligatoriamente per un candidato “straniero” era un modo per far
emergere la miglior seconda scelta collettiva – dando per scontato che la
prima sarebbe stata mossa da interessi particolari.
i. Convinzione che le elezioni in cui nessun candidato avrebbe raggiunto la
maggioranza, e quindi risolte dal voto della Camera dei rappresentanti per
delegazione statale, avrebbero costituito la normalità dei casi, e non
un’eccezione44, salvo candidati di popolarità indiscussa: nel momento in
cui la Costituzione veniva scritta non si pensava alla futura configurazione
bipartitica e centralizzata dello scenario politico, tale da rendere i due
42
Cfr. Rakove Jack N., op. cit.., p. 28; cfr. anche Schmidt Philip R., op. cit., pp. 195-196.
43
“Poichè le assemblee di elettori selezionati, che scelgono il Presidente, […] saranno composte
dai cittadini più illuminati e più rispettabili, vi sono motivi per ritenere che la loro attenzione e i
loro voti si indirizzeranno soltanto verso quelle persone che si saranno veramente distinte, per
talento e per virtù, e in cui il popolo sa di poter riporre, a buona ragione, la propria fiducia”.
Alexander Hamilton, John Jay, James Madison, trad. e ed. Sacerdoti Mariani Gigliola, op. cit., n.
64, p. 331.
44
Cfr.. Schmidt Philip R, op. cit., p. 196; cfr. anche The Harvard Law Review Association, op.
cit., p. 2528.