Nel primo capitolo si affronterà l’argomento dal punto di vista
legislativo: partendo da una breve storia dell’immigrazione in Italia,
considerando le politiche adottate per far fronte alla mancanza di
una legislazione in materia, si passerà all’analisi delle leggi 40/1998
(meglio conosciuta come Turco - Napolitano) che ha di fatto
istituito i CPTA, e 189/2002 (legge Bossi – Fini) che ha inasprito le
regole concernenti i CPTA ed introdotto i CdI destinati ai
richiedenti asilo.
Si parlerà anche delle proposte di cambiamento del ddl Amato –
Ferrero ancora, però, in fase di discussione in sede parlamentare.
Nel secondo capitolo si entrerà maggiormente nello specifico:
prima di tutto si farà chiarezza negli acronimi utilizzati per il
riconoscimento delle strutture nelle loro imprecisabili differenze,
per poi analizzare quanto previsto dal regolamento di attuazione in
antitesi con alcune immagini che rappresentano la realtà delle
strutture.
Si procederà, in seguito, con un’elencazione della distribuzione dei
CPTA, dei CdI e dei CPA in Italia.
3
Per un’analisi qualitativa dei centri si prenderà in considerazione il
Rapporto pubblicato nel 2004 dall’organizzazione di Medici Senza
Frontiere e il rapporto della Commissione de Mistura, pubblicato
nel 2007, in quanto unici documenti organici esistenti relativi alle
strutture e al trattamento dei trattenuti.
Il terzo e ultimo capitolo prenderà in considerazione casi concreti:
si partirà con l’analisi della vicenda giudiziaria che ha interessato il
CPTA Regina Pacis di San Foca di Meledugno, ripercorrendo
integralmente il processo e tutte le testimonianze fondamentali sino
ad arrivare alle pene comminate nei confronti del direttore e dei
dipendenti del centro.
Si parlerà anche dei casi di rivolta e di ribellione da parte dei
trattenuti, prendendo in considerazione casi concreti avvenuti
all’interno dei centri di Bari Palese e di Gradisca d’Isonzo.
Da ultimo saranno introdotte quattro storie relative a delle interviste
svolte dalla sottoscritta a degli stranieri attualmente presenti sul
territorio Italiano in posizione regolare, di clandestinità o in qualità
di rifugiati politici.
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I quattro immigrati hanno in comune l’esperienza all’interno del
CPTA o del CdI di Bari Palese.
Sono loro i veri protagonisti di questo lavoro.
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CAPITOLO 1: COSA SONO I CPT: LA LORO
NASCITA
1. Breve storia dell’immigrazione in Italia e delle
politiche ad essa correlate.
Il fenomeno dell’immigrazione in Italia ha conosciuto ampia
diffusione solo negli ultimi decenni, a partire dagli anni Sessanta e
Settanta in seguito all’applicazione, da parte di molti paesi europei,
di politiche restrittive che hanno portato ad una totale chiusura delle
frontiere.
Nel periodo che va dall’Unità sino agli anni Settanta l’Italia ha
prevalentemente avuto il ruolo di Paese di emigrazione,
incrementando e contribuendo alla crescita dell’economia di paesi
oltreoceano, soprattutto dell’America latina.
Una interruzione di questa tendenza si è avvertita solo durante i
periodi interessati dallo scoppio dei due conflitti mondiali, che hanno
portato, per contro, all’adozione di politiche repressive, in modo da
difendere maggiormente i confini territoriali, e ad una maggiore
diffidenza nei confronti dello straniero.
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Alla fine del secondo conflitto mondiale, il problema
dell’arretratezza economica e dell’alto tasso di disoccupazione, che
interessava maggiormente le regioni del Mezzogiorno, ha provocato
un fenomeno di immigrazione interna piuttosto che straniera, verso i
centri industriali ubicati nell’Italia settentrionale.
Per quanto riguardava, invece, le politiche adottate dall’Italia
repubblicana, nei confronti degli stranieri, nella Costituzione del
1948 furono introdotti principi di non discriminazione di pari dignità
sociali e di uguaglianza dinanzi alla legge, conservando, però, una
restrizione delle norme che regolavano la permanenza a scopo
lavorativo degli stranieri.
Tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta l’Italia si trovò ad affrontare
una forte crescita economica che provocò un netto aumento del
reddito pro capite italiano rispetto alle percentuali del resto d’Europa,
uscendo quindi dalle graduatorie dei paesi in via di sviluppo e
iniziando a richiedere fortemente da questi ultimi manodopera
straniera.
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Contemporaneamente dovette fare i conti con una forte crisi
demografica e con una netta diminuzione dell’emigrazione italiana
interna e verso l’estero.
Lentamente iniziarono, invece, ad aumentare la quantità di flussi di
stranieri che facevano il loro ingresso nel paese, prevalentemente per
motivazioni lavorative che venivano soddisfatte anche grazie
all’emersione dei “lavori rifiutati”
1
, conseguente all’aumento del
reddito procapite e all’innalzamento del livello di istruzione e delle
aspettative della qualità del lavoro.
Il Paese, però, mancando di una vera e propria legislazione organica
in materia di immigrazione, si trovò nettamente impreparato ad
affrontare un fenomeno che si espandeva senza sosta con il passare
degli anni. Tentò, così, di tener capo alla situazione emanando
circolari che regolavano l’accesso nel mondo lavorativo del nostro
Paese come, ad esempio, la circolare del Ministero del Lavoro, n. 51,
del 4 dicembre 1963, che irrigidiva le condizioni utili all’ingresso di
cittadini stranieri per motivi lavorativi. Essi infatti, dovevano essere
provvisti di un regolare contratto di lavoro, di un nullaosta della
1
Einaudi L., Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità a oggi, Editori Laterza, Roma,
2007, p.54
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questura, di un’autorizzazione lavorativa da parte dell’Upl e di un
visto d’ingresso rilasciato da parte del consolato italiano del paese di
origine.
Tutto ciò provocò l’insorgere di una ampio tasso di illegalità nelle
procedure di assunzione di cittadini extracomunitari all’interno di
aziende a causa della lunghezza dei tempi previsti per il rispetto di
tutti gli adempimenti utili.
Sino ad allora, però, l’immigrazione non era stata un fenomeno
talmente influente da caratterizzare incisivamente il dibattito
pubblico.
Alla fine degli anni Settanta, però, quando il tassò di disoccupazione
in Italia iniziò ad aumentare clamorosamente, iniziarono ad emergere
i primi focolari di fenomeni di razzismo e la domanda, da parte
dell’opinione pubblica e della classe politica, di politiche più
restrittive e di chiusura.
Dalla parte degli immigrati si schierarono prevalentemente i
sindacati e alcune associazioni allora nascenti che tentavano di
sopperire alla carenza di servizi volti all’accoglienza e all’assistenza
sanitaria, legale ed umanitaria.
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La Caritas ha ricoperto in tutto questo un ruolo fondamentale
costruendo, negli anni Ottanta, una rete che si occupava di fornire
cibo, vestiario e preparazione professionale e linguistica agli
immigrati che chiedevano accoglienza nel nostro Paese, iniziando
contemporaneamente anche a fornire dati più certi rispetto alla
presenza straniera in Italia e ad essere delegata dal ministero
dell’Interno alla stesura di dossier statistici che dal 1990
rappresentano un punto di riferimento essenziale per ricavare dati e
statistiche.
Ruolo fondamentale del crescente assistenzialismo era quello di
reprimere la clandestinità e di garantire legalità dal punto di vista
lavorativo trasformando la competizione tra lavoratori autoctoni e
lavoratori stranieri in compensazione.
Continuava, però, a sentirsi la mancanza di una legge in materia di
immigrazione. Ma il Governo non poteva più stare a guardare con
indifferenza e ad esimersi dal suo ruolo, rimanendo cieco di fronte
alle pressioni che gli arrivavano da parte dei sindacati e delle
associazioni, cattoliche e non.
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Così, nel 1978, Andreotti nominò un Comitato interministeriale per
l’immigrazione, il quale segretario si riconosceva nella persona di
Franco Foschi, delegato a svolgere un’attenta analisi sistematica del
fenomeno migratorio nel Paese.
Il periodo che va dal 1979 al 1986 potrebbe essere indicato come “la
stagione dei disegni di legge”, durante la quale furono presentate
all’attenzione del Governo varie proposte accompagnate da
suggerimenti sindacali, regionali e associazionistici.
Ma le linee politiche da seguire erano bilaterali: solidaristiche nei
confronti dei cittadini stranieri e cautelative dal punto di vista
soprattutto lavorativo.
Date le varie opposizioni si stentò molto a raggiungere un accordo.
Nel 1981 si approvò la legge 158 attraverso la quale l’Italia aderiva
alla convenzione internazionale dell’Oil, per la soppressione delle
immigrazioni clandestine e l’uguaglianza tra gli uomini, in quanto a
diritti ed opportunità.
I disegni di legge che seguirono furono alquanto restrittivi e quindi
mai approvati.
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Nel 1986 un’unione di sindacati e di associazioni diffuse un
“Appello per una legge giusta per gli stranieri”. Crearono così un
testo di legge che riscosse consensi tra maggioranza ed opposizione e
che fu presentato da Foschi ed approvato dalla Camera il 7 maggio
dello stesso anno.
La legge Foschi (L. 30 dicembre 1986, n. 943), prevedeva come
primo articolo la ripresa dei principi fondamentali della Convenzione
dell’Oil attraverso i quali si garantisce a tutti i lavoratori
extracomunitari legalmente residenti in territorio italiano e alle loro
famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza dei diritti rispetto
ai lavoratori italiani, garantendo i diritti relativi all’uso dei servizi
sociali e sanitari e al mantenimento dell’identità culturale, alla scuola
e all’abitazione.
2
Si impegnava, inoltre, a sancire dei precetti per il reclutamento di
lavoratori dall’estero tenendo conto di censimenti mensili delle
offerte di lavoro, di verifiche da parte degli uffici provinciali di
lavoro e di liste e graduatorie dei lavoratori extracomunitari
richiedenti lavoro in Italia.
2
Legge 30 dicembre 1986, n. 943, Norme in materia di collocamento e di trattenimento dei
lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine.
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Nell’articolo 17 era previsto un controllo sulle nuove migrazioni e
sul blocco delle immigrazioni clandestine, procedendo con il
rimpatrio immediato e con sanzioni nei confronti di coloro che
compissero attività illecite, penalizzando anche coloro che
impiegavano lavoratori stranieri in modo illegale.
Si intraprese, così, una forte politica di regolarizzazione.
Tra il 1989 e il 1990 l’Italia attraversò un biennio di forte crescita
economica.
Contemporaneamente, però, con l’ingresso delle Leghe nello
scenario politico e l’impatto ormai visibile che aveva l’immigrazione
nello scenario sociale, iniziarono a verificarsi eventi di xenofobia e
razzismo.
Gli anni Novanta furono caratterizzati da un mutamento delle
esigenze legislative: il tema ora di maggior preoccupazione era
quello della sicurezza e del controllo degli stranieri, piuttosto che
delle loro esigenze lavorative. Si iniziò pertanto a focalizzare
l’attenzione sulle norme riguardanti l’espulsione degli
extracomunitari illegalmente presenti sul territorio nazionale.
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