7
testimoniale di completo sradicamento culturale, per intraprendere,
molto spesso con dolore, una nuova condizione di ricostruzione
identitaria, con tutte le problematicità che essa nasconde. Nel suo
respiro spezzato trova pausa l’angoscia, la quale bussa alla porta del
viaggio per ricordare al migrante la possibilità di non rivedere i propri
cari, di non riabbracciare il proprio passato in memoria, di non trovare
accoglienza in una struttura sociale, e la probabilità di ritrovarsi
comunque solo a camminare sui pavimenti di un Dio estraneo al
sangue e al sudore che scorrono lungo gli interstizi dei ciottoli
annerati dell’esistenza.
La letteratura della migrazione si pone come terapia
socioculturale del pensiero occidentale, da sempre bivaccato in
stereotipi che hanno relegato le culture minoritarie al ruolo di
appendice e supplemento. La forza degli scrittori migranti sta nel loro
dividersi tra le terre, nella loro ibridazione linguistica e nel loro
abbraccio al multiculturalismo, che li rendono portatori di diversità.
La loro forza sta negli occhi indagatori che hanno l’opportunità di
uscire da orbite socchiuse al microcosmo e catturare traiettorie oltre
orizzonti familiari, occhi che nel loro perdersi nell’altrove mostrano i
capillari gonfi dalla sofferenza, occhi che si schiudono al cospetto di
una nuova terra per poi serrarsi nelle lacrime del distacco. Gli scrittori
migranti usano la lingua del paese d’arrivo, per alcuni già posseduta
8
perché provenienti da ex colonie in cui queste lingue sono rimaste
ufficiali
1
.
In questo ambito si muove lo scrittore arbëresh Carmine Abate,
originario di Carfizzi
2
, paese calabrese in provincia di Crotone. Il suo
caso tuttavia richiede un’analisi dettagliata in quanto egli “straniero”
in terra nativa. Appartenente alle comunità di origini albanesi che si
insediarono in Italia dagli inizi del sedicesimo secolo, Abate nasce e
cresce nelle tradizioni dell’Arbëria, avendo come linguamadre
l’arbëresh e scoprendo l’italiano a scuola, che diventerà la sua lingua
letteraria. L’esperienza della migrazione la vive in giovane età quando
si trasferisce in Germania, terra d’approdo di moltissimi suoi
concittadini. In questa situazione l’autore fa propria la lingua tedesca
esordendo sul panorama letterario con due lavori Die Germanesi
3
e
Den Koffer und weg!
4
Dopo l’esperienza tedesca Abate si trasferisce a
1
Si veda NORA MOLL, La letteratura della migrazione:un possibile campo
dell’imagologia interculturale, in Letteratura Comparata, ARMANDO GNISCI (a cura
di), Mondadori, Milano, 2002.
2
CARFIZZI è un piccolo paese dell'entroterra crotonese a 20 km dalla costa jonica
(Cirò Marina) e a 60 km dall'altopiano della Sila. È un paese di origine albanese e
conserva ancora lingua e tradizioni arbëresh. Conta una popolazione di circa 1750
abitanti molti dei quali sono emigrati all'estero e nell'Italia settentrionale. Il territorio
si estende tra i comuni di Cirò, Melissa, Pallagorio, S. Nicola dell'Alto, Umbriatico,
sulla fascia collinare presilana a Nord del Marchesato di Crotone. L'abitato è sulla
cima di un poggio, isolato da profondi solchi di due torrenti affluenti del fiume
Lipuda, nella bassa Valle del Neto. In http://www.prolococarfizzi.com/ [25-02-
2009].
3
CARMINE ABATE, MEIKE BEHRMANN, Die germanesi, Campus, Frankfurt-New
York, 1984. Trad. Rubbettino, Ilisso edizioni, Soveria Manelli (Cz), 2006.
4
CARMINE ABATE, Den Koffer und weg!, Neuer Malik, Kiel, 1984.
9
Besenello, nel Trentino, dove comincia a scrivere in italiano il ciclo di
Hora, paesino cui è riconducibile Carfizzi.
Molti critici avvicinano la sua esperienza a quello dello scrittore
indiano Salman Rushdie
5
. L’arbëresh in questo caso starebbe
all’indiano come l’italiano all’inglese.
Il fenomeno della migrazione prende corpo nell’esistenza di Abate in
due diverse condizioni. Dal passato si alzano le ombre di un esodo
doloroso del popolo arbëresh, mentre nel presente è amaro il sapore
dell’”ingiusta” migrazione dei suoi concittadini verso lidi europei,
terre che rassodavano il loro equilibrio economico. In questi due tempi
5
Nato a Bombay(India) il 19 giugno 1947, si trasferisce a Londra all'età di 14 anni.
Studia all'Università di Cambridge. Le sue prime pubblicazioni includono Grimus
(1974), I figli della mezzanotte (1981) e Vergogna (1983). Con I figli della
mezzanotte, complesso romanzo costruito a incastro attorno alle vicende di Saleem
Sinai e altri mille personaggi nati appunto attorno alla mezzanotte del 15 agosto
1947 (giorno della dichiarazione dell'indipendenza dell'India), vince il Booker Prize
nel 1981 e ottiene un inaspettato successo popolare e critico.
Dal 1989 vive in clandestinità, dopo la condanna a morte decretata da Khomeini e
dal regime degli ayatollah iraniani (condanna sospesa solo molti anni dopo, ma non
in modo cristallino) seguita alla pubblicazione del libro Versetti satanici, ritenuto
"blasfemo" (anche se, a ben vedere, lo scrittore non fa altro che trasformare la
rivelazione coranica in un racconto). A causa di queste minacce assai concrete (il
traduttore giapponese del libro, ad esempio, è stato assassinato), Rushdie è stato
costretto a vivere in clandestinità per anni nel timore che la sentenza fosse eseguita
dai vari "fedeli" islamici sguinzagliati allo scopo. Il suo diviene un caso
internazionale, emblematico dell'intolleranza religiosa della fine del millennio.
Versetti satanici è comunque un romanzo di alto livello, al di là del vasto impatto
che ha avuto a seguito della condanna, ed è diviso in nove capitoli, in cui si
alternano il racconto delle vicende di Gibreel e Saladin, e la rivisitazione
romanzesca di alcuni aspetti della cultura islamica, riconducibili al nucleo tematico
dei legami e conflitti tra mondo laico e religiosità. Rushdie è presidente del PEN
American Center e Honorary Professor in Humanities al MIT. I suoi libri sono stati
tradotti in trenta lingue. In www.biografieonline.it e in
http://it.wikipedia.org/wiki/Salman_Rushdie [14-03-2008].
10
e in questi due “viaggi”, uno di popolo, l’altro prima individuale nel
collettivo, si dipana l’opera di Carmine Abate, tesa da una parte a
riscoprire e salvaguardare una cultura in via di smarrimento, dall’altra
a testimoniare l’ingiustizia di una nuova migrazione imposta da un
estremo bisogno economico.
Sospeso tra le lingue e le culture, l’autore carfizzotto si pone
come portatore delle diversità e testimone di un fenomeno connaturale
al popolo arbëresh e fortemente necessario alle genti del sud. Con
sguardo europeo Abate osserva il microcosmo di Carfizzi attraverso le
storie di umili famiglie che coltivano speranze nel campo fertile dei
desideri, il quale renderà solo sogni nella stagione dell’utopia. Storie
di paesi arroccati sul mondo, che raggiungerne il centro significa
indossare scarpe con suole resistenti e fornirsi di una valigia di
cartone. Paesi in cui sentimenti sposano le dinamiche della ragione
dettate dalla necessità, dall’urlo stridente della sopravvivenza. Paesi in
cui la memoria del passato passeggia vaga nei ciottoli dei vicoli
impolverati, a ricordare a tutti i cocci di una storia diversa, del corso
degli eventi segnato dalle fughe da madre patria, per raggiungere una
matrigna che maschera il suo cinismo impellente. Storie in cui il
viaggio è congenito all’essere di un popolo, come il pianto che spegne
il fuoco accesso sotto le scalinate di una chiesa. Culture che si
incontrano, lingue che si uniscono, sangue che si mescola in una
11
costante mutazione identitaria. In questo mutamento Carmine Abate
rivela l’esperienza della migrazione.
Il critico letterario Armando Gnisci
6
, nel volume Nuovo Planetario
Italiano
7
da lui curato, sostiene che
Arrivare a scrivere la migrazione, personale o di popolo, significa riconoscersi come
poeta ed artista, come narratore e artefice dentro la trasformazione
8
.
Dentro la trasformazione penetra la poetica di Carmine Abate. La
segue, l‘accompagna, la controlla, ne analizza le mutazioni, esalta le
ricchezze e condanna il silenzio che attornia il fenomeno. Dentro la
trasformazione costruisce l’adolescenza dei suoi personaggi, ne
esamina i caratteri, disegna nei dettagli i paesaggi spogli d’artificio,
edifica la struttura della Storia e l’esilio. Dentro la trasformazione,
nella migrazione. E non a caso lo scrittore si definisce “custode della
metamorfosi”
9
.
6
ARMANDO GNISCI, (Martina Franca, 27 febbraio 1946), critico letterario e docente
universitario italiano. Professore associato all'università La Sapienza di Roma, è
considerato uno dei più importanti studiosi di letteratura comparata. Ha pubblicato
35 libri e decine di articoli scientifici in riviste e Atti accademici di tutto il mondo. I
suoi scritti sono stati tradotti in rumeno, francese, ungherese, slovacco, spagnolo
(Spagna e Cuba), inglese, cinese mandarino, arabo (Egitto), macedone, serbo e
portoghese.
7
ARMANDO GNISCI, Nuovo Planetario Italiano, Città Aperta, Troina(En), 2006.
8
ARMANDO GNISCI, Nuovo Planetario Italiano, cit., pag.18.
9
Si veda GIANLUCA VELTRI, Profili: Carmine Abate, «Il Mucchi Selvaggio»,
Ottobre 2006, e in http://www.carmineabate.net/mucchio.htm.
12
Il prossimo anno torno per sempre al paese.
10
Esordisce con queste parole, lo scrittore di Carfizzi, nel suo
saggio In margine all’antologia, “In questa terra altrove”. Le parole
erano quelle di suo padre emigrato in Germania come gran parte dei
suoi conterranei. Questa migrazione di massa ha generato un
individuo fino allora sconosciuto, messaggero di tre culture, legato
alla sua terra calabrese ma profondamente devoto alla Germania, la
terra della speranza economica. Nasce una figura nel mezzo,
nell’abbraccio tra due modi di essere, ponte tra realtà discordi che
modifica completamente il sistema socio-antropologico di Carfizzi.
Nasce il Germanese.
Attraverso la sua figura si snoda l’opera letteraria di Carmine Abate,
il quale esordisce sulla scena con Die Germanesi, ricerca socio-
antropologica, “di grande spessore, anche dal punto di vista
narrativo”
11
, sul fenomeno migratorio dei Germanesi.
10
CARMINE ABATE, in La letteratura dell’Emigrazione, in Jean-Jacques Marchand
(a cura di), In margine all’antologia “In questa terra altrove”, Edizioni della
Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1991, pag.369.
11
GIUSEPPE COLANGELO, I germanesi,cit., prefazione, pag.10.
13
Il muro dei muri
12
è l’opera d’esordio come narratore.
Pubblicato già nel 1984 in tedesco, col titolo Den Koffer und weg!, il
testo è una raccolta di racconti in cui Abate esamina le questioni
sociali degli arbëresh e dei calabresi emigrati in Germania. Tematiche
come l’integrazione, il razzismo, la disparità sociale, sono affrontate
dall’autore attraverso protagonisti italiani, ospiti e stranieri, figura che
arranca a trovare spazio nell’immaginario collettivo dei cittadini
italiani, che nel ruolo di ospitanti, non discernono un passato tinto di
migrazioni. Ne Il ballo tondo
13
, pubblicato nel 1991, Abate prosegue
la sua poetica della migrazione vista con occhi adolescenziali. Il
tempo della memoria storica arbëresh incontra la storia in piena
mutazione, intrisa di culture diverse. L’autore narra la storia usando le
lingue della sua formazione e mescolando i vari vocaboli italiani-
arbëresh-germanesi, dando vita ad un diverso respiro linguistico che
partorisce un nuovo sentimento identitario. Dopo una parentesi in
versi con Terre di andata
14
stampato nel 1996, esce La moto di
Scanderbeg
15
, un romanzo il cui tessuto avvolge la storia degli
antenati albanesi attraverso la figura di Alessi, padre del protagonista,
12
CARMINE ABATE, Il muro dei muri, Mondadori, Milano, 2006.
13
CARMINE ABATE, Il ballo tondo, Mondadori, Milano, 2005.
14
CARMINE ABATE, Terre di andata, Argo, Roma, 1996.
15
CARMINE ABATE, La moto di Scanderbeg, Fazi, Roma, 1999, Mondadori, Milano,
2008.
14
scomparso accidentalmente e leader delle lotte contadine. L’arco
spaziale del romanzo raccoglie l’Italia e la terra tedesca in tutte le loro
difficoltà. Nel 2002 con Tra due mari
16
Abate affronta l’incontro in
famiglia tra la cultura italiana e quella germanica. In un’atmosfera che
esalta il mito del Grand Tour attraverso elementi di sciasciana
memoria, Abate condisce una storia tra le culture in cui dominante è la
figura del nonno del giovane protagonista, un uomo irriducibile che
decanta la giovinezza della senilità. La festa del ritorno
17
è ancora un
elogio al riabbraccio tra padre e figlio, e non mancano dinamiche
narrative che alimentano suspense e intensificano l’intreccio degli
eventi.
Con il penultimo romanzo Il mosaico del tempo grande
18
lo scrittore
di Carfizzi compone un vero e proprio mosaico letterario, tinto dei
colori della storia degli antenati e degli eventi presenti, i cui tasselli
cercano l’unione tra due tempi e storie diverse, sorelle e figlie di una
madrepatria comune. L’ultimo romanzo Gli anni veloci
19
esula dalle
tematiche prevalenti affrontate in passato. Abate abbandona per il
momento la migrazione e l’arberëshe, scrivendo una storia d’amore
leggera, musicata dai versi di Lucio Battisti e Rino Gaetano. Forse una
16
CARMINE ABATE, Tra due mari, Mondadori, Milano, 2002.
17
CARMINE ABATE, La festa del ritorno, Mondadori, Milano, 2004.
18
CARMINE ABATE, Il mosaico del tempo grande, Mondadori, Milano, 2006.
19
CARMINE ABATE, Gli anni veloci, Mondadori, Milano, 2008.
15
storia della migrazione dell’anima, degli anni che fuggono via, quelli
che passano come un soffio di fiato, come una nota su un
pentagramma stropicciato che solfeggia da tempo in chiave di
lamento.
16
UN TRANSFUGA LINGUISTICO DELLA MIGRAZIONE
Nel saggio In margine all’antologia “In questa terra altrove”, inserito
nel corposo volume La letteratura dell’emigrazione curato da Jean-
Jacques Marchand, Carmine Abate si chiedeva per quale motivo solo
pochi autori italiani avessero raccontato uno dei fenomeni più diffusi,
e socialmente il più incisivo, nella società italiana: l’emigrazione.
Considerata una mera “ingiustizia”, per Abate la migrazione
nei suoi diversi aspetti trovava accoglienza in modo esaustivo solo
nelle pagine del calabrese Saverio Strati
20
. Questo scontento lo si
rileva anche nell’introduzione a I Germanesi, studio socio-
antropologico curato insieme alla sociologa tedesca Meike Behrmann
20
SAVERIO STRATI ha scritto numerosi romanzi e racconti a sfondo sociale,
ambientati prevalentemente in Calabria. Si è inoltre occupato del recupero di fiabe e
racconti popolari tramandati dalla tradizione orale calabrese, pubblicandone anche
una raccolta, nella quale ha curato la traduzione dal dialetto calabrese all'italiano.
17
...non potevamo dirci soddisfatti delle posizioni correnti nella letteratura generale
sull’emigrazione e delle ricerche macrosociologiche sul sottosviluppo e sullo
sviluppo del Mezzogiorno d’Italia, che, a nostro avviso, procedendo per
inammissibili semplificazioni e senza soffermarsi sulla formulazione di attendibili
verifiche empiriche, sono in grado di menzionare solo in termini molto generali
cause ed effetti dell’emigrazione.
21
Il perché di questo disinteresse degli autori italiani nei confronti del
fenomeno, Abate lo desume dalle parole del conterraneo Pasquino
Crupi, che nella raccolta di racconti sui viaggi degli emigrati calabresi
Un popolo in fuga
22
annotava
Lo scrittore ha un rapporto grande con i suoi personaggi … Ha bisogno di seguirli
dappertutto, di averli sotto controllo. Gioca in questo la sua formazione radical-
borghese, e ha un peso la sua esperienza provinciale che gli impedisce di vedere al
di là della sua terra, in altre terre.
23
Severamente, Crupi, condanna l’esperienza provinciale degli scrittori
italiani che li rende miopi al cospetto di orizzonti posati al di là della
loro terra. Ma allo stesso tempo, questa affermazione, davanti ad uno
specchio, esalta l’esperienza vissuta e rivelata dal narratore, che
21
CARMINE ABATE, MEIKE BEHRMANN, I germanesi, cit., pag.18.
22
PASQUINO CRUPI, Un popolo in fuga (viaggi letterari tra gli emigranti d’Italia del
Mezzogiorno della Calabria), Pellegrini, Cosenza, 1991.
23
PASQUINO CRUPI, Un popolo in fuga, cit.
18
svaluta la “teoria del disinteresse” per dar credito a un “non conosco
per cui non posso raccontare”. In questa immagine riflessa, appare
chiaro che il fenomeno della migrazione nella sua complessità, può
essere raccontato approfonditamente solo da chi ha avuto occasione di
avvolgere lo spago ad una valigia, da chi ha avvolto le speranze in un
arrivederci, da chi ha misurato col respiro le distanze del distacco. Nel
nostro caso, Carmine Abate.
L’esodo dei calabresi-arbëreshë verso lidi europei e le
dinamiche che esso genera, sono il leitmotiv di tutta l’opera dello
scrittore di Carfizzi. Tutto questo con un impianto translinguistico che
esula dai canoni “attraverso” i quali gli scrittori trasmigrano da una
lingua scritta a un’altra.
Fino a sei anni sapevo parlare solo l’arbëresh e anzi ero convinto che l’italiano, la
lingua che avrei imparato a scuola, fosse il napoletano delle canzoni che cantavano i
teatristi di piazza, durante i loro spettacoli, e mio padre, ogni mattina che si faceva la
barba.
24
Dunque, Abate migra da una lingua conosciuta solo oralmente,
l’arbëresh, verso una lingua scritta, l’italiano, per una necessità storica
24
CARMINE ABATE, Microcosmo di culture e di lingue, Franca Sinopoli, Silvia Tatti
(a cura di), I confini della scrittura, Cosmo Iannone Editore, Isernia, 2005, pag.39.
19
e un bisogno sociale, e questo spiacevole passaggio appare allo
scrittore come una scelta infedele
Eppure la scelta, all’inizio forzata e poi sempre più consapevole di scrivere in
italiano l’ho vissuta come una sorta di tradimento nei confronti dell’arbëresh.
25
Ancora con le sue parole possiamo definire lo scrittore calabrese.
Mi piace definirmi un transfuga linguistico, cioè uno scrittore che scrive una lingua
diversa da quella che ha imparato dalla voce della propria madre.
26
Se è attendibile la definizione di Translinguismo letterario di Steven
G.Kellman
27
nel suo Scrivere tra le lingue
28
, “cioè il fenomeno di
autori che scrivono in più d’una lingua e almeno in un’altra rispetto
alla propria madrelingua”,
29
Abate necessita di un’analisi in quanto
scrittore in altre lingue, ma mai scrittore in madrelingua.
Nel saggio Microcosmo di culture e di lingue lo scrittore
evidenzia la promiscuità linguistica della comunità arberëshe,
25
CARMINE ABATE, Microcosmo di culture e di lingue, cit., pag.40.
26
CARMINE ABATE, Microcosmo di culture e di lingue, cit., pag.40.
27
STEVEN G. KELLMAN, docente di letteratura comparata alla Texas university ha
pubblicato, tra l’altro, The Plague: Fiction and Resistance (1993) e Redemption:
The Life of Henry Roth(2005).
28
STEVEN G. KELLMAN, Scrivere tra le lingue, Città Aperta, Troina (En), 2007.
29
STEVEN G. KELLMAN, op.cit, pag.9.
20
individuando tre sostrati principali: Litirë, la lingua straniera, ossia
l’italiano, Gjuha e Zemeres, la lingua del cuore, parlata in famiglia, e
infine, Gjuha e Bukes, la lingua del pane, parlata dai maestri e dai
datori di lavoro. In questo microcosmo di lingue è possibile eseguire
un’analisi translinguistica, poiché essa devia da un contesto
prettamente morfo-sintattico o di semplice traduzione, per lambire le
sfere affettive e sentimentali di un’intera comunità.
Kamala Das
30
, autrice translingue e una delle maggiori figure
della letteratura indiana, così asseriva: “parlo tre lingue, scrivo in due,
sogno in una”
31
. Potremmo utilizzare le stesse parole per Carmine
Abate: tre sono le lingue, con due scrive (Litirë e Bukeres) e con
l’altra sogna, cioè con la lingua del cuore, quella che si impara dalla
voce della propria madre: l’arbëresh-zemeres. E questo legame con le
parole della Das in Abate è abbastanza evidente nella sua esperienza
letteraria, allorché, abbandonata la lingua del cuore a sei anni, impara
l’italiano, e pochi anni dopo, da migrante, il tedesco. E
presumibilmente sarà questa ultima lingua, punto d’arrivo dei migranti
calabresi e simbolo dell’abbandono migratorio, ad alterare coi suoi
30
KAMALA DAS, è una delle maggiori figure della letteratura malayalam, con trenta
romanzi pubblicati. Principalmente autodidatta, ha scritto versi e prosa sin dalla
giovinezza, ottenendo premi prestigiosi quali il Poetry Award for the Asian PEN
Anthology, il Kerala Sahitya Akademi Award e il Chaman Lal Award per il
Giornalismo Coraggioso.
31
STEVEN G. KELLMAN, Scrivere tra le lingue, cit., pag.28.
21
suoni stringati il battito del cuore di una comunità-famiglia,
soffocandone il vitale respiro atavico, l’arbëresh.