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INTRODUZIONE
Il colore non è una realtà semplice. Si potrebbe dire persino che il colore
non sia un realtà, in quanto prende corpo solo nel momento in cui
incontra un soggetto.
La sua complessità ed enigmaticità si intreccia con un effetto molto
diversificato e incisivo che riscuote sull‟uomo: il colore si mostra come
una specie di ponte che si erige tra il mondo esterno e l‟inconscio.
Quindi, se da un punto di vista fisico si può dire che l‟occhio dipinge il
mondo, da un punto di vista psicologico è il colore che tinge l‟animo di
emozioni.
È chiaro dunque il perché il colore si sia imposto come un campo di
studio così interessante, ma al tempo stesso così arduo da svelare in tutti
i suoi aspetti; dopo secoli di ricerche di natura differente, infatti, ancora
non si può parlare di una completa conoscenza sull‟argomento a causa di
un‟impossibilità strutturale: come afferma Widmann “è un‟impresa
impossibile abbracciare l‟inconscio”
1
.
Questo lavoro si propone dunque d‟indagare la dimensione del colore nei
suoi effetti applicativi, senza alte presunzioni, ma attraverso un graduale
percorso che va dal generale al particolare.
Il primo passo da compiere riguarda la costruzione teorica su cui porre le
basi di tale analisi. Si tratta di ripercorrere l‟itinerario di ricerca di fisici,
artisti, antropologi, psicologi alla ricerca dell‟universalità del colore e
alla definizione della sua natura e delle sue proprietà: in questo senso il
colore è luce, è segno, è sensazione, è emozione, è pensiero.
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Cit. Widmann C. (2006). Il simbolismo dei colori. Roma: Magi Edizioni Scientifiche; p. 38.
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Il colore, agendo sulla nostra psiche, predispone nell‟individuo
determinati stati d‟animo ed emozioni che ne condizionano il
comportamento; al medesimo tempo, esso diviene attivatore di processi
cognitivi, come ad esempio il riconoscimento.
La forza comunicativa, evocativa persuasiva del colore, che emerge da
questi studi, fa sì che si enfatizzi l‟interesse per questo vero e proprio
linguaggio del colore che non prevede una trasmissione di informazione
attraverso un codice convenzionale e quindi una specifica
corrispondenza tra significato e significante, bensì possiede una natura
semantica vasta e non definita a priori. Quando si parla di simbologia del
colore si vuole proprio mettere in evidenza questo aspetto che lo
differisce dal segno: la capacità d‟agire a livello inconscio.
La possibilità d‟agire in questo senso, comunicando per alcuni versi
quasi universalmente e riuscendo ad aggirare la consapevolezza
dell‟individuo, fa divenire il colore uno strumento agognato in
moltissimi campi. La psicologia del colore diventa parte integrate di
molteplici attività.
Il marketing è forse il settore che ha attinto maggiormente alle teorie del
colore, sfruttando il potere cromatico in ogni livello di interazione coi
consumatori, creando un nuovo ambiente comunicativo non più mediato,
bensì diretto.
Le imprese commerciali dipingono così il brand, facendo del colore
l‟identità dell‟azienda, il packaging, spingendo attraverso il colore ad
una percezione sinestetica del prodotto, i punti vendita, strutturati per
creare nel visitatore un‟esperienza incisiva, di cui la parte visiva, e nello
specifico quella cromatica, rappresenta la parte emotiva di essa…
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Tutta la comunicazione di marca, dunque, trova un proprio perno nel
colore; in particolare nella pubblicità esso assume un ruolo fondamentale
entrando a pieno titolo nel meccanismo di persuasione: sono infatti le
scelte cromatiche e i simboli grafici, associati al prodotto attraverso la
comunicazione promozionale, a stimolare inconsciamente il consumatore
all‟acquisto mediante gli impulsi emotivi che attivano, aggirando così
quella diffidenza che di norma caratterizza l‟individuo nei riguardi di
una comunicazione pubblicitaria.
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Inoltre, il colore si configura anche
come uno strumento efficace per la stimolazione di bisogni e desideri
nell‟individuo e per questo indispensabile nelle pubblicità come
elemento di spinta al consumo.
Per dare un supporto empirico a questo studio ed evidenziare gli effetti
di determinate scelte cromatiche, la terza parte di questo progetto è
dedicata ad un excursus di analisi di casi, in cui l‟uso del colore si
manifesta come oggetto di una pianificazione commerciale volta ad
evocare determinate sensazioni, emozioni e/o precise risposte da parte
del consumatore. Verranno presi in considerazione, da un punto di vista
prevalentemente psicologico, non solo immagini pubblicitarie, ma tutte
quegli strumenti del marketing che permettono l‟applicazione di strategie
cromatiche: packaging, prodotti, siti…
La scelta è stata quella di analizzare un determinato colore, il rosso, in
modo da far convergere la grande simbolica e valenza psicologica di
questa tinta alle diverse modalità di applicazione del linguaggio
cromatico nella comunicazione di marca, con lo scopo di evidenziarne le
effettive capacità.
2
Cfr. Packard V. (1958) I persuasori occulti. Torino Einaudi Editore.
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È inevitabile così passare per quei marchi, quali la Ferrari e la Coca
Cola, che hanno fondato la propria strategia di marca proprio sul colore,
ma verranno anche prese in considerazione marchi meno noti per quanto
concerne le strategie pubblicitarie, come ad esempio la Cartier o il
Lasonil Gel. Tutti questi casi esprimono ottiche diverse in cui si utilizza
il colore, permettendo di scorrere con lo sguardo il panorama della
comunicatività cromatica.
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CAPITOLO 1
LE TEORIE DEL COLORE
1. L’OCCHIO DIPINGE IL MONDO
L‟uomo vede “a colori” la realtà, ma il colore non è implicitamente
presente negli oggetti. Esso è il risultato di uno scambio continuo di
informazioni trasmesse dalla luce e di riflessione e assorbimento di
questa sugli oggetti che lo circondano; ciò ovviamente congiunto alla
presenza di un sistema biologico in grado di percepire la realtà cromatica
costituito da un organo di senso e da centri ottici del sistema nervoso
capaci di decodificare gli stimoli che raggiungono l‟occhio: il colore è
dunque sensazione. Da quanto detto si ricava che non vi può essere
colore senza un osservatore perché è solo all‟interno di quest‟ultimo che
esso nasce: per questo si può parlare di colore in quanto esperienza
psicologica.
Dunque è necessario prendere in considerazione 3 ordini di fattori nel
momento in cui si vuole affrontare l‟esperienza del colore: di tipo fisico,
fisiologico e psicologico.
1.1. Percezione del colore come fenomeno fisico
Per quanto riguarda la percezione del colore in quanto fenomeno fisico, è
inevitabile rifarsi a Isaac Newton, scienziato inglese che potrebbe esser
considerato il padre fondatore di tali studi. Intorno al 1660 egli,
attraverso studi di fisica della luce, dimostra come la luce bianca sia
composta da piccolissime particelle dette fotoni, diverse per frequenza e
vibrazione che, interagendo con gli atomi della superficie degli oggetti,
ritornano all‟occhio in qualità e quantità differenti, provocando quelle
sensazioni celebrali chiamate colori.
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“Se qualche volta parlo della luce e dei raggi come colorati, non
parlo filosoficamente e con proprietà, ma grosso modo…
Infatti, parlando con proprietà i raggi non sono colorati.
In essi non c’è altro che un certo potere…
a stimolare una sensazione di questo o quel colore”
Isaac Newton, Ottica, 1704
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La banda di onde elettromagnetiche esistenti è molto ampia, ma solo una
porzione di esse è percepibile dall‟occhio umano che va da un minimo di
120 a un massimo di 150 sfumature; viene denominato dunque spettro
visibile quell‟insieme di lunghezze adatte al sistema visivo che si
presentano sottoforma di continuum e che è solo l‟uomo in maniera
convenzionale a classificare e catalogare in diverse tinte (ad esempio
radiazioni elettromagnetiche di bassa frequenza corrispondono alla
sensazione di rosso e arancione, quelle ad alta frequenza danno vita
all‟azzurro, blu e violetto, mentre le medie frequenze inducono la
sensazione del giallo e del verde).
È partendo da tali considerazioni che nascono diverse ricerche sulla
percezione umana del colore da parte dell‟uomo, ricerche che è difficile
collocare in un ambito puramente fisico o fisiologico in quanto frutto di
una continua ricostruzione e arricchimento da parte di molteplici
scienziati.
1.2. Percezione del colore come fenomeno fisiologico
In tal sede si prenderà in considerazione da un punto di vista fisiologico
questi studi intendendoli alla luce delle successive conferme anatomiche
e neurologiche.
3
Cit. Newton I. (1704) da Ottica in Mente & Cervello; Roma: Le Scienze Spa; Mente & Cervello n.
37, anno VI gennaio 2008 (p.3).
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Il primo di questi è quello nato dalle ricerche di Thomas Jung e Hermann
von Helmholtz
4
che costruiscono la teoria tricromatica. Essa sostiene
che alla base della visione del colore vi sono 3 gruppi di fotorecettori
definiti dagli autori “coni”, distribuiti nella zona centrale della retina.
Questi recettori visivi si distinguono per 3 diversi gradi di fotosensibilità
che si attivano quindi in base all‟energia emessa dai fotoni, alla
frequenza e alla lunghezza delle onde (440 nm – 540 nm – 570 nm) e che
dunque rispondono solamente alla sensazione dei colori
psicologicamente primari del rosso, del blu e del verde. Dalla azione
combinata di queste 3 famiglie di coni e sulla base quindi del loro grado
di stimolazione, il sistema visivo è capace di ricoprire la grande varietà
di colori che quotidianamente l‟uomo percepisce ( ad esempio fotoni ad
alta energia e fotoni di media energia combinati potranno dar vita a
sensazioni degli azzurri, blu e turchesi).
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Ma la percezione del colore non termina a livello retinico, vi è un
ulteriore elaborazione dell‟informazione cromatica proveniente dai coni
da parte delle cellule del sistema nervoso. Infatti, i fotorecettori attivati
creano un messaggio neuronale e chimico che arriva alla corteccia
celebrale dove viene elaborato seguendo il modello di Edward Hering
(1878), denominato teoria quadricromatica proprio perché ai 3 colori
base della teoria Jung – Helmholtz aggiunge come fondamentale anche il
giallo. Hering sostiene l‟esistenza di 3 diversi gruppi di cellule nervose
che recepiscono diverse lunghezze d‟onda e agiscono attraverso processi
opponenti (da qui teoria dell’opponenza cromatica) per cui i colori
4
In realtà i due autori non hanno cooperato per la formazione di tale teoria, ma il lavoro di Hermann
von Helmholtz è successivo a quello di Jung.
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Il sistema visivo, secondo tale modello, presenta anche un altro tipo di fotorecettori denominati
bastoncelli e posti sempre sulla retina, ma soprattutto nelle zone periferiche; non sono state qui trattate
però in quanto essi non sono sensibili al colore, ma permettono di vedere in condizioni di luce scarsa
(e quindi non comporta una visione dettagliata).
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contrapposti in queste famiglie (rosso/verde; blu/giallo; chiaro/scuro
6
)
avrebbero effetti inibitori reciproci per l‟attivazione di processi chimici
di dissimilazione e assimilazione. Per questo determinati abbinamenti
quali ad esempio il verderossastro non possono essere percepiti, mentre
altri come il rossobluastro (Magenta), facendo parte di famiglie diverse,
sono possibili.
È bene specificare però che le tesi di Jung - Helmholtz e quella di Hering
nascono come discordanti tra di loro. Quanto è stato qui sinteticamente
descritto è il risultato di decenni di analisi sulla fisiologia della visione
dei colori che è riuscita a conciliare entrambe i modelli, collocandoli
come due stadi successivi di un unico processo: l‟elaborazione a livello
retinico adottante il modello della teoria tricromatica e l‟elaborazione
neuronale che adopera processi di opponenza (Teoria del processo
duale
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).
1.3. Percezione del colore come fenomeno psicologico
Per quanto riguarda la dimensione psicologica, gli studi sull‟esperienza
del colore, sebbene più recenti, sono complessi e sono molti gli aspetti
presi in considerazione.
In primo luogo, il colore in questo senso non va inteso come fenomeno
fisico e così per gli psicologi esso non viene descritto in base alle
caratteristiche delle frequenze, ma vengono valutati tinta (ciò che
comunemente associamo al colore, come “giallo”, “rosso”, ecc),
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In quest‟ultimo caso si tratta di recettori non di preferenze cromatiche, ma di informazioni su
contrasti acromatici
7
Leo Hurvich e Dorothea Jameson (1975).
9
saturazione (relativa alla vividità del colore) e luminosità (in riferimento
alle superfici che riflettono luce e non quelle che le emettono)
8
.
In tal senso il colore comincia ad essere oggetto di ricerche riguardo la
sua elaborazione rispetto agli altri attributi dell‟immagine. Impossibile
non citare dunque la Gestalt, corrente psicologica tedesca nata negli anni
„20 e nota soprattutto per i suoi studi relativi alla percezione visiva
dell‟uomo. Infatti presupposto di tale scuola di matrice strutturalista è
l‟esperienza umana come un processo olistico: “non è data dalla
semplice somma dei suoi elementi ma è qualcosa di più, di diverso”
9
e
dunque la percezione non risponde in maniera automatica agli stimoli
fisici esistenti, ma nasce da una strutturazione interiore e inconsapevole
dell‟uomo di questi elementi in un “insieme organizzato”, in una forma
(in tedesco appunto gestalt) , generando percezioni, sensazioni e pensieri
che non necessariamente coincidono con la realtà fisica. Nella
percezione visiva intervengono così diversi sistemi specializzati che
elaborano le differenti proprietà contenute nell‟informazione
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e
successivamente esse vengono integrate assumendo un valore aggiunto
alla mera somma degli stimoli. Il colore dunque, secondo tale approccio,
viene elaborato distintamente dagli altri attributi presenti e viene
analizzato dalla scuola della Gestalt relativamente ai fenomeni della
distinzione figura-sfondo e della costanza del colore.
8
È bene precisare che esiste corrispondenza tra gli elementi della fisica della luce e le attribuzioni
date dagli psicologi al colore. Cfr. http://www.iuav.it/Didattica1/pagine-web/facolt--di1/Roberto-
Ca/clasAV---t/index.htm
9
Monticelli B. (2006). Percezione Visiva e Design Come la Mente Vede le Forme. Firenze:
PsicoLAB. Visionato il 04/12/2007 su http://www.psicolab.net
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A tal proposito i risultati di studi sia neurofisiologici quanto quelli di psicofisica pervengono ad una
parziale dipendenza tra i meccanismi attivati nell‟analisi dell‟immagine e del colore (ad ex. colore ed
orientamento), ma limitatamente ai primi livelli d‟elaborazione dell‟informazione visiva. Per ulteriori
approfondimento in merito consultare Casco C. (1992). Vedere: i meccanismi della visione nell’ottica
della psicologia sperimentale Torino: Bollati Boringhieri. Cap. Il colore come attributo figurale (p.
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