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L’infermiere che presta la sua opera nei malati critici è oggi un professionista
sanitario dell’assistenza infermieristica particolarmente importante ed impegnato.
Ad esso sono richieste competenze specialistiche che gli permettano di svolgere
questo delicato compito. Il suo obiettivo prioritario è la salvaguardia della salute
del paziente nel senso più ampio del suo significato, e la tutela della salute
rappresenta un dovere deontologico oltre che giuridico. In urgenza , ma sempre
piu spesso anche in elezione, l’infermiere deve garantire e gestire risposte che
siano appropriate ed efficienti per i bisogni dell’ammalato. L’infermiere deve
quindi porre al centro del suo universo di professionista la “persona/paziente” non
solo perché lo afferma il legislatore, ma perché tutta l’attività infermieristica è
centrata sulla persona del “paziente” e sul “paziente” come persona, ed egli ha
dovere di fornire un’assistenza sicura, competente, responsabile e della migliore
qualità.
In diverse circostanze è richiesto all’infermiere di fornire prestazioni di alta
complessità o responsabilità: basti pensare alla presa in carico degli utenti in fase
di triage, in cui è prevalente l’attribuzione di un codice di priorità, oppure
all’assistenza in urgenza del politraumatizzato, alla gestione del malato critico o al
monitoraggio clinico strumentale in rianimazione. In questi contesti vengono
messi in campo peculiari conoscenze , azioni e tecnologie: l’assistenza, sia essa
preventiva, curativa, palliativa o riabilitativa è quindi di natura relazionale,
educativa e , oggi più che mai, anche fortemente tecnica.
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La Legge 42 del 1999 (“Disposizioni in materia di professioni sanitarie”)
rappresenta una pietra miliare nell’evoluzione della figura dell’infermiere.
L’attività infermieristica non viene più considerata un arte ausiliare, ma una
professione sanitaria a tutti gli effetti, con il riconoscimento di una specificità
professionale, che di fatto ha abrogato il Regolamento approvato con il DPR
225/1974 (il cosiddetto “mansionario”). La cornice di competenze dell’infermiere
si è quindi completata in un dettato normativo di tre elementi costitutivi: il profilo
professionale, il codice deontologico e l’ordinamento didattico, a sua volta
distinguibile in didattica di base e didattica post-base. Vale a dire che le
conoscenze dell’infermiere non si fermano a laurea acquisita. L’infermiere occupa
quindi oggi un’area che si inserisce e si integra con altre aree di specifica attività,
in un mosaico di competenze disciplinari in evoluzione. In questo contesto
autonomia e responsabilità sono fondamenti, tra di loro direttamente
proporzionali. Ed esse non prescindono da una solida formazione culturale che
deve essere permanente. Ma nella realtà attuale, e a garanzia di ciò che seguirà,
non credo sia fuori luogo ricordare che anche il Codice Deontologico, nella sua
visione deliberata il 10 gennaio 2009 ci ricorda:
<<Art 11 : L’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e
aggiorna saperi e competenze attraverso la formazione permanente, la riflessione
critica sull’esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di
formazione. Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei
risultati.
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<<Art 12 : L’infermiere riconosce il valore della ricerca, della
sperimentazione clinica e assistenziale per l’evoluzione delle conoscenze e per i
benefici sull’assistito>>.
Con queste premesse appare logico che lo sviluppo tecnologico debba essere
seguito ed acquisito dall’infermiere, che può far proprie metodiche che non
appartengono a figure particolari, ma solo alla necessità di cura di un sofferente.
L’essenziale e che vi sia il rispetto delle competenze e vi siano le opportune
conoscenze per decisioni autonome, motivate, razionali e responsabili.
Come l’ecografia viene utilizzata dai tecnici per l’analisi dei metalli, dai marinai
per l’analisi del fondo marino, dagli oceanografi per lo studio delle acque, qualora
l’infermiere ne intraveda un impiego consono alla sua professione, e la sua cultura
e coscienza ne prevedano un’utilità per la persona che ha in cura, appare
perfettamente coerente che egli, opportunamente, se ne serva.
In questi ultimi decenni l’ecografia è divenuta mezzo multidisciplinare di diagnosi
e terapia, impiegato non solamente da radiologi, ma da operatori diversi, anche
non medici, accumunati da esigenze di approccio rapido e non invasivo al
paziente.
Non è quindi fuori luogo parlare di ecografia infermieristica, nel momento in cui
l’infermiere si trovi nella necessità di effettuare procedure utili per la sua
professione, ed impiega l’ecografo non a scopo diagnostico, ma per diminuire le
difficoltà e la morbilità di certe manovre. Quindi non ecografia diagnostica, ma
una forma particolare di ecografia operativa.
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Il lavoro che abbiamo svolto vuole essere una puntualizzazione delle potenzialità
operative dell’ecografia in settori infermieristici come l’acquisizione di accessi
venosi periferici con cateteri di vario tipo e la stima del riempimento vescicale
con il cateterismo eco-assistito di quest’organo, entrambe tecniche abituali della
professione infermieristica. Sicuramente l'uso competente della tecnica ecografica
aggiunge indubbi vantaggi per i pazienti e sicuramente in futuro, come sta
avvenendo sempre più per il medico specie in emergenza,sarà indispensabile
anche per l'infermiere l'acquisizione di competenze ecografiche.
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CAPITOLO 1
PRINCIPI DI BASE
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1.1 GLI ULTRASUONI
Gli ultrasuoni sono onde acustiche, movimenti vibratori periodici con elevate
frequenze (maggiori si 20.000 oscillazioni al secondo = Hertz), superiori a quelle
percepibili all’orecchio umano e che caratterizzano gli ordinari suoni udibili. Dal
punto di vista fisico un ultrasuono (come il suono) è un onda. Viene definito
quindi da un ampiezza, da una lunghezza d’onda e da una frequenza caratteristica.
La frequenza rappresenta il numero di oscillazioni che un onda acustica
compie nell’unità di tempo (misurata in cicli al secondo o in Hertz). La lunghezza
d’onda caratterizza la distanza tra due creste di onda, mentre l’ampiezza correla
con l’energia trasportata dall’onda. Esiste pertanto una relazione inversa tra
frequenza (f) e lunghezza (ç), mentre la velocità di propagazione dell’ultrasuono
(c) correla con la
lunghezza d’onda e la frequenza dell’onda secondo l’equazione :
c = f * ç
Nella diagnostica ecografica generalmente vengono utilizzate frequenze comprese
tra 2,5 e 13 MHz , anche se esistono sonde per usi particolari (su spessori tissutali
sottili e ad altissima definizione ) che operano con frequenze di 13 – 20 MHz e
oltre. Considerata una velocità standard dell’onda ultrasonora nei tessuti di 1540
m/sec , risulta che le lunghezze d’onda di uso normale in ecografia variano tra i
1,5 e 0,10 mm.
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1.2 L’ECOGRAFIA
La capacità di appositi trasduttori, posti a contatto della cute, di emettere
ultrasuoni e di ricevere dai tessuti esplorati frequenze acustiche come echi, sta alla
base della produzione delle immagini in ecografia.
Nel mio lavoro ci riferiremo solo alla creazione di immagini bidimensionali.
L’ ecografia è una metodica che restituisce immagini tomografiche orientabili nei
vari piani spaziali in una scala di grigi; nella pratica, immagini anatomiche di
sezioni corporee in toni modulati di bianco/nero.
Una comune sonda elettronica è costituita da una serie di piccoli cristalli
ceramici(trasduttori). Ogni singolo trasduttore invia e riceve alternativamente una
serie di impulsi ad una frequenza predeterminata. L’emissione, di brevissima
durata, è intervallata da un altrettanto periodo di latenza, necessario per consentire
la propagazione del fascio ultrasonoro nei tessuti e per la successiva registrazione
degli echi riflessi.
Infatti, quando gli ultrasuoni tornano indietro sotto forma di echi, trovano il
trasduttore in posizione di ascolto, pronto per la ricezione. Il fascio ultrasonoro
emesso attraversa i tessuti esplorati, interferendo con essi. La ricezione di segnali
acustici di ritorno permette la produzione di correnti elettriche interpretate dal
software della macchina ecografica e convertiti in immagine.
Alla base della produzione di echi all’interno degli organi vi è l’interazione degli
ultrasuoni con i tessuti in rapporto alla loro impedenza acustica. L’impedenza
acustica (Z) è una proprietà caratteristica di ogni mezzo e corrisponde all’entità
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delle forze che si oppongono alla trasmissione dell’onda ultrasonora al suo
interno. Essa è uguale al prodotto della densità del mezzo( L ) per la velocità di
propagazione del suono attraverso il mezzo stesso ( C ) :
Z = L C
Un altro parametro da valutare è l’assorbimento da parte dei tessuti che,
generalmente, aumenta con l’aumentare della frequenza , per cui la capacità di
penetrazione del fascio ultrasonoro risulta inversamente proporzionale alla
frequenza stessa. La maggiore o minore profondità della struttura da esaminare
imporrà quindi l’utilizzo di trasduttori con una frequenza diversa( minore e
maggiore rispettivamente). Fasci ad alta frequenza( 7-13 MHz) verranno utilizzati
per lo studio di strutture superficiali, mentre fasci a frequenza più bassa (5-7
MHZ), penetrando in profondità garantiranno una buona visione delle zone più
profonde.
Alla base della produzione dell’immagine stanno gli impulsi elettrici, prodotti
dalla sonda o trasduttore e dagli echi di ritorno da interfacce impedenti.
Ad ogni pixel dell’immagine ecografica viene assegnata una diversa luminosità,
proporzionale all’intensità degli echi corrispondenti:
echi intensi : bianco;
assenza di echi: nero;
echi intermedi : grigio con differenti toni.