9
generale obbligatorietà della motivazione. Si era così argomentato che il T. U. delle
leggi del Consiglio di Stato ed il relativo regolamento di procedura
5
prevedevano
la possibilità di un ricorso per motivi di legittimità avverso tutti gli atti
amministrativi imponendo, a pena di inammissibilità, di motivare i ricorsi stessi.
Conseguentemente, se ne era dedotto che gli atti amministrativi dovevano essere
motivati per consentire l’adempimento di tale onere da parte dei ricorrenti in
giudizio.
Si era, poi, fatto riferimento al sindacato giurisdizionale per eccesso di potere,
ritenendo impossibile tale attività in assenza di motivazione degli atti
amministrativi
6
.
Un ultimo elemento addotto era di natura letterale e faceva riferimento ad
un’interpretazione estensiva dell’articolo 3 della legge n. 2248/1865 allegato E
7
, in
virtù della quale si riteneva sussistente un obbligo generale di motivazione degli atti
amministrativi
8
.
5
Recita infatti l’articolo 6 del Regolamento di procedura: “Il ricorso […] deve contenere […] i
motivi su cui si fonda […]
6
Si tratta della cosiddetta tesi della funzione processuale della motivazione. Tale tesi verrà in
seguito ripresa e sviluppata da Mortati, secondo il quale l’esistenza di un rapporto tra sindacato
giurisdizionale e motivazione esiste, in quanto “è fatto carico a chi agisce per l’attuazione coattiva di
una pretesa tendente a produrre effetti giuridici nella sfera di un altro soggetto giuridico, di
dichiarare la ragione della medesima (onere dell’affermazione o della ragione), ossia di indicare ciò
che valga ad individuare la domanda, sotto la specie non tanto della volontà di legge, che si suppone
già cognita dal giudice, bensì delle circostanze, che concretizzano nel caso particolare siffatta
volontà di legge”. Così C. MORTATI, “Obbligo di motivazione e sufficienza della motivazione degli
atti amministrativi”, nota critica a Cons. Stato, Sez. IV, 4 luglio 1942, in Giurisprudenza Italiana,
1943, III, 8 ss.
A giudizio di Mortati, quindi, per l’instaurazione di un valido contraddittorio, sono necessari tanto le
ragioni addotte dal ricorrente nel ricorso, tanto la motivazione fornita dall’amministrazione a
fondamento dell’atto. Nel caso del provvedimento amministrativo peraltro bisogna evidenziare una
peculiarità, ossia, stante l’esecutorietà degli stessi, che l’obbligo motivazionale sussiste prima
dell’insorgenza di una contestazione giudiziaria.
Per quest’ultimo rilievo si veda G. PANDOLFELLI, op. cit, 89. Lo stesso Autore non lesina critiche a
siffatta impostazione, sottolineando l’assenza di ogni similitudine tra onus probandi in sede civile e
provvedimento amministrativo.Giova inoltre ricordare che la tesi del Mortati prendeva le mosse
dalle critiche formulate in relazione alla tesi esposta da G. MIELE, “L’obbligo di motivazione negli
atti amministrativi”, in Foro Amministrativo, 1941, I, 1, 125, che aveva fondato l’obbligo generale
di motivazione per gli atti amministrativi sulla esecutorietà degli stessi.
7
Il quale prevedeva l’obbligo della motivazione per i decreti delle autorità amministrative con cui
queste provvedevano sugli “affari” ad esse attribuiti.
8
Tale impostazione fu anche avallata in un’occasione dalla giurisprudenza. Si veda la nota 22. Non
vi fu inoltre chi non ravvisò nell’articolo 7 della stessa legge del 1865, il fondamento di un generico
obbligo di motivazione.
Non mancarono peraltro, anche in epoca successiva, tentativi del medesimo tenore. In particolare il
riferimento fu all’articolo 5 del d. P. R. 1199/1971. Più ambizioso, ma destinato a totale insuccesso
10
Peraltro, non fu difficile mettere in evidenza i punti critici di tale impostazione.
Fu osservato
9
, infatti, che, in primo luogo, in tal modo si sarebbe negato l’obbligo
di motivazione in relazione a quegli atti amministrativi avverso i quali non era
possibile ricorrere in giudizio.
In seconda battuta, si era posto in luce come, anche in relazione agli atti
amministrativi nei confronti dei quali era previsto il ricorso, tale impostazione fosse
censurabile; infatti, l’onere a carico del ricorrente si limita ai motivi e non agli
elementi su cui essi si fondano, potendo essi essere indicati successivamente,
quando cioè emersi dalle documentazioni dell’amministrazione.
Con riferimento ai motivi, poi, era ammesso il ricorso all’istituto dei motivi
aggiunti
10
, possibilità che rendeva meno esasperato il bisogno del ricorrente di
conoscere preventivamente le motivazioni dell’atto.
Facilmente contrastabile risultava poi l’argomentazione relativa al sindacato del
giudice per eccesso di potere. Era già stato infatti puntualmente rilevato che,
sebbene la motivazione dell’atto faciliti la prova dell’eccesso di potere, “sarà più
difficile, ma non è impossibile fare la prova dell’eccesso di potere anche quando
l’atto non sia motivato”
11
. Anche l’argomento di natura letterale fu confutato senza
particolari difficoltà, con il rilievo della specificità della disposizione e quello della
fu chi ravvisò tale obbligo nell’articolo 111 della Costituzione. Su quest’ultimo punto si avrà modo
di tornare più avanti nel corso della trattazione..
9
Si veda C. M. IACCARINO, op. cit., 13 ss.
10
Già dagli anni ‘20 la giurisprudenza ammetteva la possibilità di dedurre motivi aggiunti. Su tale
aspetto vedi C. E. GALLO, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2007, 203 ss. Diffusamente
anche E. PICOZZA, Il processo amministrativo, Milano, 2008, 238.
Più recentemente sulla questione A. ROMANO - TASSONE, “Motivazione dei provvedimenti
legislativi e sindacato di legittimità”, Milano, 1987, 68, secondo il quale, tale istituto, e la sua larga
applicazione giurisprudenziale, sarebbe comunque “gravido di negativi risvolti per il cittadino
interessato, costretto ad iniziare azioni giudiziarie (ed a sopportare le relative spese) senza una
oggettiva cognizione del provvedimento che possa soccorrerlo al fine se decidere se proporre o
meno ricorso”. Secondo tale Autore sarebbe, invece, auspicabile (come previsto dall’ordinamento
tedesco) che la decorrenza del termine di impugnazione fosse ancorata al possesso da parte del
destinatario del provvedimento di “una esauriente informazione”, caratterizzandosi negativamente il
fatto che dal giudizio amministrativo, e non prima, possa emergere la validità del provvedimento.
Nello stesso senso, G. AZZENA, Natura e limiti dell’eccesso di potere amministrativo, Milano, 1976,
311.
11
Così E. PRESUTTI, I limiti del sindacato di legittimità, Milano, 1911, 130
11
sua inidoneità ad un’applicazione generale
12
13
.
Si erano peraltro trovati, successivamente, ulteriori elementi a sostegno della tesi
contraria. Due ulteriori aspetti erano, infatti, stati sottolineati: in primo luogo, come
fossero molteplici i casi in cui era addirittura previsto per tabulas un divieto di
motivazione e, secondariamente, come, in alcuni casi, invece tale adempimento
fosse previsto a livello normativo, circostanza che poneva seriamente in dubbio la
generalità dell’obbligo
14
.
Si era, poi, autorevolmente
15
sostenuto che un elemento, a favore dell’inesistenza
12
“La legge abolitiva del contenzioso amministrativo, all’art 3, si riferisce ad una ben determinata
categoria di atti amministrativi, che devono avere la forma del decreto ed essere emessi dopo aver
preso in considerazione il previo parere e le deduzioni degli interessati. Né si può qui pensare ad una
possibile analogia, poiché la norma dell’art. è essenzialmente limitativa di facoltà, quando impone
l’obbligo della motivazione. Quindi non pare che l’obbligo della motivazione stabilito dall’art. 3 per
alcuni tipi di atto possa considerarsi dettato per tutti gli atti amministrativi”. Così C. M. IACCARINO,
op. cit., 13.
13
Non erano mancate opinioni favorevoli all’esistenza di un obbligo generale di motivazione,
fondate su argomenti diversi.
Suggestiva l’interpretazione prospettata dal Roehrssen, il quale configurando la motivazione come
esternazione della volontà dell’amministrazione procedente, concludeva la sua analisi in questo
modo: “definita la motivazione quale esternazione della volontà, è evidente come essa sia sempre
necessaria, così come è sempre necessaria l’esistenza di una volontà”. Cfr. G. ROEHRSSEN, “Note
sulla motivazione degli atti amministrativi”, in Rivista di diritto pubblico, 1941, 110 ss.
Contra, su questo punto, G. MIELE, op. cit., 127, il quale rilevava che “malgrado la rilevanza che è
da riconoscere ai motivi nel diritto pubblico, non sembra che il processo logico traverso cui si
perviene a manifestare un dato volere possa incorporarsi in questo ; se così fosse la motivazione,
rilevanti o no i motivi, dovrebbe accompagnarsi a ogni manifestazione di volontà , là dove questa è
richiesta per la produzione di un effetto giuridico. E si sa che, almeno nel diritto privato, ciò non
avviene”.
14
“Se veramente esistesse questo principio generale che imponesse di motivare tutti gli atti
amministrativi, quale necessità vi sarebbe di ricordarlo di tanto in tanto, con apposita disposizione
legislativa…”. Così C. M. IACCARINO, op. cit. p.15.
15
S. ROMANO, Corso di diritto amministrativo, Principi Generali, Padova, 1932, 269-270.
Lo stesso Autore faceva riferimento ai casi in cui sussiste un’esigenza di segretezza. Si pensi agli
atti relativi ad affari esteri o a questioni militari.
Contra, su questo punto, Roehrssen, il quale sottolineava come “gli atti da ridurre in iscritto
rappresentano l’enorme maggioranza, anzi la quasi totalità”. Lo stesso autore poneva in luce come
fosse in astratto possibile anche la motivazione degli atti orali. Si veda G. ROEHRSSEN, op. cit., 114.
Su ragioni di ordine pratico si fondavano le perplessità del Cammeo, il quale si esprimeva in senso
nettamente contrario rispetto alla questione in esame. “La massima che tutte le decisioni
amministrative debbano essere motivate a pena di nullità è […] fatale per la pubblica
amministrazione. […] l’obbligo della motivazione importerebbe difficoltà, impacci, lentezze
insormontabili, le quali sarebbero ben più disastrose per il pubblico, che l’inconveniente di qualche
provvedimento non motivato. […] che la legge in alcune materie più gravi e più direttamente
concernenti interessi di cittadini limiti la discrezionalità con l’imporre una motivazione si
12
di un generico obbligo di motivazione, era riscontrabile nella possibilità di atti non
scritti, sottratti quindi, ipso facto, a tale onere.
Dal canto suo, la giurisprudenza, se, in un primo momento, aveva affermato il
generale obbligo di motivazione
16
, aveva prontamente mutato orientamento,
disconoscendo tale principio
17
. Negli anni successivi, infatti, si è negata
pacificamente la sussistenza di un obbligo generale di motivazione
18
.
Fu però da subito avvertita la sensazione che l’omissione del legislatore fosse più il
frutto di una scarsa attenzione per il problema che l’espressione di una precisa presa
di posizione sulla problematica de qua
19
. La dottrina più attenta, prima, la
giurisprudenza, poi, cercarono di enucleare dei principi aventi portata generale. Tra
di essi, sicuramente, spicca quello relativo alla distinzione tra motivazione
comprende, che sia nel suo spirito di limitarla sempre […] è opinione , la quale, in omaggio a
dottrinarie esigenze giuridiche, sacrifica i dettati di una sana psicologia e le ragioni di un’efficiente
attività pubblica”. Così F. CAMMEO, Gli atti amministrativi e l’obbligo della motivazione, in
Giurisprudenza Italiana, 1908, 253 ss.
Contra, su questo specifico punto, il Roehrssen, il quale evidenziava come non si potesse sostenere
seriamente che l’obbligo di motivazione nuocerebbe alla speditezza dell’azione amministrativa ma,
al contrario, come essa trarrebbe vantaggio dalla maggior ponderazione connessa a tale obbligo. Cfr.
G. ROEHRSSEN, op., cit, 115.
16
Cons. St., IV Sez., 15 maggio 1908, in Foro Italiano, 1909, II, 10. In tale occasione i giudici di
Palazzo Spada affermarono che “ l’obbligo della motivazione degli atti amministrativi si deduce, in
primo luogo, dall’art. 3 della legge sul contenzioso amministrativo 20 marzo 1865 all. E” e
soprattutto, rigettando le interpretazioni restrittive, allora dominanti, che “l’articolo 3 doveva
“considerarsi come una norma giuridica generale perché costituisce una garanzia dell’individuo
verso l’amministrazione”.
17
Ex multiis Cons St., IV Sez., 15 gennaio 1909, in Giustizia amministrativa, 1909, 49.
Successivamente la giurisprudenza del Consiglio di Stato si mantenne fedele , senza tentennamenti,
a tale impostazione. Per una approfondita rassegna della giurisprudenza in materia si veda R. JUSO,
Tratti caratteristici della giurisprudenza sulla “motivazione” degli atti amministrativi, in Rivista
trimestrale di diritto pubblico, 1959, 661 ss., oltre a P. VIRGA, Il provvedimento amministrativo,
Milano, 1968, 215 ss.
18
Nel 1958, si affermava per esempio, in relazione ad un provvedimento di revoca di un incarico
come componente delle commissioni mediche delle pensioni di guerra, che “non esiste un obbligo
generale di motivazione degli atti amministrativi, la necessità della motivazione dovendo affermarsi
od escludersi caso per caso, tenendo conto della natura dell’atto, del potere esercitato, della
possibilità che sull’atto si possa svolgere il controllo di legittimità, del diritto di difesa
dell’interessato etc. Il provvedimento di revoca dall’incarico di un componente delle commissioni
mediche delle pensioni di guerra è ampiamente discrezionale e non abbisogna di particolare
motivazione” (Cons. St. IV Sez. 18 aprile 1958, n. 329, in Foro Amministrativo, 1958, 492).
19
Su tali sviluppi v. R. JUSO, op. cit., p. 666.
13
necessaria e motivazione facoltativa. La motivazione sarebbe infatti necessaria in
due casi: quello in cui lo prevede la legge e quello in cui lo richiede la natura
dell’atto
20
.
Sulla prima ipotesi nulla quaestio. L’espressa disposizione di legge non può lasciare
adito a dubbi.
Maggiormente problematica si configura invece la seconda eventualità. Il
riferimento alla natura dell’atto si presta ad applicazioni casistiche mal conciliabili
con lo scopo di ordine generale che si perseguiva. Sensibile a tale esigenza, la
giurisprudenza ha affermato la sussistenza di un obbligo di motivazione in relazione
ad alcuni specifici atti amministrativi. Si tratta sostanzialmente di tre categorie di
atti
21
.
In primo luogo, quelli relativi ai cd. procedimenti di secondo grado, ossia quei casi
in cui si procede ad una rivalutazione dell’interesse pubblico già valutato in
precedenza (si pensi al caso di revoche di atti amministrativi).
Oltre a questi, si è fatto riferimento agli atti che limitano la sfera giuridica dei
privati
22
, a favore dell’amministrazione o di altri soggetti privati ( per esempio
quelli che impongono dei facere o che respingono istanze sulle quali la P. A. sia
20
Tra le prime pronunce giurisprudenziali a fare riferimento, per quanto attiene all’esigenza di
motivazione, si segnala Cons. Stato, Sez. IV, 17 maggio 1907, n. 178, la quale ricollegava la
necessità de qua “all’indole del procedimento ed “alla natura degli interessi in conflitto”.
Il testo della sentenza è contenuto in M. CHIAPPETTA, “L’obbligo di motivazione del
provvedimento”, in (a cura di) G. PASQUINI - A. SANDULLI, Le grandi decisioni del Consiglio di
Stato, Milano, 2001, 94.
21
Ibidem.
22
In questo senso ebbe modo di pronunciarsi anche la Corte Costituzionale, a parere della quale,
“anche se nella perdurante mancanza di una legge sul procedimento amministrativo, non è facile
trovare un a disposizione espressa che sancisca se ed in quali casi sussista l’obbligo di motivazione,
è da ritenere che, sulla base di principi che si possono considerare come ormai saldamente acquisiti,
l’atto amministrativo che apporta limitazioni ai diritti deve essere sempre congruamente motivato”.
Così sent. 12/1972, in Giurisprudenza Costituzionale, 1972, 45.
14
tenuta a provvedere)
23
. Un esempio rilevante è sicuramente quello degli atti
d’urgenza, in relazione ai quali la motivazione consente di valutare ex post la reale
sussistenza della condizione di necessità
24
.
Tra di essi, spiccano, inoltre, per la loro delicatezza quelli relativi agli ordini di
polizia
25
.
Infine, ulteriore e residuale categoria è quella relativa alle decisioni e deliberazioni
amministrative.
Seconda ipotesi è quella relativa ai casi in cui la motivazione è meramente
facoltativa, ossia può essere data, o meno, dal soggetto agente. La giurisprudenza ha
ravvisato tale carattere nell’ipotesi in cui l’emanazione di un determinato atto rientri
nell’ampia discrezionalità dell’amministrazione agente
26
.
23
Tale impostazione risulta pienamente condivisibile soprattutto in relazione ai provvedimenti
sanzionatori. Sull’esigenza di motivazione in questi casi la dottrina si era espressa da tempo. Si veda
G. ZANOBINI, Le sanzioni amministrative, Torino, 1924, 178.
24
In relazione ai provvedimenti d’urgenza, la Consulta ha ravvisato proprio in una “adeguata
motivazione” uno dei requisiti della legittimità dell’azione amministrativa ( sent. 8/1956, in
Giurisprudenza Costituzionale, 1956, 602 ). Su tale argomento, si veda D. DE PRETIS - B.
MARCHETTI, La discrezionalità della pubblica amministrazione, in G. DELLA CANANEA - M.
DUGATO (a cura di), Diritto amministrativo e Corte Costituzionale, 354.
25
Su tale esigenza, ebbe modo di pronunciarsi la Corte Costituzionale in una delle sue primissime
decisioni, allorquando ebbe modo di affermare, in relazione all’art. 157 del T.U.L.P.S. che “la
motivazione appare necessaria per consentire al cittadino l‘esercizio del diritto di difesa. Tale diritto
è garantito dall‘art. 24 della Costituzione per i procedimenti giudiziari e non può dubitarsi che il
cittadino debba in ogni caso essere posto in grado di difendersi legalmente contro qualsiasi
provvedimento dell‘Autorità, il che non può avvenire se non gli vengano contestati i motivi, cioè i
fatti, che lo hanno provocato”. Si veda a riguardo la sentenza 2/1956, in Giurisprudenza
Costituzionale, 1956, 561 ss.
Alcune considerazioni su tale pronuncia sono svolte da Pandolfelli, il quale ritiene non pienamente
presa in considerazione la distinzione tra prescrizione legislativa della motivazione e necessità di
motivazione in relazione allo scopo perseguito dalla norma. Si veda G. PANDOLFELLI, op. cit., 81 ss.
26
Nel 1954 si rilevava infatti che “la giurisprudenza ha più volte affermato che non sussiste, in linea
generale, l’obbligo della motivazione per gli atti ampiamente discrezionali. […] E’ ben vero che la
mancanza di una congrua motivazione rende più arduo il controllo giurisdizionale, ma se tuttavia
l’obbligo della motivazione non esiste, non è possibile imputare all’organo amministrativo
l’intendimento di sfuggire a quel controllo, il quale del resto può essere ugualmente esercitato alla
luce di tutti gli elementi che per altra via soccorrono a rilevare la illegittimità dell’atto (Cons. St., V
Sez., 171/1954, in Foro Italiano, III, 65 ss.
Parzialmente discorde Juso, secondo il quale il rapporto inversamente proporzionale tra
discrezionalità amministrativa ed obbligo di motivazione non si baserebbe sulla discrezionalità del
potere dell’amministrazione agente ma sull’irrilevanza del motivo dell’azione amministrativa nello
15
Si è però ritenuto possibile, in tali casi, nonostante il suo carattere facoltativo, il
sindacato sulla motivazione, privilegiandosi lo scopo principale della stessa
27
.
Nulla innovò, per quanto attiene alla tematica oggetto della nostra trattazione,
almeno in modo diretto
28
29
, l’avvento della Costituzione Repubblicana.
specifico caso. Si veda a riguardo R. JUSO Motivi e motivazione nel provvedimento amministrativo,
Milano, 1963, 108.
Tale ricostruzione è in linea con l’impostazione di tale Studioso che vede nella motivazione il mezzo
di esternazione dei motivi dell’agere amministrativo.
Diversa la posizione espressa, qualche anno dopo, da P. VIRGA, op. cit., 215, secondo il quale
“l’obbligo della motivazione non è inversamente proporzionale alla discrezionalità del
provvedimento, come dimostra il fatto che provvedimenti di discrezionalità amplissima, come le
ordinanze di urgenza, esigono motivazione […] Vero è piuttosto che la motivazione è in funzione
della suscettibilità dell’atto a ledere gli interessi legittimi del destinatario; se nessuna pretesa tutelata
esiste all’emanazione di un provvedimento […], nessun obbligo di motivazione esiste…”.
27
“…rappresentando la motivazione il mezzo idoneo di rilevazione dei vizi di legittimità, il mezzo
cioè attraverso il quale il destinatario dell’atto, gli organi di controllo, e chiunque altro dalla legge
stabilito, hanno la possibilità di sindacarlo, allo scopo di rendersi conto delle ragioni pratiche e
giuridiche che lo hanno provocato e lo giustificano; per saggiare infine la conformità - o meno-
dell’atto alle disposizioni di legge. Infatti attraverso la motivazione può ricostruirsi l’iter formativo
della volontà del soggetto agente e dedurne obiettivizzati motivi e scopi determinatori”. Così R.
JUSO, op. cit., 672.
28
Non mancò peraltro, in sede di Assemblea Costituente, la proposta di inserire nella Costituzione
il principio dell’obbligo generale della motivazione del provvedimento amministrativo. Risulta
infatti agli atti della “Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato” la seguente
discussione: “L’ultimo punto, sul quale la Commissione è stata invitata a manifestare il suo avviso, è
quello se debba essere costituzionalmente sancito l’obbligo dell’amministrazione di motivare i suoi
provvedimenti […] bisogna essere molto guardinghi nella formulazione di norme generali sui loro
requisiti, e così su quello della motivazione, che può essere bensì affermato in via di principio, ma
non in modo assoluto , non potendosi escludere che vi siano dei casi, nei quali sarebbe eccessivo, ed
in contrasto con la natura e la finalità dell’atto, stabilire che esso debba essere motivato.Comunque
la generica dichiarazione che tutti gli atti amministrativi debbono essere motivati, se anche fosse
consigliabile, non pare che trovi la sua sede più adatta nella Carta Costituzionale, dove essa
assumerebbe uno sproporzionato carattere di solennità ed inderogabilità, che potrebbe costituire un
eccessivo inciampo nello svolgimento dell’attività amministrativa”.
Si veda G. D’ALESSIO, Alle origini della Costituzione italiana, I lavori preparatori della
“Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello stato (1945-1946), Bologna, 1979, 888-
889.
Del problema si è occupato anche M. S. GIANNINI, Motivazione dell’atto amministrativo, in
Enciclopedia del diritto, XXVIII, Milano, 1977, 263.
29
Non è mancato, tuttavia, chi ha desunto l’esistenza di un obbligo generale di motivazione dall’art
97 della Carta Costituzionale e dal principio di imparzialità, ivi contenuto. In questo senso, infatti,
G. C. MORETTI, La motivazione dell’accertamento tributario, Padova, 1969, 34.
Sulla nozione di “imparzialità amministrativa”, fondamentale il contributo di U. ALLEGRETTI,
L’imparzialità amministrativa, Padova, 1985.
E’ comunque opportuno ricordare che si è spesso posto in dubbio che la Pubblica Amministrazione
possa davvero essere imparziale quando sono in gioco i suoi interessi. In questo senso, per esempio,
P. BARILE, Il dovere di imparzialità della pubblica amministrazione, in Scritti di diritto
costituzionale, Padova, 1967, 195. Quest’ultimo aspetto è ripreso da R. SCARCIGLIA, La motivazione
dell’atto amministrativo, Profilli ricostruttivi e analisi comparatistica, Milano, 1999, 182.
16
Alcune interessanti considerazioni sulla necessità di “trasparenza” nell’azione amministrativa sono
contenute in P. CARNEVALE, “Rilevanza della motivazione nel sindacato del provvedimento
amministrativo”, in T.A.R., 1991, II, 352, ove si ricollega l’esigenza di motivazione alla valutazione
(di carattere eventuale) del Giudice penale nel caso di accusa di pubblici funzionari per reati contro
la Pubblica Amministrazione. Secondo tale Studioso, inoltre, “la motivazione costituisce stimolo ad
evitare abusi o soprusi, e ad usare correttamente i poteri derivanti dal servizio pubblico o della
funzione pubblica da svolgere nel caso concreto”. Ibidem, 353.
In particolare, la questione dell’omissione, ovvero della insufficienza o contraddittorietà della
motivazione si è posta in relazione al reato di abuso d’ufficio, di cui all’articolo 323 del Codice
Penale (la cui attuale formulazione, dopo i mutamenti, operati, dapprima, con la l. 26 aprile 1990, n.
86, e, successivamente, con la l. 16 luglio 1997, n. 234, risulta la seguente: “Salvo che il fatto non
costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello
svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero
omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri
casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero
arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è
aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”).
Infatti, sebbene l’orientamento successivamente consolidatosi in seno alla Cassazione si sia espresso
nel senso che “il reato in questione non può configurarsi se non in presenza di “violazione di legge
o di regolamento […]. Ne consegue che è stata espunta dall’area della rilevanza penale ogni ipotesi
di abuso di poteri o di funzioni non concretantesi nella formale violazione di norme legislative o
regolamentari o del dovere di astensione. Non è più, quindi, consentito al giudice penale di entrare
nell‘ambito della discrezionalità amministrativa, che il legislatore ha ritenuto per esigenze di
certezza del precetto penale, di sottrarre a tale sindacato” (così Cass. pen., Sez. VI, 10 novembre
1997, in Giurisprudenza Italiana, 1998, 2367), non si può, in questa sede, non ricordare che, in altra
occasione, il Tribunale di Milano (Trib. Milano, 26 settembre 1998, in Foro Italiano, II, 310, con
nota di P. LA SPINA) aveva avuto modo di operare un ragionamento assai più articolato.
Occupandosi della questione delle nomine agli organi di vertice delle aziende sanitarie da parte delle
competenti autorità della Regione Lombardia, già censurate, in sede amministrativa, come
illegittime per difetto di motivazione, i giudici meneghini, pur giungendo al medesimo risultato,
ossia alla non configurabilità, nel caso di specie, del reato de quo, avevano più correttamente distinto
tra le diverse ipotesi di illegittimità amministrativa. Così opinando, essi avevano avuto modo di
rilevare che l’ipotesi di difetto di motivazione non integra a ben vedere il vizio di eccesso di potere,
che viceversa è esclusivamente configurabile nel caso di contraddittorietà o insufficienza della
motivazione, ma quello di violazione di legge.
Ad ogni modo, non si può non rilevare che le preoccupazioni in materia di abuso d’ufficio e
motivazione amministrativa risultino meno fondate, a seguito delle riforme degli anni ‘90 del secolo
scorso. La espressa limitazione al solo vizio di violazione di legge (e di regolamento) non può che
portare alla soluzione in virtù della quale solo l’ipotesi (si spera ora assolutamente residuale) di
mancanza assoluta di motivazione possa configurare, ovviamente in presenza degli altri elementi
dell’illecito penale in discorso, il reato di cui all’articolo 323
.La suddetta riforma è stata oggetto di critiche in letteratura, tra le altre, proprio sulla questione de
qua. Alcuni studiosi hanno posto in luce come tale modificazione normativa potesse escludere il
ricorso alla tutela di natura penale, qualora la condotta del pubblico ufficiale (o l’incaricato di
pubblico servizio) non comporti la violazione di norme legislative o regolamentari, e, quindi,
limitare il sindacato del giudice penale, escludendolo in caso di eccesso di potere (in questo senso,
ex pluribus, M. ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali,
Commentario sistematico, 2002, 260). Recentemente, peraltro, la Corte di Cassazione ha avallato
tale impostazione rilevando come “la norma di cui all’articolo 97 della Costituzione, […] ha valore
meramente programmatico, sicché tali principi […] non sono idonei a costituire oggetto della
violazione di norme di legge che può dare luogo all’integrazione del reato previsto dall’art. 323 c.p.”
(sent. 10 aprile 2007, in Guida al diritto, 2007, 28, 76).
La materia era, per converso, assai delicata prima della limitazione cui si è fatto ora riferimento. Se
da un lato, non si dubitava che anche il vizio di eccesso di potere potesse dar luogo a responsabilità
penale (si veda ad esempio Trib. Roma, 18 giugno 1993, 851, con nota di M. GAMBARDELLA,
“Legittimità e merito dell’atto amministrativo nell’abuso d’ufficio”), dall’altro ci si spingeva ad
17
L’articolo 111 della nostra Carta Costituzionale limita infatti l’obbligo della
motivazione alle sentenze; un’interpretazione estensiva non è stata mai avanzata,
seriamente, dalla dottrina
30
.
affermare che il sindacato del giudice penale non dovesse limitarsi alla verifica di vizi relativi
all’atto amministrativo ma si dovesse estendere al merito stesso dell’attività amministrativa posto
che “merito amministrativo e abuso di potere non si collocano […] in terreni separati , in modo che
il secondo possa cominciare là dove finisce il primo; insistono invece sullo stesso spazio che, se
viene occupato dall’uno, lascia posto all’altro e viceversa. Nei delitti di abuso il tema dominante è
per l’appunto questo: se un “merito” amministrativo sussista, o non ricorra piuttosto un merito di
consistenza tutt’affatto privata” (così T. PADOVANI, “L’abuso di ufficio e il sindacato del giudice
penale”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1989, 88. In giurisprudenza, in questo
senso, ad esempio, Cass. Pen., Sez. VI, 25 ottobre 1991, n. 809, ivi, 1993, 1403. Contra, invece, C.
F. GROSSO, “L‘abuso di ufficio”, ivi, 1991, 321).
La questione, sulla quale è opportuno spendere qualche parola, si riferiva al generale, e più
complesso problema, del potere del Giudice ordinario di sindacare gli atti amministrativi. Per
risolvere tale problema, l’interprete è costretto a fare riferimento addirittura all’articolo 5 della legge
20 marzo 1865, n. 2248, all. E, a mente del quale “… le autorità giudiziarie applicheranno gli atti
amministrativi ed i regolamenti generali e locali, in quanto siano conformi alle leggi”. Tale
disposizione ha dato origine al cd. principio del sindacato incidentale, in virtù del quale il Giudice
ordinario si limita a disapplicare l’atto amministrativo illegittimo, dovendo quindi accertare
l‘esistenza di un vizio di legittimità. Proprio in riferimento a tale norma si era avuto modo, peraltro,
di rilevare come, nei delitti di abuso, a ben vedere, non si ha sindacato sull’atto amministrativo ai
fini della disapplicazione (tra i primi, in questo senso, G. CONTENTO, Giudice penale e pubblica
amministrazione, Bari, 1979, 116), e che, pertanto, l’illegittimità dell’atto, lungi dal costituire
condizione per la configurabilità del reato, vale solo come “indizio di abuso”, posto che
“l’accertamento di quest’ultimo anche là dove l’atto potrebbe resistere al sindacato incidentale di
legittimità o al vaglio amministrativo conduce sempre alla sua illegittimità” (così T. PADOVANI, op.
cit., 87).
Ecco allora che, in siffatto quadro normativo, ben si poteva comprendere l’auspicio di P.
CARNEVALE, per un uso della motivazione dell’atto amministrativo nell’ottica di una valutazione dei
profili penalistici dell’operato del pubblico funzionario, tenendo comunque presente l’esigenza che
l’indagine del Giudice ordinario si doveva comunque estendere alla corrispondenza tra la
motivazione enunciata e quella effettiva (ancora T. PADOVANI, op. cit., 86).
Sul reato di abuso d’ufficio la bibliografia è, ovviamente, molto ampia. Basti, in questa sede il rinvio
a D. MANZIONE, Abuso d’ufficio, in Digesto Disc./Pen., Aggiornamento 2000,1; L. D. CERQUA, in
A. CRESPI, G. FORTI, G. ZUCCALÀ, Commentario breve al Codice Penale, Padova, 2008, sub art.
323.
30
Scrive, infatti, la Rivalta: “non si può fare ricorso, per addurre l’obbligo generale della
motivazione, all’estensione dell’obbligo generale di motivazione nelle sentenze previsto dall’art. 111
della Costituzione, poiché la natura giuridica dell’atto amministrativo è profondamente diversa da
quella dell’atto giurisdizionale, né crediamo occorre insistere su questo punto, che è stato affermato
anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale”. Così M. RIVALTA, La motivazione degli atti
amministrativi, in relazione al pubblico e privato interesse, Milano, 1960, 163 ss.
La non applicabilità del disposto dell’art. 111 agli atti amministrativi era stata già affermata dalla
giurisprudenza della Cassazione, la quale in relazione ad una censura di violazione dell’articolo 111
per mancanza della motivazione, affermava perentoriamente che “ non sussiste la denunciata
illegittimità per difetto di motivazione. […] il richiamo all’articolo 111 è fuori luogo, riferendosi
questo non agli atti amministrativi ma agli atti giurisdizionali…” (Sez. Un. Cass., 13 maggio 1954,
n. 1511, in Foro Italiano, 1955, 58 e in Rivista Amministrativa, 1955, 167).
Precedentemente, in questo senso aveva avuto modo di esprimersi il Consiglio di Stato (V Sezione,
16 maggio 1952, n 809, in Rivista amministrativa 1953, 44). Tale interpretazione ricevette, in
seguito, l’avallo della Consulta.
18
La questione della possibile analogia tra atto amministrativo e sentenza era stata precedentemente
affrontata da G. MIELE, op. cit., 126. Secondo tale Autore, “tale equiparazione” anche se fosse stata
“consentita, non sarebbe di per sé sufficiente a tale estensione”. Sulla questione, si diffonde anche L.
VANDELLI, “Osservazioni sull’obbligo di motivazione degli atti amministrativi”, in Rivista
trimestrale diritto e procedura civile, 1973, 1602. Tale Autore motiva la sua contrarietà alla
estensione in discorso mettendo in luce le diverse funzioni dell’attività amministrativa, da un lato, e
di quelle dell’attività giurisdizionale, dall’altro.
Di recente, con riferimento alla querelle relativa alla motivazione dei provvedimenti vincolati (su
cui ampiamente infra, parte seconda, capitolo quarto) l’analogia con il disposto dell’art. 111 della
Costituzione è stata ripresa da V. ANGIOLINI, “Sulla motivazione cd. “implicita” degli atti
amministrativi”, in Studium Iuris, 1998, 363.
Anche in relazione all’art. 113 della Costituzione, almeno in un primo momento, si è escluso un
obbligo generico di motivazione, da parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato. Nel 1955 i
giudici di Palazzo Spada scrivevano, infatti, in relazione agli atti amministrativi di esclusione da un
concorso a sanitario condotto: “Riconosciuta la sindacabilità di questi provvedimenti in applicazione
del 2° comma dell’art. 113 della Costituzione, non ne segue altresì l’obbligo della motivazione. La
motivazione è necessaria, a norma della Costituzione (art. 111), solo per i provvedimenti
giurisdizionali; per quelli amministrativi, la necessità della motivazione è affermata dalla legge, o
nel silenzio di questa, si deve desumere dalla loro natura” (così la V Sezione, 14 gennaio 1955, n. 7,
in Foro Italiano, III, 65).
La Corte Costituzionale ha negato a più riprese l’elevazione al rango di principio costituzionale della
motivazione del provvedimento amministrativo. In particolare, si veda la sentenza 12 marzo 1965 n.
12, in Giurisprudenza costituzionale, 1965, I, 106. In tale occasione si era affermata la sussistenza di
un obbligo generale di motivazione non in quanto “principio del sistema costituzionale” ma come
“principio generale dell’ordinamento giuridico”, con riferimento peraltro ai soli provvedimenti che
incidono, con effetto limitativo, sui diritti dei cittadini.
Interessanti a riguardo le considerazioni contenute in V. CRISAFULLI, “Questioni di costituzionalità
di disposizioni di legge o questioni di legittimità del provvedimento applicativo (in tema di libertà di
circolazione)”, ivi, 113 ss, il quale mostra qualche apertura alla tesi dell’obbligo costituzionale di
motivazione, ravvisando tale possibilità nel disposto dell’articolo 113 della Costituzione. La
configurazione dell’obbligo di motivazione, come principio generale, e non come principio
costituzionale è stata successivamente ribadita dalla Consulta (sentenza 2 febbraio 1972, n. 12, in
Foro Italiano, 1972, I, 582-583 ).
Su tale argomento, ossia sulla giurisprudenza della Consulta in materia di motivazione dei
provvedimenti amministrativi, si veda U. ALLEGRETTI, “Corte Costituzionale e Pubblica
Amministrazione”, in Le Regioni, 1981, 1192.Se è vero che non si registrano, in dottrina, posizioni
che facciano riferimento all’applicabilità dell’articolo 111 della Costituzione anche ai provvedimenti
amministrativi, non si può dire che siano mancate ricostruzioni volte ad evidenziare le (supposte)
analogie tra questi e i provvedimenti giurisdizionali.
Tale tentativo è stato compiuto, in particolare, dal Pandolfelli, il quale argomentava nei seguenti
termini.“Nei due campi, l’amministrativo ed il giurisdizionale, vale infatti il rilievo che le ragioni
inerenti alla chiarezza ed alla completezza degli atti e quelle relative alla lealtà dell’azione dei
pubblici poteri possono pienamente soddisfarsi con una esauriente motivazione, che valga a rendere
evidente il processo formativo della volontà, a dichiarare le ragioni dell’atto, a ricollegare questo
[…] alla fonte originaria del potere esercitato, ad agevolare - infine - l’eventuale controllo di
legittimità dell’atto”, concludendo addirittura “nel campo amministrativo le stesse ragioni, dalle
quali è stata suggerita la regola della motivazione obbligatoria delle sentenze, sono ancora più forti
che nel campo giudiziario: attesa l’esecutorietà degli atti amministrativi” (così G. PANDOLFELLI, op.
cit., 93-94).
Lo stesso Autore citava, a sostegno della sua tesi, due ulteriori elementi.In primo luogo, il fatto che
l’obbligo della motivazione è prescritto anche per le sentenze della Cassazione, e quindi sganciato
dall’esigenza di un controllo superiore sulla pronuncia (rilievo, peraltro, non esente da critiche, posto
che, l’esistenza di mezzi di impugnazione cd. straordinari può valere a contrastare il ragionamento
de quo. Ad ogni modo, non si può non riconoscere che l’obbligo di motivazione stabilito per le
sentenza della Suprema Corte è ascrivibile alla più generale esigenza di controllo sul corretto
esercizio del potere giudiziario). In seconda battuta, il fatto che tale adempimento è previsto anche
19
Il dibattito successivo proseguiva senza giungere a punti fermi
31
.
La voce “motivazione dei provvedimenti amministrativi” del Novissimo Digesto
Italiano
32
, redatta da uno dei pionieri dell’argomento, quello Jaccarino a cui si deve
la redazione del primo fondamentale studio sull’argomento
33
, ripeteva, che “la
motivazione di un atto può essere prevista dalla norma che la imponga, o che la
imponga in una certa misura, o che la vieti, o che la affidi alla discrezionalità
dell’agente. Nel silenzio di una norma esplicita, essa può derivare o dalla natura o
dalla funzione del’atto o dell’agente, in base ai principi generali dell’ordinamento,
che inducano ad imporla od escluderla, oppure dalla volontà dell’agente che decida
di motivare o di non motivare un suo atto. La norma, la natura o la funzione del’atto
per i provvedimenti che non riguardano la composizione delle liti, e quindi privi dei tratti peculiari
dei provvedimenti giurisdizionali. Secondo tale Studioso, in conclusione, la motivazione si
configurerebbe come caratteristica indifettibile, salvi i casi di esclusione legislativa, degli atti di
diritto pubblico.
La rilevanza a livello costituzionale dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi in
base all’articolo 113 della Costituzione è stata affermata, invece, da L. VANDELLI, op. cit., 1604.
Tale Studioso, fermo, come già si è avuto modo di rilevare, all’applicazione analogica dell’articolo
111 della Carta Costituzionale, posto che “i presupposti che costituiscono il fondamento dell’attività
amministrativa sono, infatti, ben diversi da quelli dell’attività giurisdizionale; altri ne sono gli scopi -
il perseguimento concreto del pubblico interesse e non l’applicazione del diritto e la repressione
delle violazioni all’ordine giuridico - come altra è la posizione propria dell’amministrazione rispetto
a quella del giudice parte portatrice di propri interessi, la prima, elemento indifferente ed estraneo,
per definizione, agli interessi in causa, il secondo” (ibidem, 1602), aveva, invece, affermato con
vigore la possibilità di giungere a diversi approdi interpretativi in base all’articolo 113 della
Costituzione.
Vale la pena di riportare quanto osservato a riguardo.“La tesi [del generale obbligo di motivazione
degli atti amministrativi] potrebbe ora trovare un autorevole sostegno nell’art. 113 della Costituzione
che, sancendo l’impugnabilità dinanzi ad organi giurisdizionali, degli atti della pubblica
amministrazione, impone implicitamente di mettere in atto i mezzi necessari all’esercizio di questa
tutela. Pertanto, nella misura in cui si ritenga la motivazione presupposto indispensabile agli effetti
del sindacato giurisdizionale dell’atto, si deve considerare il relativo obbligo imposto anche a livello
costituzionale”. Ad ogni modo, la funzione meramente processuale della motivazione, porta l’A. in
parola ad escludere l’esigenza di motivazione nei casi “di atti obiettivamente inidonei alla lesione
diretta di interessi legittimi, quali gli atti interni e gli atti avente funzione strumentale”(ibidem,
1605).
31
Non registrandosi quindi progressi rispetto alla situazione precedente. A dimostrazione del fatto
che il dibattito sulla materia fosse ancora nel vivo si può citare, come ha fatto la Rivalta (M.
RIVALTA, op. cit., 165), l’esordio di una decisione del Consiglio di Stato del 1947 che suona
enigmaticamente così: “esiste o non esiste un obbligo generale di motivazione degli atti
amministrativi…” (così la V Sezione, 28 marzo 1947, n. 120, in Foro Amministrativo, I, 2, 134).
32
C. M. IACCARINO, La motivazione degli atti amministrativi, in Novissimo Digesto Italiano, X,
Torino,1964, 958.
33
Id., Studi sulla motivazione, con speciale riguardo agli atti amministrativi, Napoli, 1933.
20
e dell’agente, la volontà di questi, sono le fonti immediate della motivazione. La
questione diventa quindi un problema di interpretazione delle fonti…”. Dominava,
quindi, l’approccio casistico, senza che si riuscisse a giungere alla formulazione di
regole generali convincenti e risolutive
34
35
.
Se, però, solo per un momento si intende, cambiamo la nostra prospettiva
36
,
34
Pienamente condivisibili appaiono le considerazioni espresse, a riguardo, in L. CALZONI,
“ Motivazione, sindacato sui motivi, formazione procedimentale dell’atto” in Foro Amministrativo,
1982, II, 1001. Secondo l’Autrice, “l’approccio di dottrina e giurisprudenza al tema della
motivazione si è sempre rivelato grave di difficoltà e per l’assenza di normativa ch regolasse
definitivamente la questione e per la molteplicità e varietà di casi che si sono imposti all’attenzione
di studiosi e giudici; talché, fino a ora, non è stato possibile estrapolare principi di carattere generale
e di sicura applicazione nella infinita varietà di ipotesi che si presentano”.
35
Già si è detto dei lavori della Commissione Forti (cfr. nota 8). Purtroppo, però, come spesso
succede, non si giunse a nulla di effettivo.
Peraltro non mancarono tentativi per giungere ad una legge generale sul procedimento
amministrativo. Cfr., su questo punto, P. CALANDRA, “I tentativi del legislatore italiano per una
legge generale sul procedimento amministrativo“, in Problemi della P. A., 1981, fasc.1, 81 ss.
Si tenga a mente, però, che il Lucifredi, principale promotore delle iniziative successive ai lavori
della Commissione Forti, si caratterizza per la sua contrarietà all’obbligo generale di motivazione,
ritenendo costituzionalmente dovuta la sola motivazione delle sentenze. Cfr. ibidem, 101.
36
Utile ai fini che ci riguardano può essere il raffronto con l’esperienza del paese straniero la cui
evoluzione da sempre ha rappresentato un motivo di interesse.
Il riferimento è all’ordinamento francese che nel 1979 ha optato per un rafforzamento dell’obbligo
motivazionale, essendo prima vigente il principio “ne pas motivation sans text“, chiaramente
limitativo di tale obbligo. Estremamente significativo il titolo di uno degli scritti a commento di tale
riforma, J. LEMASURIER, Vers une dèmocratie administrative: du refus d’informer au droit d’être
informé, in R. D. P., 1980, 1239 ss. (trad. it. In Problemi della P. A., 1981, fasc. 3, 17 ss). Non
abbisognano di commenti le, sia qui consentito, magistrali affermazioni di tale Studioso: “…in una
“democrazia amministrativa” un ‘Amministrazione di concertazione, di dialogo, che preferisce la
persuasione alla costrizione, il segreto deve far posto alla conoscenza e al diritto ad essere informati,
per dissipare il “mistero” amministrativo: questo è l’obiettivo della riforma del 1978-1979”.
Sull’evoluzione giurisprudenziale precedente, che aveva limitato, dopo una certa esaltazione dello
stesso, il ruolo della motivazione si veda M. S. GIANNINI, op. cit., 262.
Per una interessante rassegna comparatistica degli orientamenti della giurisprudenza in tema si
sindacato giurisdizionale sulla motivazione dell’atto amministrativo, si veda G. CORREALE, “La
motivation de l’acte admnistratif et son controle”, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1982,
501 ss., il quale ricordava come nel 1977 vigesse, ancora, in Francia la regola secondo la quale, “les
actes de l’administration publique ne dovient pas être motivés”.In argomento, inoltre, M. TERRASI,
“Procedimento amministrativo e tutela del privato. Tendenze della legislazione francese”, in Foro
Amministrativo, 1987, 3566.
La legge francese del 1979 è stata successivamente modificata ed intregrata. Tuttavia, ad oggi, non
può dirsi ancora vigente, nell’ordinamento francese, un obbligo generale di motivazione dei
provvedimenti amministrativi. Per un quadro della disciplina attuale, si veda S. BATTINI, B. G.
MATTARELLA, A. SANDULLI, Diritto amministrativo comparato, a cura di G. NAPOLITANO, Milano,
2007, 135 ss. Sulla disciplina francese, anche, R. SCARCIGLIA, op. cit., 114 ss. Quanto ai contributi
della dottrina d’Oltralpe basti, in questa sede, il rinvio a R. CHAPUS, Droit administratif general,
Parigi, 2001, I, 1129.
21
possiamo renderci conto che qualche mutamento è già in atto, a livello generale, e
sta ponendo le basi per nuove impostazioni della questione a noi cara. La
Costituzione Repubblicana, prevedendo un obbligo generale di motivazione per le
sentenze, costituì sicuramente uno sprone per l’approfondimento della tematica de
qua; i rilievi svolti relativamente alla motivazione della sentenza furono di grande
utilità anche per gli studiosi del provvedimento amministrativo.
In particolare, un interessante raffronto è compiuto dal Giannini
37
, il quale si
interroga, nel 1977, circa le origini dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti
amministrativi e richiama le prescrizioni del Consiglio di Stato francese, il quale
aveva cominciato a richiederla intorno alla fine del secolo XIX, annullando, in
difetto, tali provvedimenti, per sviamento di potere.
Successivamente, furono i tribunali amministrativi dei paesi germanici a compiere il
passo ulteriore, valutando il difetto di motivazione come violazione di legge. Tale
processo giunse a compimento con il riconoscimento formale dell’obbligo generale
di motivazione, contenuto in alcune leggi organiche sui procedimenti
amministrativi, di altri paesi. Il Maestro, peraltro, dimostrava la sua contrarietà ad
Analizzata la questione francese, si può cogliere, ora, l’occasione di spendere, in questa sede,
qualche parola in merito alla soluzioni che i più importanti paesi europei hanno offerto in tema di
motivazione amministrativa.
Non si può che principiare dall’esperienza tedesca. In Germania, l’obbligo in parola non è sancito
dalla Grundgesetz, ma dalla fondamentale legge del 25 maggio 1976. Giova però ricordare che già
nel 1957 il Tribunale costituzionale federale aveva affermato l’esigenza del cittadino leso da un
provvedimento amministrativo di conoscere i motivi alla base della decisione. La dottrina tedesca,
d’altra parte, ha sempre evidenziato come la motivazione assolva, in primo luogo, alla funzione di
convincere i destinatari della correttezza del provvedimento (nella terminologia tedesca
Befriedungsfunktion), ed, in seconda battuta, ovviamente laddove la prima finalità sia stata mancata,
di consentire l’articolazione dei motivi di impugnazione del provvedimento (Rechtsschutzfunktion).
Sulla questione si rinvia ancora a R. SCARCIGLIA, op. cit., 130. Ad ogni modo, sulle caratteristiche
dell’ordinamento tedesco, date le sue indubbie influenze non solo sul dibattito dottrinario italiano ma
sulle stesse scelte normative, si avrà modo di tornare ripetutamente nel corso della trattazione.
Quanto all’esperienza spagnola, ci si può limitare a dire che, anche in questo campo, l’ordinamento
giuridico iberico conferma di recepire le soluzioni di altri paesi europei. L’obbligo di motivazione,
già ampliatosi a seguito delle applicazioni pretorie è stato consacrato dalla legge 26 novembre 1992.
37
M. S GIANNINI, op. cit., 257 ss.
22
un obbligo generale di motivazione, rilevando, in relazione al dibattito che aveva
avuto luogo agli inizi del secolo, e con riferimento alle prime pronunce
giurisprudenziali che avevano affermato il principio della generale obbligatorietà
della motivazione, come spesso “la ragione di politica del diritto […] prevalse
sull’analisi della normazione positiva, e anche sul buon senso” e come “la regola
dell’obbligo di motivazione sembrò divenire una delle bandiere di tutti coloro che si
battevano per la riforma delle pubbliche amministrazioni”
38
.
Il vento però stava cambiando
39
, almeno nelle valutazioni della dottrina
40
.
38
Ibidem, 262. Su tale fondamentale aspetto si avrà modo di tornare più avanti.
Va peraltro evidenziato che la posizione di Giannini si caratterizzava per un approccio pratico, volto
ad evitare la, già paventata da altri Autori, paralisi dell’amministrazione. Scriveva infatti, a proposito
dell’impostazione della giurisprudenza sulla questione de qua, che “l’attuale indirizzo
giurisprudenziale ha portato la materia della motivazione ai suoi esatti termini, eliminando
formalismi pericolosi e problemi sbagliati, ed attribuendo al giudice amministrativo poteri consoni ai
principi del processo amministrativo”. Proseguendo addirittura così: “la dottrina ha prospettato
talora casi di motivazione vietata, però in leggi non più vigenti. Non si conoscono casi leggi adottate
dopo la Costituzione repubblicana, e se esistessero ne sarebbe dubbia la legittimità costituzionale”.
Ibidem, 267-268.
E’ evidente la consapevolezza dei mutamenti in atto, rispetto all’ordinamento vigente ad inizio
secolo ed ai vani sforzi del Ragnisco.
39
Nel 1979, si aveva modo di rilevare, infatti, esprimendo alcune considerazioni sul ruolo degli
organi della Gustizia Amministrativa, che “i giudici amministrativi […] hanno una spiccata tendenza
al formalismo ed una eccessiva indulgenza per la prassi burocratica. […]. Di siffatta concezione,
l’aspetto maggiormente evidente è la continua preoccupazione della giurisprudenza amministrativa
(dapprima del Consiglio di Stato, oggi anche dei T.A.R.) di non intralciare l’azione
dell’amministrazione, di non appesantirla, limitando correlativamente la posizione dei cittadini. […].
Si pensi […] alla ristrettezza con la quale il giudice amministrativo riconosce l’obbligo della
motivazione, e per converso, alla larghezza con la quale considera assolto tale obbligo nei casi nei
quali ne riconosce l’esistenza, anche con riferimento ad atti precedenti sconosciuti e difficilmente
conoscibili per il cittadino”. Così S. RAIMONDI, La questione amministrativa nell’Italia
Repubblicana, Palermo, 1979, 31.
40
La giurisprudenza amministrativa si è, invece, mostrata più legata all’impostazione tradizionale,
in virtù della quale non tutti gli atti amministrativi abbisognano di motivazione.
Se negli anni ’70 prevaleva l’idea secondo la quale solo alcune tipologie di atti necessitavano di
motivazione, nel decennio successivo si era affermata l’idea, secondo la quale, gli atti motivandi
erano quelli che recavano un sacrificio alla posizione giuridica dei destinatari ( si veda, per esempio,
Cons. Stato, Sez. VI, 1°dicembre 1989, n. 1565, in Cons. Stato, 1989, I, 1564) e quelli che
costituivano l’esercizio di potere discrezionale dell’amministrazione agente (in questo senso, Cons.
Stato, Sez. VI, 22 aprile 1989, n. 488, in Consiglio di Stato, 1989, I, 532).
Era, peraltro, evidente che la giurisprudenza non riusciva ad esprimere una impostazione univoca. Si
era, infatti, sviluppato un diverso orientamento che richiedeva la motivazione anche nel caso di
provvedimenti vincolati (in questo senso, Cons. Stato, Sezione VI, 22 aprile 1989, n. 488, in
Consiglio di Stato, 1989, I, 532). Cfr. sugli orientamenti della giurisprudenza G. BERGONZINI,
“Difetto di motivazione del procedimento amministrativo ed eccesso di potere (a dieci anni dalla