politico e di cultura politica asburgica, quale fu Tito, la questione nazionale costituiva,
insomma, un tema a cui corrispondeva una sensibilità particolare»
2
. Detto atto
costituzionale, del resto, aveva come obiettivo quel consolidamento dell’unità
iugoslava che sembrava ormai definitivo, poiché il Maresciallo «era persuaso che i
popoli della Jugoslavia si sarebbero fusi in un’unica nazione»
3
In seconda analisi va chiarito a chi si faccia riferimento parlando dei “musulmani
della Bosnia”. Si tratta, semplicemente, di una parte della comunità slava, inerente a
quel territorio che – all’epoca della dominazione turca – si convertì alla religione
islamica, nello specifico a quell’aspetto dell’islam particolarmente spirituale,
rappresentato dal sufismo, derivante dalla confraternita fondata in Turchia dal poeta
mistico Mevlana, come testimoniano ancor oggi i numerosi monasteri dervisci
presenti sul territorio. «Nel lungo periodo si può affermare che la maggior parte dei
musulmani risulta da un processo di conversione di popolazioni di lingua serbo-croata
[…] Dopo il 1463 in Bosnia si riaffacciò una nuova religione, dinamica e ben
predicata: l’islam. Aveva tutti i vantaggi del vincitore: successo e molti privilegi – la
sua diffusione non sorprende in un’area in cui il cattolicesimo ed il cristianesimo erano
così superficiali, e i rapporti di fiducia con il mondo turco erano saldi da più di un
secolo. Si trattò più che di una conversione, di una accettazione pacifica. Molti
continuarono a coltivare i propri riti familiari e un certo numero di consuetudini
cristiane»
4
. Del resto, l’ultimo re della Bosnia cristiana, Stjepan Tomasevic, nel 1461
aveva «avvisato il papa in tempo del fatto che il sultano sarebbe arrivato in Bosnia e
avrebbe di conseguenza attaccato tutta la cristianità […] è rimasto senza l’appoggio che
gli era stato precedentemente garantito: si è trovato da solo a difendere la Bosnia, è
stato catturato ed ucciso»
5
.
Gli avvenimenti dello scorso decennio ci obbligano ad ponderare e puntualizzare
cose che, fino a qualche anno fa, potevano essere considerate come inutili e complicati
retaggi: purtroppo oggi, nel 2006, siamo costretti a prendere atto del fatto che – nella
gestione del problema bosniaco – ci si è sempre basati su concetti, su pretese, su
argomenti - forse pure su diritti - che non sono quelli caratterizzanti la vera storia della
2
S. Bianchini, Il crollo della Jugoslavia:le fonti della sua stabilità interna, in Jugoslavia perché,
Gamberetti Editrice, Roma 1995, pag.42
3
M.Gilas, Compagno Tito, Mondadori, Milano, 1980, pag.173
4
J. V. A Fine, Le radici medievali-ottomane della società bosniaca moderna, in I musulmani di Bosnia,
Donzelli editore, Roma, 1995, pag.16
5
L. Tacchella , La Bosnia dal 1461 all’epoca moderna, in Caterina Regina di Bosnia, Biblioteca
dell’Accademia Olubrense, n. 53, Milano, 2002, pag. 287
4
Bosnia nei secoli. Gli organismi internazionali hanno fatto proprie istanze che, come si
vedrà, non erano e non sono in grado di dare a questo luogo quella giustizia,
quell’assetto, quello sviluppo, quel futuro che meriterebbe. L’eroismo dimostrato da
queste popolazioni nel difendere la causa multietnica, la sola in grado di definire questo
paese e di dare organizzazione alla nuova Repubblica, avrebbe dovuto suggerire
possibilità ben diverse a chi si occupò della problematica, magari dando più rilievo agli
elementi unificanti, all’innegabile patrimonio storico-culturale comune.
Il breve excursus storico che stiamo effettuando, sottolinea come quei nazionalismi,
che tanto danno hanno arrecato, considerati diritti dei popoli, troppo rapidamente
ufficializzati e legittimati, si siano affacciati al territorio bosniaco solo nel XIX secolo:
«E infine, nel XIX secolo, in particolare sotto la dominazione austriaca cominciata nel
1878, il nazionalismo apparve per la prima volta sulla scena: all’improvviso i cattolici
dovevano essere croati, gli ortodossi serbi – un nonsenso storico. La popolazione era
totalmente rimescolata da migrazioni e conversioni: nessuno poteva dire se un
ortodosso discendesse da una famiglia già ortodossa nel medioevo oppure da avi
cattolici, o ancora da membri della chiesa di Bosnia: e comunque , i termini ‘serbo’ e
‘croato’ non avevano alcun peso nella tradizione locale:[…] il punto è questo: ogni
etichetta etnica usata nella Bosnia moderna si fonda su mistificazioni: la trasformazione
in ‘serbi’ e ‘croati’ di molte famiglie vissute per secoli in terra bosniaca è un tardo
fenomeno del XIX secolo. Se proprio volessimo cercare una definizione generale, solo
una può avere un qualche senso: ‘bosniaci’»
6
.
Lo sviluppo e l’enfatizzazione dei nazionalismi serbo e croato imposero, a chi non
era né cattolico né ortodosso, di cercare uno spazio adeguato, quanto meno in termine
di definizione: si noti che tale consapevolezza di necessità si acuì in seguito a un
processo di negazione , per altrui opposizione, per esclusione, o, comunque per
frammentazione. Si diede quindi a questa comunità il nome di Musulmani di Bosnia.
Sin dal 1940 in un congresso clandestino a Zagabria, Tito si era posto il problema di
questo gruppo che restò per anni all’attenzione dei governanti: «l’idea che i musulmani
di Bosnia dovessero dichiarare la loro appartenenza al gruppo serbo o a quello croato
riportò nel dibattito degli anni sessanta la questione della loro diversità nazionale nata
negli anni quaranta»
7
.
6
Banac, I musulmani di Bosnia: da comunità religiosa a nazione socialista e stato postcomunista (1918-
1992) in I musulmani di Bosnia, op. cit., pag.17
7
Ibidem, pag. 96
5
L’ultima costituzione riconobbe agli stessi il titolo di “nazionalità”, del tutto analoga
a quella croata o serba, definita quindi in senso prettamente amministrativo o
burocratico. «Apposta per creare un elemento equilibrante fra serbi e croati fu stabilito
di riconoscere ai musulmani bosniaci il carattere di gruppo nazionale a sé stante,
nonostante che tale riconoscimento potesse contenere un elemento paradossale,
emanando proprio da un regime che si professava per principio ateo»
8
. Nulla più quindi
a che vedere con una pratica spirituale che poteva essere stata edotta dagli avi: «La
nazionalità musulmano-bosniaca aveva le sue peculiarità, per altro accettate di buon
grado da tutti: per esempio si poteva essere di nazionalità musulmana e testimone di
Geova dal punto di vista confessionale (…norma nella città di Zavidovici)»
9
.
La definizione “Musulmano” si è rivelata molto fallimentare, in un contesto dove la
terminologia, le delimitazioni, le definizioni, le parole, i simboli assumano una
importanza impensabile in circostanze allotrope: «Viene il sospetto che se i bosniaci
fossero stati per avventura di religione cristiana o ebraica – e non musulmana – il
mondo occidentale non avrebbe reagito alla loro tragedia come se si trattasse di
‘stranieri’»
10
. E’ bene ricordare qui che questa entità, da qualche anno, ha iniziato a
definirsi con il termine “Bosnjaci”.
Ricordando, ancora una volta, che la Repubblica di Bosnia Erzegovina è sempre
stata, per natura, multi-etnica, oggettivamente la più ‘jugoslava’ delle Repubbliche, ciò
che si è difeso in quattro anni terribili era un’idea di retroterra comune: «La Bosnia ha
una lunga storia (medievale, ottomana e moderna) condivisa da una popolazione
multietnica e multiconfessionale»
11
.
Riferendoci poi alla distribuzione sul territorio delle popolazioni, un conto è parlare
della situazione prima del 1992, altro è parlare del risultato di una “pulizia etnica”,
talmente capillare e feroce, da essere difficilmente concepibile e prevedibile
nell’Europa del secondo Dopoguerra. Tale risultato – frutto di una spaventosa violenza
– è stato invece il punto di partenza di tutto ciò che è stato imposto a questo sfortunato
paese, con tutte le incongruenze e le ingiustizie che saranno esaminate nei prossimo
capitoli.
Tornando al 1992, si ricorda come tramite la Costituzione Repubblicana (appoggiata
dalla Comunità Europea che – applicando il principio dell’ ‘autodeterminazione dei
8
D. Frescobaldi, I pompieri incendiari della Jugoslavia, in Jugoslavia perché, op.cit. pag. 96
9
Banac, op. cit. pag. 97
10
Ibidem, 4^ di copertina
11
J. V. A Fine, op. cit., pag. 5
6
popoli’ - aveva dichiarato di accettare la scissione delle varie repubbliche purché
derivante da Referendum Popolare e purché i nuovi Stati si costituissero secondo le
frontiere già esistenti), la Bosnia Erzegovina proclamò la propria indipendenza, in
seguito al referendum popolare vinto al 64% dell’intero corpo elettorale. Nessuna
validità giuridica si può riconoscere alla minaccia d’una fazione della componente
serba decisa al boicottaggio della votazione. Si può solo affermare con certezza che la
consultazione si svolse in assoluta trasparenza, e che determinò un risultato
assolutamente inequivocabile. Con tale atto, la componente serba dichiarò,
aprioristicamente, in senso esclusivamente politico, che tale Costituzione non sarebbe
stata riconosciuta all’interno dei confini dello stato nascituro, e scelse automaticamente
di estraniarsi dalle sue direttive.
Immediatamente la nuova Repubblica fu riconosciuta a livello internazionale, come
già era successo per la Slovenia e la Croazia: per prima dalla Croazia stessa, poi dalla
Comunità Europea e dagli Stati Uniti d’America.
Fu l’inizio di un bagno di sangue, definito “guerra civile”, e, come tale, affrontato e
discusso. La comunità internazionale decise di adottare questa linea di condotta, a
causa della quale il paese, tuttora, ne paga l’oneroso scotto.
Nel diritto internazionale, il termine “guerra civile” sta ad indicare un conflitto che
vede contrapposti cittadini di uno stesso Stato per il controllo di esso. Inoltre la lotta
deve essere finalizzata al controllo del medesimo Stato (di cui i contendenti si sentono
cittadini) e non alla creazione di un nuovo Stato (o entità).
12
Ovviamente, in quel momento (la legittimità degli atti si è invertita nel giro di pochi
giorni) sul territorio era ancora presente un grosso contingente dell’esercito federale
(di seguito “Jna” – Armata popolare jugoslava), poiché il Ministero della Difesa era
uno dei pochi organismi ancora dipendenti dal fu governo centrale. Vero è ch’era
presente un’ entità territoriale, che continuava, ed ha continuato per anni, a chiamarsi
Jugoslavia, ma che, de facto, rappresentava la risultante delle numerose parcellazioni
fra Serbia e Montenegro.
Il suddetto contingente militare, ritrovandosi su un territorio non più di sua
competenza, avrebbe dovuto ritirarsi all’interno dei propri confini: al contrario,
appoggiandosi a milizie paramilitari, che già avevano iniziato a spargere terrore,
attaccò il nuovo Stato, assediando molte città; nel marzo 1992, infatti, «i serbi bosniaci,
con l’appoggio della Jna, iniziavano la battaglia per Bosanski Brod per assicurare con
12
C. Diddi, V. Piattelli, Dal Mito alla Pulizia Etnica - La guerra contro i civili nei Balcani, Ecp, 1995
7
un corridoio i collegamenti tra le Krajne (territori abitati in prevalenza da popolazioni
serbe) e quelle bosniache […] l’assedio croato si stringeva intorno a Mostar […]
iniziava l’uso dell’aeronautica serba contro le città croate della Bosnia occidentale. Si
formava un arco di scontro serbo-croato da Zara e Sebenico fino a Karlovac […] di
particolare rilievo erano le operazioni di guerra psicologica e disinformazione attuate
dai serbi riguardo alla presenza di truppe della Jna: quando la presenza della Jna poteva
implicare inequivocabilmente la responsabilità di Belgrado, Milosevic ordinava ai
soldati cittadini della cosiddetta RFJ (la nuova Repubblica federale di Jugoslavia) di
ritirarsi dalla Bosnia. Poiché solo 20.000 dei 100.000 soldati della JNA non erano
residenti in Bosnia, l’operazione si è tradotta in un massiccio riarmo del V-RS
(Esercito della Repubblica serba di Bosnia)»
13
.
Date le premesse, trarre le debite conclusioni è cosa assai semplice: come avrebbe
potuto Karadžić disporre di un’ aviazione e di armamenti adeguati, all’interno di una
giovane Repubblica, che mai aveva potuto dirsi all’avanguardia in campo bellico e
militare (la stessa Croazia in quel momento aveva solo due Mig strappati al nemico)?
Non poteva che trattarsi di arsenali federali. Tutto questo accadeva, e i media
trasmettevano le immagini di quella Sarajevo del 1992, ove i carri armati
abbandonavano il campo d’azione, mentre lì, nella realtà dei fatti, ciò che rimaneva
davvero, solo i protagonisti del terrifico scempio potevano testimoniare.
Si è visto infatti che erano ancora in corso le ostilità tra Belgrado e la nuova
Repubblica di Croazia, che la situazione in tutta la ex-Jugoslavia era tutt’altro che
tranquilla, per cui “il controllo della porzione più ampia possibile di territorio bosniaco
ha rappresentato per Milosevic un obiettivo militarmente irrinunciabile: in Bosnia era
infatti stanziato un numero molto elevato di soldati dell’esercito federale (circa
100.000) e più della metà degli impianti di produzione bellica. La Bosnia settentrionale
rappresentava inoltre un corridoio vitale per il sostegno logistico delle zone occupate
dai serbi in Croazia”
14
.
Analogo discorso si può fare per i Croati di Bosnia, semplicemente popolazioni
cattoliche alle quali il presidente Franjo Tudjman – dovendo riempire di concretezza
numerica il progetto del suo nazionalismo - aveva promesso la cittadinanza croata.
Precisiamo, a questo proposito, che i croati di Bosnia non hanno mai avuto un proprio
13
A. Politi, Lo svolgimento delle azioni militari, l’ennesima guerra atipica in
La guerra di Bosnia:una tragedia annunciata, Collana di studi a cura dell’Istituto Affari
Internazionali, Franco Angeli Ed., Roma, 1994, pag. 87-88
14
E. Greco, Il processo di disgregazione della Bosnia-Erzegovina , in ibidem, pag. 56
8
esercito (nemmeno su procura di Zagabria), per cui le forze armate presenti sul
territorio di cui parliamo, in particolare in Erzegovina, erano, tout court, quelle della
nuova Repubblica di Croazia.
Di tutto questo la comunità internazionale era ben conscia, se è vero che già il 15
maggio 1992 il Consiglio di sicurezza dell’ONU «vara la risoluzione n. 752 con cui
chiede la fine immediata dei combattimenti in Bosnia, il ritiro delle truppe dell’ormai
ex esercito jugoslavo e, dall’altra parte, dell’Armata croata. Ammonisce anche a non
cambiare la ‘composizione etnica della popolazione. In alcune zone la pulizia etnica è
già una realtà conosciuta, in altre lo sarà nei mesi seguenti […] il 30 maggio 1992 il
Consiglio di sicurezza dell’ONU approva la risoluzione n.757, che prevede l’embargo
totale (commerciale, petroliero aereo) contro Serbia e Montenegro ritenute responsabili
della guerra in Bosnia. Nella relazione di Boutros-Ghali accuse anche contro la Croazia
per la presenza di sue truppe che combattono nella repubblica in fiamme»
15
.
Si può quindi definire, senza ombra di dubbio, che si trattò di un’aggressione,
laddove, secondo la risoluzione n. 3314 del 14.12.1974 dell’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite, nel trattare questo concetto si specifica chiaramente che il territorio di
uno stato non può essere violato ed essere oggetto, anche temporaneamente,
dell’occupazione militare o di altre misure di forza intraprese da un altro Stato, in
contravvenzione con la Carta delle nazioni Unite.
Se per guerra civile si intende la lotta armata di una parte della popolazione contro
un’altra, ovvero contro gli apparati del medesimo Stato preposti alla tutela dell’ordine e
della sicurezza, il concetto non può proprio riferirsi al caso in questione: quelle forze
non appartenevano più a quel territorio – che ormai si definiva formalmente in maniera
diversa e che aveva diritto alla propria sovranità -, ma facevano parte di uno Stato
estero. Il loro attacco al paese appena nato, fra l’altro rivolto principalmente alle
popolazioni civili inerti, deve quindi essere definito come “aggressione”. Anche qui ci
conforta la risoluzione sopramenzionata, la quale specifica che «l’aggressione è l’uso
della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, integrità territoriale ed
indipendenza politica di un altro Stato»
16
.
E’ pur vero che, in questa situazione, – ricostruendo la quale è assolutamente
necessario procedere con la massima serietà, ponendo la massima attenzione ai termini
15
Z.Dizdarevic, G.Riva, L’ONU è morta a Sarajevo, Il Saggiatore, Milano. 1996, pag.195
16
M. Beltrami, La legittima difesa nella carta delle nazioni unite, Tesi di Laurea, Università di
Brescia, Facoltà di Giurisprudenza, 2000, pag. 27
9
che si usano – all’esercito federale si aggiunsero fazioni paramilitari costituite da una
parte dei serbi bosniaci che mai si riconobbero nel nuovo Stato già sancito a livello
internazionale. Ma, per definire un conflitto come “guerra civile”, è necessario che i
contendenti abbiano la stessa cittadinanza ossia proprio quella cosa nella quale i
suddetti serbi non si erano riconosciuti a priori.
Approfondendo la risoluzione n. 3114 , soprattutto attraverso l’analisi dell’l’art. 3, si
vede che aggressione può essere definita anche come l’invio, da parte di uno stato o in
suo nome, di bande e gruppi armati, di forze irregolari o di mercenari che compiano atti
di forza armata contro un altro Stato di una gravità tale da essere riconducibili agli atti
sopraelencati; o il suo coinvolgimento sostanziale in atti simili.
E’ chiaro qui che «si tratta di un tipo di aggressione che potremmo definire
“indiretta”; se ci soffermiamo sul termine “sostanziale” possiamo dedurne che sul
piano soggettivo si richiede la consapevolezza e la volontà dello Stato di sostenere
l’azione dell’autore materiale; sul piano oggettivo si richiede l’incidenza reale e
decisiva allo svolgimento delle attività armate dei gruppi, nel senso che, in assenza di
tale appoggio, gli atti di aggressione non sarebbero stati posti in essere»
17
.
Ora, ritenuto fuor di dubbio che l’attività diretta dello Stato all’organizzazione dei
gruppi armati sia da valutare come un suo sostanziale coinvolgimento nell’atto di
aggressione, dovremmo anche prendere in considerazione l’eventuale condotta
omissiva di uno Stato che vede il nascere, il crescere e l’operare di tali bande e non fa
nulla per opporvisi: in dottrina è ritenuto che il termine “involvement” esprima l’idea di
“un impegno attivo che non può esaurirsi nella negligenza colposa; anche in presenza
di una condotta omissiva, si richiede sempre una qualche volontà diretta a favorire un
certo evento”.
18
La Corte Internazionale di Giustizia ha emesso in data 27 giugno 1986, una sentenza
sulle attività militari e paramilitari in Nicaragua: essa stabilisce con estrema chiarezza
che si può parlare di aggressione armata quando uno Stato invii in territorio altrui
bande armate che compiano azioni tali da non poter essere definite solo come incidenti
di frontiera; Anzi, in questo caso i giudici hanno utilizzato la definizione di aggressione
diretta.
Per fornire ancora prove a favore della definizione di aggressione qualche
approfondimento viene richiesto poi dal livello paramilitare del conflitto bosniaco,
17
E. Sciso, L’aggressione indiretta nella definizione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite,
in Riv. Dir. Int., Volume LXVI 1983
18
Ibidem
10