L’ABUSO DELLA RESPONSABILITÀ LIMITATA NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI: TEORIZZAZIONI E RIMEDI
‐ 2 ‐
Il presente lavoro si compone di quattro parti.
Nella PARTE PRIMA si vuole evidenziare lo stretto legame che avvince il concetto di
responsabilità limitata a quello di persona giuridica. In epoca romana, il principio per
cui omne jus hominum causa constitutum est era fortemente radicato fra i giuristi.
Soltanto nella canonistica medievale si è riusciti a scardinare il rifiuto di concepire le
collettività di individui come entità separate, attribuendo ad esse la possibilità di
essere titolari di situazioni giuridiche soggettive di natura superindividuale.
L’idea che la responsabilità limitata rappresenti il tratto caratterizzante di alcuni
enti collettivi si è invece affermata in tempi relativamente recenti. Se infatti il
concetto di persona giuridica ha origini antiche, non altrettanto risalente è invece la
nozione di personalità giuridica, con cui la dottrina ha inteso attribuire alla
separazione tra ente e suoi componenti, prima giocata sul solo piano dell’autonomia
soggettiva, una valenza anche patrimoniale. E’ ormai incontestata l’affermazione
secondo cui la persona giuridica, pur costituita da una pluralità di persone fisiche, non
ne rappresenta semplicisticamente la sommatoria, ma possiede un quid pluris
appunto espresso da una soggettività giuridica indipendente, che talvolta viene
declinata in un’autonoma personalità giuridica.
A costo di provocare qualche fraintendimento, è però opportuno sottolineare fin
da ora che il principio della responsabilità limitata non discende in maniera
necessitata dal riconoscimento della personalità giuridica in capo all’ente collettivo.
La successiva PARTE SECONDA intende fornire una ricostruzione della genesi della
responsabilità limitata, definibile come il privilegio di cui godono i membri degli enti
collettivi dotati di personalità giuridica, consistente nella possibilità di limitare,
appunto, la propria responsabilità patrimoniale al solo ammontare del conferimento
promesso.
Il settore in cui maggiormente si invera il principio della responsabilità limitata è il
diritto delle società di capitali. Essa consente infatti di porre un argine invalicabile tra
i soci e i creditori sociali, che sono legittimati a far valere le proprie pretese sul solo
patrimonio della società, non potendo invece aggredire il patrimonio personale dei
singoli soci. Sotto un diverso profilo, la responsabilità limitata consente di ridurre il
rischio dell’impresa attenuando le conseguenze pregiudizievoli che possono derivare
in capo ai soci da una situazione di crisi legata all’insolvenza.
Introduzione
‐ 3 ‐
Nel corso della trattazione, alla giustificazione storica dell’affermazione di una
regola di responsabilità limitata viene affiancata un’analisi economica del diritto delle
società capitalistiche, che si prefigge di dimostrare come tale regola produca un
parziale trasferimento del rischio dell’impresa su soggetti diversi dagli investitori, in
primis sui creditori sociali, determinando così un potente effetto incentivante
all’investimento stesso. Richiamando consolidate teorie giuseconomiche di matrice
statunitense, vengono elencati i principali benefici derivanti dalla separazione
patrimoniale.
Di converso, il citato trasferimento del rischio dell’impresa pone un rilevante
problema di tutela nei confronti dei creditori, volontari e involontari, portatori di
interessi spesso incompatibili con quelli dei soci. Alla luce della meritevolezza di tali
interessi, sono state suggerite numerose strategie normative a tutela del ceto
creditorio, in grado cioè di favorire il puntuale adempimento delle obbligazioni pur
senza disconoscere il principio di limitazione della responsabilità dei soci.
Nel prosieguo dell’elaborato, vengono inoltre individuate alcune circostanze
sintomatiche di un abuso della responsabilità limitata, in cui il ricorso agli ordinari
rimedi predisposti in via legislativa risulta inefficace rispetto alla finalità di prevenire,
prima ancora che di reprimere, l’indebito utilizzo dello schema societario.
Nel corso della PARTE TERZA si passa da una riflessione astratta sui connotati della
responsabilità limitata alla descrizione di come essa venga diversamente declinata in
alcuni importanti istituti del diritto societario italiano. Nel considerare tali fenomeni,
il tema della responsabilità viene esplicitamente trattato nell’ottica di segnalare i
possibili abusi che sarebbero stati prodotti da un rigoroso rispetto della disciplina
positiva, e che invece sono stati perlopiù sventati dall’affermazione di una prassi
giudiziale che, in assenza di un’univoca indicazione da parte del legislatore, si è
spesso vista costretta a reinterpretare teleologicamente l’asettica norma giuridica per
offrire una tutela effettiva in favore dei creditori sociali.
Tale ruolo di supplenza ricoperto dai giudici, resosi necessario per sopperire alla
mancanza di interventi legislativi mirati, è stato sostenuto dalla dottrina, che già in
tempi remoti aveva prospettato alcune soluzioni innovative di repressione degli abusi
della responsabilità limitata. Un esempio di questa tendenza è fornito
dall’applicazione della teoria dell’imprenditore occulto per giustificare
l’assoggettamento a responsabilità illimitata di quel socio che, comportandosi come
“tiranno”, pieghi l’attività della società al perseguimento di finalità extrasociali.
L’ABUSO DELLA RESPONSABILITÀ LIMITATA NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI: TEORIZZAZIONI E RIMEDI
‐ 4 ‐
Tradizionalmente, il versante su cui si è posto con maggior frequenza il problema
di un abuso della responsabilità limitata, conseguente all’adozione della forma della
società capitalistica, è l’unipersonalità. Infatti, la presenza di una pluralità di soci è in
grado di tutelare indirettamente, attraverso il metodo democratico applicato in sede
assembleare, coloro che – in quanto estranei alla compagine sociale – non sono in
grado di influire sull’adozione delle relative scelte gestionali. Poiché nella società
unipersonale la titolarità delle partecipazioni sociali viene a concentrarsi nelle mani di
un solo soggetto, questo meccanismo di tutela dei terzi non riesce ad attivarsi,
determinando il rischio che il socio unico si ammanti del velo societario al solo scopo
di opporre ai creditori la propria responsabilità limitata.
Un altro ambito potenzialmente foriero di abusi della responsabilità limitata è
quello del gruppo societario, fenomeno in cui può annidarsi un forte pregiudizio per i
creditori delle società controllate, laddove la holding eserciti una penetrante
dominazione sull’attività delle stesse pur senza assumersi la relativa responsabilità.
Consapevole di tale pericolo, il legislatore della Riforma del 2003 ha in parte accolto
l’impostazione di enterprise liability fatta propria dalla dottrina americana,
configurando un articolato sistema di responsabilità a carico della holding per il
pregiudizio arrecato ai soci o ai creditori delle società sottoposte a direzione e
coordinamento.
Tra le novità apportate dalla Riforma, si segnala inoltre la disciplina dei patrimoni
destinati ad uno specifico affare, con cui il legislatore sembra aver aperto una breccia
nel dogma dell’inviolabilità della persona giuridica. Riconoscendo il valore della
distinzione fra le due categorie di creditori volontari e involontari, è stata affermata
l’esigenza di disapplicare il principio della limited liability per i casi di azione
extracontrattuale nei confronti della società. Nell’approntare una tutela più incisiva
nei confronti dei creditori da fatto illecito, il legislatore italiano ha recepito una
tendenza da tempo affermatasi nel case law statunitense, consistente nel
discriminare l’attribuzione del privilegio della limitazione di responsabilità a seconda
che la controparte dell’obbligazione assunta dalla società sia o meno consapevole di
rivestire una posizione creditoria.
Infine, questione solo in parte riconducibile all’abuso della responsabilità limitata è
se l’amministratore di fatto, ossia colui che gestisce effettivamente gli affari sociali
pur in assenza di un’investitura formale, possa essere chiamato a rispondere per
l’adempimento delle obbligazioni assunte dalla società, aggiungendo i propri beni
personali alla massa patrimoniale aggredibile dai creditori. La giurisprudenza italiana
Introduzione
‐ 5 ‐
sembra aver accolto con favore l’idea di imputare una responsabilità “per
l’amministrazione” della società, indipendentemente dall’esistenza di un atto formale
di nomina oppure dall’esercizio del potere gestorio in conformità alle modalità
previste dalla legge o dall’atto costitutivo.
La conclusiva PARTE QUARTA è dedicata alla descrizione di come la tutela degli
stakeholders sia stata attuata nella prassi giudiziale.
In questa sezione vengono innanzi tutto illustrati i principali rimedi esperiti dalla
giurisprudenza italiana per reprimere gli abusi della responsabilità limitata. In
particolare, si fa specifico riferimento alle ben note vicende giudiziarie dei fratelli
Caltagirone e dell’imprenditore Faccenda, in cui le corti hanno fatto ricorso alle due
diverse strategie, rispettivamente, della revisione del criterio di imputazione
dell’attività dell’impresa e della revisione del concetto stesso di persona giuridica.
Nel prosieguo della trattazione si intende fornire una rappresentazione sintetica e
nondimeno esaustiva dei profili sia fisiologici sia patologici che la responsabilità
limitata ha assunto nelle esperienze giuridiche anglosassone, in particolare
statunitense, e tedesca.
L’analisi della giurisprudenza americana in tema di piercing the corporate veil
costituisce un passo obbligato per descrivere lo sviluppo delle più rilevanti tesi
dottrinali sul tema degli abusi della responsabilità limitata, dal momento che essa ha
esercitato un’influenza determinante sul dibattito suscitato negli ordinamenti
giuridici continentali. Inoltre, una riflessione sul veil piercing che combini teoria e
pratica giudiziale assume un significato pregnante alla luce del fatto che spesso gli
esiti cui le corti di merito sono pervenuti contraddicono le teorie giuseconomiche che
avvalorano la concessione della limitazione di responsabilità nelle società
capitalistiche. Nonostante queste perplessità, è indubbio che alla dottrina giuridica
americana vada ascritto il merito di aver predisposto delle convincenti linee guida in
grado di indicare ai giudici la strada interpretativa più corretta nell’ottica di reprimere
gli abusi della responsabilità limitata.
Infine, più di un semplice cenno è riservato al dibattito sviluppatosi in Germania sul
superamento della personalità giuridica, che ha condotto alla definizione di un
rimedio giudiziale analogo al veil piercing, il Durchgriff durch die Rechtspersönlichkeit.
Rispetto al suo equivalente americano, esso si caratterizza per il fatto di essere stato
elaborato grazie al fondamentale contributo apportato dalla dottrina, che ha fornito
alla giurisprudenza una solida base interpretativa su cui fondare le proprie decisioni.
L’ABUSO DELLA RESPONSABILITÀ LIMITATA NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI: TEORIZZAZIONI E RIMEDI
‐ 6 ‐
Da un’analisi dei casi in cui si è consentito ai creditori sociali di aggredire il patrimonio
personale dei soci, soprattutto in tema di Konzernrecht, emerge con limpidezza il
rigore teutonico proprio dei giudici tedeschi, le cui pronunce risultano – per quanto
ardite – sempre tendenzialmente rispondenti al dato legislativo.
‐ 7 ‐
PARTE PRIMA
Il dogma de l la persona giuridica
Un insieme di norme e apparati preordinati alla disciplina dei comportamenti
umani ha come necessario destinatario gli individui. Tutti gli ordinamenti giuridici
hanno un’indole prescrittiva, nel senso che riconnettono l’imposizione di una
sanzione alla mancata osservanza delle regole di diritto da essi predisposte. Queste
ultime, così come le istituzioni che ne garantiscono il puntuale rispetto, sono sempre
concepite, in ultima analisi, con riferimento alle persone fisiche.
Tale convinzione ha permeato la riflessione giuridica fin dall’elaborazione
dottrinale dei giureconsulti romani, come testimonia un celebre passo del Digesto
che circoscrive all’uomo, solo, la sfera del diritto.
1
La umanità del diritto è evidente,
non esistendo né leggi né tribunali nel mondo animale e vegetale. «Il chimico, il fisico,
il naturalista leggono nel libro aperto del cosmo le trame delle proprie scienze».
2
Di converso, sarebbe inconcepibile una società umana priva di regole, la cui
osservanza costituisce infatti il presupposto per l’equità dei rapporti sociali (ne è
manifestazione l’abusato brocardo ubi societas ibi ius; ubi ius ibi societas). Il concetto
di “giustizia” non è altro che il frutto di una attività umana di “convenzionamento”
avente ad oggetto innate regole di rettitudine che attengono alla morale umana, e
che invece non hanno alcuna corrispondenza sul piano fenomenico. La persona,
insomma, si colloca al centro di ogni esperienza giuridica.
1
La formula, risalente al periodo del tramonto dell’esperienza giuridica romana e pertanto sintesi
ideale della pregressa elaborazione giurisprudenziale, è contenuta in un’epitome di Ermogeniano
riportata in Dig. 1.5.2: «Cum igitur hominum causa omne jus constitutum sit, primo de personarum
statu ac post de ceteris, ordinem edicti perpetui secuti et his proximos atque coniunctos applicantes
titulos ut res patitur, dicemus». Per un approfondimento sui temi della natura antropocentrica del
diritto, oltre alla bibliografia riportata nel prosieguo di questa Introduzione, si segnalano anche i due
classici di S. ROMANO, L’ordinamento giuridico, Sansoni, Firenze 1946 (in seconda edizione aggiornata)
e di A. FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche: il concetto di diritto, Giuffrè, Milano 2008.
2
P. GROSSI, Prima lezione di diritto, Laterza, Bari 2003, p. 11. Accanto alla dimensione di umanità
del diritto, lo studioso fiorentino ritiene di potervi individuare la socialità quale suo altro elemento
costitutivo. Il diritto, nato con l’uomo e per l’uomo, è connotato da una dimensione
aintersoggettiva,nel senso che ha per oggetto l’interazione fra soggetti umani. Naturalmente, non
ogni agglomerato sociale è meritevole di acquisire il carattere di giuridicità (non lo è, secondo un
celebre esempio, una fila di fronte a un ufficio pubblico, almeno fino a quando «un soggetto
intraprendente fa sentire la sua voce, fa alcune proposte per organizzare meglio la fila tumultuosa, e
tutti i componenti le ritengono buone e le osservano, […E]cco che […] noi abbiamo avuto il miracolo
della genesi del diritto»; ivi, p. 14).
L’ABUSO DELLA RESPONSABILITÀ LIMITATA NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI: TEORIZZAZIONI E RIMEDI
‐ 8 ‐
1. Dal diritto hominum causa alla persona ficta
Cosa si intende quando si afferma che il diritto è constitutum per l’uomo?
L’espressione sconta un’inevitabile ambiguità polisemica derivante dall’utilizzo del
verbo latino constituĕre. Per un verso il diritto è «frutto esclusivo dell’intelligenza e
dell’attività umana».
3
Non potrebbe essere altrimenti, dal momento che sono gli
uomini a fondare le società politiche da cui ha origine l’esigenza stessa di disciplinare
la vita civile. Per altro verso, la formula sta a significare che il diritto serve innanzi
tutto a regolare la convivenza tra individui, e costituisce pertanto la fonte della
disciplina che essi si sono imposti. Per quanto a noi interessa, e cioè nell’ottica di
marcare dei netti confini al concetto di persona fisica per poi affiancarvi, in via di
alternativa e anzi traendola in negativo, la nozione di persona giuridica, questa
seconda accezione di diritto risulta molto più seducente.
Nel concepire il diritto come strumento di regolamentazione, infatti, il suo creatore
(legislatore, sovrano o consuetudine che sia) ha sempre dovuto fare i conti con una
realtà di fatto connotata da un’interazione fra singoli e collettività. Ciò premesso, non
vi sono mai state esitazioni nel riconoscere ad ambedue le categorie la dignità di
soggetti di diritto, ossia di titolari di situazioni giuridiche attive o passive.
L’esigenza di estendere l’applicazione di norme giuridiche concepite hominum
causa ad una pluralità organizzata di individui deriva dalla volontà di fornire tutela ad
interessi più articolati rispetto a quelli espressi dai singoli. In questo senso, accanto
alla visione dell’ordinamento giuridico come insieme di prescrizioni, esso può anche
essere interpretato come un sistema di composizione dei conflitti d’interesse.
4
Tale
conflittualità si produce per effetto della reciproca influenza generata dall’interazione
non di singoli bensì di gruppi di individui, portatori pertanto di interessi, valori e
pretese comuni.
L’originalità dirompente racchiusa nel concetto di “persona giuridica” sta proprio
in questo: che l’ente collettivo, visto che i suoi partecipanti condividono un interesse,
si muove “come un sol uomo” per il suo perseguimento. Questa convinzione discende
da una riflessione relativamente recente della storia del diritto.
5
Il diritto romano
3
A. TORRENTE e P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano 2004, p. 78.
4
G. IUDICA e P. ZATTI, Linguaggio e regole del diritto privato, CEDAM, Padova 2000, p. 81.
5
La più esaustiva trattazione in chiave comparata con il diritto romano del controverso concetto
di “persona giuridica” è, a detta di molti studiosi, quella di R. ORESTANO, Il «problema delle persone
giuridiche» in diritto romano, Giappichelli, Torino 1968. Per un’illustrazione più sintetica sullo stesso
Il dogma della persona giuridica
‐ 9 ‐
classico non escludeva infatti a priori la possibilità di imputare dei rapporti giuridici
sostanziali ad una collettività di individui. Tuttavia, queste universitates erano sempre
concepite con concretezza, appunto come congregazioni di uomini.
6
Mancava
pertanto, nella prima riflessione giuridica romana, quella fondamentale attitudine alla
“distinzione” tra ente e singolo che costituisce invece il presupposto per il
concepimento di una persona giuridica dotata di piena autonomia rispetto alle
persone fisiche di cui essa è formata, e che rappresentano anche lo strumento di cui
l’ente deve avvalersi per intrattenere rapporti giuridici.
Soltanto nel diritto giustinianeo fu avanzata la possibilità di concepire le
universitates ricorrendo ad un parametro astratto, vale a dire attribuendo loro una
autonoma titolarità di diritti. Questa innovazione ha origini spirituali. Essa discende
infatti da una riflessione di Paolo di Tarso (ossia San Paolo Apostolo), a cui si deve il
conio dell’espressione corpus mysticum Christi. Con tale formula si indicava la
congregazione di fedeli facenti parte della (allora) sparuta comunità che si
riconosceva negli insegnamenti di Gesù. Tale entità sovrannaturale non si limitava ad
assommare la volontà dei suoi appartenenti, ma esprimeva un non meglio
identificato quid pluris, capace di sintetizzare, esaltandone la portata mistica, i
comuni interessi dei fedeli.
Questa concezione venne poi abbandonata nell’epoca del diritto intermedio, in cui
la precedente elaborazione dottrinale fu accantonata in favore di una riconduzione
della universitas a nient’altro che mera sommatoria degli individui che la
componevano.
7
L’origine della persona giuridica come “finzione” si fa sovente risalire all’epoca
della canonistica medievale del IV Secolo d.C., corrispondente al periodo del Basso
tema, si segnala anche l’opera di F. TODESCAN, Dalla «persona ficta» alla «persona moralis», in
Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico, 11/12, I, Giuffrè, Milano 1982/1983, pp. 59 ss.
Riferimento comune a più autori è inoltre il classico lavoro di F. RUFFINI, La classificazione delle
persone giuridiche in Sinibaldo dei Fieschi (Innocenzo IV) ed in Federico Carlo di Savigny (1898), in
Scritti giuridici minori, II, Milano 1936.
6
G.G. SCALFI, voce Persone giuridiche (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, vol. I, Roma 1990, p. 2. Il
concetto romanistico di “universitas” non coincide con quello moderno di “persona giuridica”. Ne è
riprova l’etimologia del termine “personă” (senza ulteriori qualificazioni), largamente impiegato nelle
fonti nel suo originario significato di “maschera”, solitamente di materiale ligneo, che veniva portata
in scena dagli attori nei teatri dell’antica Grecia e dell’Italia. In essa, i tratti del viso erano
volutamente esagerati per consentire agli spettatori una visuale più dettagliata. Anche la bocca era
realizzata in modo tale da rafforzare il timbro della voce (ut personaret, appunto). Solo in seguito il
vocabolo venne ad assumere l’accezione di “personaggio”, cioè di colui che si cela sotto la maschera.
7
Per un possibile riferimento, si vedano le glosse al passo riportato in Dig. 3,4,7,1: «universitas
nihil aliud est nisi singuli nomine qui ibi sunt».
L’ABUSO DELLA RESPONSABILITÀ LIMITATA NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI: TEORIZZAZIONI E RIMEDI
‐ 10 ‐
Impero. L’espressione “persona ficta” (che «proprie non est persona, tamen hoc est
fictum positum pro vero»
8
) fu coniata invece solo alcuni secoli dopo dal giurista
genovese Sinbaldo de’ Fieschi, destinato ad ascendere al soglio pontificio nel 1243
con il nome di Innocenzo IV. In sintesi, egli introdusse per la prima volta – con
riferimento alla natura delle corporazioni – l’idea che la universitas potesse
considerarsi distinta rispetto ai membri che la componevano.
9
Questa opinione, ispirata al dogma filosofico di non coincidenza del tutto con la
semplice somma delle parti, era in realtà dettata da una finalità molto più prosaica.
Vale a dire, la necessità di garantire che l’ordine francescano potesse legittimamente
acquisire i cespiti ad esso attribuiti a titolo di donazione o eredità, senza che con ciò
ne risultasse snaturato il suo carattere pauperistico.
10
Attraverso l’espediente della
persona ficta, la proprietà acquistata sarebbe stata riferibile ad un soggetto altro
rispetto ai religiosi, così permettendo loro di conservare il voto di povertà da essi
assunto.
11
Sinibaldo de’ Fieschi, in altre parole, gettò le basi di quella che sarà poi
definita persona repraesentata, un’entità collettiva «costruita mediante un atto della
nostra mente».
12
8
La formula risale al commentatore trecentesco Bartolo da Sassoferrato, ed è riportata nella sua
Opera omnia, in folio, tomus VI – In secundam Digesti Novi partem, pubblicata a Venezia nel 1615.
9
Quale sia stata la radice di questa originale costruzione concettuale è questione di
interpretazione rimessa agli storici, anche se di una possibile spiegazione forniamo qui di seguito un
significativo estratto tratto da F. TODESCAN, Dalla «persona ficta» alla «persona moralis», (nt. 5), pp.
62‐63: «Era la visione “organicistica” paolina della Chiesa concepita come corpus mysticum, realtà
viva non risolventesi nella puntuale singolarità dei propri componenti, che aveva animato il suo
pensiero, spingendolo a plasmare una costruzione dogmatica dell’universitas quale “persona”».
10
G. IUDICA e P. ZATTI, Linguaggio e regole, (nt. 4), p. 78.
11
A Sinibaldo de’ Fieschi sono attribuite le espressioni «cum collegium in causa universitatis
fingatur una persona» e «persona ficta et repraesentata quae personae vicem fungitur», la prima
delle quali è contenuta nella sua opera Super libro quinque Decretalium commentaria, pubblicata a
Francoforte sul Meno nel 1570. Per un inquadramento storico generale, si veda A. PADOA‐SCHIOPPA,
Riflessioni sul modello del diritto canonico medievale, in A Ennio Cortese, scritti promossi da
Domenico Maffei, vol. III, Roma 2001, pp. 21‐38, riproduzione del testo letto a Parigi il 16 novembre
1997, in occasione della seduta della Société d’histoire du droit presieduta da Olivier Guillot. Per una
ricostruzione del pensiero giuridico di Sinibaldo de’ Fieschi si veda anche A. PADOA‐SCHIOPPA, Storia
del diritto in Europa. Dal medioevo all’età contemporanea, il Mulino, Bologna 2007, p. 112, oltre al
già citato F. RUFFINI, La classificazione (nt. 5).
12
G.G. SCALFI, Persone giuridiche, (nt. 6), p. 3.