I noti fatti di cronaca hanno dimostrato che l’azione del
terrorismo può essere collegata a qualunque obiettivo,
ideologia o fondamentalismo. In particolare può legarsi
indifferentemente ad un determinato territorio o nazione,
ovvero possedere le caratteristiche di rete terroristica
transnazionale, non solo islamica. Essa è, inoltre, ad altissimo
livello di pericolosità: la potenza delle azioni terroristiche è,
invero, aumentata a causa di una serie di condizioni, non
ultima la disponibilità dei terroristi a suicidarsi ed il portato del
progresso tecnologico di cui si avvalgono. Gli Stati hanno, in
tal modo, perso il monopolio della minaccia ad altri Stati: la
sfida proviene da individui e reti che agiscono a livello sub-
statale e non territoriale, che utilizzano materiali e risorse che
sfuggono al controllo-monopolio statale. Non a caso, si è
parlato di un “terrorismo senza Stato”, la cui natura,
essenzialmente dell’integralismo religioso, esclude che ci sia
uno Stato a guidarne le fila. In virtù di ciò, la sicurezza ha oggi
una dimensione globale poiché non riguarda più solo la sfera
militare ma determina anche la sopravvivenza politica ed
2
economica della nostra società, nonché la stessa vita degli
individui.
E' attraverso la riflessione, o forse sarebbe meglio dire
interrogandoci, sul futuro della comunità internazionale che si
è scelto in questo lavoro di volgere lo sguardo all'Europa, ed in
particolare al ruolo che l'Unione europea svolge nella lotta al
terrorismo internazionale. Gli attentati terroristici dell’11
settembre 2001 hanno sottolineato la necessità di un’Europa
unita, forte, solidale che protegga la libertà e che salvi la pace,
in Europa e nel mondo; un’Europa che agisca unita accanto ai
paesi che condividono gli stessi obiettivi per la protezione e la
promozione dei valori di libertà e di solidarietà. Viviamo
un’epoca in cui le emergenze della sicurezza hanno finito per
incidere in ogni settore della vita civile, nei diritti
fondamentali e, correlativamente, hanno posto angoscianti
interrogativi. E’ giusto sacrificare la libertà in nome della
sicurezza? Bisogna a tutti i costi limitare i diritti dei cittadini
per garantire ad ognuno di loro la necessaria sicurezza? Sono
interrogativi dietro cui si celano problematiche fortemente
significative dal punto di vista politico e giuridico, in quanto
3
comportano restrizioni delle garanzie individuali e collettive.
In questo lavoro si è cercato di ripercorrere la risposta che la
legislazione e la giurisprudenza dell’Unione europea hanno
dato a tali interrogativi, e più in generale al terrorismo.
Si é scoperto, così, che fino all'11 settembre 2001,
l'Unione europea, interpretando il terrorismo come una forma
grave di criminalità transnazionale, ha focalizzato i suoi sforzi
in difesa della sicurezza interna e ciò ha indotto, di
conseguenza, ad agire principalmente nel settore della
Giustizia e degli Affari Interni. Ma, guardando alla rapidità dei
risultati raggiunti nel suddetto settore, si è potuto dimostrare
che l'Europa era già precedentemente sensibile alla
problematica ed attenta ai profondi cambiamenti che l’epoca
globale stava imponendo anche al terrorismo, e quindi si è
dedotto che l'11 settembre 2001 é stato un evento acceleratore
o, secondo altri studiosi, è servito indirettamente a ridare
impulso all'integrazione europea.
A partire da tali considerazioni, il lavoro di ricerca e
rielaborazione è stato così strutturato. Il primo capitolo è stato
dedicato alle azioni messe in atto per reprimere il terrorismo
4
nelle tre decadi che hanno preceduto la tragedia dell’11
settembre 2001. Proprio a partire dal dicembre 1974 viene
istituito il Consiglio europeo, organo di cooperazione
intergovernativa dei capi di Stato e di Governo della maggior
parte dei Paesi europei che ha avuto un ruolo fondamentale
non solo nel dare nuovo impulso alla costruzione comunitaria,
ma anche, ai fini di questo lavoro, nella promozione della
collaborazione in materia di lotta al terrorismo attraverso
l’istituzione della Conferenza TREVI, durante il suo vertice di
Roma del dicembre 1975. Viene delineato il percorso storico
della repressione del terrorismo tramite l’analisi delle strutture
messe in atto dagli Stati dell’Europa Occidentale prima e
dall’Unione europea poi, nella repressione del terrorismo:
dalla concertazione si è gradualmente passati alla
cooperazione. A tal proposito, a partire dal 1992 vengono
analizzate le azioni finalizzate alla repressione del terrorismo
che l’Unione europea ha posto in essere nell’ambito del
Pilastro della Giustizia e degli Affari Interni.
Il secondo capitolo è stato dedicato ad una dettagliata
analisi della reazione europea all’11 settembre 2001,
5
analizzando, secondo una prospettiva il più ampia possibile,
tutti i settori che sono stati mobilitati direttamente in virtù
della repressione del terrorismo o che semplicemente ne hanno
subito gli effetti. La tragedia dell’11 settembre 2001 si è
verificata in un momento storico particolarmente cruciale e già
di per sé complesso per l’Unione stessa: la sua attenzione
infatti doveva essere destinata quasi esclusivamente alla
realizzazione di progetti “interni”, come ad esempio,
l’allargamento ai Paesi dell’Est o la Conferenza
intergovernativa allora in essere. Ciò nonostante, la lotta al
terrorismo è stata inserita sin da subito e per lungo tempo tra le
priorità dell’ordine del giorno di tutti i lavori dell’Unione.
Verranno esaminate le misure cruciali prese nell’ambito della
lotta al terrorismo quali il Mandato d’Arresto Europeo,
l’istituzione di Eurojust e il ravvicinamento delle normative
nazionali degli Stati membri per l’acquisizione di una
definizione comune del reato di terrorismo, soffermandosi
sulle difficoltà di elaborare una tale definizione.
Si è anche cercato di mettere in luce il modo in cui
l’Unione europea ha affrontato la questione della
6
individuazione e della punizione dei presunti terroristi con
particolare riferimento alla redazione delle liste di terroristi da
parte del Comitato per le sanzioni del Consiglio di Sicurezza
dell’Onu e del Consiglio dell’Unione europea e al sistema del
congelamento dei beni dei terroristi.
L’analisi passa poi in rassegna lo sviluppo concreto
dei programmi, piani d’azione e strategie annunciate
all’indomani dell’11 settembre 2001, nonché l’intensificazione
dell’impegno nella lotta al terrorismo e nella gestione delle sue
conseguenze fino ai nostri giorni, con qualche accenno alle
prospettive future. Inoltre si accenna alla complessa questione
dei rapporti tra misure antiterrorismo e la politica in materia di
immigrazione dell’Unione europea.
Il terzo capitolo verte su quello che è l’aspetto più
delicato, ma anche forse il più interessante, della lotta al
terrorismo e cioè il problema di fissare un equilibrio fra le
esigenze di sicurezza della collettività e la tutela dei diritti e
delle libertà fondamentali riconosciuti dal diritto comunitario
ed internazionale. Saranno analizzate le pronunce di tre
Giudici diversi e cioè il Tribunale di primo grado delle
7
Comunità europee, la Corte di giustizia delle Comunità
Europee e la Corte europea dei Diritti dell’Uomo, mettendo in
evidenza come ancora molta strada debba essere percorsa
perché la “minaccia” terroristica non si traduca in una
generalizzata deroga dei diritti fondamentali. La prevenzione
sistematica dell’uso della minaccia e della violenza non deve
prevalere sulla tutela dei diritti fondamentali di ogni persona
umana ma deve rendere più flessibile la protezione dei diritti
fondamentali di ogni persona in un instancabile tentativo di
conciliazione quotidiana tra le esigenze della sicurezza e
quelle della libertà.
8
CAPITOLO PRIMO
L’ORIGINE E GLI SVILUPPI DELLA LOTTA AL
TERRORISMO NELL’AMBITO DELL’UNIONE EUROPEA.
Sommario: 1.1 La concertazione antiterroristica degli anni
Settanta.- 1.2 Segue: dal gruppo TREVI del 1975 alla nascita
dell’Unione europea.- 1.3 Il contributo e i limiti del Trattato di
Maastricht nella lotta al terrorismo.- 1.4 L’impulso del Trattato di
Amsterdam in favore della sicurezza interna e le altre iniziative in
ambito GAI.- 1.5 La Raccomandazione del Parlamento europeo del 5
settembre 2001 sul ruolo dell’Unione europea nella lotta al terrorismo.
1.1 La concertazione antiterroristica degli anni Settanta.
Le radici del terrorismo vanno cercate alla fine degli anni
Trenta
1
, ma è alla fine degli anni Sessanta che il terrorismo colpisce
duramente e prioritariamente il continente europeo; la reazione dei
1
La prima Convenzione di qualche spessore, sebbene mai ratificata, è stata quella di Ginevra del
1937 convocata sull’onda dell’attentato terroristico costato la vita al Re Alessandro di Jugoslavia e
al Ministro degli Esteri francese Louis Barthou che seppe richiamare l’attenzione dell’opinione
pubblica internazionale. Cfr. PAOLO BORGIACCHI in Il terrorismo: un pericolo per l’Europa, (a
cura di) RAVASI GUIDO, BANFI CLARISSA, Milano, Nagard, 2002, pag. 195.
9
diversi Stati europei è stata inizialmente unilaterale secondo le
circostanze e gli interessi in gioco, ma di fronte all’inefficacia
dell’unilateralismo e alla similitudine delle reazioni al terrorismo da
parte dei diversi Stati europei, si è giunti spontaneamente e
gradualmente a comprendere l’importanza e la potenziale efficacia di
una risposta comune europea nei confronti di un fenomeno che si
stava transnazionalizzando
2
.
La prima risposta inter-statale in Europa nell’ambito della lotta
al terrorismo è stata una forma di concertazione che con il tempo e
con l’emergere di una reale volontà politica si è trasformata in
cooperazione
3
. L’Europa, così, non solo è emersa come un insieme
coerente ed omogeneo ma, grazie alla necessità di cooperare di fronte
ad un grave pericolo comune quale il terrorismo e alla fiducia che
gradualmente iniziava a regnare tra gli Stati europei, ha potuto
svolgere un ruolo centrale ed efficiente nella lotta al terrorismo
2
Cfr. RONZITTI N. (a cura di) , Europa e terrorismo internazionale, Milano, F. Angeli, 1992, pag.
42. Cfr. anche LEJEUNE P., La coopération policière européenne contre le terrorisme, Bruxelles,
Bruylant, 1992, il quale spiega che fintanto che il terrorismo era interno, gli Stati hanno confidato
sulle proprie capacità, ma divenendo esso transnazionale prima ed internazionale dopo, i mezzi
nazionali sono divenuti ben presto inadeguati e le reazioni disordinate, pagg. 63-65.
3
Cfr. LEJEUNE P., op. cit., per il quale la concertazione «consiste en un échange de vues, entre
chefs d’Etat, diplomates, ou plus généralment entre responsables en vue de s’accorder sur une
politique», mentre la cooperazione «c’est le fait de travailler de concert avec quelq’un à une
oeuvre commune», cit., pag. 64.
10
internazionale.
Gli Stati mettono allora in moto una primitiva concertazione
nella lotta al terrorismo in ambito politico-diplomatico, la cosiddetta
“Cooperazione politica”
4
e, data la natura confidenziale delle decisioni
prese in ambito politico, con maggiore efficacia in ambito poliziesco
5
.
La cooperazione di polizia internazionale operava attraverso strutture
soprattutto informali, i cosiddetti “gruppi di lavoro”, mentre le
strutture formali hanno avuto uno sviluppo parallelo, anche se non
strettamente funzionale, alla nascita della Comunità europea, quali il
Consiglio d’Europa, il gruppo TREVI e gli accordi di Schengen:
entrambe le strutture facevano riferimento al metodo intergovernativo,
4
Cfr. RONZITTI N. (a cura di), op. cit., il quale spiega che l’argomento del terrorismo viene trattato
a livello politico, nell’ambito della concertazione, rappresentato dalla “Cooperazione politica”, e
ove le circostanze lo richiedano, in occasione dei Consigli dei ministri degli Esteri e dei Vertici dei
Capi di stato e di governo della Comunità, pag. 76.
5
Cfr. CHEVALLIER-GOVERS C., De la coopération à l’intégration policière dans l’Union
européenne, Bruxelles, Bruylant, 1999, il quale fa notare con riferimento agli Stati che si sono
orientati alla cooperazione poliziesca, che gli Stati che compongono l’attuale Unione europea
hanno assunto già negli anni Settanta un ruolo motore:anche se non ancora inquadrabile come
cooperazione esclusivamente comunitaria, il numero degli Stati partecipanti ed esterni all’attuale
Unione è sempre stato molto limitato in rapporto a quelli europei, pag. 139.
Ad ulteriore dimostrazione di ciò si può addurre che quasi tutti i gruppi di cooperazione
internazionale o sono stati gradualmente soppressi o al contrario inglobati in altre strutture
tipicamente europee, quale ad esempio il Comitato K4 istituito dal Trattato di Maastricht che
ingloba il gruppo di lavoro TREVI sul terrorismo.
11
ossia la cooperazione veniva decisa a livello ministeriale e resa
operativa tecnicamente attraverso gruppi di lavoro specializzati
6
.
Tra i gruppi di lavoro specializzati nella cooperazione
poliziesca nell’antiterrorismo, ma non intergovernativi, troviamo il
Club di Berna che, creato nel 1971, si poneva come finalità una
cooperazione informale e unilaterale nella lotta al terrorismo
7
, e il
Police Working Group on Terrorism (PWGOT), la cui finalità
principale era lo scambio di informazioni sui metodi di azione e i
pericoli comuni
8
.
Le strutture internazionali di cooperazione poliziesca
tipicamente intergovernative inglobano il Club di Vienna e il Gruppo
Quantico nati nel 1979 come gruppi di lavoro informale
9
, le attività
del Consiglio d’Europa, come struttura formale di cooperazione;
mentre il gruppo TREVI e gli Accordi di Schengen sono strutture
6
Cfr. RONZITTI N. (a cura di), op. cit., pagg. 73-74.
7
Annualmente si incontravano i capi dei servizi nazionali dell’anti-terrorismo di dieci Paesi:
Germania, Belgio, Danimarca, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Svizzera e
Stati Uniti. Cfr. CHEVALLIER-GOVERS C., op. cit., pag. 130.
8
Il PWGOT, dal 1979, riuniva due volte l’anno i responsabili delle polizie nazionali nella lotta al
terrorismo dei quindici Stati dell’Unione europea e della Norvegia. Cfr. CHEVALLIER-GOVERS C.,
op. cit., pag. 130.
9
Il Club di Vienna, o dei Cinque, riuniva i ministri e gli altri responsabili nella lotta al terrorismo
della Francia, Italia, Germania, Austria e Svizzera e provvedeva allo scambio di informazioni in
materia di terrorismo internazionale, in particolare per quanto riguarda la cooperazione in materia
di controllo alla frontiera; il Gruppo Quantico, nato per reprimere il terrorismo croato, riuniva i
funzionari tedeschi, austriaci, australiani, canadesi, americani, francesi, inglesi e svedesi. Cfr.
RONZITTI N. (a cura di), op. cit., pag. 72.
12
formali di cooperazione internazionale, ma più prossime alla
Comunità Europea
10
. Nell’ambito della cooperazione formale, sia
poliziesca che politica, il Consiglio d’Europa ha svolto un ruolo
centrale. In ambito poliziesco il contributo del Consiglio d’Europa è
stato per lo più giuridico in quanto negli anni Settanta è stato il primo
referente istituzionale attento alla possibilità di cooperare in ambito
penale, mentre a partire dagli anni Ottanta, depotenziato dalle strutture
comunitarie, ha rivolto la propria attenzione alla protezione dei diritti
dell’uomo
11
. In ambito politico il Consiglio d’Europa attraverso il
gruppo di consiglieri dei Ministri delegato alla lotta al terrorismo attua
uno dei primi esempi di concertazione politica, ma non si è a
conoscenza dei suoi lavori data la natura confidenziale
12
.
Infine, di notevole importanza è stata la Convenzione Europea
per la repressione del terrorismo, siglata a Strasburgo il 27
gennaio 1977 e adattata alla Comunità Europea attraverso l’Accordo
di Dublino del 4 dicembre 1979.
10
Cfr. IOPPOLO A., La repressione del terrorismo internazionale nella recente giurisprudenza
italiana e comunitaria. Torino, G. Giappichelli, 2009, pag. 43.
11
Cfr. CHEVALLIER-GOVERS C., op. cit., pag. 142.
12
Cfr. LEJEUNE P., op. cit., pag. 65.
13
1.2 Segue: dal gruppo TREVI del 1975 alla nascita
dell’Unione europea.
Le iniziative di collaborazione anti-terroristica fino ad ora
analizzate, pur ponendo i paesi dell’Europa come principali
protagonisti nella scena internazionale, restano, fino al 1974
13
, al di
fuori del quadro comunitario, pur coinvolgendo direttamente i governi
europei e riguardando settori quali la sicurezza interna e la politica
estera.
Poiché alcuni dei primi esempi di cooperazione formalizzata,
quale il Gruppo TREVI
14
al quale si aggiunsero la già citata
Cooperazione Politica Europea (CPE)
15
e i numerosi gruppi di lavoro
derivanti da tali strutture, hanno avuto come oggetto proprio la lotta al
terrorismo, è stato ipotizzato che il terrorismo abbia in un certo qual
modo contribuito all’integrazione europea
16
.
13
Nel dicembre del 1974 la riunione dei Capi di Stato e di governo prese il nome di Consiglio
Europeo, che pur non essendo ancora qualificabile come una istituzione comunitaria, ma solo
come strumento di cooperazione intergovernativa, ha avuto un ruolo fondamentale sia nel dare
impulso alla costruzione comunitaria, sia soprattutto nel concordare un’azione comune nei settori
della politica estera e degli affari interni. Cfr. CLEMENTI M., L’Europa e il mondo: la politica
estera, di sicurezza e di difesa europea, Bologna, Il Mulino, 2004, pag. 56.
14
Cfr. CHEVALLIER-GOVERS C., op. cit., il quale spiega come tale gruppo abbia avuto un peso
considerevole nella cooperazione europea per la repressione del terrorismo, ma fino al Trattato di
Maastricht, non è stato una struttura comunitaria, anche se riuniva tutti gli Stati membri della
Comunità europea dell’epoca e ha avuto praticamente un’esistenza parallela ai Consigli europei,
pag. 144.
15
Cfr. pag. 11 di questo lavoro.
16
Cfr. LEJEUNE P., op. cit., pag. 70.
14