2
Il matrimonio è considerato una realtà che coinvolge
totalmente la persona umana imponendole cambiamenti, adattamenti
ed obblighi concreti da rispettare e soddisfare; per questo assume
particolare rilevanza la volontà dei nubendi, espressa attraverso il
reciproco scambio dei consensi, fondamento basilare dell’istituito
matrimoniale.
Questo concetto emerge chiaramente dalla lettura del can 1057,
principio di diritto naturale secondo il quale “l’atto che costituisce il
matrimonio è il consenso delle parti manifestato legittimamente tra
persone giuridicamente capaci e che non può esser supplito da nessuna
potestà umana”.
In tal modo il consenso rappresenta la convergente volontà dei
nubendi, la causa efficiente del vincolo
3
, attraverso cui emerge la
consapevolezza delle parti che, intrinseco nell’atto che stanno
compiendo, sia il fatto che il matrimonio è un consorzio permanente
tra uomo e donna, ordinato alla procreazione della prole mediante la
cooperazione sessuale tra i coniugi.
La dottrina canonistica menziona come requisiti del consenso
matrimoniale che esso sia:
1) vero ed interno, ossia non fittizio. Non si richiede invece un
consenso esplicito circa la sostanza del matrimonio, bastando un
consenso meramente implicito, essendo cioè sufficiente riferirsi
all’insieme degli obblighi e dei diritti scaturenti dallo stesso, quali
posti dalla Chiesa, senza alcuna esclusione;
2) deliberato, ossia posto cum plena mentis advertentia et perfectus
voluntatis consensu: formula che accenna alla perfezione del
consenso e non alla sua validità, in quanto si ritiene valido il
matrimonio se pure la advertentia mentis non possa dirsi piena, né
il concorso della volontà perfetto;
3
Come suggerisce la stessa radice semantica della parola “consenso” sta a significare “cum
sentire”, ossia convergere verso un identico obiettivo, quando la volontà di ambo le parti si
diriga alla costituzione di un consorzio di tutta la vita, finalizzato, per sua natura, al bene
dei coniugi ed alla procreazione della prole.
3
3) reciproco. La disciplina della forma di celebrazione richiede uno
scambio di consensi simultaneo; anche se in sé basterebbe la
cosiddetta simultaneità morale, ossia la persistenza del consenso
dell’uno, cui deve corrispondere il consenso dell’altro;
4) manifestato con un qualche segno sensibile. La manifestazione del
consenso può consistere anche in semplici cenni, ma, se si
prescinde dalle regole poste sulla forma matrimoniale, deve dirsi
che i principi generali del contratto vogliono che si dia importanza
al comportamento univoco protrattosi per un dato periodo di tempo.
In materia matrimoniale è la difficoltà di distinguere tra animo
concubinario ed animo matrimoniale, che porta a ricercare con
particolare insistenza una manifestazione di volontà matrimoniale;
5) formato tra persone abili, cioè non impedite;
6) proveniente da entrambe le parti. La prima fondamentale
affermazione che la filosofia naturale cristiana ha compiuto è stata
la parità tra uomo e donna in tutti gli elementi sostanziali della vita.
E proprio su questa parità irrinunciabile si fonda la necessità del
consenso di ambedue gli sposi perché si abbia il matrimonio, il
quale non può risultare se non dalla reciproca volontà delle parti.
Qualora tale consenso manchi anche in una sola di esse, oppure sia
viziato, il matrimonio è invalido. L'invalidità del vincolo per
carenza o vizio del consenso deve essere dichiarata dal giudice
competente, la cui pronuncia ha l'effetto di constatazione erga
omnes dell'inesistenza giuridica del matrimonio apparente; fino a
tale dichiarazione il matrimonio apparente rimane coperto dal
favor iuris
4
.
4
Secondo il can. 1060 “il matrimonio gode del favore del diritto, pertanto nel dubbio si
deve ritenere valido il matrimonio fino a che non sia provato il contrario”. Questo principio
non è soltanto una conseguenza della libera determinazione del legislatore, che avrebbe
deciso di proteggere il vincolo coniugale, ma della stessa natura dell’uomo e del
matrimonio, ed il suo fondamento si trova proprio nella natura umana. Non è però un
principio assoluto, in quanto viene qualificato come presunzione iuris tantum, che ammette,
cioè, la prova contraria.
4
Sulla base di questo schema ed offrendo quindi
preliminarmente una visione panoramica circa il significato del
matrimonio per la dottrina cattolica, analizzerò la definizione e
l’oggetto dello stesso, i suoi elementi e le finalità, il consortium totius
vitae ed il bonum coniugum (alla cui realizzazione sono chiamati
reciprocamente i due sposi), nonché, in particolare, la specifica
rilevanza che occupa, all’interno di questo istituto, lo scambio dei
consensi tra le parti; sino ad illustrare le cause che viziano la reciproca
volontà, ossia l’errore, la violenza ed il dolo, tali da provocare la
nullità del vincolo.
L’obiettivo primario di questo lavoro sarà evidenziare come il
consenso delle parti costituisce il presupposto indispensabile per
fondare il vincolo coniugale. Ogni particolare matrimonio, in quanto
unione coniugale fra un uomo e una donna, non può cominciare ad
esistere se non dalla libera volontà, espressa tramite consenso, degli
sposi, manifestazione dell'amore umano sublimato in caritas dal
sacramento. Proprio per questo motivo il diritto canonico,
mantenendosi fermo nella dottrina tradizionale, ha attribuito a questo
importante atto lo spiccato valore di causa efficiente del matrimonio,
affermando che senza un valido consenso non può esservi valido
matrimonio.
5
CAPITOLO PRIMO.
1. IL MATRIMONIO CANONICO ED IL CONSENSO
DELLE PARTI.
Non vi è alcun dubbio che il matrimonio deriva la sua origine
da Dio
5
: è Dio che realizza un progetto divino.
“Come istituzione inserita nell’ordine della natura e della grazia, il
matrimonio risale a Dio, che ne è l’autore e la sorgente primaria; ma
in quanto si attua in un’unione coniugale concreta, fra un determinato
uomo e una determinata donna, prende inizio da un loro atto di
volontà concorde”
6
.
Per questo motivo il matrimonio canonico, nella sua struttura giuridica,
sorge e si perfeziona esclusivamente in virtù di un atto di volontà ( il
consenso delle parti), mediante il quale i coniugi si donano ed
accettano reciprocamente per costituire il vincolo coniugale.
In tutte le trattazioni generali sul matrimonio, si è soliti ritenere
che il sistema matrimoniale canonico pone le sue fondamenta sul
consenso dei nudendi. La volontà, con cui questo si esprime, deve
avere come oggetto il vincolo coniugale, con tutte le sue proprietà
essenziali, così come è stato stabilito dalla legge divina; il ministro,
5
“Dio creò gli uomini secondo la sua immagine; a immagine di Dio li creò; maschio e
femmina li creò” (Gn 1,27)“…poi il Signore Dio disse: non è bene che l’uomo sia solo: gli
voglio fare un aiuto a lui corrispondente…”(Gn 2,18); “ … il Signore Dio costruì la costola,
che aveva tolto all’uomo, formandone una donna …”(Gn2,22); “… per questo l’uomo
abbandona suo padre e sua madre e si attacca alla sua donna e i due diventano una sola
carne …” (Gn 2,24).
6
A. M. Abate, Il matrimonio nella nuova legislazione canonica, Roma 1985, p. 39; Cifra.
P.A. Bonnet, Il consenso, in AA. VV., Matrimonio canonico fra tradizione e rinnovamento,
Bologna 1991 pag 162-163. Secondo l’autore il patto coniugale non può non sorgere da un
libero atto di volontà cosciente e consapevole dei nubendi; cf. J. F.Castano, Il sacramento
del matrimonio,Roma 1994, p. 117-141; cf. O. Fumagalli-Carulli, Intelletto e volontà nel
consenso matrimoniale in diritto canonico, Milano, 1974.
6
come testis qualificatus, riceve in nome della Chiesa il consenso
espresso (can. 1108)
7
.
Il matrimonio, quindi, realizza una dimensione personale, in
quanto la nuova entità coniugale sorge e si costituisce mediante
l’irrevocabile consenso dei soggetti, che esprimendo la loro volontà di
appartenenza, intendono dar vita ad una comunità di amore,
divenendo gli artefici di una storia che postula un coinvolgimento
pieno nell’impegno che i due si assumono (can. 1057 §2). Nasce con
una promessa reciproca di amore espressa attraverso il reciproco
volere e volersi, l’atto giuridico del vincolo, e che individua l’essenza
dello stesso.
Con il matrimonio gli sposi ufficializzano questo amore, elemento su
cui si basa la reciproca intenzione di unirsi per sempre, derivante dalla
inclinazione naturale di ogni essere umano a ricercare la persona con
cui condividerlo
8
. L’uomo, essere incline all’amore, una volta trovato,
assume, con il consenso, il matrimonio ed attraverso questa promessa
accetta tutti obblighi, ed i diritti, di cui è titolare nei confronti del
proprio coniuge.
Per questo motivo l’amore coniugale non può mancare in quell’atto
iniziale di donazione dal quale tutta la successiva dinamica
matrimoniale prende necessariamente le mosse. Più specificatamente,
come dall’alleanza d’amore di Cristo e della Chiesa, nasce il loro
mutuo dono totale, così la relazione d’amore tra uomo e donna prende
vita dalla reciproca offerta che, nel momento costitutivo del
matrimonio, essi fanno di se stessi, donandosi non in ciò che hanno,
bensì in ciò che sono, in modo assolutamente totale e completo
9
.
7
Come assistente al matrimonio si intende soltanto colui che, essendo presente, chiede la
manifestazione del consenso dei contraenti e la riceve in nome della Chiesa, come si evince
dal can. 1108 §2.
8
Nell’uomo e nella donna questa naturale inclinazione allo stare insieme, dipende dal fatto
che è nella struttura biologica e nella natura umana ricercare l’amore.
9
Questo primo atto di amore conferma sostanzialmente il matrimonium in fieri. Escludere
l’amore dal consenso matrimoniale significa non volere lo stesso matrimonium in fieri.
7
Ma il vincolo coniugale non è semplicemente amore tra le parti, è una
promessa di amore, una sorta d’impegno che i coniugi assumono
reciprocamente per tutta la vita.
Che tale unione debba essere stabile, è richiesto dalla natura
dell’istituto, proprio perché l’elemento della perpetuità del vincolo
diventa condizione e garanzia sia del bene dei coniugi che della prole,
la cui formazione necessita delle due componenti originarie”
10
.
Si tratta di un contratto di tipo speciale (sui generis), perché è
un istituto giuridico ma, allo stesso tempo, anche un istituto di diritto
naturale e, per i cristiani, un sacramento che contiene, in sé, altri
elementi qualitativi
11
.
L’atto di volontà contrattuale dei nubendi deve quindi abbracciare
tutte le dimensioni del matrimonio: la dimensione naturale, in quanto
si tratta di un istituto che ha la sua origine, la sua struttura, le sue leggi,
il suo contenuto essenziale, radicati nella natura umana; la dimensione
sociale, in quanto sancito e tutelato dalla società; la dimensione
personale, in quanto, fondato sul reciproco consenso tra gli sposi,
idoneo a creare fra essi un’intima comunione di vita, ed infine quella
soprannaturale o sacramentale, poiché il contratto matrimoniale è stato
elevato da Cristo alla dignità di sacramento.
La dignità sacramentale non è un elemento o una proprietà del
matrimonio cristiano, bensì la dimensione soprannaturale dello stesso.
Per questo viene collocata in un piano diverso da quello formato dagli
elementi della donazione coniugale, che ne costituiscono il vincolo.
Il carattere sacramentale è intrinseco nella donazione coniugale, ma
inserito in un livello differente, in modo tale che costituendosi il
matrimonio, attraverso tale donazione, si realizza il sacramento. Da
10
A. Amati, L’incidenza dell’immaturità psico-affettiva sul consenso matrimoniale
canonico, Officium Libri Cattolici, Roma, 1994, p. 9.
11
Cifra. J. F. Castano, Studio esegetico-dottrinale sulle tre figure del can. 1095,in
Angelicum LXIX, 1992 il quale specifica: “ Il matrimonio nella sua realtà completa, supera
di molto il solo aspetto giuridico, in quanto include parecchi valori che esulano dalla
dimensione meramente giuridica, come quello sociale, culturale, religioso, biologico,
psichico. Se poi il matrimonio considerato è anche sacramento, perché celebrato tra
battezzati, l’aspetto giuridico passa in secondo piano dinanzi alla dignità sacramentale”.
8
questa prospettiva si può affermare che non fa parte necessaria
dell’oggetto del consenso volere la sacramentalità in modo diretto ed
espresso, perché quest’ultima non sorge dal potere dei coniugi ma da
Cristo.
Proprio dalla natura sacramentale del matrimonio la Chiesa fa
derivare la sua potestà legislativa e giurisdizionale in materia
matrimoniale, relativamente ai battezzati.
E sempre da tale natura del vincolo deriva la conseguenza
dell’indissolubilità dello stesso; non solo nel senso che il consenso
prestato dai nubendi è irrevocabile, e cioè che una volta costituitosi
validamente il matrimonio, le parti non lo posso revocare o chiederne
lo scioglimento; ma che non è loro riconosciuta neppure alcuna libertà
di scelta per quanto attiene alla natura, qualità ed esercizio stesso dei
diritti e doveri derivanti dal negozio posto in essere
12
.
Tuttavia, nonostante l’indissolubilità sia una qualità intrinseca del
matrimonio, solo il matrimonio “ratum et consumatum”, cioè valido e
consumato, sorto come sacramento e che abbia dato luogo alla copula
carnale è assolutamente indissolubile. In presenza di determinate
condizioni di legge è infatti possibile far luogo alla dispensa per
inconsumazione o allo scioglimento per privilegio della fede: sebbene,
infatti, tutti i matrimoni siano intrinsecamente indissolubili, alcuni di
essi non hanno una indissolubilità estrinseca assoluta, e possono esser
sciolti in forza della potestà vicaria della Chiesa.
In proposito la dottrina cattolica suole richiamare due immagini che
rievocano l’istituto del matrimonio rato e non consumato, il quale
ricorda l’unione dell’ anima con Dio, un legame che può sempre venir
meno per una disposizione contraria della prima, perché è accidentale;
mentre il vincolo rato e consumato è, invece, ricondotto al legame
mistico di Cristo con la sua Chiesa, che, al contrario, non è accidentale
e non può mai venir meno.
12
Cifra P. A. D’Avack, Corso di diritto canonico. Il matrimonio. Milano, 1961, p.56.
9
1.2 Il principio di insostituibilità e l’oggetto del consenso
matrimoniale.
Dalla lettura del canone 1057 CIC risulta chiaro che il
consenso è l’unica causa efficiente del matrimonio, è la causa formale,
l’elemento creatore. Essendo inoltre un atto interno e personale, esso
dovrà essere manifestato esternamente, affinché ciascuno dei coniugi
conosca la volontà dell’altro, e le due volontà si incontrino in un unico
punto, ricadendo così su un medesimo oggetto o su un determinato
rapporto che esse desiderano porre in essere
13
.
Il consenso, come atto di volontà, è attualizzazione espressiva di una
potenza reale che, dopo una sufficiente deliberazione, si decide
liberamente e spontaneamente a manifestare e a stabilire un impegno,
essenzialmente reciproco, di un’intima comunità di vita e d’amore
esclusiva, orientata al bene comune interpersonale ed alla possibile
procreazione ed educazione della prole.
La disciplina del consenso matrimoniale canonico ha, quindi, il
proprio cardine fondamentale nel principio di insostituibilità del
consenso, sancito dal can. 1057, secondo il quale il matrimonio, come
stato di vita (o “matrimonium in facto esse”) è posto in essere e
costituito esclusivamente dal consenso delle parti legittimamente
manifestato tra persone giuridicamente capaci di esprimerlo
13
Cifra. J. F. Castano, Il sacramento del matrimonio, Roma 1994, p. 124-125. L’autore
così specifica : “ tutti gli autori affermano che il consenso costituisce la causa dalla quale
nasce il matrimonio (causa efficiente). Infatti il can. 1057 usa il termine facit, la cui prima
accezione è senza dubbio fare, cioè dare origine. Noi però crediamo che il consenso sia
anche la causa formale, vale a dire il constitutivum formale del matrimonio. Infatti, secondo
la filosofia, l’elemento costitutivo di una realtà non è la causa da dove tale realtà procede
(causa efficiente che è causa esterna), ma la causa che si identifica con la stessa realtà
(causa formale che è causa interna). Orbene a noi pare che il consenso non sia solo una
causa esterna al matrimonio, ma appartenga alla medesima essenza dell’istituto
matrimoniale. La difficoltà nell’ammettere questa nostra affermazione forse sta nel fatto
che, una volta costituito il matrimonio, questo non viene meno anche se le parti ritirano il
loro consenso. A nostro avviso, però, ciò non costituisce una vera difficoltà, perché
indipendentemente da quanto avveniva nel diritto romano, nell’ordinamento canonico, il
matrimonio è per natura perpetuo e, quindi, l’eventuale mancanza del consenso, dopo che il
matrimonio è stato già costituito, non è paragonabile alla mancanza dell’affectio maritalis
del diritto romano. Quindi, l’ultima ragione in favore della nostra affermazione è che, una
volta che il consenso è stato accordato, tale consenso non può essere ritrattato, e ciò in forza
della stessa natura del matrimonio. E’ così che il consenso è l’anima del matrimonio”.
10
(“matrimonium in fieri”
14
o momento costitutivo del matrimonio),
consenso che nessun potere umano può supplire.
Un tale principio d’insostituibilità è assolutamente necessario
se si considera la valenza essenzialmente auto-donativa
15
, propria del
momento costitutivo del matrimonio, dove l’intima comunità di vita e
d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie
è stabilita dal patto coniugale, ossia dall’irrevocabile consenso
personale. E così, è dall’atto umano col quale i coniugi mutuamente si
danno e si ricevono che nasce, anche davanti la società l’istituto del
matrimonio che possiede stabilità per l’ordinamento divino
16
.
Questo comporta innanzitutto che non si debba riconoscere come
valido un matrimonio, ogniqualvolta non si possa individuare
l’effettiva esistenza di quella peculiare realtà psicologica che è il
consenso dei nubendi, e che l’affermazione “qui nulla humana
protestate suppleri valet” impone che non possano ammettersi
eccezioni di sorta.
Intorno a questo principio si consolida, con straordinaria unità e
coerenza, l’intera disciplina giuridica canonica del consenso, che, con
incisivo rigore, attribuisce rilevanza ad ogni fattispecie di difetto del
consenso, sancendo la nullità del matrimonio. Se così non fosse, il
consenso potrebbe esser supplito dal volere del legislatore, che invece,
spinto dall’esigenza di garantire l’opzione matrimoniale unicamente
come voluta dalle parti, persegue il principio della perfezione del
consenso.
Il matrimonium in fieri,in quanto donazione di se stessi, e quindi in
quanto scelta di vita che, in risposta ad una profonda vocazione
14
Il matrimonium in fieri è un istituto sicuramente molto singolare. Già Cino Da Pistoia
aveva osservato come il matrimonio dovesse qualificarsi contratto di persone, poiché è la
stessa persona che, con tale atto, rimane obbligata. Diversamente, negli altri contratti di
cose nei quali, pure essendo obbligata la persona all’adempimento del contratto della
prestazione convenuta, quest’ultima non è mai costituita dalla persona stessa dell’obbligato.
15
Aveva già insegnato Giovanni Duns Scoto, filosofo e teologo scozzese, beatificato nel
1993 da Giovanni Paolo II, che nessuno può trasferire ad altri la potestà sul proprio corpo,
se non attraverso un atto della propria volontà.
16
Cirfa P. Fedele, Lo spirito del Diritto canonico, Padova, 1962 , p. 539.
11
personale, manifesta e tocca la stessa opzione fondamentale dell’uomo,
non può sgorgare che da un libero atto di volontà, cosciente e
consapevole dei nubendi stessi. Il diritto ecclesiale, perseguendola
fino in fondo si fa portatore di questa esigenza insuperabile, dal
momento che nel matrimonio l’uomo e la donna impegnano se stessi
per il futuro, un futuro insieme.
E’ un principio che ha avuto costante affermazione nel
magistero sia conciliare che pontificio
17
, così da dirsi del tutto
indubitabile e certo. Lo stesso Concilio Vaticano II lo ha ribadito in
modo perentorio ed esclusivo, tanto da far cadere ogni ragione di
dubbio ed incertezza al riguardo.
Il can. 1057 CIC, dopo aver sancito nel primo paragrafo il
fondamentale principio di insostituibilità del consenso, nel secondo
precisa in che cosa questo debba consistere, affermando più
specificatamente che costituisce un atto di volontà irrevocabile
proveniente da ambo le parti, attraverso cui ognuna di loro si dona
all’altra ed ognuna di loro accetta l’altra nella sua totalità, al fine di
porre in essere uno stato di vita matrimoniale.
E’ quella del can. 1057 § 2, una dizione profondamente diversa da
quella certamente molto infelice che le corrispondeva nel can. 1081 §
2 del precedente codice pio-benedettino, la quale originò una
inaccettabile comprensione dell’istituto matrimoniale in chiave quasi
esclusivamente copulatoria.
Il consenso matrimoniale ha nelle persone stesse dei nubendi il
proprio singolarissimo oggetto, in quanto restano completamente
coinvolti da un’autodonazione di se stessi al fine di costituire un
consorzio di tutta la vita, caratterizzato dall’unità ed indissolubilità,
dall’apertura alla prole, dalla comunione dei destini, per il
conseguimento del proprio bene (bonum coniugum) e quello dei figli
(bonum prolis).
17
Cifra P.A. Bonnet, L’essenza del matrimonio canonico. Contributo allo studio
dell’amore coniugale. Il momento costitutivo del matrimonio, Padova, Cedam, 1976, pp.
147-148.
12
E’ un’integrazione personale magistralmente affermata dal Concilio
Vaticano II: “E così l’uomo e la donna, che per patto coniugale non
sono più due, ma una sola carne, prestandosi un mutuo aiuto e servizio
con la loro intima unione e delle loro attività, esperimentano il senso
dell’unità e sempre più pienamente la raggiungono. Questa intima
unione, in quanto mutua donazione di due persone, ed il bene dei figli,
esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile
unità”.
Il testo conciliare ci rimanda al dato divino. In effetti la Sacre Scritture
consentono di poter comprendere lo stato di vita matrimoniale, e
conseguentemente l’oggetto di quel consenso che ne è l’origine
insuperabile, attraverso l’ attrazione che spinge l’uomo verso la donna,
e questa verso l’uomo. Un tale potente reciproco richiamo trova la sua
ragione nell’essere stesso dell’uomo e della donna e costituisce
l’oggetto del consenso, ossia la sessualità. In questo modo l’uno
diviene per l’altro un dono davvero incommensurabile.
L’oggetto del consenso risulta dunque costituito dagli stessi nubendi e
più specialmente dalla loro dimensione sessuale
18
.
1.3 La disciplina codicistica: differenze tra il codice del 1917 ed
il codice del 1983.
E’ comune insegnamento che l’istituto del matrimonio
canonico ha le sue basi nella sacra scrittura, e quindi nel diritto divino
rivelato, nonché nel diritto divino naturale, come fissato dalla dottrina
cattolica. E’ disciplinato dal diritto positivo, del quale è ultima
18
Cifra P.A. Bonnet, Introduzione al consenso matrimoniale canonico. Milano, 1985, p. 21,
dove specifica che la sessualità infatti è un modo di essere che investe totalmente l’uomo,
con la conseguente inclinazione a vivere il proprio “sono” in una dinamica unitaria. La
sessualità non è un qualcosa che l’uomo ha anche accanto a molto altro, ma un modo di
fondo, in cui egli è in tutto e quindi qualcosa senza cui non possono essere realmente
pensate né realizzate le sue restanti caratteristiche ed i suoi rapporti essenziali; è in effetti
una proprietà della natura umana dell’uomo.
13
espressione, nella Chiesa di rito latino, il codice del 1983 che specifica,
e ci permette di comprendere l’esatta qualificazione giuridica del
matrimonio.
Infatti l’istituto matrimoniale, come un qualsiasi altro fatto umano è
preso in considerazione dall’ordinamento canonico, sia nel momento
del suo sorgere che della sua formazione, sia nelle sue conseguenze
che dei suoi effetti.
Il Codice del 1917 non contemplava una definizione di
matrimonio, poiché il legislatore dell’epoca riteneva, con un certo
fondamento, che il vincolo coniugale, quale istituto di diritto naturale,
fosse ben noto alla coscienza dei nubendi che si determinavano a
contrarlo. Perciò il can. 1012 si limitava ad identificarlo come
contratto-sacramento, stabilendo che non vi poteva essere un valido
contratto matrimoniale senza che si avesse anche il sacramento.
Ma già allora il codice pio benedettino mostrava la centralità del
consenso, espressa perfettamente dal can. 1082 nel quale era scritto:
“Matrimonium facit partium consensus inter personas jure habiles
legittime manifestatus; qui nulla humana protestate suppleri valet”.
Risultava evidente che l’elemento creatore del vincolo coniugale era
identificato nel consenso delle parti, espressione della reciproca
volontà di unirsi per sempre, accompagnato dalla capacità dei nubendi
insieme con una data forma da usarsi nella sua manifestazione. In
realtà poiché gli altri due elementi, la capacità e la forma, erano, come
sono tutt’oggi, imposti dall’ordinamento per ragioni generali esterne
ai soggetti, il requisito del consenso è invece richiesto, prima che
dall’ordinamento, dalla stessa natura sostanziale del matrimonio ed
interessa, in primis, i due sposi ed il modo interiore nel quale si
costituiscono gli elementi sostanziali.
Per identificare l’oggetto del consenso, la dottrina riteneva che
questo e l’essenza del matrimonio, visto quale negozio giuridico,
dovesse individuarsi nella reciproca deditio iuris in corpus perpetui et
exclusivi di ciascun coniuge all’altro. Era, infatti, definito il consenso
14
matrimoniale come l’atto di volontà con cui ciascuna delle parti
contraenti dà e accetta lo “ius in corpus perpetuum et exclusivum in
ordine ad actus per se aptos ad prolis generationem”. Esprimendo il
consenso nuziale i coniugi manifestavano la volontà di donarsi
reciprocamente il diritto di compiere, l’uno sul corpo dell’altro, atti
idonei alla procreazione della prole, in perpetuo, cioè sino a quando il
vincolo restasse in vita, ed in modo esclusivo, ossia esclusivamente tra
di loro. In una tale accezione, l’essenza del matrimonio consisteva
nell’essere lo stesso ordinato, finalizzato, al compimento di atti idonei
alla procreazione
19
.
Da qui ne derivava che l’oggetto essenziale del consenso
matrimoniale, come previsto dal codice precedente e configurato nello
ius in corpus, aveva un riferimento troppo fisico, e quindi ritenuto
incapace di esprimere sia la totalità della persona che la ricchezza
intrinseca dell'istituto matrimoniale. Lo ius in corpus, cioè il diritto
perpetuo ed esclusivo sul corpo dell’altro coniuge
20
, implicava
esclusivamente la consegna e l’accettazione mutua (mutua traditio) di
un diritto
21
.
Un tale modo di intendere il matrimonio, strettamente tecnico-
giuridico, era destinato ad esser superato dall’insegnamento del
Concilio Vaticano II, così attento ai valori fondamentali della persona
umana ed alle esigenze pastorali, che, pur senza sminuire o trascurare
la dimensione sociale dell’istituto, ha accentuato l’aspetto personale
19
Con il codice del 1917 la procreazione è intesa in un’ accezione diversa rispetto ad oggi.
Con la precedente codificazione, infatti, il matrimonio doveva ritenersi valido anche se uno
dei due nubendi fosse affetto da impotentia generandi, o da sterilità, purché fosse dotato di
potentia coëndi, ossia la capacità all’atto sessuale.
20
P. Fedele, L’essenza del matrimonio canonico e la sua esclusione, in AA.VV., Studi sul
matrimonio canonico , Roma 1992, p.13 ove si legge: “Soltanto il reciproco dovere sessuale,
cioè la traditio et acceptatio dello ius in corpus…, costituisce l’elemento necessario e
sufficiente ad integrare il contenuto del matrimonio, ossia l’oggetto del consenso
matrimoniale”
21
Cifra. S. Lener, L’oggetto del consenso e l’amore nel matrimonio, in AA.VV., L’Amore
Coniugale, Città del Vaticano 1971, p. 146-147., dove l’autore specifica: “ Non si nega il
potere-dovere dei coniugi di compiere tra loro gli atti idonei alla generazione della prole. Si
nega, invece, anzitutto che l’oggetto del contratto matrimoniale sia codesto ius o il
contenuto dello stesso ( atti o prestazioni); e si nega, poi, che fonte o causa efficiente
( diretta) di detto ius sia la traditio, che ciascun nubente ne farebbe all’altro”.
15
del vincolo coniugale, sottolineandone l’intima comunità di vita e di
amore coniugale che è oggetto del patto tra gli sposi.
Cosicché, durante il Concilio Vaticano II, con la Cost. Gaudium et
spes si sostituì tale concetto con quello di “mutua donatio atque
acceptatio coniugum”.
Il medesimo concetto fu poi espresso da Paolo VI nella Enc. Humanae
vitae: “Il matrimonio è una reciproca donazione personale, mediante
la quale gli sposi tendono alla comunione dei loro esseri in vista di un
mutuo perfezionamento, per collaborare con Dio alla generazione e
all’educazione di nuove vite”.
Da ciò si desume che l’insegnamento del Concilio Vaticano II ha
trasferito questa visione personalistica del consenso nel nuovo codice
di diritto canonico, ed oggi il consenso comprende oltre allo “ius in
corpus”, anche lo “ius ad vitae consortium”, alla comunità di vita
propriamente matrimoniale e cioè , lo “ius ad ipsum matrimonium”.
L’oggetto materiale, la realtà su cui ricade la volontà dei nubendi, è il
matrimonio visto nella sua totalità, è il consortium totius vitae del can.
1055 § 1, che include non solo l’aspetto biologico-sessuale ma,
soprattutto, la relazione interpersonale che nasce dalla totale e mutua
donazione ed accettazione delle persone dei contraenti, e quindi
l’insieme di tutto ciò che costituisce la vita coniugale presa nel suo
complesso.
In questo modo, secondo l’attuale definizione offerta dal can. 1057 ed
alla luce della nuova normativa, si può affermare che oggetto formale
e sostanziale del consenso matrimoniale sia il foedus irrevocabile, e
quindi non più soltanto lo “ius in corpus” affermato nel codice
precedente, ma la persona stessa dei contraenti, i quali si accettano
reciprocamente in quanto coniugi, in tutta la ricchezza delle
componenti e dei valori del loro essere, così da formare realmente il
“consortium totius vitae”, base del foedus tra uomo e donna ed elevato
da Cristo alla dignità di sacramento per i battezzati.