relazione di accompagnamento all'art. 1 del D.d.l. n. 4336, successivamente
approvato con legge 21 novembre 2000, n. 342 (c.d. “Collegato ordinamentale
fiscale alla Legge Finanziaria per l'anno 2000”), ha inteso “introdurre nel nostro
ordinamento una legislazione modellata sul cd. sistema delle controlled foreign
companies legislation
3
.
L'obiettivo del presente lavoro è, dunque, quello di analizzare l'istituto nella
maniera più esaustiva possibile, e sotto diversi punti di vista, concentrandosi
approfonditamente sulla normativa italiana, confrontandola poi con la disciplina
degli altri Paesi nel panorama internazionale e comunitario: in sintesi, il primo
capitolo è dedicato al fenomeno dell'elusione fiscale internazionale e il suo
rapporto, in particolare, con la disciplina CFC; il secondo si occupa dei principi
regolatori e dei meccanismi di operatività della normativa italiana sulle CFC
(presupposti e motivi ispiratori, campo di applicazione, criteri applicativi, il
concetto di controllo); il terzo e il quarto capitolo affrontano i due istituti
dell'Interpello e del Trust in relazione alla disciplina in esame; il quinto delinea
un'analisi comparata delle varie normative CFC vigenti nei principali Paesi OCSE
al fine di evidenziare similarità e differenze d'approccio nella formulazione delle
norme antielusione oggetto del presente studio; il sesto capitolo chiude la
trattazione attraverso lo studio dell'inserimento e della compatibilità della
normativa CFC con il diritto comunitario e con il diritto internazionale.
3 Si rinvia al capitolo secondo (la normativa italiana sulle “controlled foreign company”), che
tratterà nello specifico della disciplina di tale materia in Italia.
7
Capitolo I
Elusione Fiscale Internazionale e CFC
1. Introduzione – Dalla globalizzazione dell'economia al
fenomeno dei paradisi fiscali.
Il considerevole sviluppo industriale degli ultimi cinquant'anni, che ha
coinvolto i Paesi maggiormente industrializzati, con effetti sui rapporti
commerciali nonché sulla movimentazione transnazionale di capitali, ha avviato
un progressivo mutamento nella conduzione dell'attività delle imprese
multinazionali, assoggettate alla disciplina di più ordinamenti giuridici. Tutto ciò
ha portato, inoltre, ad una maggiore interdipendenza dei mercati, rafforzando la
possibilità che si verifichino ripercussioni tra gli Stati tali da causare distorsioni di
funzionamento dell'economia a livello mondiale.
In effetti, le stesse società tendono ormai ad operare a livello globale,
sostituendo alla dimensione territoriale (che le conduceva ad operare in chiave
nazionale, nell'ambito di ciascuno Stato in cui erano insediate) quella
sovranazionale, dove viene sempre più centralizzata l'organizzazione giuridica a
beneficio delle unità periferiche.
La localizzazione tende a divenire uno degli elementi di strategia aziendale
di maggior importanza: la decisione concernente il luogo di stabilimento, in
assenza di restrizioni alla libera circolazione dei capitali e dei servizi finanziari, è
governata unicamente in funzione del rendimento che offre un investimento e
della domanda dei consumatori, della disponibilità di professionalità e
manodopera e delle infrastrutture disponibili.
Sotto un altro profilo, la capacità dell'impresa multinazionale di sfruttare, in
un'ottica sempre più svincolata dal territorio nazionale, i vantaggi offerti dai
diversi ordinamenti in cui si articola, orientandosi verso opportunità di volta in
volta più favorevoli, porta numerosi Stati a percepire l'attività sovranazionale
come fonte di possibile abuso.
8
In effetti, a fronte di alcuni vantaggi acquisiti in maniera del tutto legale
attraverso l'attività internazionale, si verificano anche strumentalizzazioni delle
diverse legislazioni nazionali, tali da concretizzare l'esercizio di una facoltà di
abuso da parte delle imprese.
Il settore fiscale pare essere quello in cui maggiormente si evidenzia la
propensione dell'impresa ad abusare delle disposizioni normative degli Stati;
dall'altra parte, sono gli stessi Stati a strutturare i grandi sistemi tributari in una
prospettiva di incentivazione agli investimenti, prevedendo regimi di
agevolazione fiscale appositamente concepiti per attrarre gli investimenti esteri
4
.
È importante sottolineare, infatti, che, in questo scenario, uno degli elementi
che influenza in maniera considerevole l'evoluzione del commercio internazionale
è rappresentato proprio dal regime fiscale adottato in ogni Paese e,
conseguentemente, dalla “concorrenza fiscale”
5
: quest'ultima si caratterizza per
essere uno degli strumenti più efficaci di politica economica adottabile, da ciascun
Paese, al fine di accrescere la competitività delle imprese domestiche, aprendo
nuovi investimenti mediante la riduzione del carico fiscale.
In altri termini, la concorrenza fiscale, definita come situazione in cui
diversi Paesi entrano in competizione per attrarre capitali, utilizzando la leva
fiscale, si sostanzia nel comportamento non collaborativo dei Governi
all’individuazione di politiche fiscali comuni (elementi rilevanti ai fini della
comparazione dei regimi impositivi adottati nei singoli Paesi sono solitamente
riconducibili al livello delle aliquote effettive d’imposta, alle caratteristiche del
meccanismo impositivo, con particolare riguardo alla semplicità e trasparenza,
nonché all'onerosità delle procedure di accertamento e riscossione).
Ciò che preme evidenziare, a questo punto, sono sicuramente gli effetti
riconducibili alla concorrenza fiscale.
I maggiori organismi internazionali hanno compiuto degli studi in base ai
quali sono emersi due effetti fondamentali: da una parte, uno positivo, connesso
ad obiettivi di politica economica domestica e diretto a ridurre il carico fiscale in
4 Così P. VALENTE, Controlled Foreign Companies (CFC), Il Sole 24 Ore, 2001, p. 2.
5 Si veda C. GARBARINO, Manuale di tassazione internazionale, Ipsoa, 2008, p. 769 ss.
9
capo alle imprese al fine di rendere più competitive; dall'altra parte, uno negativo,
diretto a creare una concorrenza fiscale “dannosa” per l'economia internazionale
in quanto finalizzato esclusivamente ad attrarre capitali esteri: è proprio questo
l'obiettivo che si prefiggono i c.d. Paradisi Fiscali
6
(Tax Havens)
7
e/o centri
offshore
8
che, con l'intento di attirare investimenti stranieri ovvero disincentivare
l'esodo degli investimenti all'estero, hanno introdotto nel proprio ordinamento
disposizioni fiscali di natura fortemente agevolativa.
È questa la motivazione in base alla quale, già da diversi anni, i Paesi
maggiormente industrializzati, in cui generalmente vige un regime di tassazione
più elevato, hanno concordato di porre in essere taluni correttivi e limitazioni
all'utilizzo indiscriminato di tali politiche ovvero al ricorso ai paradisi fiscali.
È sicuramente necessario aprire una brevissima parentesi per capire come
6 In genere, con tale termine, s’identificano quegli Stati dotati di una legislazione tributaria
semplificata e di un livello impositivo nullo o particolarmente favorevole, in modo tale da risultare
attraenti sia per le persone fisiche, mediante il trasferimento di residenza, che per le persone
giuridiche, attraverso la costituzione e la gestione di società di comodo.
È, dunque, evidente che l'esigenza di introdurre delle misure volte a contrastarne l'utilizzo
appare una problematica di rilevante interesse sia a livello di legislatore interno che, a maggior
ragione, in ambito sovranazionale, dove più incisivamente può attuarsi un'efficace reazione, da un
lato, alla concorrenza fiscale dannosa tra Stati e, dall'altro, all'evasione e all'elusione tributaria
internazionale.
Sui temi posti dai paradisi fiscali, si veda G. MARINO, I paradisi fiscali: problematiche e
prospettive, in Corso di Diritto Tributario Internazionale, coordinato da V. Uckmar, Padova, 1999,
p. 573 ss.
7 Da notare la frequenza del termine Tax Heavens in sostituzione del citato Tax Havens: i due
termini, tradotti rispettivamente “paradiso fiscale” e “rifugio fiscale”, sono utilizzati
alternativamente. In senso tecnico è preferibile parlare di “Paesi a regime fiscale privilegiato”.
8 La definizione di “paradiso fiscale” è spesso usata in senso omologo all'espressione “centro
offshore”, omologazione che, però, non è condivisa da gran parte della dottrina, che ne ha voluto
rilevare le differenze.
Per un’esauriente bibliografia sull'argomento cfr. P. ADONNINO, La pianificazione fiscale
internazionale, in Corso di Diritto Tributario Internazionale, coordinato da V. Uckmar, Padova,
1999, p. 86; F. ANDREOLI, Il rapporto dell'Ocse sulla concorrenza fiscale dannosa, in Riv. dir.
trib., n. 4/1999, p. 8.
La stessa OCSE ritiene “i tentativi di dare una precisa definizione di paradiso fiscale destinati
all'insuccesso”.
Si veda OCSE, International tax avoidance and evasion: four related studies, Parigi, 1987, p.
21, nel quale si legge: “Attempts to provide a single definition of a “tax haven” are bound to be
unsuccessful. it’s, therefore, widely recognized that there is no single, clear, objective test which
permits the identification of a country as a tax haven. It can be argued that the “tax haven”
concept is such a relative one that it could serve no useful purpose to make further attempts to
define it. Clearly, any country might be a tax haven to a certain extent, and there are many
instances where otherwise relatively light tax countries provide opportunities or devise policies to
attrack, by means of incentives, economic activities of certain types or in certain locations”.
10
proprio dalla graduale scomparsa del concetto di frontiera è conseguito, oltre che
questo positivo volgersi dell'economia alla concorrenza tra imprese nazionali,
anche un aumento delle tecniche di pianificazione fiscale, spesso situate al confine
con le prassi elusive: tutto ciò si traduce in un'indebita riduzione delle entrate
tributarie degli Stati.
Ciò ha comportato il concretizzarsi, quale conseguenza, l'adozione di
misure di ordine generale o particolare, da parte degli Stati, per contrastare il
fenomeno di elusione dell'imposta
9
.
In linea generale, diversi sono i mezzi dei quali l'Amministrazione
finanziaria di uno Stato può disporre al fine di contrastare il fenomeno
dell'elusione fiscale internazionale; innanzitutto, l'Amministrazione finanziaria
può usufruire delle cd. “clausole generali” antielusive: si tratta, in particolare, di
clausole rivolte alla tutela dell'intero sistema tributario, volte a colpire tali
comportamenti “anormali” posti in essere al solo fine “fiscale”, e, dunque, privi di
una ragione d'essere di ordine economico.
In secondo luogo può darsi che gli Stati abbiano predisposto specifiche
norme antielusive, volte cioè a contrastare ben definiti comportamenti dei
contribuenti, in relazione a taluni settori del sistema tributario.
Queste norme, ad esempio, possono avere ad oggetto i trasferimenti di beni
e servizi con imprese collegate o controllate residenti in Stati con regime fiscale
privilegiato, mirando, dunque, ad evitare il trasferimento di materia imponibile da
uno Stato all'altro (cd. “transfer pricing”)
10
oppure il trasferimento all'estero della
residenza fiscale.
In terzo luogo, norme volte a fronteggiare l'elusione su scala internazionale
possono derivare da fonti internazionali e, in particolare, dalle Convenzioni contro
la doppia imposizione.
In tal caso il fine che essi perseguono è normalmente quello di evitare il cd.
9
In merito si deve ricordare, in termini generalisti, che l'applicazione di clausole antielusive opera
una riqualificazione del negozio o della condotta posta in essere da soggetti passivi.
10 Per approfondimento si veda L. TOSI – R. BAGGIO, Lineamenti di diritto tributario
internazionale, Milano, 2007, p. 52.
11
“abuso della convenzione” o “treaty-shopping”
11
, vale a dire quel fenomeno per il
quale soggetti residenti in Stati terzi interpongono, negli Stati “convenzionati”,
delle strutture societarie al fine di beneficiare di disposizioni convenzionali ad essi
altrimenti non applicabili.
Infine, norme antielusive possono derivare dalla normativa comunitaria.
In questa ipotesi, esse mirano ad evitare il fenomeno del “Directive-
shopping”, cioè l'abuso delle direttive comunitarie sempre da parte di soggetti
residenti in Stati terzi, i quali costituiscono determinate società al solo scopo di
poter beneficiare della ritenzione dei dividendi dalle ritenute nello Stato della
società-figlia oppure ad evitare che vantaggi previsti in un'ottica microeconomica
siano invece rivolti a fini meramente tributari, come ad esempio accade in
relazione al regime di neutralità fiscale delle operazioni societarie
“transnazionali”.
12
Tralasciando le altre disposizioni antiabuso, si vuole concentrare il discorso
sulla particolare rilevanza che assume, nell'ambito delle disposizioni fiscali
unilaterali specifiche (fondamentalmente finalizzate a prevenire quelle prassi
elusive poste in essere dalle imprese che operano in un contesto internazionale), la
normativa CFC.
“Gli Stati che non hanno adottato norme sulle controllate estere considerino
di adottare tali norme e gli Stati che hanno adottato tali norme si assicurino che
le stesse siano applicate in maniera adeguata al fine di limitare le pratiche fiscali
dannose”: così cita la Raccomandazione OCSE n. 1, relativa alle “(…) prassi e
legislazioni nazionali”, inserita nel Rapporto Harmful Tax Competiion: an
emerging global issue del 1998, suggerendo, da una parte, agli Stati membri che
non avessero ancora previsto normative CFC, di considerare la loro introduzione
nel proprio ordinamento e, dall'altra, sottolineandone l'importanza nel contrastare
il fenomeno della “concorrenza fiscale dannosa”: quest'ultima, infatti, praticata
dai Tax heavens, trova un importante ostacolo nella disciplina CFC, la quale,
11 In generale sul tema si veda International Fiscal Association, The tax treatment of interest in
international economic transaction, vol. LXVIIa, 1992.
12 G. MELIS, L'elusione fiscale internazionale nelle legislazioni di Francia, Regno Unito,
Germania e Paesi Bassi: aspetti generali.
12
prevedendo il sistema di tassazione “per trasparenza” del reddito prodotto dal
soggetto localizzato nel paradiso fiscale, determina un conflitto tra la potestà
impositiva dello Stato in cui vige la CFC legislation con quella del tax heaven
ovvero con quella di altri Stati che hanno adottato normative CFC concorrenti,
soprattutto quando tra questi siano stati stipulati Trattati convenzionali.
Secondo quanto detto, dunque, si ha a disposizione uno strumento volto a
prevenire l'ingiustificata erosione della base imponibile nazionale che avviene
tramite la delocalizzazione degli investimenti presso società non residenti
localizzate in aree a bassa fiscalità, investimenti che non rientrano sotto forma di
utili presso la società controllante, giacché quest'ultima, sfruttando la sua
posizione predominante, attua una sistematica non distribuzione di dividendi e,
per ciò stesso, un differimento dell'imposizione.
Inquadrato l'argomento, si deve evidenziare che non si può affrontare, nello
specifico, una trattazione in materia senza prima aver inquadrato i concetti che ne
sono alla base.
2. La pianificazione fiscale, tra legittimo risparmio d'imposta,
elusione ed evasione.
Quanto esposto in precedenza ci deve indurre a riflettere: i fenomeni di
concorrenza fiscale dannosa, aventi come obiettivo l'attrazione degli investimenti
esteri più mobili al fine di sottoporli ad un prelievo fiscale minimo e di entità
considerevolmente inferiore a quella in cui sarebbero sottoposti nel loro Paese di
origine, hanno generato dei veri e propri paradisi fiscali
13
(come già accennato,
13 Interessante è la distinzione rispetto a “paradisi societari”, riferiti a Stati che prevedono la
possibilità di costituire, nel territorio, società di capitali senza particolari formalità, a “paradisi
penali”, che hanno un sistema penale che non prevede il reato di evasione penale, di falso in
bilancio, di corruzione e di riciclaggio, e a “paradisi bancari”, in cui gli stessi Stati rilasciano, nel
proprio territorio, l'autorizzazione ad esercitare l'attività bancaria e finanziaria in generale, senza
richiedere stringenti requisiti patrimoniali e di affidabilità e, soprattutto, la garanzia del segreto
bancario, che si spinga al punto che la stessa banca non sa bene chi sia il beneficiario economico
del conto che in essa è stato aperto .
Per un'esauriente trattazione G. MARINO, I paradisi fiscali: problematiche e prospettive, cit.,
13
Stati che non hanno imposte sul reddito o le applicano con aliquote molto basse).
Le imprese
14
, quindi, improntano una pianificazione fiscale internazionale (di
seguito PFI) ovvero un complesso di iniziative di organizzazione al fine di
rendere ottimale l'onere fiscale che ne consegue, e ciò considerando le
caratteristiche dei singoli ordinamenti tributari in cui operare, le interrelazioni tra
gli stessi, le possibilità che l'ottimizzazione dell'onere fiscale possa essere
conseguenza del lecito utilizzo delle differenze e delle interconnessioni tra gli
ordinamenti
15
.
La PFI, dunque, non è un istituto giuridico bensì è la progettazione di un
complesso coordinato di comportamenti tesi a creare rapporti e situazioni
giuridiche finalizzate all'ottimizzazione dell'onere fiscale; di conseguenza è, di per
sé, attività perfettamente legittima ed oggi costituisce un elemento rilevante nella
programmazione della gestione aziendale: nel processo di internazionalizzazione,
infatti, persegue, come detto, l'obiettivo, da un lato, di minimizzare l'onere fiscale
nell'ambito dell'economia aziendale (non tanto come processo mirato
all'eliminazione dell'onere tributario transnazionale, quanto come elemento
costitutivo della stessa economia produttiva dell'impresa) e, dall'altro, mira ad
eliminare la doppia imposizione nei flussi transnazionali di reddito attraverso lo
studio e l'applicazione corretta della normativa internazionale convenzionale, in
assenza della quale si produrrebbero fenomeni di doppie imposizioni
internazionali tra Paesi di origine e Paesi di destinazione del reddito.
In concreto, l'attività di PFI trova linfa nell'ambito delle differenze tra i
diversi ordinamenti impositivi e che possono in buona parte dipendere dalla
concorrenza fiscale che si può sviluppare tra gli Stati; ma se, storicamente, il
concetto di tax planning veniva evidenziato come un uso dei paradisi fiscali,
attualmente va visto come un processo di internazionalizzazione reale dell'impresa
p. 573.
14 Vale la pena ricordare, anche se non sarà trattata in questa sede, che la pianificazione fiscale
internazionale può riguardare le imprese ma anche gli individui e viene definita come
pianificazione fiscale familiare, che interessa sia l'imposizione del reddito che l'imposta di
successione e donazione.
15 Vedi P. ADONNINO, La pianificazione fiscale internazionale, in Corso di diritto tributario
internazionale, Padova, 2002, p. 58 ss.
14
che si serve di strutture non di copertura ma con dei contenuti effettivi.
Pianificazione fiscale non può essere solo la creazione fittizia di costi,
mirata alla riduzione del reddito imponibile: pianificare significa “costruire” una
situazione, un complesso di atti e negozi tesi a raggiungere un fine determinato
cioè la riduzione del costo complessivo del carico fiscale che avviene nel rispetto
totale delle normative civilistiche fiscali sia nazionali e internazionali.
Pertanto, l'operazione di pianificazione fiscale non costituisce né un
occultamento di reddito imponibile, ossia evasione fiscale, né ricorso a costruzioni
tecnico-giuridiche senza un aggancio ad una motivazione economica effettiva,
ossia elusione fiscale
16
.
La legittimità della pianificazione fiscale è definita dalla presenza
simultanea e dal rispetto dell'interesse legittimo del privato, che deve
massimizzare il suo profitto, e di quello pubblico, ossia dello Stato, che si
concretizza principalmente nella necessità di recuperare le entrate fiscali, per il
necessario svolgimento di tutti i servizi pubblici (difesa nazionale, ordine
pubblico, amministrazione, istruzione, assistenza,ecc.) voluti dal legittimo potere
politico.
Le Amministrazioni finanziarie intervengono per proteggere l'integrità degli
ordinamenti, ma anche per garantire il rispetto di alcuni principi fondamentali
dell'imposizione tributaria delle attività transnazionali, come ad esempio la non
discriminazione, la neutralità, la necessità di evitare la doppia imposizione,
facendo però in modo di renderli compatibili con la necessità di incentivare gli
investimenti esteri.
Da quanto detto risulta evidente che la PFI è condizionata, da un lato, dalle
norme antielusive contenute negli ordinamenti interni e, dall'altro, dalle norme
antielusive contenute nei Trattati stipulati dagli Stati.
Definire in modo uniforme una nozione di “elusione fiscale” in ambito
internazionale è cosa, peraltro, assai ardua.
Le norme impositive aventi rilevanza internazionale considerano, infatti,
casi specifici e li regolano in modo specifico.
16 G. CORABI, La pianificazione fiscale delle imprese, in Corr. trib., n. 29/2000, p. 2117.
15
Il soggetto che si appresti ad operare in ambito internazionale, nel
pianificare la propria attività considererà, quindi, il complesso delle norme che
regolano le situazioni rilevanti nello svolgimento di quell'attività e la predisporrà
tenendone conto.
I comportamenti del soggetto d'imposta dovrebbero, perciò, essere
considerati elusivi solo quando il soggetto operi artificiosamente per mettersi nelle
condizioni previste dalle norme, senza altro scopo se non quello di diminuire
l'onere fiscale.
Al fine di individuare un criterio d’identificazione dei comportamenti
elusivi in ambito internazionale, e quindi cercare di identificare una linea di
demarcazione tra attività di PFI lecite ed illecite, potrà essere utile analizzare, sia
pur sinteticamente, la nozione di elusione che è stata elaborata nei sistemi interni,
le norme che questi pongono a tutela dell'integrità del prelievo ed i sistemi
elaborati dall'OCSE per limitare le pratiche elusive nell'ambito dei Trattati
internazionali.
Si parla spesso di elusione fiscale, affiancandola (e spesso confondendola)
all'evasione fiscale e al risparmio d'imposta; tre concetti, tre contenuti e tre
categorie con un unico obiettivo, perché è in ogni caso il medesimo: attraverso il
risparmio d'imposta, l'elusione e l'evasione dell'imposta si sfugge all'obbligazione
tributaria
17
.
Ma se il fine è il medesimo, si deve necessariamente affermare la diversità
dei tre fenomeni sopra enunciati, cercando però di evitare, come spesso accade, di
contrapporre l'elusione all'evasione, come se la prima attività fosse un fenomeno
ammesso dall'ordinamento giuridico.
In realtà anche l'elusione può essere un fenomeno illecito al pari
dell'evasione.
Diventa, quindi, importante verificare al ricorrere di quali circostanze
l'elusione diventa illegittima e, in quest'ultimo caso, stabilire in che senso può
essere ancora considerata diversa dall'evasione.
17 Vedi H. W. KRUSE, Il risparmio d'imposta, l'elusione fiscale e l'evasione, in Trattato di diritto
tributario, vol. III, Padova, 1994, p. 208.
16
Si può fare chiarezza tracciando l'aspetto economico e giuridico del
problema: la tendenza all'elusione è un atteggiamento naturale dell'uomo.
L'essere umano, infatti, è un "soggetto economico" che tende ad assumere
quei comportamenti che implicano un minor sacrificio. Ogni persona è portata ad
agire secondo un calcolo "costi-benefici" che comporti il minor impegno
(patrimoniale) possibile.
Sia quando evade, sia quando elude, il contribuente realizza un risparmio
d'imposta senza rivelarsi al Fisco: legittimamente, se evita di creare la materia
imponibile (rimozione o elusione d’imposta), illegittimamente se crea la materia
imponibile ma la occulta fraudolentemente (evasione tributaria).
In questa prospettiva l'elusione si contrappone, quindi, all'evasione non solo
per il comportamento tenuto (chi elude evita di creare imponibile mentre chi
evade crea imponibile, ma lo nasconde) ma anche per la sua configurabilità
giuridica come evento lecito o illecito: chi evita di creare imponibile per
risparmiare imposte, infatti, pone in essere un comportamento lecito e, quindi, non
ha bisogno di nasconderlo all'Autorità fiscale per raggiungere il suo scopo mentre
chi, pur creando imponibile, vuole risparmiare imposte, realizza un illecito e,
quindi, per evitare che l'Autorità fiscale recuperi l'imposta non versata e per
consolidare il risparmio, deve occultarlo
18
.
Da un punto di vista economico, quindi, la ricerca del minor onere possibile
è un comportamento “naturale” e, in quanto tale, è privo di connotazioni negative
tout court.
In un'ottica giuridica (e in particolare fiscale), invece, l'elusione può essere
intesa come un fenomeno illecito perché, pur non violando apertamente una
specifica norma, aggira i principi dell'ordinamento tributario e comporta evidenti
distorsioni sostanziali, sia sul piano economico che sociale.
In definitiva, la definizione dell'evasione ed elusione risulta concettualmente
abbastanza agevole
19
.
18 I. SCAFATI, L'elusione e l'evasione, in Corr. trib., 2006, 28, p.2205.
19 Nell'analisi delle caratteristiche dei concetti di evasione ed elusione fiscale e della loro
reciproca differenziazione, importanti sono le teorizzazioni compiute da ERNST BLUMENSTEIN
e da ALBERT HENSEL in quanto punto di partenza per l'elaborazione di tutte le successive che
17
Nella specie, l'evasione fiscale - tax insolvency - si sostanzia in un
comportamento contra legem che, in palese violazione di norme, si realizza
allorché il contribuente si renda inadempiente rispetto all'obbligazione tributaria,
pur in presenza del relativo presupposto: dunque, in altri termini, qualunque
comportamento finalizzato alla sottrazione, totale o parziale, di base imponibile,
attraverso l'occultamento di elementi positivi ovvero la dissimulazione di quelli
negativi, genera evasione fiscale
20
.
In via generale, l'evasione viene compiuta ricorrendo, oltre alla forma della
frode fiscale, anche a quella del contrabbando; per frode fiscale s’intende una
serie di comportamenti diretti ad occultare le evidenze materiali che si sono
prodotte in dipendenza del verificarsi del presupposto impositivo (da notare che,
come sottolineato in precedenza, l'evasione può essere intesa sia come fenomeno
economico, che come illecito giuridico mentre il termine “frode” corrisponde ad
un concetto esclusivamente giuridico; sicché se può configurarsi un'evasione non
sancita dalla legge, non può ammettersi un'ipotesi di frode al di fuori dei casi
espressamente previsti dalla legge)
21
.
Il contrabbando consiste, invece, nell'occultamento di merci soggette ad
imposta di fabbricazione ovvero a imposte di consumo o, ancora, ai dazi doganali
previsti per l'immissione di beni nel territorio dello Stato.
dottrinali.
Il primo ritiene che sussiste elusione quando “attraverso un determinato procedimento
intenzionale, fin dal principio, venga posto in essere un atto che non integri i presupposti per
l'imposizione oppure attenui la grossezza dell'imposta dovuta; in ciò l'elusione differisce
dall'evasione d'imposta, la quale esiste per il fatto che è fondamento dell'imposizione, ma la sua
esatta valutazione da parte degli organi amministrativi viene impedita mediante un comportamento
illegale del contribuente”. Il secondo, invece, ritiene che sussiste, nella frode fiscale, “un
inadempimento colpevole della pretesa tributaria già validamente sorta attraverso la realizzazione
della fattispecie, mentre nell'elusione si impedisce il sorgere della pretesa tributaria, evitando la
fattispecie legale”.
Vedi A. LOVISOLO, voce Evasione ed elusione tributaria, in ENC. GIUR. TRECCANI, vol.
XIII, Roma, 1989, p. 1.
20 All'estremo opposto dell'evasione fiscale si colloca il legittimo risparmio d'imposta (tax saving)
che, muovendo dalla considerazione che non si rinviene alcuna norma che impedisca ai
contribuenti di minimizzare lecitamente l'onere fiscale, si concretizza allorquando il soggetto opera
la scelta meno onerosa tra le diverse possibilità offerte dal sistema.
Per maggiori approfondimenti, R. LUPI, Elusione e legittimo risparmio d'imposta nella nuova
normativa, in Rass. trib., 1997, V, p. 1099.
21 Osserva A. LOVISOLO, Evasione ed elusione tributaria, cit., p. 7.
18
L'elusione fiscale - tax avoidance
22
- si pone in una posizione intermedia tra
l'evasione fiscale e il lecito risparmio d'imposta, consistendo in comportamenti
tesi ad utilizzare strumentalmente le carenze dell'ordinamento allo scopo di evitare
il perfezionamento del presupposto impositivo e, quindi, l'insorgenza
dell'obbligazione tributaria: il binomio evasione contra legem - elusione extra
legem nasce proprio dall'indicare che, rispetto al momento di insorgenza
dell'obbligazione tributaria, l'evasione, in quanto violazione di disposizioni
impositive, si manifesta in un momento successivo ed è perseguita
dall'ordinamento come un illecito mentre l'elusione si sostanzia nell'utilizzo di
“scappatoie” formalmente consentite, cioè senza violare la legge, al fine di
aggirare un obbligo tributario, prima ancora che si è svolto, nella prospettiva di
ottenere un abbattimento totale o parziale dell'imposta
23
.
I requisiti ritenuti dalla dottrina
24
quali integranti il fenomeno elusivo si
sostanziano fondamentalmente:
ξ in un elemento soggettivo, costituito dal raggiungere il fine di sfuggire alla
tassazione prevista dalla norma elusa e, quindi, nell'intento di risparmiare
imposta: non dovrebbero cioè sussistere altri elementi extrafiscali alla base
del comportamento dell'operatore economico.
ξ in un elemento oggettivo, quale l’anormalità del procedimento posto in
essere rispetto alla prassi degli affari giuridici che non deve, però, essere
valutata sulla base di indici statistici, ma considerando ciò che in quella
determinata circostanza sarebbe solito attendersi.
22 “This term is used to denote the reduction of tax liability by legal means. It often has pejorative
overtones, where for example it is used to describe avoidance achieved by artificial arrangments
of personal or business affairs to take advantage of loophales, anomalies or other deficiencies of
tax law. Rules introduced to prevent or circumvent types of avoidance which are disapproved of by
legislature may be described as “antiavoidance provisions” or “provisions against legal
avoidance”. In contrast with avoidance, tax evasion is the reduction of tax by illegal means”.
Così Ibdf, International Tax Glossary, Amsterdam, 1998, alla voce “Avoidance Tax”.
23 Confronta A. NUZZOLO, Luce dei principali orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, in
Notiz. Guardia Fin., 2003, I, p. 6.
24 Anche la giurisprudenza di legittimità ha delineato la fattispecie elusiva nei tre elementi:
oggettivo (costituito dall'esistenza di fatti, atti o negozi, anche collegati fra loro), soggettivo
(costituito da valide ragioni economiche a sostegno dell'interesse che, all'apparenza, si assume di
perseguire), teleologico (costituito dalla finalità di aggirare obblighi e divieti previsti
dall'ordinamento tributario o di ottenere riduzioni d'imposta ovvero rimborsi altrimenti indebiti).
Una conferma di tale ricostruzione concettuale è data da Cass. 29 luglio 2004, n.14515.
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ξ dal punto di vista dell'effetto, nell'idoneità del procedimento intrapreso a
procurare una diminuzione del carico tributario o, a fortiori, l'esenzione
dell'imposta.
Importante è notare che, sia per la prova della presenza dell'elemento
soggettivo, che per quella della sussistenza dell'elemento oggettivo,
l'Amministrazione finanziaria dovrebbe procedere ad un'indagine caso per caso al
fine di verificare se non vi siano altre circostanze, di natura extrafiscale, che
abbiano indotto l'operatore a non seguire la via normale.
Inquadrati i fenomeni su di un piano meramente concettuale e passando ad
un livello, quello internazionale, che più interessa ai fini della presente trattazione,
si deve specificare che ciò che ha indotto gli ordinamenti giuridici dei principali
Paesi industrializzati del pianeta ad escludere l'elusione dall'ambito dei fenomeni
leciti, infatti, non è tanto il fatto che consente di conseguire un risparmio
d'imposta quanto le modalità con cui tale risultato viene raggiunto.
L'elusione è illegittima quando il risparmio d'imposta diventa, nell'ottica
anglosassone della common law, the principal purpose dell'operazione economica
(in altri termini, la principale ragione della sua esistenza), oppure, nella
prospettiva continentale della civil law, un “abuso delle forme giuridiche”
25
che
si manifesta “quando il contribuente non ha intrapreso la via diretta per perseguire
il proprio obiettivo ma una via indiretta e tortuosa”
26
.
In una prospettiva di carattere internazionale – a prescindere, quindi, dalle
specificità dei singoli ordinamenti – è, in sostanza, possibile individuare una
“matrice comune” dell'elusione come fenomeno giuridico illecito: tale matrice è
stata già individuata dalla dottrina nel cd. abuse of law (abuso del diritto) che ha
messo in evidenza come i comportamenti di elusione fiscale potrebbero
25 “La norma fiscale non può essere elusa mediante l'abuso delle forme giuridiche. Vi è abuso,
sotto il profilo fiscale, quando si configurano fenomeni economici, in modo giuridicamente non
adeguato”.
Cfr. par. 42 dell'AO tedesco, rubricato “Abuso nell'utilizzo delle forme giuridiche”.
26 Questa è, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte tedesca (su cui cfr. G. MELIS,
L'interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2003, p. 239), l'elemento che, insieme al fine di
risparmiare imposte, caratterizza l'istituto.
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