petrolio, quelle del XXI° secolo avranno come oggetto del contendere
l’acqua”. Purtroppo la previsione appare quanto mai realistica, sebbene
molti conflitti per l’acqua siano irriconoscibili perché mascherati da
contrasti etnici, di religione o sociali.
Il caso studio preso qui in esame è quello della Bolivia, e del
conflitto che ci fu nel 2000 a Cochabamba. Si trattò di una serie di
proteste molto forti che si protrassero per mesi. Le contestazioni
nacquero come reazione al tentativo di privatizzazione della gestione
delle risorse idriche in ambito urbano. La guerra dell’acqua a
Cochabamba è per il Movimento internazionale per l’acqua uno dei
momenti più significativi di iniziativa popolare per una gestione pubblica
e partecipata di questa risorsa.
La prima parte sarà dedicata ad un excursus generale sulla risorsa
idrica, dove sarà argomentata la sua importanza e la necessità di una
tutela adeguata che ne prevenga lo spreco. Un forte accento sarà posto
sulla dualità delle visioni presenti attualmente nella letteratura politica.
Verranno prese in esame le organizzazioni internazionali che, in
conseguenza delle dichiarazioni post conferenza di Dublino del 1992,
vedono l’acqua come un bene economico. Saranno inoltre elencate le
principale multinazionali del settore. Dall’altro lato, saranno presi in
esame i movimenti e le reti di associazioni che, in contrapposizione con
l’idea delle organizzazioni internazionali, vedono l’acqua come un bene
comune.
4
Nella seconda parte, l’attenzione è dedicata in maniera specifica al
conflitto di Cochabamba. Oltre alla cronaca e alla descrizione degli
eventi, si approfondirà anche l’aspetto culturale e gestionale del
conflitto. Sarà descritta la legge per la quale nasceranno le proteste, e
le associazioni principali che si trovarono dietro a tale conflitto.
Verranno inoltre approfonditi gli aspetti culturali insiti nella visione
comune boliviana dell’acqua.
Come arricchimento e approfondimento al lavoro, è stata inserita
un’intervista con Boris Rios Brito, portavoce della ‘Coordinadora de
Defensa del Agua y la Vida’, e protagonista in prima persona del conflitto
di Cochabamba.
5
1. ACQUA : BENE ECONOMICO O BENE COMUNE ?
1.1 L’ACQUA NEL MONDO GLOBALE
L’acqua è un elemento fondamentale per la vita di qualsiasi essere
vivente, nonché da sempre ha un ruolo trainante per la storia
dell’umanità, delle città e delle diverse civiltà. L’acqua ricopre circa il
70 % della superficie terrestre, rappresentando un volume di 1.400
milioni di km
3
. L’insieme delle acque presenti sul nostro pianeta viene
chiamato idrosfera; il 97,5% dell’idrosfera è formato da acque salate, e
solo il 2,5% da quelle dolci, che sono utilizzate come acqua potabile, per
l’irrigazione o per gli usi industriali. Le maggiori riserve di acqua dolce
sono le calotte glaciali dei poli, i ghiacciai e le acque sotterranee; le
acque superficiali, come fiumi e laghi, rappresentano soltanto lo 0,014%
del totale.
È importante inoltre ricordare che questa irrisoria quantità di acque
di superficie è distribuita in modo ineguale sulla superficie terrestre. I
bacini dove è concentrata maggiormente sono : “in Siberia, nella regione
dei Grandi Laghi in Nord America, nei laghi Tanganika, Vittoria e Malawi
in Africa; e nei cinque più grandi sistemi fluviali: il Rio delle Amazzoni, il
Gange, il Congo, lo Yangtze e l’Orinoco”
2
.
2
PATRIZIA SENTINELLI, L’acqua è un diritto, non una merce, in “Cooperazione italiana allo
sviluppo”Gennaio2008
(http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/Speciali/acqua/acqua1.htm).
6
L’acqua si trova in costante movimento, tramite il cosiddetto ciclo
dell’acqua, che in condizioni normali permette alla risorsa idrica di
passare da uno stato all’altro, non aumentando o diminuendo la sua
quantità totale. Tuttavia da sempre le attività antropiche hanno
provocato dei cambiamenti preoccupanti al ciclo naturale dell’acqua; il
suo utilizzo massivo velocizza in modo non sostenibile questo ciclo, e la
sua salubrità è messa in serio pericolo dall’inquinamento costante della
risorsa. “Nei paesi in via di sviluppo il 90% delle acque residuali e il 70%
dei rifiuti industriali sono immessi senza alcun trattamento preliminare,
nelle acque di superficie”
3
. Inoltre il fabbisogno aumenta di giorno in
giorno su scala globale, l’acqua viene utilizzata per il 70%
dall’agricoltura, per il 22% dall’industria e per l’8% dal settore dei servizi
e per il consumo privato nelle case, e questo provoca una minore
possibilità al ciclo dell’acqua di rigenerarsi.
Un altro punto critico, già citato in precedenza, è quello relativo
alla disuguaglianza nella distribuzione dell’acqua; meno di dieci paesi si
dividono il 60% delle risorse idriche naturali mondiali, mentre nel resto
del mondo la penuria d’acqua rappresenta un elemento di forte criticità.
Nelle aree del Medio Oriente, del nord della Cina, del Sud America e del
Sud Europa troviamo una scarsità idrica talvolta endemica al luogo
stesso, che però si sta accentuando di giorno in giorno di pari passo con
uno sviluppo economico-sociale senza scrupoli.
3
L’Atlante di Le Monde Diplomatique / Il Manifesto, 2003, p.14
7
È utile ricordare come quindi, 1,4 miliardi di esseri umani non abbia
accesso all’acqua potabile, e 2,4 miliardi non disponga di impianti
sanitari. Queste cifre sicuramente tenderanno a crescere,
parallelamente all’aumento della popolazione, che si stima possa
arrivare nel 2025 a 8 miliardi di persone.
Particolarmente grave è la situazione delle grandi città dell’Asia,
dell’Africa e dell’America Latina (“le città della grande
povertà”). Attualmente il numero delle grandi città è di 290, di cui 250
nei cosiddetti paesi ‘sottosviluppati’. La penuria d’acqua e il suo cattivo
uso stanno privando gli abitanti di queste città di un futuro degno;
specialmente perché l’acqua inquinata è secondo l’OMS (Organizzazione
Mondiale della Sanità) la causa principale dei decessi infantili.
Parallelamente alla scarsità che si registra in Asia, Africa e America
Latina, in Europa e negli Usa continuano sprechi indiscriminati. Questi
sono ovviamente collegati agli stili di vita e al livello di vita, che
permettono al cittadino occidentale di farne un uso sconsiderato. Si
calcola che mediamente un cittadino statunitense utilizzi 1.700 m
3
di
acqua potabile all’anno, un europeo 1.200 mentre un cittadino africano
soli 250.
Già durante la prima conferenza delle Nazioni Unite dedicata al
tema delle risorse idriche, tenuta a Mar del Plata (Argentina) nel 1977, si
discusse della situazione critica nella quale versava oltre un terzo del
pianeta, situato in zone aride. In quella sede si fece già menzione dei
rischi che avrebbero probabilmente interessato molti altri paesi negli
8
anni a venire. La dichiarazione finale, contenente un piano di azione,
proclamava che "tutti hanno diritto di accedere all'acqua potabile in
quantità e qualità corrispondenti ai propri bisogni fondamentali".
4
L'accesso all'acqua era quindi sancito allora come diritto fondamentale.
Pochi anni più tardi, nel 1980, l’assemblea generale delle Nazioni
Unite compì un ulteriore passo in avanti nel tentativo di risolvere il
problema dell'accesso all'acqua potabile. Dichiarò la sua forte
preoccupazione in merito al fatto che gran parte della popolazione
mondiale non avesse un accesso
5
ragionevole alla rete idrica e che una
parte sempre maggiore non possedesse adeguati servizi igienico-sanitari.
A conclusione di ciò, proclamò il periodo 1981-1990 come ‘Decennio
internazionale dell'acqua potabile e del risanamento ’, “periodo nel
quale gli stati membri si sarebbero assunti l'impegno di apportare un
miglioramento sostanziale negli standard e nei livelli dei servizi,
nell'approvvigionamento dell'acqua potabile e risanamento entro l'anno
1990”.
6
Sarà invece proprio in questi anni che nel mondo inizieranno a
prendere piede le politiche neoliberiste sotto l’egida di Margaret
Thatcher e Ronald Reagan. Tali politiche sostenevano la liberalizzazione
dell’economia statale e la conseguente privatizzazione dei servizi
4
UN, Mar del Plata Action Plan,, 1977
5 L’ “accesso” viene definito dall’Onu come la disponibilità di almeno 20 litri di acqua pulita al
giorno per persona ad una distanza minore di un miglio (1,6 km) dall’abitazione.
6
LUCA TAZZINI, Le tappe diplomatiche del diritto all'acqua. Una strada tutta in salita, in “La
lente”, 7 marzo 2005.
9
pubblici, nonché la liberalizzazione di gran parte dei settori
remunerativi. L’obiettivo di questa dottrina era quello di promuovere
politiche di libero mercato utili ad incoraggiare l’imprenditorialità
privata, premiare la responsabilità individuale ed eliminare i vincoli posti
dagli apparati statali.
Sarà quindi in quegli anni che anche in ambito internazionale, i
discorsi relativi all’acqua subiranno delle modifiche. Ci si inizia a
chiedere a chi appartenga l’acqua e se essa possa essere considerata una
proprietà privata o un bene pubblico. Fino ad allora la risorsa idrica era
vista come un diritto dell’uomo, mentre dal 1992 tale affermazione
viene messa in discussione. A Dublino, infatti, in quell’anno si tiene la
Conferenza Internazionale su Acqua ed Ambiente (International
Conference on Water and the Environment). Quattro saranno i principi
guida: la finitezza e la vulnerabilità della risorsa idrica, l’approccio
partecipativo con il quale dovrebbe essere intrapresa l’amministrazione
dell’acqua, il ruolo centrale delle donne nella salvaguardia del bene
idrico, il valore economico dell’acqua. È in questa sede che, per la prima
volta dal 1977, si parla di acqua come di un bene economico e non più
come di un diritto; da questo momento in poi “il valore dell’acqua è
determinato dal mercato, e guida le scelte strategiche fondamentali per
affrontare i grandi problemi relativi alle risorse idriche”
7
.
Il concetto di acqua come bene economico sarà inoltre rafforzato
pochi mesi dopo, al Summit per la terra di Rio de Janeiro. Tale
7
GIUSEPPE ALTAMORE, Acqua S.p.a. – Dall’oro nero all’oro blu, Mondadori, Milano, 2006, p.18
10