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liberalizzanti, che hanno positivamente caratterizzato il mercato nazionale di partenza, ad un
contesto via via sempre più internazionale.
Non appare produttivo assumere posizioni che trovano una precaria validità nella realtà
empirica. Occorre criticare, esaminare ed essere timidamente ottimisti sugli effetti che la
moderna globalizzazione ci propone; allo stesso tempo non bisogna celarsi dietro il dogma
infondato di chi sostiene, forse per altruismo interessato, che l’apertura commerciale
internazionale sia la soluzione a problemi che ormai sono diventati globali.
Quali sono le conseguenze e opportunità, reali e finanziarie, di questo fenomeno che bisogna
attenzionare? La globalizzazione è un bene o un male per l’economia mondiale e per le
popolazioni che vivono nel mondo? Perche dovremmo esserne interessati e quali insegnamenti
dovremmo trarne?
La mia tesi si occupa solo di un aspetto del più generale fenomeno della globalizzazione: quello
economico. Sebbene si sia cercato di delineare confini netti, questi non sempre sono stati
rispettati perché su alcuni terreni gli aspetti sociali, culturali, economici, tecnologici e politici si
sovrappongono in modo inestricabile.
L’articolazione della tesi dedica il primo capitolo prevalentemente all’analisi del fenomeno
cercando di fare emergere i principali fatti stilizzati. La globalizzazione economica non si è
manifestata nella storia come un processo costante, né ha assunto le stesse caratteristiche con il
passare dei decenni. La nostra analisi parte dall’Ottocento, dalla globalizzazione che si è diffusa
alcuni decenni dopo la rivoluzione industriale. Da allora il processo ha manifestato delle fasi di
accelerazione e di decelerazione, anzi di de-globalizzazione. Non solo, ma anche le
caratteristiche delle varie fasi di globalizzazione si sono mostrate assai diverse.
Al fine di spiegare i processi cognitivi che conducono ai cosiddetti “fondamentali” dell’economia
globale, senza dover necessariamente approdare alle consuete visioni più o meno pessimistiche o
ottimistiche faremo riferimento, brevemente, ad alcuni autorevoli economisti classici come
Smith, Malthus e Keynes. Sosterremo che nell’economia globale il postulato della mano invisibile
si coniuga, per il tramite del meccanismo della “mano visibile” della divisione del lavoro, in un
unicum con il postulato della domanda effettiva. Questo avviene in una continuità epistemologica
che attraversa il “circolo virtuoso dello sviluppo” di Smith, quello “perverso” di Malthus, fino al
“circolo indotto dello sviluppo” di Keynes. Il loro pensiero talvolta è un insegnamento profetico;
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questo vale ad esempio per il postulato teorico di Smith2: l’esistenza di quest’ultimo è da
collocare nel secolo che precede la prima riconosciuta grande globalizzazione3.
Mostreremo le peculiarità con cui la globalizzazione si manifesta, come l’outsourcing e
l’offshoring, i successi conseguiti e i limiti esistenti. Il principale successo è rappresentato dal
fatto che circa tre miliardi di persone in più hanno partecipato alla produzione e alla
distribuzione del reddito mondiale e dal fatto che si è ristretto il divario tra paesi ricchi e alcuni,
grandi, paesi inizialmente poveri. Insieme a successi si sono presentati però anche gravi
problemi: alcuni non risolti, altri addirittura acuiti dalla globalizzazione stessa. Le prospettive per
il futuro sembrano essere messe in crisi dalla mancanza di politiche e di istituzioni adeguate alle
moderne sfide che pone il mercato, ormai divenuto globale. I terreni che indagheremo sono
quelli dell’allargamento della forbice tra paesi la cui ricchezza cresce anche e soprattutto per
essersi inseriti, seppur con modalità diverse gli uni dagli altri, nel processo di globalizzazione e i
paesi nei quali ricchezza, reddito, occupazione e conoscenze in generale e tecnologiche in
particolare non stanno al passo con i primi. Parleremo di investimenti diretti esteri (FDI); questi
sono stati considerati per lungo tempo come un contributo sicuramente positivo allo sviluppo
economico di un Paese, una fonte stabile di capitale, non volatile, che a differenza del debito non
richiede il pagamento di un interesse né la restituzione del capitale a fine esercizio. Inoltre, i FDI
comportano degli spillover tecnologici, che migliorano l’efficienza ed aprono i mercati alle
esportazioni, impattando positivamente sulla bilancia dei pagamenti. Tuttavia, gli effetti degli
investimenti sulla crescita dipendono dalle condizioni economiche e tecnologiche del Paese
recettore; perché gli FDI contribuiscano alla riduzione della povertà globale e al miglioramento
dei redditi, due condizioni devono verificarsi. Anzitutto, i Paesi in via di sviluppo devono attrarre
gli investitori stranieri. Quindi, l’ambiente del Paese destinatario in cui gli investitori operano
deve essere favorevole e permettere lo sfruttamento degli spillover generati dagli investimenti. I
PVS devono connettere i mercati nazionali a quelli globali, dotandosi di istituzioni affidabili e di
normative in linea con gli standard internazionali.
Parleremo anche di investimenti esteri di portafoglio (FPI). Questi flussi finanziari, a differenza
degli FDI, sono potenzialmente associati a una migliore allocazione internazionale delle risorse
2
Il mondo su cui Smith proietta le sue teorie cambierà profondamente con la prima rivoluzione industriale (1770-
1870).
3
La <<belle époque>> identifica la prima fase del processo di globalizzazione e va dal 1870 al 1914.
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finanziarie e alla dispersione del rischi. Anche in questo caso l’impatto macroeconomico di questi
flussi di capitali può essere talora destabilizzante per le economie che li ricevono ed essere foriero
di crisi finanziarie, i Paesi destinatari devono quindi adottare delle misure capaci di
controbilanciare i potenziali effetti negativi.
Nel secondo capitolo ci soffermeremo sul problema delle crisi finanziarie che accompagnano la
globalizzazione e sono ingigantite dall’avere luogo in una realtà economica e finanziaria nella
quale la trasmissione internazionale dei fenomeni positivi e negativi è rapida e intensa. Le crisi
economiche che si sono succedute negli ultimi anni hanno evidenziato nuovi sentieri che la
ricerca economica deve esplorare. Se, però, in passato era stata coinvolta più o meno
marginalmente negli studi la possibile relazione fra le singole crisi dei vari Paesi, essa dopo
l'esperienza asiatica è diventata uno dei punti centrali su cui la ricerca deve battere per giungere
ad una piena comprensione dell'evoluzione economica su scala globale. E senza dubbio di
globalità si deve parlare quando la crisi messicana del 1994 ha coinvolto l'Argentina, o quando gli
effetti della svalutazione del baht tailandese si sono avvertiti cinque anni dopo in Brasile. Questi
sono casi in cui parlare di coincidenza fa sorridere, e, se è ormai appurato che si possano
propagare gli effetti di problemi economici nazionali, non è altrettanto pacifica l'opinione sui
mezzi attraverso cui la propagazione avvenga.
Da circa dieci anni a questa parte, con un’accelerazione marcata negli ultimi cinque anni, la
globalizzazione e la finanza sono state le due facce di una stessa medaglia. Infatti, se la
globalizzazione, con l’apertura su vasti spazi dei mercati e con la caduta dei vecchi confini e dei
vecchi controlli, ha contribuito all’evoluzione e al cambiamento dei mercati finanziari, favorendo
il nascere di una “nuova finanza”, allo stesso tempo la “nuova finanza”, guidata dall’impulso di
condizioni di bassa volatilità e abbondante liquidità, con tassi d’interesse e premi al rischio a
livelli minimi, ha, a sua volta, consentito la straordinaria crescita dell’economia globale.
Tra la fine di luglio e gli inizi di agosto dello scorso anno, però, questa crescita è stata
accompagnata da una vera e propria bufera, innescata dai forti dissesti sui crediti concessi alla
clientela non primaria che si è abbattuta sui mercati finanziari statunitensi generando la
cosiddetta “crisi dei mutui subprime”, mutui immobiliari concessi ad una clientela considerata a
rischio, spesso priva di redditi certi e continuativi e con una storia creditizia caratterizzata da
inadempienze.
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Il terzo capitolo è dedicato alla povertà e indagheremo come questo fenomeno, tanto grave per
chi lo subisce quanto sfuggente da definire per chi lo analizza, si sia modificato nel tempo e quale
relazione abbia la sua dinamica con quella della globalizzazione. Si vedrà come l’emigrazione
possa rappresentare una possibile soluzione per un grande numero di persone che vivono nelle
regioni povere. Si cercherà di capire quale relazione leghi i flussi migratori e l’evoluzione della
povertà e della disuguaglianza nei paesi più poveri.
Nel quarto capitolo considereremo i fenomeni ambientali che sono per loro natura senza confini
e che richiedono quindi soluzioni di natura sovranazionale. Verrà fornita una rapida carrellata di
quelle che sono le richieste o le proibizioni che i “new global” propongono nelle sedi istituzionali
in campo ambientale. In modo particolare verranno presentati gli effetti prodotti
dall’inquinamento, responsabile di mutamenti climatici poiché causa l’innalzamento della
temperatura per l’effetto serra. Gli ambientalisti propongono che vengano attuate misure di
riduzione dei gas attraverso la conversione di impianti inquinanti con altri a fonti alternative.
Altro tema sul quale puntano è quello della difesa dell’acqua, da considerarsi come diritto e non
come bene privato: essendo l’acqua un elemento vitale deve essere garantito a tutti. Altro
scenario è quello della biodiversità minacciata da forme di produzione agricola sempre meno
biologica. A ciò vanno aggiunti i pericoli gravanti dagli organismi geneticamente modificati
(OGM), altro demone degli ambientalisti. Temi dibattuti sono anche la deforestazione
perpetrata per far posto a colture più efficienti, e la desertificazione, conseguenza di innalzamenti
di temperatura e mancanza d’acqua. A questo punto la ricerca si sofferma sulla presentazione
dell’argomento certamente più dibattuto nel forum ambientalista in seno non solo ai movimenti
di protesta, ma anche nella governance globale: i cambiamenti climatici e la conseguente
adozione del Protocollo di Kyoto.
Infine, nel quinto capitolo vogliamo confrontare le posizioni di due autorevoli economisti
mondiali che da tempo si esprimono, talvolta con posizioni contrastati, sul tema della
globalizzazione. Jagdish Bhagwati, nel suo libro In Defense of Globalization, cerca di dare una
spiegazione rigorosa e libera da pregiudizi su come funziona questa globalizzazione e come si può
farla funzionare meglio. La ragione e l’analisi ci impongono di abbandonare la convinzione che la
globalizzazione non ha un volto umano, affermazione che equivale a un falso allarme, per
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convincerci invece che è vero il contrario. L’ intervento pubblico deve rispecchiare questo
cambiamento di opinione.
Joseph E. Stiglitz invece, in Globalization and Its Discontents, muove dalla consapevolezza in
prima persona degli effetti devastanti che la globalizzazione può avere sui paesi in via di sviluppo
e, in particolare, sui poveri che vi abitano. La globalizzazione, ossia l’eliminazione delle barriere
al libero commercio e la maggiore integrazione tra le economie nazionali, può essere una forza
positiva e ha tutte le potenzialità per arricchire chiunque nel mondo, in particolare i poveri. Ma
perché ciò avvenga è necessario un ripensamento attento del modo in cui essa è stata gestita,
degli accordi commerciali internazionali che hanno fatto tanto per eliminare quelle barriere e
delle politiche che sono state imposte ai paesi in via di sviluppo durante il processo di
globalizzazione. Con parole dure, Stiglitz sostiene che le politiche economiche promosse dalle
principali istituzioni della globalizzazione non sradicano la povertà ma fanno l’esatto contrario.
In questo lavoro, sul fenomeno della globalizzazione, vogliamo esprimere una valutazione di
cauto ottimismo condizionale. Non ci riconosciamo né con i fondamentalisti del mercato né con
i cheerleaders della globalizzazione, ma nemmeno pensiamo, come i no global, che la
globalizzazione sia un processo che porti necessariamente più insidie che vantaggi. Consapevoli
degli effetti distributivi della globalizzazione, della sua capacità di creare sviluppo, ma anche di
crisi, crediamo che i suoi benefici possano essere positivi e distribuiti con maggiore equità solo a
condizione di approntare adeguate politiche di welfare all’interno dei paesi, di rafforzare il
coordinamento internazionale delle politiche economiche nazionali, di riformare le istituzioni
preposte al governo dei temi globali in modo da dare loro maggiore rappresentanza e quindi
legittimità, di far nascere nuove istituzioni internazionali per affrontare le nuove sfide che
derivano dalla globalizzazione.
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Capitolo Primo
Il processo di globalizzazione
1.1. Caratteristiche e determinanti della globalizzazione; le fasi storiche.
Globalizzazione è sicuramente la parola più usata – abusata – e più raramente definita,
probabilmente la più incompresa degli ultimi cento anni. La peculiarità di questo fenomeno
negli anni recenti è la sua poliedricità. Sarebbe necessario distinguere dimensioni diverse della
globalizzazione, vale a dire la dimensione tecnico-comunicativa, quella ecologica, quella
economica, quella dell’organizzazione del lavoro, quella civile, ecc.
Per globalizzazione si intende l’evidente perdita di confini dell’agire quotidiano nelle diverse
dimensioni sopra citate, che trasforma radicalmente la vita degli individui, con una forza ben
percepibile, costringendo tutti ad adeguarsi, a trovare risposte4. Il denaro, le tecnologie, le merci,
le informazioni, l’inquinamento “oltrepassano” i confini, come se questi non esistessero. Perfino
cose, persone e idee che i Governi terrebbero volentieri fuori dal paese (droghe, immigrati
illegali, critiche alla violazione dei diritti umani) trovano un varco.
Così intesa, la globalizzazione si traduce in un’ uccisione della distanza. Questo indica un
fenomeno di progressivo allargamento della sfera delle relazioni sociali sino ad un punto che
potenzialmente arriva a coincidere con l'intero pianeta. Interrelazione globale significa anche
interdipendenza globale, per cui sostanziali modifiche che avvengono in una parte del pianeta
avranno, in virtù di questa interdipendenza, ripercussioni anche in un altro angolo del pianeta
stesso, talvolta in tempi anche relativamente brevi. Questo insieme di fenomeni, ad elevata
intensità e rapidità su scala mondiale, tende a superare le barriere materiali e immateriali alla
circolazione di persone, informazioni, conoscenze e a uniformare le condizioni economiche, gli
stili di vita e le visioni ideologiche, il più delle volte in conformità al modello occidentale. La
globalizzazione comprime lo spazio-tempo e sopprime le rigidità tra le culture, favorendo la
4
Si parla di convergenza della cultura globale, che è quanto viene inteso con l’espressione mcdonaldizzazione,
facendo riferimento alla sempre più marcata tendenza all’universalizzazione, nel senso di una progressiva
unificazione degli stili di vita, dei simboli culturali e delle maniere transnazionali di comportamento.
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diversità. Non possiamo non riconoscere che il senso prevalente del termine “globalizzazione”
fa riferimento al campo economico, sebbene i fenomeni generalmente associati al termine non
siano solo economici.
Secondo l’Oxford English Dictionary (OED) la globalizzazione è l’atto di fare le cose, in questo
caso economiche, in modo globale. Possiamo pensare ad una globalizzazione in cui tutte le parti
del globo sono parte di una singola economia5.
In questo contesto economico-finanziario la globalizzazione è più precisamente un processo di
integrazione economica mondiale che amplifica su scala internazionale le opportunità
economiche (opportunità d'investimento, di produzione, di consumo, di risparmio, di lavoro,
ecc.; in particolare, in relazione alle condizioni di prezzo o di costo (arbitraggio) l'inasprimento
della concorrenza nei settori interessati dai fenomeni suddetti accresce la tendenza al
livellamento di prezzi e costi alle condizioni più convenienti su scala internazionale.
Ci riferiamo anche al rafforzamento dell’interdipendenza tra operatori, unità produttive e sistemi
economici in località e paesi geograficamente distanti, tale per cui eventi economici di un luogo
hanno ripercussioni, spesso inattese o indesiderate, in altri.
Thomas Friedman, leggendario fautore della globalizzazione, ha fatto riferimento al fenomeno
come ad una “mandria” che spazia su tutto il suo corso e nulla può fermarla. La sua risposta alla
critica sulla globalizzazione e sugli effetti devastanti che essa ha avuto su alcune economie
asiatiche è stata: “su quali paesi vivono? La globalizzazione non è una scelta ma una realtà. Gli
Stati membri possono sfidare la mandria ma si può pagare un pesante prezzo, così come la
Tailandia, la Malesia, L’Indonesia e la Corea del Sud”6, e ancora aggiunge che la globalizzazione
finanziaria ha reso possibile la produzione di un prodotto ovunque, utilizzando le risorse di
qualsiasi società ovunque essa si trovi, per essere venduti in ogni luogo.
Da sempre l’uomo “baratta” mezzi di soddisfazione dei suoi bisogni ma solo di recente7 il
contesto dello scambio di merci, servizi, capitali, persone e conoscenze ha assunto dimensioni
planetarie8.
5
Temin Peter, (1999), Globalization in Oxford Review of Economic Policy, VOL.15, NO.4, p. 76
6
Friedman Thomas in Ali Farazmand, (2001), Globalization, The State and Public Administration: A Theoretical
Analysis with Policy Implications for Developmental States, pag 439.
7
Secondo Marco Cattini, in L’europa verso il mercato globale, (2006), p. 264, il processo di globalizzazione avviato
dai bianchi fin dal XV secolo, rilanciato con veemenza nel XIX, e deragliato tragicamente nel ventennio fra le due
guerre mondiali, è tornato d’attualità fin dalla fine della seconda guerra mondiale, avendo come banditori gli Stati
Uniti d’America, potenza militare ed economica decisiva in entrambi i conflitti.
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Il dispiegarsi della globalizzazione consente alle imprese e alle loro associazioni di liberare e
riconquistare il potere di azione, finora addomesticato con gli strumenti della politica e dello
Stato sociale, di un capitalismo organizzato democraticamente. Le imprese, in particolare quelle
che agiscono globalmente, detengono un ruolo chiave non solo nell’organizzazione
dell’economia, ma in anche in quello della società nel suo complesso; sia pure “solo” per il fatto
che possono sottrarre alla società le risorse materiali (capitale, tasse, posti di lavoro).
L’economia che agisce in maniera globale sgretola i fondamenti dell’economia nazionale e mira a
sbarazzarsi non solo dei vincoli sindacali ma anche a depotenziare la politica nazionale statale
mettendola di conseguenza in crisi. Secondo la moderna struttura delle società nazionali, le
imprese possono esportare posti di lavoro là dove i costi e le condizioni per l’impiego delle forze-
lavoro sono più convenienti. In secondo luogo (grazie alla capacità delle nuove tecniche
dell’informazione di creare prossimità e vicinanze ovunque nel mondo) dividere prodotti e
servizi, e produrre distribuendo il lavoro in posti diversi del mondo, così da rendere puri e
semplici inganni le etichette dei prodotti che continuano ad indicare un’unica ditta e un’unica
provenienza nazionale. In terzo luogo possono servirsi di Stati nazionali o di singoli luoghi di
produzione per favorire di condizioni fiscali più convenienti e di prestazioni infrastrutturali più
favorevoli; allo stesso tempo possono “punire” gli Stati nazionali, se ritenuti “cari” od “ostili agli
investimenti”, in altre parole possono distinguere autonomamente tra luogo di investimento,
luogo di produzione, sede fiscale e sede di residenza. Vivere in una società globale dunque
significa che nessun paese e nessun gruppo si può isolare dall’altro, a meno che non si dia spazio a
qualche forma di protezionismo. In tal modo si scontrano l’una contro l’altra le diverse forme
economiche, culturali, politiche e ciò che si dava per scontato, anche del modello occidentale,
deve trovare una nuova giustificazione. Gli uomini e le culture del mondo si percepiscono come
reciprocamente legati, pur nelle loro differenze, e questa autopercezione di una società mondiale
diventa rilevante per il loro comportamento. La globalizzazione produce legami; sorgono
“comunità”, transazionali e transcontinentali, che separano la dimensione geografica e quella
sociale del vivere e lavorare insieme in luoghi separati geograficamente; questo avviene nelle
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“Che straordinario episodio nel progresso dell’uomo è stata quell’età che si è chiusa nell’agosto del 1914… Un abitante
di Londra poteva ordinare per telefono, sorseggiando a letto il suo tè del mattino, i più vari prodotti dell’intero pianeta.
Allo stesso tempo, e con lo stesso mezzo, egli poteva avventurarsi ad investire le sue sostanze in risorse naturali o in nuove
iniziative imprenditoriali di ogni angolo del mondo. Poteva anche, se lo desiderava, cambiare prontamente paesaggio o
clima, con mezzi di trasporto confortevoli e a buon mercato, senza passaporto o altre formalità” (Keynes, 1919)
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imprese multinazionali (le cui amministrazioni sono dislocate ad esempio a Singapore, ma le cui
unità produttive vengono ripartite in tutta l’Europa). Allo stesso tempo la globalizzazione
frammenta; non solo viene cancellata la sovranità fiscale dello Stato e quindi la sua autorità ma
anche le comunità locali possono disaggregarsi. Globalizzazione e localizzazione non sono solo
due momenti, due facce di un’unica medaglia. Al tempo stesso sono forze motrici e forme di
espressione di una nuova polarizzazione e stratificazione della popolazione mondiale in ricchi
globalizzati e poveri localizzati. Zygmunt Bauman9, infatti, riflette sul legame tra globalizzazione
e produzione delle diseguaglianze: la globalizzazione, cioè, spacca la popolazione in ricchi che
superano lo spazio e annullano il tempo ed in poveri che sono legati alla dimensione spaziale e
temporale.
Le forze principali che animano le dinamiche della globalizzazione economica possono essere
individuate in:
• Progresso tecnologico. Non vi è dubbio che esso eserciti una spinta all’approfondimento
delle relazioni internazionali. L’applicazione di nuove conoscenze scientifiche e tecniche
alla produzione migliora l’efficienza dei processi produttivi (riducendo i costi e
aumentando la produttività) e la qualità dei beni. Inoltre la riduzione di costi e tempi di
trasporto e di comunicazione rende più semplice ed economica la circolazione di beni,
servizi, capitali, idee e persone tra aree geograficamente disperse.
Nel periodo post bellico i costi di spedizione oceanica, così come i costi aerei, sono
continuati a diminuire fino al 1965 circa. Comunicazioni più economiche hanno
modificato la natura del commercio internazionale e degli investimenti; è ragionevole
pensare che maggiore facilità, affidabilità e riduzione dei costi di telecomunicazioni
hanno contribuito a promuovere l'esplosione degli investimenti esteri diretti; questo è
particolarmente vero nel settore dei servizi.
Una distinzione importante va fatta tra innovazione nei processi produttivi, che di norma
consiste in nuovi procedimenti tecnici incorporati in nuove macchine o attrezzature, e
innovazione organizzativa, che comporta un nuovo modo di organizzare il processo di
produzione. Questo modifica non solo il sistema di produzione ma anche
l’organizzazione del lavoro, che consente la frammentazione dei processi produttivi in
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Bauman Z., Globalizzazione e glocalizzazione, Roma, Armando Editore, 2005.