Il declino della teoria classica e del dogma della volontà ha permesso il
riconoscimento di effetti vincolanti alle modificazioni unilaterali del regolamento
contrattuale, profilando però diatribe dottrinali sui diversi tipi d’incidenza
pratica.
L’esercizio dello jus variandi da parte delle banche, nel corso
dell'esecuzione del contratto, è un privilegio che le banche si sono sempre
riservate con una clausola inserita nelle condizioni generali. Essa trova
giustificazione nell’esigenza, particolarmente avvertita nel mondo bancario, di
mantenere l'equilibrio delle prestazioni, quando nel corso del rapporto,
l'originario sinallagma subisca uno squilibrio (
1
).
In tempi ormai remoti l'ABI ha elaborato NBU che le banche hanno sempre
richiamato per esteso nelle condizioni generali dei contratti.
Ad esempio l'art. 116 delle NBU, sui conti correnti di corrispondenza,
disponeva che "l'azienda di credito si riserva la facoltà di modificare in qualsiasi
momento le norme e le condizioni tutte che regolano i rapporti di conto
corrente".
Permettere di mutare il regolamento negoziale in itinere, senza raccogliere
l’altrui consenso e indipendentemente da esso, significa esporre una delle parti
all’altrui determinazione, incidere il regolamento comune delle parti, rimettere a
uno solo dei contraenti scelte e decisioni, compromettere dunque, la disponibilità
della libertà contrattuale.
Tuttavia, questa condotta delle banche, che un autorevole esponente della
dottrina ha definito come “la manifestazione dello strapotere contrattuale delle
banche” (
2
), pur sussistendo comunque notevoli dubbi circa la sua legittimità,
non ha mai trovato ostacoli, né da parte della dottrina né da parte dello Stato.
1
Sul punto si veda LA ROCCA, Il potere della banca di modificare unilateralmente i contratti:
esigenze sostanziali e profili civilistici, in Banca, imp. e soc., 1997.
2
PIETRUNTI, in Contratto e Impresa, 1996, p. 198.
2
Una giustificazione è sempre stata ravvisata, però, sul piano dell'economia
generale, non quindi sul piano dell'economia del contratto individuale, in base ad
esigenze che sono proprie del mercato finanziario, su cui, possiamo azzardare, si
sorregge buona parte dell'economia generale.
La facoltà di modificare le condizioni contrattuali, purché esercitata
uniformemente nei confronti di tutti i clienti, consente di distribuire in maniera
accettabile sulla clientela i rischi dell'eccessiva onerosità sopravvenuta; rischi che
diversamente si potrebbero coprire praticando prezzi e tassi proibitivi alla nuova
potenziale clientela imprenditoriale, la cui capacità concorrenziale sarebbe
oltremodo diminuita a vantaggio degli altri imprenditori già clienti degli
operatori finanziari.
Se è vero che la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni
contrattuali può soddisfare una funzione economico sociale di grande rilievo, è
pur vero che l'esercizio indiscriminato di tale facoltà potrebbe dar luogo a
gravissimi abusi.
L’opera normativa di questi anni ha quindi cercato di contemperare le
esigenze dell’attività imprenditoriale della banca con quelle della clientela,
sacrificando i dogmi della dottrina classica che manifestava l’intangibilità del
libero volere e della libertà contrattuale.
Partendo dall’evoluzione normativa che si è succeduta in questi anni, il mio
lavoro prenderà compiutamente in esame la disciplina di questo potere
(potestativo?) delle banche ormai consolidato, e si spera ora, legalizzato e
tutelato, sotto i punti di vista dei più notevoli autori della materia, cercando non
solo di analizzare la fattispecie e le sue peculiarità, sotto il profilo analitico,
dottrinale e deontologico; ma anche le sue dirette conseguenze applicative, sia
nel caso in cui clausola che lo preveda si rifletta sulla sua legittimità, sui
3
costituenti del contratto, sull’invalidità dell’intero patto o contratto, alla luce
delle considerazioni pervenute dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
4
CAPITOLO I
EVOLUZIONE NORMATIVA DELLO JUS VARIANDI
1.1 Il lento cammino della riforma
L'inadeguatezza del sistema normativo, non solo riferito allo jus variandi,
ma all'intera regolazione del sistema bancario, era un'opinione generalizzata.
Lo stesso mondo bancario aveva preso coscienza che l'incontrollata libertà
contrattuale determinava abusi inaccettabili, nonostante i rimedi offerti dal diritto
comune e in particolare dagli artt. 1341 e 1342 c.c.
Tuttavia l’ordinamento giuridico italiano non ha, fino ad epoca recente,
retto il passo di una disciplina in veloce evoluzione come quella bancaria.
Indicativo di ciò è che la disciplina bancaria sia stata per lungo tempo
ancorata alla legge bancaria del 1936, e che le regole sul rapporto tra banca e
cliente siano state disciplinate dal codice civile del 1942, in poco più di ventisei
articoli tipizzando i più comuni contratti bancari, ma non regolandoli in modo
compiuto e cogente, consentendo così alle banche di dettarne il regolamento in
conformità ai loro interessi. Possiamo dunque affermare che non era obiettivo del
legislatore del ’42 tutelare la clientela bancaria
L’organismo di vigilanza, cioè l’Associazione Bancaria Italiana, era
intervenuto attraverso l’elaborazione di contratti tipo definiti norme bancarie
uniformi (NBU) che sono divenute condizioni generali di contratto riprodotte su
modulari e formulari.
5
Tuttavia essendo condizioni contrattuali sicuramente di parte, i rapporti tra
banca e cliente sono sempre stati molto rigidi.
Finalmente negli anni ’90 il Governo dava inizio alla riforma della materia:
prima con la legge n. 142/92 che disponeva due deleghe al Governo, prima per
l’attuazione della Direttiva n. 646/89 da parte del d.lgs. n. 481/92 e poi per il
coordinamento di tutte le disposizioni vigenti in materia da parte del d.lgs.
385/93; infine la legge n 154/92 sulla trasparenza delle operazioni bancarie.
1.2 Le norme bancarie uniformi
Il 27 luglio 1984 il Ministro del Tesoro inviò una lettera al Presidente
dell’Associazione Bancaria Italiana, dove riferiva i suoi dubbi circa le condizioni
che regolavano i rapporti con i clienti, asserendo l’esistenza di squilibri a danno
di questi ultimi; nel frattempo si opponeva all’introduzione di nuovi vincoli per
la banca con la condizione di optare per un regime di correttezza e trasparenza
che riuscisse a difendere sufficientemente il cliente, rimettendo però
all’Associazione stessa le decisioni in merito, confidando nel senso di auto-
censura dell’organizzazione (
3
).
La creazione delle norme bancarie uniformi come strumento anche di
differenziazione delle banche rispetto alle altre imprese, porta alla lettura di tale
prerogativa alla luce della Costituzione agli artt. 41 e 47(
4
).
3
G.FLORIDIA, Condizioni bancarie uniformi e tutela del risparmiatore, in L.G.UBERTAZZI, La
concorrenza bancaria, Milano, 1985, p.172.
4
Art.41 Cost.: “L’iniziativa economica è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge
determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata
possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Art.47 Cost.: “La Repubblica incoraggia e
tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del
credito…”.
6
Le norme bancarie uniformi sono schemi di condizioni generali relative ai
vari servizi messi a disposizione dalle banche, elaborate periodicamente
dall’Associazione Bancaria Italiana, adottate dalla maggior parte delle aziende di
credito italiane(
5
).
Si punta l’attenzione sulla loro natura privatistica soprattutto con riguardo e
contro la scelta dell’A.B.I. di denominarle “norme” pretendendo di agire in
posizione d’imperio (
6
); si è sottolineata la provenienza delle condizioni da un
soggetto privato e la loro estraneità rispetto all’autorità amministrativa la quale
non esercita alcun controllo (anche se sarebbe stato doveroso secondo parte della
dottrina).
La maggior parte della dottrina considerava le NBU come strumento di
soggezione verso il cliente, occorrendo dei procedimenti per garantire un minimo
di equilibrio nei rapporti contrattuali (
7
).
Tale fenomeno può essere visto sotto diverse angolature ma non si riferisce
all’utilizzo indiscriminato di tali facoltà per prevalere come impresa né riguarda
le singole clausole da inserire nelle singole operazioni bancarie, bensì il modo
della loro predisposizione e legittimità in relazione alla funzione di interesse
collettivo insito nell’attività creditizia per il quale il risparmio è canalizzato
nell’impiego produttivo. Secondo un’analisi condotta da autorevole dottrina, le
5
Cfr. MARTORANO Delimitazione dell’oggetto e limitazioni della responsabilità della banca in
MACCARONE, NIGRO, Funzione bancaria, rischio e responsabilità della banca, Milano, 1981,
p.84.
6
La stessa giurisprudenza è caduta nell’errore di considerarle come direttive della pubblica
amministrazione verso le banche: Cass. 9 agosto 1973, n.2276, in Foro It., 1974, c.141; tale
opinione è stata respinta dalla dottrina, la quale afferma la tesi della natura di condizioni
generali di contratto ai sensi dell’art.1341 c.c.: MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico
italiano, Milano, 1980, p.131.
7
Di questo avviso: GABRIELLI, Controllo pubblico e norme bancarie uniformi, in I controlli
bancari, 1978, Milano, p.265 ss.; CAVALLI, Contratti bancari su modulo e problemi di tutela
del contraente debole, Torino, 1976; CAVALLI, Le clausole vessatorie nei contratti bancari, in
Le operazioni bancarie, a cura di PORTALE, Milano, 1978, p.103 ss.; REALMONTE, Condizioni
generali di contratto e norme uniformi bancarie, in Le operazione bancarie, Milano, 1978, p.87
ss.
7
condizioni uniformi derogavano profondamente alla disciplina codicistica:
prendiamo in esame il credito con garanzia pignoratizia nel quale tale garanzia
era estesa oltre che al rapporto in corso anche a quelli precedenti o successivi; in
cui la banca aveva poteri ampi in merito alla custodia dei beni dati in pegno con
l’obbligo del cliente di assicurare la merce (togliendo alla banca l’onere); e in cui
l’Istituto poteva ridurre il fido, su una decisione non basata su un’effettiva
diminuzione della garanzia.
Derogando anche al diritto di recesso e di modifica dettato dal codice civile,
la banca poteva bloccare il fido con l’obbligo della controparte di rientro della
somma; altro esempio è quello della c.d. fideiussione omnibus (secondo
l’art.1938 c.c., così come modificato dalla legge 154/92, si ha fideiussione
omnibus quando la garanzia prestata vale sia per le obbligazioni presenti sia per
quelle condizionali che ancora per quelle future, con la previsione per
quest’ultimo caso, dell’importo massimo garantito).
Troviamo poi anche coloro che, come sostenitori della contrattazione
standardizzata, rinvenivano nelle condizioni uniformi un meccanismo per creare
trasparenza di mercato e favorire una scelta più consapevole dei consumatori i
quali, avendo ormai “sott’occhio” le condizioni d’acquisto, potevano dedicarsi
alla scelta del prodotto in base alle sue caratteristiche essenziali, quali prezzo e
qualità.
A ciò si controbatteva sostenendo che in un settore quale quello bancario
occorreva libertà di scelta, che invece, in questo caso, veniva “mortalmente”
rinchiusa in regolamenti rigidi e pieni di clausole vessatorie; in questo senso
quindi, invece di favorire la crescita dell’impiego del risparmio, le condizioni,
per le quali possiamo parlare di cartello, atrofizzavano lo sviluppo economico del
Paese, scaricando sul risparmiatore tale costo sociale.
8
La tutela, in questo senso, s’intendeva non tanto quanto riequilibrio di
condizioni interne ai rapporti convenuti tra clienti e banche ma piuttosto come
restituzione di efficienza al sistema creditizio, al quale poi è legato l’aspetto
precedente.
Per ciò che concerne il controllo da parte dell’organo principale del sistema
creditizio italiano, la Banca d’Italia, è da rilevare l’impossibilità di ordinare
obblighi di inserzione di determinate condizioni all’interno dei contratti per la
conseguente omogeneizzazione della concorrenza non lecita; si ricorre quindi
alla formula di divieto di adottare condizioni all’interno dei contratti individuali
che porterebbero ad un ingiustificato trattamento negativo del cliente.
In tempi più recenti, sempre riguardo all’organo di controllo, l’istruttoria
avviata dalla Banca d’Italia, in forza dei poteri derivati dalla legge n.287/90, atta
a verificare la compatibilità delle NBU con le nuove regole della concorrenza, ha
portato all’approvazione da parte dell’organo di vigilanza del provvedimento
n.12 del 12/12/1994
che ha impegnato l’A.B.I a modificare moduli e formulari
bancari che prima prevedevano per il predisponente particolari regimi di favore,
come la facoltà di esercitare ad nutum lo jus variandi
o il diritto di recesso.
La corte di Giustizia in una recente sentenza ha preso posizione su alcune
NBU, ed ha escluso che, nel caso di specie, le clausole contrattuali esaminate
fossero idonee a restringere la concorrenza, o a pregiudicare il commercio tra gli
Stati membri, ai sensi dell’art. 85 del Trattato, o a costituire sfruttamento abusivo
di posizione dominante ai sensi dell’art. 86 (
8
).
8
C. Giust. CE, 21 gennaio 1999, in Giur. Comm., 1999, II, 477, con nota di PERASSI, Norme
Bancarie Uniformi e scelte comparative della clientela. Primi orientamenti della Corte di
Giustizia; in Contratti; in Banca, borsa, tit. cred., 2000, II, 237. Nel caso di specie la Corte ha
ritenuto che non determinano restrizioni della concorrenza le NBU che, nei contratti di apertura
di credito, consentono alle banche di modificare i tassi di interesse in ragione dei cambiamenti
intervenuti sul mercato monetario, mediante una comunicazione affissa nei loro locali. Ha
osservato la Corte che, trattandosi di clausole che, almeno in teoria, possono avere conseguenze
9
Una volta accertata l’eventuale incompatibilità delle NBU con i principi
enunciati dagli artt. 85 e 86 del Trattato, anche da parte del giudice nazionale, si
pone poi il problema, nei rapporti fra le banche e la clientela, dei riflessi sulle
clausole contrattuali delle disposizioni considerate incompatibili.
Il dibattito dottrinale è ancora aperto; appare comunque meritevole
d’attenzione la tesi che assoggetta i contratti a “valle” al regime della nullità
“derivata” dei rapporti fra banca e clienti per illiceità della causa del contratto, in
quanto si pone in contrasto on l’ordine pubblico economico.
1.3 Primi interventi normativi: il progetto Minervini del 1986
Di fronte allo stato di cose così descritto, la dottrina più sensibile all’equità
dei rapporti sociali, a partire dalla metà degli anni ’70, si era sforzata di
individuare forme e tecniche di tutela della clientela bancaria, sperimentabili in
base alla normativa esistente, tralasciando le prospettive di riforma della materia,
non già perché ritenesse la disciplina perfetta e non emendabile, ma piuttosto
perché la riforma appariva come un’ipotesi avveniristica e come tale non
meritevole di particolare considerazione da parte dei giuristi.
Il progetto era volto a regolare con norme inderogabili, se non a favore del
cliente, diversi aspetti dei contratti bancari, per realizzare trasparenza delle
condizioni, equilibrio e sanzionare gli illeciti
con lo scopo di non far raggiungere
favorevoli risultati, al prezzo di una maggiore onerosità delle operazioni bancarie
per i clienti (
9
).
Inoltre solo la maggiore o minore rischiosità del mercato può giustificare
secondo il principio di parità di trattamento l’applicazione di differenti tassi e
favorevoli anche per la clientela (che eviterebbe il rischio di tassi arbitrari), non esercitano
influenza restrittiva apprezzabile sul libero gioco della concorrenza.
9
Cfr. RESCIGNO, Trasparenza bancaria e diritto comune dei contratti in Banca, borsa e tit.
credito, 1990, I, p.298.
10
condizioni purché naturalmente si traduca in una diversa qualità dei clienti: ciò
vale a diversificare le zone di mercato tra le condizioni soggettive e quelle
oggettive (
10
).
Di più ampio rilievo erano le disposizioni dettate per le variazioni dei tassi:
il tasso, si pronunciava, poteva essere variato in senso sfavorevole solo con il
consenso delle parti, consenso oltretutto da esprimersi per iscritto, a pena di
nullità; la banca tuttavia poteva modificare unilateralmente il costo del denaro ma
sottoponendosi ad alcune limitazioni:
- lo jus variandi era limitato solo ai contratti a tempo indeterminato e
doveva essere approvato in una clausola inserita e approvata per iscritto dal
cliente;
- poteva essere esercitato solo ed esclusivamente se le condizioni di
mercato, mutate, lo giustificavano (
11
);
- il cliente, per evitarne le conseguenze, poteva recedere dal contratto entro
15 giorni dal ricevimento della comunicazione dello jus variandi da parte della
banca.
Due disposizioni in chiusura riassumono la portata della proposta
Minervini: l’obbligo della banca di esporre le condizioni e i tassi praticati al
pubblico, ribadendo al contempo il principio di parità di trattamento (art.13, 1°
comma e 2° comma); la possibilità di derogare pattiziamente alle disposizioni di
legge solo in senso più favorevole alla clientela (art.15).
10
Non si può parlare di maggiore rischiosità di prestiti nel Sud Italia riferendoci ad un’impresa
che pur operando ivi, è una filiazione di un’impresa del Nord, con gli stessi standards di rischio
della casa madre; cfr. MARTORANO, Trasparenza e parità di trattamento nelle operazioni
bancarie in Banca. Borsa, tit. credito, 1991, I, p.708.
11
Lo jus variandi era perciò legato agli aggiustamenti del mercato, e la disciplina mirava al
mantenimento dell’equilibrio iniziale delle parti. L’ispirazione formalistica è la costante del
progetto: non solo è rigidamente formalizzata la validità del patto ma anche gli stessi modi di
esercizio. Cfr. per tale assunto RESCIGNO, op. cit., p.305.
11
La proposta non era però una completa visione dei diritti dei clienti
riguardo alla disciplina bancaria: mancava per esempio il riferimento alle
clausole limitative della responsabilità o degli obblighi della banca, o limiti alla
facoltà di recedere della banca con obbligo di restituzione anticipata delle somme
da parte del cliente, oppure ancora qualsiasi riferimento alle fideiussioni
bancarie. Proprio per questo la proposta Minervini fu criticata da molti ed
autorevoli esperti, che però non ne colsero la portata innovativa nell’ambito della
tutela del cliente più debole.
Ancor prima, già nel 1984, il disagio della clientela si era manifestato in
modo così rilevante da suscitare l’interesse della politica fino a che nel luglio
1984 il Ministro del Tesoro mandò all’A.B.I. una nota in cui lamentava la
mancanza di trasparenza nei rapporti con i clienti; chiedeva che finissero gli
abusi sulla parte debole del rapporto; dichiarava di non voler aggiungere altri
limiti alla già troppo regolamentata disciplina bancaria, a patto che le autorità
creditizie esercitassero un adeguato autocontrollo. Questa innovativa, al tempo,
non praticabile, fu riproposta più tardi con maggior successo.
L'autoregolamentazione aveva in sostanza due obiettivi, l’uno esplicito e
diretto, l’altro più nascosto: cercava di condizionare l’eteroregolamentazione
delle condizioni di trasparenza e pubblicità nei contratti e di distogliere
l’attenzione dell’opinione pubblica da questi “scottanti” argomenti.
A seguito di simili assunti i primi passi furono compiuti con numerosi altri
progetti, tra i quali: le iniziative n.520/87 (firmata Visco) e n.627/87 (firmata
Fiandrotti) che hanno sostanzialmente riprodotto le teorie della proposta
Minervini; lo schema di disegno di legge governativa del 14 gennaio 1987
(“norme per assicurare la trasparenza nei rapporti tra banche e clientela”); la
proposta di legge n.2798/88 (firmata Bodrato) che ha ripreso la normativa
12
delineata dal disegno governativo (
12
); infine tra il 1988 e il 1989 uno specifico
accordo interbancario siglato dall’A.B.I che prevedeva particolari forme di
pubblicità mediante avvisi al pubblico nelle filiali bancarie, delle principali
condizioni dei contratti, le modalità di calcolo degli interessi e la prassi
dell’estratto conto standardizzato.
Un particolare appunto va fatto sul tema della disciplina delle variazioni
delle condizioni contrattuali: l’enunciato dell’accordo prevedeva che le
indicazioni contenute negli avvisi si considerassero valide fino a nuovo avviso.
Le banche si erano impegnate a dare comunicazione alla clientela di ogni
variazione mediante apposito cartello da esporre presso tutti gli sportelli delle
banche, e il cliente poteva recedere dal contratto entro 15 giorni dalla data di
esposizione del cartello; tale assunto di previsione dello jus variandi era
sicuramente inaccettabile poiché esso non era in alcun modo limitato (
13
)
e
poteva non operare allo stesso modo a favore della clientela; inoltre l’aumento
del tasso magari predisposto, non poteva esistere in mancanza di specifica
approvazione per iscritto. Tale accordo non risultava inoltre in linea con i settori
Nord Europei, più avanzati in materia; non offriva poi al cliente una sua specifica
tutela seguendo costantemente la disciplina del codice civile (artt. 1834 e ss).
12
Vedi DOLMETTA, Per l’equilibrio e la trasparenza nelle operazioni bancarie: critiche alla
legge 154/92 in Banca, borsa e tit. credito, 1992, p.376.
13
Secondo DOLMETTA nell’op. cit., lo jus variandi è condizionato ai contratti conclusi a tempo
indeterminato e solo nel caso e nei limiti in cui la mutata situazione del mercato finanziario lo
richieda. La soluzione secondo l’autore era da considerarsi rigorista. In compenso, sempre
secondo Dolmetta, non era da preferirsi la scelta adottata dalla successiva legge 154, perché essa
consentiva un’ancor più ampio diritto della banca di variare in corso di rapporto i tassi di
interesse e le altre condizioni per i contratti sia a tempo determinato che indeterminato, ad
nutum della banca medesima, sia in modo generalizzato che personalizzato, con una sola tutela
di sostanza concessa al cliente, cioè la possibilità di recedere dal contratto.
13
1.4 La legge sulla trasparenza n. 154/1992
Nel 1992 è stata emanata la legge n. 154 sulla trasparenza, inclusa poi nel
testo unico bancario del 1993, al titolo VI dagli artt.115 – 120 e n.142 sul credito
al consumo, anch’essa inserita nel T.U. agli artt.121-126 (
14
).
Nel mercato di oggi, fondato sulla libertà di iniziativa economica è sempre
più importante la consapevolezza per i contraenti di ciò che viene fatto, perché
più il rapporto è trasparente maggiore è l’informazione e di conseguenza la
positività dei rapporti instaurati.
Il nucleo centrale è costituito da norme che impongono obblighi di
pubblicità delle condizioni contrattuali e sanzioni per la loro inosservanza ,
obblighi di forma e di informazione sullo svolgimento dei rapporti (
15
).
Accanto a disposizioni favorevoli alla clientela, come quelle riguardanti il
contenuto minimo dei contratti o le valute, ve ne sono però altre che risultano
incongruenti con il periodo storico in cui si trovano collocate, come le
disposizioni sullo jus variandi in deroga alla disciplina generale del contratto,
superando spesso quello che è il principio di parità di trattamento (
16
).
La normativa è diretta non solo agli enti di credito ma anche a tutti gli altri
soggetti che esercitano professionalmente attività di credito tra cui annoveriamo
14
Le norme in esame si applicano sia alle banche che agli intermediari finanziari e al credito al
consumo in quanto non già disciplinato dalla sua specifica normativa. Cfr CERNIGLIA, Spunti
sulla tutela degli utenti bancari in Itali e Francia in ALPA, LEVI, I diritti dei consumatori e
degli utenti, Milano, 2001, pp.576-577.
15
La trasparenza non viene del tutto attesa soprattutto perché non viene sancito l’obbligo per le
banche di fissare i costi delle operazioni per darne effettiva e preventiva conoscenza;
secondariamente poi perché è consentito agli enti creditizi di indicare i tassi attivi massimi e
passivi minimi ma non anche i criteri della loro determinazione. Vedi al riguardo, MAISANO, op.
cit.,p133.
16
Sostanzialmente conservatrice dello status quo è la risposta data dal legislatore alle istanze di
rinnovamento, in taluni casi restauratrice dello strapotere contrattuale delle banche (causa la
soppressione del principio di parità di trattamento): viene seguita la linea filobancaria della
“semitrasparenza” senza un sostanziale equilibrio; vedi al riguardo MAISANO, op. cit., p134.
14
anche il credito al consumo, cessioni di credito, credito ipotecario, factoring,
leasing finanziario, credito commerciale, servizi di pagamento, mezzi di
pagamento come carte di credito, operazioni su cambi, strumenti finanziari ed
options, servizi di intermediazione finanziaria, locazione di cassette di sicurezza.
Il principale aspetto normativo
espresso dalla legge 154 è innanzitutto la
pubblicità delle condizioni contrattuali: devono essere resi noti in locali aperti al
pubblico i tassi attivi massimi, passivi minimi, e gli interessi moratori per molte
operazioni di credito e di raccolta elencate nell’allegato (
17
)
all’art.2, comma 1
della legge; le condizioni praticate per le operazioni di credito e di raccolta; il
prezzo e le altre condizioni dei servizi; l’importo delle spese per le
comunicazioni.
Il principio dianzi enunciato non sembra riferirsi solo alle condizioni
economiche ma a tutte le condizioni contrattuali, inoltre le banche non possono
optare, nel regime di pubblicità, al rinvio agli usi.
L’inconveniente più esplicito è senza dubbio quello riguardante i tassi
perché, anche se questi vengono pubblicizzati mediante affissione al pubblico,
possono comunque variare da un luogo all’altro e in base a discriminazioni
soggettive che non sono considerabili eque.
17
Allegato all’art.2, comma 1 legge 154/92: operazioni di raccolta: conti correnti liberi, conti
correnti vincolati, libretti di deposito a risparmio liberi e vincolati, buoni fruttiferi, certificati di
deposito, obbligazioni; operazioni di prestito e finanziamento a tasso ordinario: crediti
personali, ipotecari, mutui e finanziamenti a tasso fisso, indicizzati, anticipazioni fondiarie ed
edilizie, somministrazioni in conto mutuo, crediti agrari, affidamenti in conto corrente,
finanziamenti su portafoglio commerciale, sconto di portafoglio, anticipi all’esportazione;
servizi: bonifici, depositi di titoli a semplice custodia, a custodia ed amministrazione, gestione
di patrimoni mobiliari, negoziazioni di titoli, servizio titoli, servizi di incasso effetti, documenti,
assegni, pagamento utenze, tributi, contributi, acquisto e cambio di valute estere, rilascio di
travellers cheques in valuta estera, pagamento o negoziazione in assegni turistici in valuta
estera, locazione di cassette di sicurezza, carte di credito, versamento e prelievo di contante
presso gli sportelli.
15