non permette di prevedere gli effetti dei singoli provvedimenti
centellinati, e quindi neanche i rischi di conseguenze non volute,
giustificando così l’impiego di strumenti legislativi limitati nel tempo
che richiedono successive riconferme.
Questo muoversi per aggiustamenti successivi, e questo
procedere in modo sperimentale nel campo delle riforme del
sistema di protezione sociale, è dovuto all’infelice esito del
modello di programmazione integrata e partecipata dei servizi
dominante negli anni 70 e dall’esperienza fallimentare di quel
modello negli anni 80.
“Modelli d’intervento basati su uno schema di razionalità di
tipo sinottico, come quelli tentati nei due decenni precedenti, sono
risultati inadeguati”, appare più giustificato un nuovo approccio in
cui è la messa in opera di una politica a determinare il successo
dei programmi pubblici nel campo del sociale.
In realtà l’affollarsi di leggi, decreti, circolari, sottintende
problemi di adattamento all’attuale situazione, le nuove misure
introdotte piuttosto che affrontare le difficoltà, sembrano volerle
evitare ricorrendo a strumenti e provvedimenti provvisori e
impropri, i quali si rivolgono specificatamente alle storture più
evidenti delle politiche sociali. Questo, “sistema lascia ampi
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margini a forme d’esclusione sia formali sia di fatto”, le prime
impediscono di acquisire un diritto riguardante beni vitali, le
seconde impediscono di utilizzare beni già disponibili.
Meccanismi d’esclusione formale operano sia nel campo
dell’assistenza economica, che nel campo dell’accesso al lavoro,
altre forme d’esclusione sociale sono presenti nel settore delle
politiche abitative di tipo assistenziale, orientate a gestire
l’emergenza dello sfratto. Altri casi tipici di esclusioni di fatto sono
presenti nel campo delle politiche scolastiche e sanitarie. Nel
nostro paese le cure mediche, e l’istruzione scolastica anche per
quanto attiene la scuola dell’obbligo, sono servizi garantiti a tutti i
cittadini, eppure la capacità di utilizzare questi servizi nel nostro
territorio è molto differenziata per conseguenza, l’uso effettivo di
questi servizi è condizionato dalle disuguaglianze sociali.
Il sistema di protezione sociale risente di “una pervasiva
concezione economicistica dell’intervento sociale”, questo riduce i
problemi di sopravvivenza, “a quello di garantire la disponibilità di
reddito a tempo indeterminato”, lo dimostrano la netta
sproporzione dei dispositivi previdenziali e le politiche del lavoro
rispetto a quei provvedimenti che si occupano della tutela dei non
lavoratori e cioè del cittadino in quanto tale.
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L’approccio economicista “considera poco la possibilità di
incrementare la capacità di uso dei beni attraverso adeguate
azioni di sostegno, recupero, monitoraggio”, infine la convivenza
degli interventi difficili (tossicodipendenti, alcolisti, AIDS)
dell’azione pubblica e privata (profit, non-profit) genera difficoltà
organizzative locali, e, forme di esclusione insostenibili, la cui
modalità di lotta, non può prescindere dalla loro analisi (N.Negri e
C. Saraceno 1996,11-22).
1.2 POLITICHE DI SOSTEGNO E INTEGRAZIONE AL REDDITO.
Nelle politiche di sostegno al reddito in Italia si possono
distinguere due grandi sottoinsiemi: quello dei sostegni indiretti e
quello dei sostegni diretti. I primi per lo più vengono erogati sotto
forma di servizi, ed in questo caso il sostegno non riguarda
soltanto chi è economicamente o socialmente debole, tuttavia i
servizi erogati soprattutto a livello locale tengono conto di
particolari stati di bisogno economico e/o di debolezza sociale;
l’accesso ad alcuni servizi è infatti spesso reso meno oneroso a
favore di quelle fasce di individui che non hanno risorse sufficienti
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per pagarne il prezzo o la tariffa per intero, talvolta i criteri del
rischio e quello della debolezza economica si sommano.
Un esempio è dato dai servizi per il sostegno della cura dei
bambini, è riconosciuto un diritto prioritario alle famiglie variamente
disagiate che nello stesso tempo fruiscono di una contribuzione al
costo del servizio, ridotto in base al reddito.
Il secondo sottoinsieme dei sostegni diretti al reddito è
costituito da trasferimenti monetari a famiglie in stato di difficoltà
economica. Questi vengono erogati in gran parte dall’INPS, e dal
Ministero dell’Interno e in parte meno rilevante da enti ed
amministrazioni a livello locale, l’insieme rappresenta una delle
voci più importanti della spesa sociale. Queste misure vengono
ulteriormente suddivise in due tipi fondamentali, Il primo trova
fondamento nel sistema previdenziale, il quale risulta agganciato
al sistema di contribuzione dei lavoratori. L’insieme delle misure
previdenziali includono:
A. Le integrazioni al minimo delle pensioni.
B. Gli assegni al nucleo familiare.
C. Le pensioni d’invalidità INPS per invalidità subentrata dopo
l’inizio di un’attività lavorativa.
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Le seconde sono costituite da tutte quelle misure che non
hanno riferimento contributivo, esse comprendono:
D. Le pensioni di invalidità civile per soggetti con capacità
lavorativa permanentemente ridotta, per ciechi, sordomuti, i
pluriminorati in età compresa fra 18 e i 65 anni.
E. Altre provvidenze a favore dei disabili.
F. Le pensioni sociali per anziani poveri.
G. Il minimo vitale istituito da alcune regioni con propria
misura legislativa ed erogato dai comuni.
H. I sussidi familiari per specifiche categorie (coltivatori diretti,
pensionati assistiti).
Nonostante il repertorio delle misure di sostegno al reddito sia
piuttosto articolato, manca un dispositivo unificato su tutto il
territorio nazionale che garantisce un reddito minimo. Il dlgs
n°237/98 rappresenta una importante innovazione in questa
direzione. Con esso, infatti è stata avviata la sperimentazione in
alcuni comuni, della concessione di un sussidio alle persone che
non possono accedere ad un reddito che non sia il compenso di
un lavoro, o di un indennizzo per una situazione provvisoria di
disoccupazione, o una pensione d’anzianità, di vecchiaia o
d’invalidità. In tal modo si è dunque inteso favorire l’accesso al
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sistema di protezione sociale alle persone lontane dall’età
pensionabile.
1.3 INTERVENTI ASSISTENZIALI FRAMMENTARI; ASSENZA
DI UNA LEGGE QUADRO DI RIFORMA DEL WELFARE, AMPIO
MARGINE DI DISCREZIONALITÀ DEGLI EE.LL.
Gli andamenti delle spese sostenute dallo Stato, attraverso
l'INPS, le regioni, i comuni, le provincie e l’IPAB, a sostegno del
reddito mostrano negli ultimi anni un carattere del tutto residuale, a
fronte di un aumento del rischio d’esclusione sociale (cfr. Negri e
Saraceno 1996, 25).
I processi che generano rischi di povertà nel nostro paese
sono di due tipi: mentre nel centro-nord si registra un aumento del
rischio a seguito dell’indebolimento del sistema familiare, nel
mezzogiorno invece il motore dei processi d’esclusione è la crisi
del sistema occupazionale.
L’apparato assistenziale del nostro paese è caratterizzato da
una frammentazione e differenziazione su scala locale e da un
ampio margine di arbitrarietà degli interventi, come dimostra il
modesto peso finanziario dei programmi assistenziali e
d’inserimento lavorativo rispetto a quelli previdenziali. Inoltre lo
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scarso sviluppo dei servizi (delegati alla sussidiarietà della
famiglia), la preminenza della protezione degli anziani rispetto ad
altri soggetti deboli (le pensioni sociali e l’integrazione
pensionistica), assorbono una quota rilevante della spesa
assistenziale.
Poiché l’intervento assistenziale è visto come sussidiario
rispetto all’organizzazione familiare e comunitaria, ne deriva lo
scarso impegno finanziario (le difficoltà politiche a destinare nuove
risorse alle riforme assistenziali) e istituzionale. Per tanto
l’intervento pubblico e privato si ha dove la rete di supporto
familiare e sociale è debole o addirittura assente.
Oggi per diversi motivi la rete familiare è meno solida, inoltre
le famiglie non possono reggere il sovraccarico della longevità,
della crisi occupazionale giovanile, del progressivo ritardo con cui i
giovani si sposano e lasciano le famiglie d’origine, delle cure e
trattamenti specialistici.
Ciò a fronte di una minore disponibilità di risorse finanziarie
per promuovere efficaci riforme, e di una grande rigidità del mix
assistenziale così come si è sviluppato fino ad ora in Italia.
L’assenza di un quadro e di programmi nazionali in
combinazione con l’incerta e variabile distribuzione degli impegni
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tra Regione, Provincie e Comuni e tra iniziative pubbliche e private
disegna un universo di welfare locali differenziati, tra i quali
nessuno ha le risorse né l’autorità politica per contrastare i nuovi
itinerari di esclusione, a ciò si aggiunge il fatto che la spesa
assistenziale è poco orientata ad istituire servizi innovativi.
L’intervento assistenziale su scala locale resta limitato in
termini di competenze e risorse disponibili essendo peraltro
inserito in un quadro istituzionale incerto il quale non promuove
forme di coordinamento e sinergia con gli enti privati.
La mancanza di un quadro nazionale che fissi regole comuni
per le politiche contro la povertà e, l’ampio margine di
discrezionalità pur limitato dalle scarse risorse e competenze,
produce diseguaglianze territoriali.
Questo fatto, benché possa costituire un segnale positivo se
ha come fine quello di utilizzare i margini di discrezionalità
d’intervento in direzione della maggiore efficacia dello stesso,
tuttavia rappresenta anche un ostacolo, sul cammino di una
eventuale riforma che voglia rendere più omogeneo il quadro
dell’assistenza in termini di diritti e responsabilità (D.Benassi e
E.Mingione 1998).
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